Il silenzio tra me e te
Roma è una
città strana. Non esistono mezze stagioni, in estate
c'è un'afa soffocante e la luce è così
accecante da far sfarfallare l'asfalto, mentre in inverno il gelo
è così tagliente che non è raro, la
mattina, doversi coprire con più strati di vestiti per poi
uscire e dover cambiare rotta a causa della metropolitana mal
funzionante. A Zefiro era capitato ben più di una volta e,
sebbene ormai vivesse in quella città da più di
diciotto anni, non si era ancora abituato. Soprattutto la mattina prima
delle sette, quando sentiva ancora il peso della coperta sulle spalle,
doveva rileggere due o tre volte l'ora di arrivo dell'autobus,
specialmente se era spostata parecchio più avanti rispetto
quella segnalata sul sito dell'ATAC.
“E anche oggi si arriva in orario domani.”
Sospirò, facendo affondare cellulare e mani nella giacca del
giubbotto. Il bus 710, che andava da Carini a Lenin, era un altro
mistero di Roma, uno dei tanti dilemmi che affliggevano i cittadini
della capitale, che spesso si domandavano se non fosse solo
un'illusione, un miraggio che appariva nelle giornate assolate e
svaniva alla prima nuvola. I suoi amici, scherzando, avevano
più volte valutato l'idea di mandare il caso a
“Mistero”, anche se tutti loro dubitavano che i
giornalisti avrebbero trovato un generatore di buchi neri o di tunnel
spazio temporali innestato nel motore dell'autobus.
Gli venne da sorridere al ricordo di quei pomeriggi estivi. Gli
sembrava ieri che usciva con le mezze maniche per andare alla piscina
delle Rose o a Zoomarine, sulla schiena lo zaino con solo il cambio di
costume, i panini e una bottiglia d'acqua. Si sarebbe dovuto portare
anche il libro di matematica, quantomeno per fare contenta sua madre,
ma il sole e l'euforia per aver passato l'anno senza prendere nessun
debito avevano scacciato via ogni suo buon proposito di studio e
ripasso. Non per altro il rientro a scuola era stato a dir poco
traumatico.
Il cellulare vibrò e alzò gli occhi al cielo.
C'era una sola persona che poteva scrivergli a quell'ora.
Federico
Dove diamine sei? Sono già le 7.30, quando hai
intenzione di arrivare?
Sbuffò e, dopo aver guardato per l'ennesima volta il
tabellone della banchina, si incamminò su Via dei Quattro
Venti.
Zefiro
Sto arrivando. Sai che il 710 non passa mai, no?
Federico
Lo so, ma tu sai che la Ronchi odia i ritardatari.
Sì che lo sapeva, Zefiro era uno dei suoi bersagli
preferiti. Vero che se si fosse alzato più presto si sarebbe
evitato molte rogne, ma che poteva farci se il letto ogni mattina lo
tratteneva nelle sue spire?
Trasse un profondo respiro e si sistemò la sciarpa sulla
bocca, aumentando ulteriormente il passo. Passò davanti al
negozio di alimentari e al fruttivendolo, lo zaino che gli ondeggiava
sulla schiena al ritmo della sua andatura. Giunto davanti a Sargenti,
tirò fuori il cellulare per vedere l'ora: le 7.45.
Guardò la schermata per quasi un minuto, il cervello che
vagliava tutte le possibili ripercussioni che l'ennesimo ritardo
avrebbe provocato, finché il profumo delle brioche integrali
al miele appena sfornate non gli si infilò prepotentemente
nelle narici.
Zefiro
Non ce la faccio, entro in seconda ora. Ci vediamo dopo, ok?
Federico
Questa me la paghi.
Il ragazzo ridacchiò e si infilò nel bar.
Marcello lo salutò con un sorriso di benvenuto e gli fece
cenno di avvicinarsi. Zefiro soffermò il suo sguardo sul
cameriere, ricambiando l'occhiata di intesa dell'altro. Poi, facendo
finta di non essersi accorto di nulla, si appoggiò al
bancone.
- Buongiorno. -
- Aò, buongiorno. Anche stamattina 'n passava er 710? -
- Già, penso che il conducente si sia dovuto fermare per una
riparazione d'emergenza nel tunnel spazio-temporale. -
Marcello ridacchiò: - Te faccio er solito? Quelle al miele
so' appena uscite dar forno. -
Il ragazzo si allungò per ispezionare la teca dove tenevano
le brioche.
- Oggi avrò una giornata molto lunga, mi serve qualcosa di
più calorico. Dammi una conchiglia alla Nutella, va', che
sennò alla quarta ora svengo sul banco. -
- Povero bimbo, 'a fame 'o divora. - prese la pinza argentata, gli
porse la brioche e si girò per fargli il solito ginseng in
tazza grande, - Allora, come va a scuola? -
- Diciamo che me la cavo. -
Marcello lo fissò in attesa che continuasse, ma quando si
rese conto che non si sarebbe scucito di più,
tornò a rivolgere la sua attenzione alla macchinetta del
caffè. Zefiro inspirò profondamente e
lasciò vagare l'attenzione sui tavoli e sulle persone che,
come lui, attendevano d'essere servite al bancone.
Andava da Sargenti da che aveva memoria, dato suo padre e il
proprietario erano amici di vecchia data, a prendere le torte per i
vari compleanni, i pasticcini per le ricorrenze e il gelato in estate.
Era lì che Zefiro aveva conosciuto Marcello e, sebbene la
differenza d'età fosse grande, erano da subito diventati
amici. Era stato lui a indicargli tutti i clienti abituali,
però ogni volta Zefiro si stupiva d'incontrare qualche
faccia nuova, come alcuni studenti della sua vecchia scuola che,
riconoscendolo, lo salutavano solo quando era lui il primo a farlo. Una
mattina aveva rivisto anche la sua insegnante di italiano, la
professoressa Tortorara, che aveva pure finto d'interessarsi alla sua
carriera scolastica nel nuovo istituto. Dopo l'anno d'inferno che gli
aveva fatto passare, gli era venuto da ridere.
- Eccote er tuo ginseng! - Marcello pose l'ordine sul bancone, sotto al
naso del ragazzo, - 'Mbè, che è 'sto muso lungo?
Non stai mica a pensa' a quer Tacchino, vè?-
Zefiro per poco non si strozzò. Quando chiamava la prof in
quel modo, il suo cervello gli rimandava un'immagine distorta di un
ibrido tra la Tortorara e un tacchino che lo piegava dalle risate.
