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Autore: ryuji01    08/06/2017    0 recensioni
Tutti sanno dell'avventura fantastica dell'eroe di SAO, Kirito, e della sua donzella, Asuna. Però nessuno è a conoscenza che il più rovinoso videogioco della storia dell'umanità ha avuto un bug.
Un bug di gioco come tanti altri, ma in quel caso una così grande luce di speranza. E così forse qualcuno saprà anche dei 5 amici che hanno lottato per questa causa, ed il perché di quello che è succcesso.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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PERCEZIONI; INCONTRI
 
Il mio… cuore?
Un battito cardiaco mi rimbombava nelle orecchie e mi chiedevo fosse mio. Era lento e cadenzato, e terribilmente molesto.
 
Dopo un’abnorme sforzo sentii i miei occhi aprirsi di un poco e vidi macchie di colore indefinite sfocarsi ulteriormente alla mia vista, mentre un luce dall’origine incerta m’avvolgeva completamente; così, per lo sforzo e la stanchezza, non riuscii a spalancarli completamente che subito mi si richiusero.
Inizialmente pensavo di provare a riaprirli, ma riconsiderai l’idea e accettai di rimanere cieco per un po’.
 
Le unghie di una mano, le dita, anzi quell’intera mia mano era calda, o quantomeno più calda di quell’altra da quello che percepivo. D’istinto allora mi venne da muovere il braccio per capirne il perché, ma i muscoli dell’arto immediatamente iniziarono a dolermi contrariati, attraversati da atroci fitte di dolore. Mi fermai.
 
Con la bocca inspirai profondamente e poi espirai forzatamente; faceva male, ma era un dolore tollerabile rispetto a quello precedente.
Respirai nuovamente, era da tanto tempo che non sentivo quel suono; avevo la gola tanto secca e gonfia che ad ogni respiro sembrava mi si lacerasse, ma non avrei smesso per alcun motivo. Finalmente dopo tanto tempo avevo la prova di essere vivo.
 
Delle calde stille strabordarono dai miei occhi rotolandomi giù dagli zigomi. Arsa dal loro sale, la pelle attorno a cui erano scivolate adesso mi prudeva un poco, e di nuovo non riuscii a controllare i miei impulsi che mi indussero, scellerati, a portarmi il braccio alla faccia. Le fitte ricominciarono ancora più violente di prima.
Udii qualcosa, anche se non chiaramente, era come se mi trovassi sottacqua e le orecchie sentissero tutto ovattato. Un senso di gelo mi agguantò la mano, spingendosi con un brivido fino al petto e poi andando scemando.
 
Percepii un leggero calore scivolarmi sul contorno del viso: era una mano, ma non la mia.
Mi ascoltai intorno, in cerca di un qualunque suono, ed alle mie orecchie ne pervenne uno. Era una voce, non scura, ma che si atteggiava a tale, pacata e sospirante, e che ripeteva morbosamente una parola; una parola, neanche troppo lunga, che echeggiava e si distorceva tanto nelle mie orecchie da non essere più discernibile una volta arrivatami al cervello. Tuttavia non avevo veramente bisogno che mi fosse ripetuta perché capissi che parola era, e chi l’aveva detta.
 
Racimolata più saliva possibile cercai di farla scendere giù in gola in modo da poter anche solo dire qualcosa.
Lentamente inspirai, non troppa aria, e pronunciai, muovendo il meno possibile i miei muscoli facciali, il nome della persona che si trovava lì di fianco a me, cercando di scandire al meglio ogni lettera, quanto bastasse per far intendere ciò che stavo dicendo. Non fu faticoso, il suo nome non era lungo, affatto.
 
