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Autore: Lily Liddell    08/06/2017    0 recensioni
Bedelia è una giovane psichiatra, Alice ha appena vissuto un evento traumatico.
Questo è il loro primo incontro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bedelia Du Maurier, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Baltimora, Maryland – 2001
 
L’ufficio della dottoressa Du Maurier era luminoso, così diverso da quello del dottor Jackson; lei era incredibilmente diversa dal dottor Jackson. Era giovane, sorridente – il suo vecchio dottore era un uomo antipatico e perennemente circondato da un olezzo di tabacco.
Alice era stata accompagnata da sua madre, Eleanor si era presentata alla dottoressa, aveva presentato sua figlia e poi era rimasta nella sala d’attesa, mentre la ragazza veniva scortata dalla dottoressa nel suo studio.
Esercitava a casa, non all’interno di una clinica psichiatrica, era molto più rassicurante. Alice aveva avuto un’ottima prima impressione – cominciare con il piede giusto era essenziale.
La luce del sole filtrava attraverso il vetro della finestra e colpiva entrambe le poltrone su cui erano sedute dottore e paziente; i raggi erano piacevoli, riscaldavano l’ambiente senza renderlo troppo caldo.
«Allora,» esordì la dottoressa, con un sorriso amichevole sulle labbra, sorriso che raggiungeva anche gli occhi chiarissimi. «è un momento molto delicato per te, Alice, voglio che tu sappia che qui sei al sicuro. Tutto quello che mi racconterai è protetto dal segreto professionale.»
Che modo peculiare di cominciare una seduta psichiatrica, si ritrovò a pensare Alice. Si sistemò una ciocca di capelli dorati dietro l’orecchio e annuì. «Lo so… ma non è un momento poi così difficile, a dire il vero. Sono contenta che il dottor Jackson sia morto.» disse, aspettandosi una qualsiasi reazione da parte della dottoressa, che invece non mosse nemmeno un muscolo. Gli occhi celesti rimasero immobili, il sorriso non tremò nemmeno per un istante – sembrava che non avesse nemmeno ascoltato. La sua postura statuaria accentuava solamente quella parvenza di distacco fra lei e la ragazza.
La mancanza di reattività da parte della dottoressa l’indispettì leggermente, ma decise di non infierire. Si chiese come mai le avessero indicato proprio lei, come sostituta per il dottor Jackson.
Finalmente la dottoressa si mosse, chinò lo sguardo per un istante e intrecciò le mani sulle ginocchia, inclinandosi lievemente in avanti. «Eri a casa quando hai ricevuto la notizia?» le chiese, in un tono calmo e pacato, stringendo appena le labbra.
Aveva importanza dove si trovasse? Alice piegò leggermente la testa di lato, come un cagnolino confuso dalle parole del padrone. «No, ero in clinica. Perché vuole saperlo?»
Un altro sorriso, più freddo. «Ho bisogno di stabilire quale fosse il tuo stato d’animo in quel momento, il luogo e la circostanza in cui sei venuta a sapere della morte del tuo precedente psichiatra possono aver condizionato la tua reazione.»
«Ero in clinica,» ripeté, «stavo leggendo e mia madre è entrata in camera, era molto agitata… non ci ha girato intorno, mi ha detto che il dottor Jackson si era suicidato.»
«Ha usato queste parole?»
«Ha detto che era morto, ho chiesto come, ha risposto che si era suicidato. Overdose di psicofarmaci… l’ironia.» Alice sbuffò, leggermente divertita. In teoria non doveva sapere la causa della morte del dottore, ma in clinica – ovviamente – non si parlava d’altro, e stavolta non si stupì del fatto che la dottoressa Du Maurier non reagì in alcun modo alle sue parole.
«Come mai non ti dispiace che sia morto?»
«Non ho detto questo, ho detto che sono contenta che sia moto. Era un pessimo dottore, mi imbottiva di pillole, e giocava con la mia testa. Ho provato a chiedere che me ne venisse assegnato un altro, ma non hanno mai voluto, lui voleva tenermi per sé.»
Stai giocando col fuoco, Alice.
«Una fortuna che abbia deciso di togliersi la vita.» commentò la dottoressa in tono placido, Alice s’incuriosì. Poteva dire una cosa simile? Si sporse in avanti, annuendo con convinzione e osservò la dottoressa dritto negli occhi.
«Assolutamente, se non l’avesse fatto da solo, forse avrei dovuto fare qualcosa a riguardo.»
Adesso basta, Alice.
La ragazza spostò gli occhi dalla dottoressa a un punto di fianco a lei. «Basta lo dico io, Fred.»
«Chi è Fred?» chiese, la dottoressa, allungandosi a prendere un’agenda da uno sgabello sistemato accanto alla sua poltrona. Scrisse qualcosa, con una lentezza esasperante.
Alice imprecò nella mente, poi si sforzò di sorridere. «Il mio migliore amico.»
«Che cosa dice?» di solito non era questa la prima cosa che le chiedevano, quando venivano a sapere dell’esistenza di Fred. Le chiedevano se fosse nella stanza, come fosse fisicamente, volevano parlare con lui direttamente…
«Non vuole che parli così del dottor Jackson, ha paura che qualcuno pensi che io c’entri qualcosa, ma non c’entro niente.»
«Ovviamente, il dottor Jackson si è tolto la vita, non è colpa tua…» disse, chiudendo l’agenda, poggiandola sulle ginocchia. «Cosa intendevi quando hai detto “giocava con la mia testa”?»
Fred non aveva detto più nulla, Alice continuò. «Lo conosceva?»
«In un contesto puramente professionale, sì.»
«Allora sa di cosa sto parlando.»
«Se facessi delle supposizioni, potrei progettare alcune delle mie idee nella tua mente. Sei molto fragile, in questo momento, anche se non te ne rendi conto. Vorrei che fossi tu a dirmi cosa è successo.»
«Il dottor Jackson credeva che eliminando i miei ricordi positivi, sarebbero rimasti solo quelli negativi e che una volta rimasti solo quelli io sarei stata in grado di individuare il momento esatto in cui la mia mente si è frammentata… a questo punto, sempre secondo lui, io avrei potuto eliminare anche quei ricordi, così facendo, avrei cancellato anche le personalità.» solo il pensiero le dava i brividi, come conseguenza adesso lei non aveva nessun ricordo d’infanzia, non ricordava più nulla, la sua mente era un buco nero. «Non ricordo il volto della mia madre naturale, né di mio padre… non ricordo la casa in cui vivevo, non ricordo i nomi dei miei amici… non ricordo i primi anni di scuola, non ricordo nulla. I primi ricordi che ho risalgono all’orfanotrofio, e sono comunque solo frammenti, come delle fotografie ingiallite.»
La dottoressa inspirò profondamente, guardò l’orologio e poi tornò a guardare Alice; adesso i suoi occhi erano carichi di espressività, la ragazza fece quasi fatica a reggere lo sguardo. Che sapesse già tutto? Sicuramente lo sospettava, giravano voci sul dottor Jackson, ed erano tutte vere. «Molto bene, Alice. Insieme credo che potremo lavorare sui tuoi ricordi, positivi e negativi, ma dovrai continuare ad essere sincera con me. Pensi di poterlo fare?»
La ragazza annuì; guardò fuori dalla finestra e si rese conto che il sole cominciava a calare nel cielo. Era un po’ stanca, un po’ provata… di solito non parlava così tanto durante le sedute, ma la morte di Jackson l’aveva messa di ottimo umore, finalmente si era liberata di quel viscido verme. Adesso le cose non potevano che migliorare.
   
 
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