- Nun ce credo, ancora che stai a pensa' a quella? Cos'è,
c'hai paura che venga di nuovo qui? T'assicuro, non c'ha tutto
sto coraggio, massimo entra giusto pe' pija 'n pacchetto de Vigorsol. -
lo rassicurò Marcello con un ghigno malefico, - 'O sa che
sinnò je correggo er caffè. -
Zefiro sorrise di rimando e sorseggiò il suo ginseng,
gettando un'occhiata fintamente distratta di tanto in tanto alla porta
mentre concedeva ai pensieri di rivolgersi nuovamente a una persona in
particolare. In cuor suo sapeva che lei non
era il tipo di ragazza che arrivava in ritardo e saltava la prima ora,
eccetto che per un motivo serio. Era da stupidi sperare di vederla
scendere dall'autobus, entrare da Sargenti e...
- Me sa che non stai a pensa' ar Tacchino. - Marcello
si allungò verso di lui, nella sinistra lo straccio e
nell'altra la tazzina ancora umida, - Quando hai intenzione de
invitalla fori? -
- Io... non lo so. - esalò disperato, afflosciandosi sul
bancone, - Cioè, vorrei chiederle di uscire per andare a
vedere Your name il quattordici
febbraio, però non lo so, magari è già
occupata... -
- Ma se ogni vorta che a' chiami te dice sempre de sì. E
'nnamo, Zefì, su, figurate se è impegnata.. Sta
sempre a casa a studia', mica come me e te che
cazzeggiamo ogni volta che potemo. È 'na ragazzetta
seria. -
Subito dopo Marcello sorrise e salutò un nuovo cliente, un
uomo di mezza età vestito con un ingessato grigio accoppiato
con una cravatta in stile liberty.
- Io e te famo i conti dopo, ora c'ho da lavora'. Su, fila a
un tavolo, che poi te porto il succo d'arancia. -
Zefiro non se lo fece ripetere due volte, quella conversazione stava
diventando troppo pericolosa. Si andò a sedere a un tavolo
in fondo alla sala, quello che faceva angolo con la televisione e al
posto delle sedie di plastica traslucida aveva un comodo divanetto di
pelle rossa. Mise lo zaino a terra tra le gambe e si
abbandonò contro lo schienale, la testa riversa all'indietro
e gli occhi puntati sul soffitto. Marcello aveva ragione, doveva darsi
una mossa, ma non era facile. Non poteva certo andare lì e
dirle “ehi, ciao, senti a San Valentino hai da fare? No,
perché volevo andare a vedere quel film d'amore per
chiederti di essere la mia fidanzata”.
“In realtà, potrei anche farlo, ma non ne ho il
coraggio. Sono una femminuccia.”
Prese il cellulare e fece scorrere le conversazioni su Whatsapp fino a
quella di Melwen. Come al solito, l'ultimo accesso era segnato alle
7.55, prima che cominciasse l'ora di matematica. Avrebbe potuto
scriverle ora per chiederle di uscire. E poi? Cosa doveva fare? I suoi
amici non si erano fatti tutti quei problemi e adesso erano tutti
più o meno fidanzati. Rimise a posto il cellulare,
tirò fuori dallo zaino il libro di letteratura e prese a
sfogliarlo distrattamente, soffermandosi a guardare le figure che
esemplificavano la spiegazione nei paragrafi. Alla seconda ora avrebbe
avuto la De Nicolais ed era abbastanza sicuro che sarebbe andata avanti
con la spiegazione sulle opere di Verga. Non aveva seguito
particolarmente bene le sue lezioni. Prendeva appunti in
“modalità automatica”, con la mano che
inseguiva le parole sul foglio senza che il cervello le recepisse
davvero, e negli ultimi giorni non li aveva nemmeno riletti, troppo
preso a riflettere su come uscire da quella situazione imbarazzante.
L'unica cosa che gli era rimasta impressa nella memoria era stata uno
spezzone di frase decontestualizzata che la prof aveva detto alla fine
dell'ora, sul fatto che nelle parole degli autori del passato c'erano
le soluzioni a molti problemi del presente.
“Se soltanto avessi seguito...”
Affondò il viso nelle mani e spostò una ciocca di
capelli castani all'indietro, gli occhi puntati sul libro aperto a
pagina 400, in cui cominciava il riassunto della vita di Eugenio
Montale. Fissò le parole con aria annoiata, fino alle opere.
Non sapeva nemmeno lui cosa stesse cercando con esattezza. Conosceva
quell'autore solo di nome e perché la De Nicolais l'aveva
nominato nel corso di qualche lezione, però aveva la
sensazione che avrebbe potuto aiutarlo. Si mise a leggere alcune
nozioni sulle ultime raccolte di Montale, finché a un certo
punto non avvertì una presenza incombere sopra di lui.
- Nun pensavo fossi così avanti cor programma. -
Zefiro saltò sul divano ed esclamò: - Marce',
porca miseria, vuoi farmi venire un infarto? -
Il ragazzo scoppiò a ridere e gli mise davanti un bicchiere
d'aranciata.
- Non hai comunque risposto alla mia domanda.-
- No, figuriamoci. La De Nicolais, se non ci racconta anche quante
volte mangiava le arance Leopardi, non è contenta. Stavo
solo controllando cosa mi aspetta nei prossimi mesi. -
Marcello alzò le sopracciglia, nella sua solita espressione
da “ma pensi che sia scemo?” che non preannunciava
mai niente di buono. Si guardò intorno per accertarsi di
essere fuori portata degli occhi e delle orecchie di suo padre, poi si
appoggiò al tavolo, allungandosi verso di lui, gli occhi
ridotti a fessure e le labbra increspate in una smorfia sospettosa.
- Ascolta, è inutile che fai er finto tonto, 'o so che stai
a cerca 'na poesia da dedica' a tu moje, ma Montale nun fa pe' te. -
Zefiro avvampò: - E-e tu che ne sai? Sei sempre stato
più capra di me in queste cose. -
- Ma che stai a di', io so' un poeta incompreso! Ma non stamo mica a
parla' de a' gloria mia.- gli puntò il dito addosso,
storcendo la bocca in una esagerata espressione arcigna, - Da' retta a
Marcello er marpione, che de donne ne sa: scrivije tu 'na poesia, vedi
come te casca ai piedi.-
- Ma non sono capace! Riesco a malapena a prendere la sufficienza nei
temi della De Nicolais. -
Marcello alzò gli occhi al cielo: - E allora dedicaje 'na
poesia, ma no de Montale, so' troppo tristi. Ce vole quarcosa de
intenso, passionale e romantico assieme. Tiè, pensa a
Shakespeare, nelle sue opere teatrali ce so' delle chicche che levate,
sciojerebbero er core de a' regina de 'e nevi. Ma anche Keats ce sapeva
fa' co' le parole. E nun fa' quea faccia, vòi conquistalla o
no? -
- S-sì, certo che sì... -
- E allora va', più ce perdi tempo, più te sale
'a paura e alla fine 'n combini niente. Come sempre. -
incrociò le braccia sul petto e poi allungò la
mano, - Su, damme er cellulare, ce metto a mano sur foco che manco
l'hai invitata. -
- Cos... no! Posso farlo da solo. - ribatté in un moto
d'orgoglio, ma quando aprì la sua chat l'impeto
morì, soffocato dai dubbi e dalle domande.