 
Passata una metà anno piena di dolori genuini e reali, la riabilitazione che stava andando un po’ a rilento, incontrai tutte quelle persone che da fuori mi avevano aiutato. La prima persona che avevo rincontrato al mio risveglio era stato Jō che per tutto il primo mese da allora  si era stanziato nella mia camera d’ospedale; in quei giorni, quando le forze me lo concedevano, gli avevo raccontato cos’era successo alla fine, ed anche la verità su Masao, e lui mi ascoltò.
Poi fu il turno del signor Taro, un lungo stecco che mi chiedevo come facesse a stare in piedi, dai vestiti sempre di un’eleganza incerta, spossato e vivo contemporaneamente. Più tardi, dopo una faticosa sessione di riabilitazione, mi ritrovai nella stanza anche Bunjirō, alto anche lui ma non così tanto, ed un po’ robusto, anche se rispetto alle prime “videochiamate” mi sembrava dimagrito. Per ultimo dovetti finire per incontrare anche il padre di Masao; con lui ci parlai il meno possibile, in parte perché davo colpa anche a lui per quello che era successo su SAO a causa della sua inettitudine e di quella di tutta la sua azienda di informatica e del governo giapponese, ma soprattutto perché, sapendo bene che non si può incolpare l’intero mondo con un’opinione di parte, ero cosciente che quando mi sarei aperto veramente sarei crollato.
Infatti così fu quando finita poi la riabilitazione ci saremmo incontrati sulla tomba di Masao; le gambe mi sarebbero cedute, avrei gridato, avrei pianto, e avrei gioito, ricordandomi dei bei ricordi che Masao mi aveva donato.
 
 
Quando la mia riabilitazione era ormai a buon punto, potei finalmente incontrare per la prima volta dal giorno in cui ero tornato Ryūtarō Morita, alias Ryu, e Takane Homura, ovverosia Akane; con quest’ultima ero già riuscito a contattarmi, mentre invece sarebbe stata la prima volta che avrei potuto vedere il primo.
– Ci siamo già incontrati, vero? – Domandò quel ragazzo rivoltosi a me, mentre appoggiato allo schienale di una sedia a rotelle il suo busto prima, e la sua testa poi si inclinarono considerevolmente a sinistra  – Sennò non mi avrebbero portato qua – Era scarno ed alto, dai capelli corvini corti e ordinati e dagli occhi altrettanto scuri. La carrozzella su cui era seduto era spinta da Akane, la cui unica differenza rispetto al gioco erano gli occhi, di un marrone spento, ed i capelli, lunghi appena fino sotto le spalle e tinti con una tenue tinta prugna.
Era stato Jō per primo a dirmi di Ryu, che era ancora in vita, e che, però, al suo cervello era ovviamente costato qualcosa morire durante la disconnessione; infatti, mentre io dopo la disconnessione rimasi incosciente per ancora un intero mese, quello si era svegliato subito, ma quando aveva incontrato prima la sua famiglia e poi Jō, non li aveva riconosciuti, e tuttora non li riconosceva del tutto. I medici però dicevano che la memoria sarebbe ritornata col tempo, anche se prevedevano che si sarebbero sanati prima quei suoi sensi che erano stati colpiti, tra cui principalmente quello dell’equilibrio, motivo per cui era sulla carrozzella ed il suo corpo continuava a muoversi inconsciamente.
 
– Sì, ci siamo incontrati nel videogioco, anche se penso che tu l’abbia già capito – Fece un cenno con la testa che adesso pendeva dall’altra parte – Comunque, mi chiamo Sēbē Futō, su SAO… –
– No, non dirmelo... – M’interruppe il ragazzo – I medici hanno detto che mi devo impegnare a ricordare almeno i nomi delle persone che conosco –
– Vuoi che ti dia una lettera? – Gli chiesi mentre rifletteva.
– No, no… me lo ricordo. Era... “Kaii”. Perché hai scelto questo nome, però? Il mio ha un suo perché piuttosto chiaro ed anche quello di Takane… – Cercò di guardare la ragazza alle sue spalle – Anche il suo ce ne ha uno, circa; però “Kaii”… perché proprio questo nome? “KA” ed “II”? Eccellente e buono? Oppure “KAI” ed “I”? Mistero o basso rango insieme a medicina, grandiosità o ancora sentimenti? –
– Penso di averlo scelto a caso, sai; il primo che mi è venuto in mente nella fretta dell’esaltazione –
 