Marcello schioccò la lingua spazientito e scandì:
- Se non lo fai tu, lo faccio io. -
- Ma... ma cosa le scrivo? -
- “Ciao, sono Han Solo, vuoi essere la mia principessa Leila
e salire sul mio Millennium Falcon?”
potrebbe esse n'idea. Oppure buttate sur classico “Ciao, so
che vuoi andare a vedere quel film d'amore, quello che ti piace
tanto...” -
- Your name. -
- Non è questo il punto! Stavo a di', “Visto che
domani esce Your name, ti andrebbe di
andarlo a vedere insieme? Poi pizza, coca cola e caramelle come piace a
noi!” -
Zefiro analizzò quelle parole. Se solo Melwen avesse
conosciuto la saga di Star Wars, gli sarebbe piaciuto dichiararsi a lei
in quel modo. Però anche l'altra proposta di Marcello,
semplice e senza possibili fraintendimenti, andava più che
bene. Con le mani che gli sudavano, digitò piano, molto
più lentamente del suo solito, e poi spostò il
pollice sulla freccia verde per inviare. Nonostante la temperatura
all'interno del bar fosse riscaldata, le sue dita erano di ghiaccio.
- Ancora 'n urtimo sforzo. Te ricordi che diceva Yoda ne L'Impero
colpisce ancora, vero? -
- Dice moltissime cose, sii più preciso. -
- No! Provare no! Fare o non fare! Non c'è provare.
- citò, vezzeggiando la voce del grande maestro Jedi e gli
mise una mano sulla spalla, stringendogliela appena per incoraggiarlo,
- Che la forza sia con te, mio padowan. -
- In realtà sarebbe padawan...-
- Se nun mandi il messaggio, giuro che te lo faccio ingoia' co 'a
spremuta quer cellulare. -
Zefiro prese un profondo respiro e rilesse il messaggio un'ultima
volta. Il cervello registrò l'orario in alto a sinistra e la
sua coscienza lo spronò a muoversi, ricordandogli che
mancavano dieci minuti al suono della campanella ed era importante che
lo mandasse in quel momento, altrimenti non l'avrebbe più
fatto. Con il cuore che gli martellava nel petto e il sangue che
galoppava nelle vene a ritmo impazzito, premette il tasto per inviare.
*
La vibrazione la fece balzare sulla sedia. Facendo finta di nulla,
mentre la Salà era girata, Melwen poggiò la penna
di fianco al quaderno e sbirciò il cellulare per vedere chi
le aveva scritto. Quando lesse il nome di Zefiro, le si
seccò la gola. Per la prima volta in cinque anni di liceo
maledisse di essere in prima fila.
“Basta che aspetti l'intervallo e poi potrò
vedere.”
Riprese la penna e rivolse nuovamente l'attenzione alla lavagna, ma
ormai la sua mente navigava in acque ben distanti dalla bisezione del
seno dell'angolo alfa.
- Dunque, partiamo dalla dimostrazione della formula coseno di due X
uguale a uno meno seno di X al quadrato. - la prof si voltò
verso la classe, scrutandoli uno ad uno in cerca di una vittima
sacrificale, - Ragazzi, spero che almeno questo argomento sia chiaro,
sennò... -
“Eccola che ricomincia.”
Melwen sospirò e infilò i vari evidenziatori e
penne colorate nell'astuccio. Quando la Salà aveva
l'impressione che i suoi alunni facessero fatica a seguire, attaccava
col suo sermone sul fatto che erano all'ultimo anno del liceo e che
presto avrebbero dovuto affrontare la maturità, e non era
così che si studiava, eccetera, eccetera. Ormai tutti
conoscevano i suoi cavalli di battaglia ed erano ben pochi quelli che
prendevano in considerazione le sue parole, Melwen compresa. La
considerava una brava professoressa, ci metteva passione e si vedeva,
però era da tre anni, da quando era diventata la loro
docente di matematica del liceo, che non aveva capito di non star
facendo un corso avanzato di matematica all'università,
salvo poi lamentarsi ai consigli di classe che i ragazzi avevano tutti
una media bassa nella sua materia. Melwen se la cavava, era riuscita a
rimanere a galla grazie al gruppo studio che aveva organizzato con
altre ragazze della classe, ma quando faceva così la trovava
a dir poco irritante. Anche Sara, la sua compagna di banco,
sospirò e riordinò le sue cose, fingendo di
ascoltare. Melwen prese a giocare con la bic, annuendo di tanto in
tanto per dare l'impressione di essere attenta, mentre la sua
immaginazione viaggiava, fantasticando su quello che Zefiro le avrebbe
potuto scrivere.
Durante tutta la settimana precedente e anche nel weekend era uscita
con Zefiro e, tra una chiacchiera e l'altra, aveva provato a buttare
lì di andare a vedere Your name una
di quelle sere. Il ragazzo non si era mai dimostrato propenso ad
avanzare una proposta di nessun genere. Al massimo erano andati a casa
sua con l'intenzione di mangiarsi una pizza e iniziare qualche nuova
serie TV. Mentre erano chiusi in camera assieme, tra un commento e
l'altro, Melwen aveva sperato che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa,
ma a parte qualche sporadica occhiata, Zefiro era rimasto tutto il
tempo concentrato sullo schermo del PC. Da una parte si era sentita
sollevata: quando lui la guardava si sentiva nuda, esposta, era come se
riuscisse a penetrare la pelle e vedere ciò che aveva
dentro. Dall'altra, ogni volta che la riaccompagnava a casa e le dava
le spalle per andarsene dopo averle sorriso timidamente, percepiva un
retrogusto amaro sulla lingua. Non sapeva neanche lei cosa si
aspettava, non aveva mai voluto soffermarsi sui motivi alla base di
quella sensazione di disappunto. Non avrebbe voluto aspettarsi nulla,
ma, per quanto cercasse di razionalizzare, il suo cervello non riusciva
ad andare oltre quell'aspettativa disillusa, a quel sentimento di vuoto
che le ghermiva il petto quando Zefiro la salutava con un semplice e
sbrigativo bacio sulla guancia.
- Spero che abbiate capito come dovrete lavorare d'ora in avanti. - la
prof concluse la tirata, ripose il gessetto sulla cattedra e
cancellò l'esempio di duplicazione della tangente sulla
lavagna sinistra, - Davvero, ragazzi, sono stufa di dovermi ripetere. -
“Non sa quanto lo siamo noi...”
La campanella suonò, annunciando la fine della prima ora. La
Salà sospirò e raccolse le sue cose, prima di
abbandonare la classe a grandi falcate. Tutti si alzarono per
sgranchire le gambe e Melwen ne approfittò per leggere il
messaggio: la Russo ci metteva sempre un sacco ad arrivare, non c'era
il rischio che entrasse nel momento meno opportuno.
Zefiro
Ciao, domani esce Your Name, ti andrebbe di andarlo a vedere
insieme? Dopo pizza, coca cola e caramelle come piace a noi!
Non riuscì a trattenere un sorriso. L'aveva davvero invitata
fuori alla fine! E si era pure ricordato che voleva andare a vedere il
film di Makoto Shinkai! Si guardò intorno e, dopo essersi
accertata che nessuno la stesse guardando, strinse il cellulare al
petto.
- Ah! Ti ha scritto lui, vero? -
Melwen si voltò e incrociò lo sguardo malizioso
di Giulia, che la fissava appoggiata alla cattedra, le labbra stirate
in un sorriso da gatta.
- Da quanto eri appostata lì dietro? - la
interrogò sospettosa.
- Relativamente poco, sono volata in bagno non appena la
Salà se n'è andata, ma mi sono accorta del tuo
cambiamento d'espressione quando hai guardato il cellulare. Non fare
quella faccia, ormai ti ho scoperta. - le si accostò e
appoggiò il viso sulla sua spalla, guardando curiosa il
display del cellulare, - Oh, allora avevo ragione! Era ora che si desse
una svegliata. -
Melwen alzò gli occhi al cielo e rimise il cellulare in
tasca. Giulia era una cara ragazza, gentile, perspicace, una vera
amica, ma quando l'indole della portinaia prendeva il sopravvento...
- Però ti ha invitato solo al cinema... non lo fate sempre?
- commentò, incrociando le braccia sul petto, - Che diamine,
è San Valentino, la festa degli innamorati, non è
certo un giorno da niente. -
- Mi preme ricordarti che il santo in questione era un vescovo romano
che è poi diventato martire.
Non è esattamente romantico. -
Giulia le scoccò un'occhiata truce, ma incassò il
colpo con un'alzata di spalle.
- Ciò non toglie che al giorno d'oggi sia una ricorrenza
importante, soprattutto per quelle come te che aspettano da anni che il
ragazzo per il quale sbavano si faccia avanti. - le diede una gomitata
con un mezzo sorriso complice, - Quindi... a parte fare le solite cose
da buoni amici, avete altro in mente? -
- Oggi sei più pettegola del solito, o sbaglio? -
Melwen guardò la porta, nella speranza che la Russo si
presentasse proprio in quel momento, ma sembrava che quella mattina la
professoressa di scienze avesse tutto fuorché voglia di
lavorare. Anche Giulia intercettò il suo sguardo e, dopo
essersi calcata sulla testa il cappuccio della felpa, con un ghigno
malefico le mosse le dita davanti alla faccia, come per scagliarle un
maleficio.
- Non sei divertente! -
- Invece sì, stai ridendo! - sghignazzò e le si
sedette a fianco, spalla a spalla, - Dai, scherzi a parte, pensi che
abbia organizzato qualcosa? -
Melwen lasciò dondolare le gambe, con gli stivaletti che
sfioravano terra a ogni oscillazione.
- Sì, mi piacerebbe organizzasse qualcosa di più,
anche se ho paura di essere troppo egoista. Sai, ha sempre fatto
davvero tanto per me, e ancora di più quando la mia famiglia
è... - abbassò lo sguardo, completando la frase
con un sospiro, - Però sì, mi piacerebbe fosse
una serata speciale. -
Giulia la tirò a sé e la strinse in un abbraccio.
Melwen aveva perso suo padre, sua madre e sua sorella in un incidente
d'auto all'inizio del secondo anno, un incidente mortale di ritorno
dalla loro prima vacanza a Napoli. Ne portava ancora i segni nella
disomogeneità della pelle della gamba destra, in quegli
sfregi che spuntavano da sotto le francesine o dall'orlo delle gonne.
Nyi, lo zio che l'aveva adottata, le aveva proposto di farli rimuovere
chirurgicamente, ma lei aveva sempre rifiutato: era una sopravvissuta e
quelle cicatrici erano l'unica cosa che le rimaneva della sua famiglia,
di quell'ultimo giorno passato assieme, prima che l'impatto con quel
camion distruggesse tutto il suo mondo. Zefiro era rimasto con lei
durante la degenza in ospedale, l'aveva accompagnata alle visite dalla
psicologa, le aveva offerto la mano quando Melwen si era fatta terra
bruciata attorno e le aveva dato una ragione per rialzarsi quando aveva
creduto di non averne più nessuna. Senza il suo supporto,
non avrebbe mai trovato la forza di andare avanti.
- Sono certa che si sarà fatto venire in mente qualcosa.
È tonto e un po' tardo in certe cose, ma non è
totalmente stupido. - Giulia appoggiò la testa contro la sua
e le scompigliò i ricci ribelli, - Sarà una
serata fantastica. -
Melwen non fece in tempo a rispondere che la professoressa di scienze
li invitò a riprendere posto. Mentre i suoi compagni
migravano ai loro banchi, prese il cellulare e digitò
rapidamente il messaggio.
*
Zefiro aveva il cellulare in silenzioso. La De Nicolais aveva gli occhi
dietro la nuca e si sarebbe sicuramente insospettita se avesse aperto
l'astuccio per l'ennesima volta. Sospirò e guardò
l'ora sull'orologio a parete sopra la porta.
“Sono solo le nove e mezzo... non è
possibile.”
- Bene, ragazzi. Oggi, a grande richiesta delle vostre compagne,
affronteremo alcuni autori che con la loro poesia hanno fatto breccia
nel cuore di migliaia di fanciulle. - mise da parte il libro di
letteratura e, dopo aver segnato qualcosa sul registro, si
alzò in piedi, - Siamo al passo col programma, quindi per la
fine dell'anno avremo anche il tempo per fare un ripasso prima
dell'esame di stato, non vi preoccupate. -
La classe rumoreggiò appena, alcuni tirarono un sospiro di
sollievo e riposero le penne negli astucci, altri, specialmente le
ragazze, si misero sull'attenti, i quaderni già aperti
davanti. Dal canto suo, Zefiro si sarebbe volentieri fatto gli affari
suoi, ma piuttosto che logorarsi nell'attesa dell'intervallo
optò per seguire anche lui. Inoltre, come gli aveva fatto
notare Marcello, se non era in grado di scrivere una poesia, poteva
dedicargliene una.
- Ricorda, Google è tuo amico! E che la Forza sia con te. -
lo aveva salutato così, prima di tornare a lavoro.