– Sai Sēbē, di quell’io… – Akane lo guardò di sbieco – Volevo dire io, di quando eravamo nel gioco mi ricordo gran poco di tutto, però un ricordo ce l’ho ancora…  più che un ricordo è un pensiero, ed era riferito a te. Io pensavo che tu fossi un cretino – Ci rifletté su ancora un attimo per riordinare i suoi pensieri – Sì, decisamente. Non so perché, ma pensavo proprio fossi un cretino, che non collegassi il cervello alla bocca o che direttamente non facessi funzionare il primo; pensavo che fossi uno sventurato, un bambino che non riusciva neppure a capire le proprie colpe… Chissà, che avessi ragione? –
– Ryūtarō… ! Non essere sgarbato! – Lo rimproverò Akane, un po’ triste di quel suo rapporto con Ryu, più da madre che anche solo da amica.
– Scusa, scusa… – Le rispose non affatto dispiaciuto.
Sospirai ridacchiando amaramente, con la schiena appoggiata ad un grande ed oramai sformato cuscino di un letto un po’ troppo morbido. Concitato, mi stringevo le mani l’una con l’altra per constatare un’altra volta che ero per davvero nel mondo reale, adesso avrei dovuto affrontare la realtà. Per malasorte non ero più nascosto e non mi sarei mai più potuto nascondere: e così come io lo sapevo anche lui l’aveva capito dannatamente bene.
Mi sorrise con sincera felicità, grato per la piega che stava prendendo infine la situazione.
 
– Jōtarō! Perché devo venire pure io?! – Dal corridoio proveniva questa voce, femminile e dirompente, che per una qualche ragione mi sapeva di famigliare… era da tanto che non la sentivo.
– E non rompere Chikai, te lo voglio solo far conoscere! – Questo era decisamente Jō, era veramente snervante come atteggiava la sua voce, ma quando gli avevo chiesto perché parlasse così, aveva tenuto la risposta sul vago, facendomi intendere che avrebbe semplicemente continuato.
Il ragazzetto e quell’altra arrivarono alla porta e quest’ultima a forza ne fu spinta attraverso da Jō per arrivare dentro la stanza incespicando un poco nel suo piede e per poi rimanere in piedi davanti a me, in una posizione stabile, ma che quella, rimasta a bocca aperta,  faceva parere vacillante.
– Kaii ti presento mia sorella Chikai; Chikai ti presento K… –
Dagli occhi spalancati della ragazza iniziarono a sgorgare delle lacrime sottilissime che catturarono l’attenzione di tutti e tutto, persino il tempo si fermò e lo spazio si annichilì.
– E da tanto che non ci si vede, eh, Chikai? –
– Sēbē! – La ragazza corse verso di me, e mi abbracciò; mi stringeva tanto forte da farmi male, tuttavia glielo lasciai fare, dovevo; dopotutto ero stato io a fargliene per primo. Era da un’eternità che qualcuno non pronunciava il mio vero nome con tanta dolcezza.
Chikai Kaii, la ragazza a cui avevo fatto male, che mi aveva fatto male, che mi aveva fatto ferire da solo; colei con la quale mi ero accorto, dopo averci giocato, di non stare giocando. In fin dei conti era la prima volta che facevo uno scherzo del genere; non avevo solo ben isolato i miei falsi sentimenti da quelli reali.
Guardai dritto davanti a me, mentre la ragazza stretta con me in quel soffocante abbraccio continuava ad innaffiarmi la schiena, e, seppure le lacrime, vidi chiaramente che Ryūtarō stava sorridendo.
 