- Dunque, ho passato al setaccio gli autori che avete affrontato negli
anni precedenti, giusto per essere sicura di non ripetere nulla degli
argomenti già affrontati, e ho selezionato cinque diversi
poeti di varie epoche. - prese un altro libro dalla tracolla, pieno di
post-it colorati, - Abbiamo il signor John Keats, un grande poeta
inglese, Charles Baudlaire, che ho scoperto che non avete fatto l'anno
scorso, e infine Jacques Prévert, che scrisse anche alcune
canzoni, interpretate da Juliette Gréco e Yves Montand. So
che non vi dicono molto questi nomi, ma non vi preoccupate, alla fine
di quest'ora ne avrete fin sopra le orecchie. -
Zefiro ascoltò con estrema attenzione. La De Nicolis
gesticolava mentre parlava, i suoi occhi erano accesi ed era
infervorata, come sempre accadeva quando si approcciava ad autori che
le piacevano. La sua voce aveva un che di istrionico, più
che un'insegnante sembrava una cantastorie che attirava la
curiosità dei passanti promettendo aneddoti, avventure,
pettegolezzi e storie da regni sconosciuti. Gli aveva fatto una
supplenza una volta e Zefiro era rimasto ammaliato dalla sua
capacità di trascinare gli studenti nella spiegazione. La
sua non era una mera esibizione d'eloquenza, in ogni sua parola si
rifletteva l'amore e la passione che provava per la sua materia, la
stessa passione che desiderava trasmettere ai suoi alunni.
- Questa, secondo me, è una delle lettere più
belle. Non si presta a chissà quali interpretazioni. La
scrisse per Fanny Brawne, la donna che amò fino al giorno
della sua morte, il 23 febbraio 1821. -
Accarezzò la costa consunta del libro e lesse a voce alta:
Mia cara ragazza
In questo momento mi sono messo a copiare dei bei versi. Non
riesco a proseguire con una certa soddisfazione. Ti devo dunque
scrivere una riga o due per vedere se questo mi concede di escluderti
dalla mia mente anche per un breve momento. Dentro la mia anima non so
pensare a null'altro.
Tempo fa avevo la forza di ammonirti contro la poco
promettente mattina della mia vita. Il mio amore mi ha reso egoista.
Non posso esistere senza di te. Scorderei tutto pur di vederti ancora.
La mia vita sembra fermarsi qui, non vedo oltre. Mi hai assorbito. In
questo preciso momento ho la sensazione di essermi dissolto. Sarei
profondamente infelice senza la speranza di vederti presto. Sarei
spaventato di dovermi allontanare da te.
Mia dolce Fanny, cambierà mai il tuo cuore? Il mio
amore cambierà? Ora il mio amore è senza limiti...
Il tuo biglietto è arrivato proprio qui.
Non posso essere felice lontano da te.
È più ricco di una nave di perle.
Non mi trattare male neanche per scherzo.
Mi sono meravigliato che gli uomini possano morire martiri
per la loro religione. Ho avuto un brivido. Ora non rabbrividisco
più. Potrei essere un martire per la mia religione - la mia
religione è l'amore - potrei morire per questo. Potrei
morire per te. Il mio credo è l'amore e tu sei il mio unico
dogma.
Mi hai incantato con un potere al quale non posso resistere;
eppure potevo resistere fino a quando ti vidi; e perfino dopo averti
visto ho tentato spesso "di ragionare contro le ragioni del mio amore".
Non posso più farlo. Il dolore sarebbe troppo grande. Il mio
amore è egoista. Non posso respirare senza di te.
Zefiro ascoltava rapito, senza riuscire a far altro se non a rimanere
lì, gli occhi fissati sulla sua professoressa che camminava
avanti e indietro, gli occhi fissi sulle pagine, mentre ne faceva
l'analisi. Si appuntò ciò che riusciva a
cogliere, dimentico dall'ansia e della tensione di poco tempo prima:
era come se una parte di lui avesse già dato per scontato
che Melwen avrebbe accettato. La sua penna dondolava tra le dita,
faceva fatica a star dietro a quel fiume di parole che sembravano
sgorgare da dentro di lui, permeandogli la mente, accarezzandogli il
cuore, modificandone il battito, e nonostante gli facesse male la mano,
non riusciva a smettere di scrivere. Quando suonò la
campanella, quasi non se ne accorse.
- Bene, ragazzi, ci vediamo domani. Ricordate di portare la vostra
edizione dei Malavoglia, così commentiamo i passi salienti
del testo. - li salutò la De Nicolais e, mentre tutti
sciamavano nei corridoi, Zefiro le si avvicinò.
- Prof? -
- Sì, Castellani, dimmi pure. -
- Senta... ma quindi tutti questi autori hanno sempre dedicato le loro
poesie alle donne che hanno amato? Nel senso... la loro ispirazione
proveniva da loro, giusto? -
- La maggior parte sì. Ovviamente, nei loro scritti
presentano le diverse facce dell'amore, ma sì, diciamo che
l'amore è il sentimento dominante nella maggior parte dei
loro componimenti. - alzò le sopracciglia e lo
scrutò attentamente con i suoi occhi verde giada, - Come mai
questo interessamento? -
- Niente era... era solo curiosità. È che la sua
lezione mi è piaciuta molto e visto che questi autori non li
abbiamo mai affrontati nel dettaglio, volevo sapere se conosceva
qualche raccolta di poesie per cominciare a leggere. -
- Quindi vuoi un'edizione commentata? -
- Sì! No... cioè... -
Si grattò nervoso la nuca.
- Se vuoi provare a scriverne una, ti consiglio di lasciarti
semplicemente trasportare dal tuo estro creativo. - infilò i
libri nella tracolla e sa la caricò sulla spalla, - L'amore
è universale, ma al contempo nelle relazioni assume delle
forme e delle sfumature differenti. Se vuoi un consiglio spassionato,
lascia fluire le parole senza filtrarle, sono certa che la persona a
cui la dedicherai l'apprezzerà molto. -
Zefiro le sorrise, timido. Tutti riuscivano a leggergli nel pensiero
– sua madre, il fidanzato di lei, pure Marcello –,
ma mai come in quell'occasione ringraziò di essere un libro
aperto: non avrebbe mai avuto il coraggio di dar corpo ai suoi
pensieri, a quei pensieri.
- Bene, se non hai altro da chiedermi, io andrei. Se invece non ho
capito e il tuo desiderio è quello di iscriverti alla
facoltà di Lettere all'università, posso
consigliarti dei buoni testi. - gli fece l'occhiolino e si godette il
momento di panico negli occhi del suo alunno, - Buona giornata,
Castellani. -
- Arrivederci, prof. -
La salutò e tornò al suo posto. Scorse le pagine
scritte fitte e lasciò che lo sguardo vagasse su di esse.
“Sì, sono sicuro che le
piacerà.”
E in cuor suo sperava con tutto se stesso di aver ragione.
*
Le ore fluirono molto più lente di quanto Melwen sperasse, o
forse era la sua percezione del tempo a essere distorta. Aveva la
sensazione che i minuti rimanessero incastrati tra gli ingranaggi
dell'orologio.
Durante il resto della giornata e per tutta la mattina successiva non
fece altro che pensare a quello che Zefiro avrebbe organizzato.
L'appuntamento era alle sette e trenta, davanti alla farmacia di via
dei Quattroventi. Zefiro sarebbe passato a prenderla per andare a Parco
Leonardo. Si perse nelle sue fantasie, lasciandosi trasportare, e nei
suoi appunti, di solito ordinati e accurati, cominciarono ad apparire
frasi senza senso o periodi lasciati a metà. Per la prima
volta in cinque anni di liceo dovette copiare quelli di Giulia per
raccapezzarsi su cosa avesse scritto.
Quando Melwen tornò a casa salutò velocemente suo
zio e, prima che questi potesse chiederle qualsiasi cosa, prese un
pezzo di kalakukko, il pasticcio di pesce che Nyi preparava
settimanalmente, poi corse su in camera sua. Si appoggiò con
la schiena alla porta e sospirò sognante, abbandonando lo
zaino sulla moquette. Per Dio, si stava comportando come una
quattordicenne al suo primo appuntamento, eppure non riusciva ad
arginare l'euforia, l'eccitazione. E chi poteva biasimarla, era San
Valentino!
- Melwen, tutto bene? È successo qualcosa? -
La voce di Nyi, con il suo marcato accento finlandese, le giunse
attutita da dietro la porta.
- Sì, è che devo fare una versione di greco per
domani e devo sbrigarmi a finirla. - biascicò sedendosi sul
letto, la forchetta già infilata nel pasticcio, - Ah,
stasera esco a vedere un film con Zefiro! -
La risposta di suo zio arrivò dopo qualche secondo. Melwen
poteva quasi vederlo arricciare il naso e incrociare le braccia sul
petto con la sua aria da uomo vissuto e diffidente.
- A che ora torni? -
- Il tempo di vedere un film e mangiare una pizza. -
- Uhm... -
Sicuramente aveva storto le labbra, come sempre faceva quando
disapprovava qualcosa. Non che Zefiro non gli piacesse, anzi,
però non si sentiva tranquillo a lasciarla andare in giro in
macchina con nessun altro che fosse lui.
- Va bene, digli di guidare piano e... -
- Di stare attento agli stop, ai ciclisti e ai semafori rossi. -
completò ridacchiando Melwen, - Sembri un disco rotto, zio,
dovresti evolverti. -
- Lo farò, ma solo quando lo riterrò necessario.
Forza, studia, perhonein. Ti
lascio i soldi sul tavolo della cucina, tra poco comincio il turno in
ospedale. -
- Va bene, zio, buon lavoro! -
Melwen inforcò un pezzo di pasticcio. Non aveva molta fame,
ma il pesce le faceva gola in ogni occasione e sapeva anche che se non
avesse mangiato, il suo stomaco avrebbe cominciato a lamentarsi ben
presto. E poi suo zio lo faceva davvero buono.
Si mise al lavoro quasi subito, dizionario e libro di greco aperti
sulla scrivania e i suoi immancabili snack a base di mandorle a portata
di mano. Non fu facile mantenere la concentrazione, la versione che la
prof aveva scelto non era nemmeno semplice e spesso dovette fermarsi
per cercare la traduzione su Google. All'ennesimo verbo irregolare di
cui non ricordava la coniugazione, si arrese e cercò un buon
sito da dove copiare il resto. Accantonò i libri in un
angolo della scrivania e spalancò le ante dell'armadio,
squadrando con aria critica tutti i vestiti che aveva. Per un'occasione
speciale c'era bisogno di un abito altrettanto speciale, doveva solo
sceglierne uno che soddisfacesse i suoi standard e che potesse piacere
anche a Zefiro. Vero che lui le aveva sempre detto che stava bene con
qualsiasi abito, ma Melwen sapeva che aveva delle preferenze, anche se
non si era mai sbilanciato per darle qualche indizio.
Appoggiò sul letto tutti i vestiti che le piacevano di
più – gonne, maglioncini, pantaloni, calze con
diverse fantasie – e cominciò ad abbinarli. Aveva
un'idea ben precisa di come voleva apparire quella sera, ma nessun
accostamento la soddisfaceva appieno. Il rosso era troppo forte, il
nero evidenziava il suo pallore, il verde poi era da escludersi, non
era adatto a un appuntamento. Sbuffò imbronciata e si arrese
rimandando la decisione a dopo, adesso era così agitata da
non riuscire a pensare.
Corse in bagno e si immerse nella vasca, di sicuro quello l'avrebbe
aiutata a rilassarsi. Anche se doveva stare attenta a non rilassarsi
troppo, dato che l'ultima volta si era addormentata. Non poteva
arrivare in ritardo. Si lavò rapidamente sia corpo che
capelli, pettinandoli sotto l'acqua così da eliminare i nodi
in modo indolore. Una volta asciugata, tornò alla carica:
non era mai stata così tanto indecisa su cosa mettersi in
tutta la sua vita.
“Forse è meglio andare sul classico. Magari
è davvero un semplice invito a cena e sono io che mi sto
immaginando cose che non ci sono.”
Prese una gonna a balze e una camicia bianca a maniche lunghe. Si
mordicchiò le labbra e rimise a posto il resto degli abiti
nell'armadio. Sì, non era detto che quello fosse un
appuntamento, anzi, era più alta la probabilità
che Zefiro si fosse ricordato che voleva andare a vedere quel film e
basta, senza secondi fini. Certo, di solito sceglievano assieme,
però...
- Melwen, basta, niente seghe mentali. - si rimproverò ad
alta voce.
Guardò l'orologio: le 17.15.
- Vediamo quantomeno di non arrivare in ritardo. -
Prese la pochette con i trucchi e si recò di nuovo in bagno.
Optò per una linea di eyeliner, una passata di mascara, il
giusto per dare volume alle sue ciglia bionde e quasi invisibili, e un
po' di fondotinta. Valutò per un momento di mettersi a
giocare con gli ombretti, di lisciarsi i capelli o farne dei boccoli
ordinati, ma poi rammentò che non doveva farsi illusioni e
rimise il tutto nel cassetto.
Guardandosi allo specchio non si sentì particolarmente
soddisfatta, ma d'altronde aveva deciso lei di non osare. Se soltanto
avesse avuto più tempo, si sarebbe cambiata di nuovo, ne era
sicura, ma mancavano meno di cinque minuti all'appuntamento e doveva
ancora scegliere le scarpe. Non poteva prenderne un paio a caso:
appuntamento o non appuntamento, era pur sempre San Valentino.
*
Zefiro attendeva davanti alla farmacia di via dei Quattroventi con le
quattro frecce accese. Gli ultimi clienti si affannavano a fare le loro
compere e i venditori si stampavano in faccia un sorriso di benvenuto.