 
Nel cortile della scuola ricavata da una vecchia azienda appositamente ristrutturata e rimodernata per fare da sede ad apposite classi per noi che per due anni eravamo rimasti intrappolati su SAO, io, Akane e Ryu, quest’ultimo ormai non più sulla sedia a rotelle e con la memoria quasi completamente recuperata, stavamo mangiando il nostro pranzo insieme, come sempre. Sarebbe stato abbastanza strano normalmente per degli alunni di classi ed età differenti incontrarsi ogni giorno nella pausa pranzo, ma su SAO l’età non contava e tutti eravamo diventati amici di chiunque; infatti non eravamo l’unico gruppetto formato da persone di età completamente diverse. Tuttavia, anche perché incoraggiati dai professori, provavamo ad ambientarci anche con i nostri compagni di classe, benché, a buona ragione, pensassi che dopo aver vissuto insieme tanti momenti non saremmo mai stati veramente in grado di separarci.
– Adesso la nostra vita ricomincerà, vero? – Ci chiese la ragazza.
– A me sembra sia ricominciata già da un po’ – Parlò  Ryu con la bocca aperta, mentre con avidità si spingeva giù in gola un enorme panino, senza neanche averlo prima masticato; questa sua falsa superficialità era rilassante.
– In effetti io una cosa devo ancora farla – Il sole di mezzogiorno così alto nel cielo non mi diceva niente, mi colpiva e basta con la sua eccessiva calura, e ciò mi irritava parecchio – Venite a casa mia appena finito di mangiare; ve lo confermo per telefono, ma comunque non ci dovrebbero essere problemi – Mi alzai dalla panchina dove eravamo seduti ed iniziai andare verso la mia classe.
– D’accordo, ma per cosa? –
– Lo scoprirete soltanto venendo –
 
Era un’idea venutami in mente all’improvviso, per questo dovetti un attimo informarmi e così chiamai Jō che gentile come al solito e con quel suo nuovo tono di voce mi spiegò con pazienza tutto quello che volevo sapere.
Quando ci fummo tutti, partimmo per la destinazione prevista; mia mamma prese il volante e ci portò dove le avevo chiesto senza fare troppe domande.
– Ma questo è… ! – Non appena Akane aveva capito che posto era quello che si era ritrovata davanti scesa dalla macchina, le si erano strozzate le parole in gola.

Feci cenno di sì con la testa – Io sulla tomba di tuo fratello non ci sono ancora andato –
 

DIARIO VIRTUALE

Allora, questo era l'ultimo capitolo! Sono veramente felice di aver finito di scrivere questa mia storia, i primi capitoli della quale ovviamente non lascerò scritti con quel mio stile, ma li riscriverò in modo decente. Un poco triste lo sono, perché questa è la mia prima storia che qualcuno abbia effettivamente letto che non fosseun mio conoscente stretto, ed era iniziato tutto come un gioco per passione (e fanatismo), ma poi mi ha preso (ci ha messo un po' a dire il vero) spingendomi a migliorare sempre di più, volendo poi cancellare sia gli errori grammaticali sia le lacune e le incongruenze nella trama (che, a proposito, se ancora esistenti vi prego di far notare). Grazie a tutti quelli che hanno letto fino a qua, vi sono veramente grato
Finisco dicendo (sperando di non sembrare troppo propagandistico) che ho in programma altre due storie: una quella di Rosario+Vampire che avevo annunciato a metà storia, ma che poi non ricordavo più nemmeno di avere inventato (in pratica un giorno ho detto: "Aaaah, ecco com'era!", e da lì è andata un po' avanti); poi la seconda è una fanfiction sui pokémon che, cercando di non parere superbo, mi sta uscendo proprio bene e che praticamente è già molto più avanti dell’altra, ma che per motivi di brand(il nuovo videogioco che esce a novembre) non potrò pubblicare molto presto.
In ogni caso grazie di nuovo a quelli che hanno letto fino a qua, ed alla prossima storia.
   
 
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