La luce fredda e quasi ospedaliera dei lampioni illuminava la strada,
rendendo i visi pallidi e quasi spettrali, si appiccicava agli uomini
avvolti in cappotti pesanti e con le sciarpe tirate fin sotto il naso
trasformandoli in bozzoli di falena, scarafaggi o derelitti prossimi
alla morte. Zefiro li osservava dal finestrino, le dita che
tamburellavano sul volante e un occhio sempre sul display del cellulare.
“Le sei e mezzo. Ho fatto bene a darle appuntamento alle sei
precise.”
Checché Melwen ne dicesse, le uniche volte che arrivava in
orario era quando andava a scuola, per il resto viaggiava su un ritardo
variabile da un quarto d'ora a trentacinque minuti, a seconda di quanto
tempo ci metteva a scegliere cosa mettere. Zefiro le aveva ripetuto
almeno un centinaio di volte che stava bene con qualsiasi cosa, anche
un sacchetto dell'immondizia, ma lei non gli aveva mai dato retta.
Appoggiò la nuca alla testiera e allungò le
gambe, alzando ulteriormente il riscaldamento. L'inverno non sembrava
intenzionato a lasciare Roma ancora per molto, lo avevano detto al
meteo. Lui amava il freddo, gli piaceva infilarsi in maglioni morbidi,
bere una cioccolata calda da Sargenti e rintanarsi in casa a fare la
maratona di “Guerre Stellari” con Marcello. Melwen
era invece all'opposto: amava andare al mare, sfoggiare i costumi
nuovi, fare delle lunghe nuotate e la sera gettarsi nella mischia nelle
discoteche da spiaggia. Erano ai due poli opposti, le facce diverse
della stessa medaglia, così diversi da sembrare
inconciliabili.
Qualcuno ticchettò al finestrino. Zefiro aprì gli
occhi e subito fece scattare il blocco alla portiera.
- Ciao, scusa il ritardo, ma non trovavo un paio di scarpe da mettermi.
-
- Oh, immagino... - commentò lui con un sorriso, mettendo in
moto, - Mettiti la cintura. -
- Lo stavo già facendo. Allora... andiamo a Parco Leonardo? -
- Dopo. Sai, visto che qualcuno è arrivato in ritardo,
dovremo andare allo spettacolo delle 22.15. -
- Ehi, non guardare me, è colpa degli stivaletti. -
- Come quando siamo andati in campeggio e lo zaino si era nascosto
sotto il letto? -
In risposta, Melwen gli tirò un pugno sul braccio, le labbra
scoperte su un ghigno malignamente divertito.
- Sei una donna violenta. - mugolò Zefiro massaggiandosi la
parte offesa.
- Lo sono solo con chi se lo merita. - accavallò le gambe e
incrociò le braccia sul petto.
Indossava una gonna blu a balze e sotto un paio di calze coprenti a
fantasia che poi svanivano negli stivaletti scamosciati, il paio che
avevano comprato assieme a novembre. Da sotto il giubbotto imbottito
spuntavano i lembi di una camicia.
- Stai davvero bene vestita così. - buttò
lì Zefiro, sperando che la sua voce rimanesse salda, - Lo so
che ti dico sempre che stai bene con qualsiasi cosa, ma stasera sei...
molto carina. -
Melwen lo fissò, a metà tra il sorpreso e il
compiaciuto. Non aveva mai avuto il coraggio di farle troppi
complimenti, si era sempre vergognato troppo per dirle cosa pensasse
davvero di lei.
- Non ho messo niente di diverso dal solito, eh... -
Zefiro alzò le spalle e fece inversione, le orecchie e le
guance già in fiamme.
- Ti porto a Villa Pamphili, comunque. C'è un concerto per
San Valentino, suona una band nuova e ho pensato che per passare il
tempo potesse andare bene. -
Era una scusa poco convincente persino alle sue stesse orecchie, ma non
gli era venuto in mente niente di meglio.
- Non ti facevo tipo da concerto. -
Melwen lo fissò sospettosa e lui dovette sforzarsi di non
distogliere gli occhi dalla strada. Se soltanto l'avesse guardata, ne
era certo, non sarebbe riuscito a tenere la bocca chiusa.
- Ho solo... pensato ti potesse piacere, tutto qui. - esalò,
il sudore che già gli inumidiva le mani, - Se
però non ci vuoi andare, fa nulla. -
- No, no, voglio andare. Solo che, sai, l'ultima volta che ti ho
proposto di andare a un concerto, ti ho dovuto pregare per mesi. Ed
erano i Linkin Park, non gli One Direction. -
Zefiro scoppiò a ridere, imitato subito da Melwen.
- Diciamo che stasera volevo sorprenderti. -
- Allora diciamo che ci sei riuscito. - scosse la testa,
mordicchiandosi le labbra.
“Spero di riuscirci ancora.”
Giunsero a Villa Pamphili in meno di un quarto d'ora. I cancelli del
parco erano aperti e sui lampioni erano stati affissi i cartelli con il
nome della band. Le bancarelle vendevano per lo più dolcetti
e cioccolatini a forma di cuore e mentre passeggiavano molti venditori
tentarono di richiamare la loro attenzione.
Zefiro si guardava intorno a disagio: a parte loro due, tutti
camminavano mano nella mano, o quantomeno a braccetto.
Gettò una rapida occhiata alla sua amica e, facendo finta di
nulla, le sfiorò le dita. Si era appena tolto i guanti e le
sue mani erano ancora avvolte dal calore della lana.
- Non hai freddo? - le domandò.
- Un po', in effetti mi sarei dovuta portare i guanti, ma non ci ho
pensato. - si grattò la nuca, i riccioli biondi che le
incorniciavano le guance rosse, - Sono davvero un'inguaribile smemorata
a volte. -
Zefiro sorrise: - Non così spesso come credi. -
- Solo quando sono distratta da altro. -
Melwen fece spallucce. Con il vento che le gonfiava i capelli e le
increspava la gonna, sembrava l'attrice di un film per ragazzi, quella
che viene scelta per il ruolo della protagonista e che presto diventa
l'idolo delle bambine. Zefiro ce l'avrebbe vista su un palco a
recitare, con gli occhi di tutti puntati sulla sua persona, ammaliati
dal suo carisma, dalla sua bellezza singolare, fuori dai soliti canoni.
- Il concerto inizia tra un po'. Nel frattempo ti va di andare in un
posto? - le chiese, imponendo alla voce di non tremare.
La ragazza gli scoccò un'occhiata che valeva più
di mille parole.
- Lo sai che amo andare all'avventura. Fammi strada, Indiana Jones. -
- Quel soprannome... -
- Ti calza a pennello, lo abbiamo appurato. -
- Chi? Tu, te stessa e te medesima? -
- Esatto, le mie tre personalità sono concordi e tu non hai
diritto di veto. -
Il vento si portò via la loro risata mentre correvano, la
disperse assieme alle foglie secche e al chiasso della folla come
petali di un albero in boccio. Si allontanarono dalla strada principale
e si inerpicarono su una collinetta, Zefiro davanti e Melwen che lo
seguiva da dietro, il fiato che si condensava in nuvolette di vapore e
le scarpe che scivolavano sul terriccio umido. Era una sensazione di
libertà inebriante, li percorreva come una scarica
elettrica, scacciava la fatica e acuiva ogni suono e ogni colore
attorno a loro.
Zefiro si sentiva forte, padrone di se stesso, senza più il
peso della sua insicurezza e dei dubbi a gravargli sulle spalle.
Afferrò la mano di Melwen e gliela strinse come sempre aveva
voluto fare. Le sembrò di sentila sussultare, anche lei
sorpresa da quel gesto inaspettato, ma non si soffermò per
capire cosa stesse pensando: per una volta, per una dannatissima volta,
non voleva che qualcosa lo bloccasse.
Giunsero in uno spiazzo incorniciato da un querceto e da una corolla di
allori. Al centro, sotto una cascata di luce bianca, c'era un gazebo.
Non era bello come in estate, ma conservava comunque il suo fascino
anche in quel momento.
- Non ero mai venuta in questa parte del parco. -
Melwen fece qualche passo, guardandosi intorno a bocca aperta.
- L'ho scoperto ieri sera, Google mi ha dato una mano. -
Zefiro la condusse sotto gli archi di legno e si appoggiò
con la schiena, la mano intrecciata a quella della ragazza. Con una
piccola e delicata spinta la trasse a sé, il respiro corto e
il battito accelerato per l'emozione. Pregò di non risultare
impacciato come al solito, per una sera desiderava dimostrarsi un uomo.
Melwen sembrava svanire nella sua ombra, troppo piccola per mantenere
una sua individualità. Eppure era lui ad orbitare attorno a
lei, una piccola luna intrappolata nella gravità di un
pianeta pieno di vita, colori ed emozioni.
- Ho scritto una cosa per te. - bisbigliò per non spezzare
l'atmosfera e, con movimenti rigidi, tirò fuori dalla tasca
del giubbotto una busta, - Se non ti dispiace, vorrei leggertela io. -
Melwen l'osservò in attesa, gli occhi accesi dalla
curiosità. Zefiro aprì la busta e, dopo aver
raccolto tutto il coraggio che aveva, le lesse ciò che aveva
scritto. Perché all'improvviso quelle parole gli sembravano
così banali e stupide? Si fece prendere dal panico.
- Ecco... cioè... -
- Fa' un bel respiro... - lo incoraggiò sorridendo,
accostandosi un po' di più, - Siamo solo io e te, non
c'è nessun altro. Puoi dirmi quello che vuoi e nessuno ti
giudicherà. -
Il calore del corpo di Melwen filtrava attraverso i vestiti, Zefiro lo
poteva sentire sulla pelle come se fosse il proprio. La
guardò negli occhi, quasi ci si perse in quelle gemme
azzurre, e si rese conto che le parole non avrebbero né
aggiunto né tolto niente a quel momento. Era come se il
mondo avesse smesso di girare, come se tutto attorno a loro fosse
scomparso e non fosse rimasto che il silenzio, rumoroso, teso, carico
di aspettativa, lo stesso che Zefiro respirava quando erano a casa da
soli, seduti sul letto con un cartone di pizza sulle gambe.
Il ragazzo le sollevò il mento con un dito, le
posò le mani sulle guance rosse e fece aderire le loro
fronti. Chiuse gli occhi e inspirò il profumo di camomilla e
iris che emanavano i capelli di Melwen, che, come un balsamo,
lavò via il groppo che gli ostruiva la gola, permettendogli
finalmente di esprimere i sentimenti che per anni aveva represso.
- Tu meriti il meglio. Meriti qualcuno che ti sappia rendere felice. Un
ragazzo intelligente, dolce, gentile, che si prenda cura di te, che ti
chieda ogni giorno come ti senti, se sei triste, se sei capace di
camminare da sola. - aveva parlato in fretta e le parole si erano
infrante sulle labbra di lei, così vicine da poterle
sfiorare, - Tu hai bisogno di qualcuno che ti tratti
con rispetto e che accetti tutto di te, anche e soprattutto i tuoi difetti. Sei
forte, potresti scalare l'Everest se decidessi che è quello
che vuoi fare, però a volte ti trascuri e non ti rendi conto
che sei più vulnerabile di quello che vorresti essere.
Vorrei... - esalò e chiuse gli occhi, - vorrei tanto essere
io quella persona. Vorre che mi dessi la possibilità di
starti accanto, come Han Solo con la sua Leila. -
Ecco, lo aveva detto, si era reso ridicolo. L'avrebbe respinto, ne era
certo, d'altronde chi mai avrebbe accettato una proposta
così infantile, così stupida, così...
Quando sentì la morbidezza delle labbra di Melwen, premute
dolcemente sulle proprie, i pensieri vennero spazzati via. Appena
Zefiro realizzò cosa stava succedendo, gli parve di volare
fin sopra le nuvole e, allo stesso tempo, sprofondare sotto terra.
Quelle labbra erano umide, calde, tremavano appena e si incastravano
con le sue come se fossero state fatte apposta. Le circondò
i fianchi con le braccia, una mano sulla schiena e l'altra tra i suoi
capelli biondi, e lasciò spazio alla lingua di Melwen per
esplorare la sua bocca, trovare la sua compagna e unirsi a lei.
Ed eccolo di nuovo lì, il
silenzio, il loro silenzio, che li avvolgeva mascherandoli agli occhi
degli altri. Il tempo scorreva in modo diverso, seppelliva le altre
sensazioni e riduceva il mondo ai loro corpi, ai loro respiri
mischiati, al battito sincrono dei loro cuori. Un intero universo
racchiuso in un bacio. Ed era tutto così perfetto da fargli
mancare il fiato.
- Lo sarò. - mormorò Melwen sorridendo quando si
staccò, le labbra rosse e umide e gli occhi brillanti come
stelle, - Sarò per te ciò che tu hai promesso di
essere per me. -
Poi lo baciò di nuovo, sotto gli occhi della luna e con solo
gli alberi come silenziosi testimoni.
Angolo Autrice:
Hello folks!
Buonasera ragazzi, come vedete finalmente ho messo online la OS che vi
avevo promesso ^.^ Spero sia di vostro gradimento, stavolta come
protagonisti ci sono Melwen e Zefiro in vesti scolastiche. Vi
è piaciuto? Lo spero perché ci ho messo una vita
a scriverlo >.< Bon, credo di avervi tediato abbastanza,
se volete picchiarmi per il troppo fluff, il link è qui
sotto u.u
QUI
Un bacione e grazie mille a tutti!
Hime