Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Tessie_chan    09/06/2017    2 recensioni
Amor tussique non celatur.
Questa sentenza fa sorridere e riflettere allo stesso tempo. L’amore non si può nascondere. Si può fingere in ogni modo di non provarlo, si possono trovare scuse, ma se si ama una persona sarà evidente in ogni gesto, in ogni sguardo. Al contrario, laddove amore non c'è, non lo si può fingere, la finzione non può andare oltre qualche bella parola, qualche fatua promessa. Amore non si può nascondere, e chi è amato lo capisce. Così è vero il contrario. Non si può tossire e negare di aver tossito, non si può amare e negarlo.
--------------------------------------------------------------------------------------------
- Vorresti insinuare che non mi trovi abbastanza attraente, ragazzina?
- Non è questo il punto, Trafalgar. Non potrei neanche volendo, visto che oggettivamente sei davvero molto attraente.
- Oh ti ringrazio, dolcezza!
- Non ringraziarmi. Il mio non era un complimento, ma una semplice constatazione empirica, che in ogni caso non cambia il risultato. E dolcezza sarà tua madre!
***
- Non posso tollerare di vederti con lui!
- Piantala Ace, non c’è niente tra me e Law.
- Ah, davvero? E quegli sguardi complici che vi lanciate in continuazione me li sono immaginati?
- Cosa dovrebbe essere questa, una scenata di gelosia?
- Sì, dannazione!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Amor tussique non celatur



Capitolo 1



Il problema delle persone orgogliose è che non dicono
quello che provano per paura di soffrire. Si tengono tutto
dentro e soffrono lo stesso, ovviamente. Le persone orgogliose,
vanno prese di sorpresa e abbracciate.
- Robert Daniels

Nascondere i propri sentimenti è comune
 quanto rivelare i propri segreti.

- Giovanni Soriano

Sapere è potere.
- Jojo Moyes

Quando la pelle del leone non basta, è il
momento di cucirsi addosso quella della volpe.
(Lisandro)
 






- NON PUOI LASCIARGLIELO FARE! – stava strillando Ace, in un misto di rabbia e cieca disperazione, dibattendosi nella stretta dei fratelli più grandi, cercando con gli occhi la figura del padre – NON PUOI! NON PUOI!
- Adesso smettila, Ace – lo rimproverò Marco, serrando la presa su di lui – Stai solo rendendo le cose più difficili.
Ace si girò a guardarlo, incredulo – Come puoi dire questo?! Come puoi stare lì a guardare senza fare nulla?!
Marco lo fissò serrando con forza la mandibola, cercando di nascondere le lacrime che gli stavano inumidendo gli occhi. Proprio lui, che in qualunque situazione era sempre calmo, sempre pacato.
- È una sua scelta. Non abbiamo il diritto di fermarla, se è questo quello che vuole.
- Ma non è giusto! – saltò su Thatch, cercando di aggirare i fratelli che gli si erano parati davanti per fermarlo – Non può andarsene in questo modo! È una di noi! È la nostra sorellina!
Un sussulto percorse la folla di pirati, che chinarono tutti la testa per non mostrare il dolore che c’era nei loro occhi, mescolato con la vergogna e il rimpianto.
Certo che non era giusto. Loro erano stati ingiusti. Non solo, erano stati stupidi, egoisti, insensibili... e ipocriti. Per anni avevano sempre decantato la sua incredibile intelligenza, le sue vaste conoscenze, la sua bravura in ciò che faceva...
Tu potresti fare qualsiasi cosa, le avevano sempre detto.
Ma erano state solo parole, solo parole vuote che non erano servite a nulla. Non le avevano mai dato la possibilità di essere qualcosa di diverso di ciò che era stata fino a quel giorno, di diventare qualco
sa di più grande. Non avevano mai voluto credere che forse quella vita, e il ruolo che le era stato assegnato su quella nave quando era a malapena una bambina, potesse starle stretto. Quello era il suo posto, e sempre lo sarebbe stato, punto.
Avevano sempre creduto che essere il medico capo dei pirati di Barbabianca fosse l’unica cosa che desiderava. Non avevano mai creduto che potesse avere delle ambizioni diverse, ed era per questo che la sua dichiarazione di due ore prima li aveva sconvolti così tanto.
Ho deciso che me ne vado. Essere solo un medico non mi basta più, non mi è mai bastato. Voglio inseguire i miei sogni, voglio diventare una leggenda, voglio vivere a modo mio, e non potrò farlo finché starò qui con voi, perché so che voi non mi sosterrete mai. Questa nave è ormai come una prigione per me, non posso più restare.
Era stato come un fulmine a ciel sereno. No, era stato anche peggio. Mai avrebbero pensato che avrebbe avuto il coraggio di prendere una decisione tanto audace. A guardarla sembrava così fragile…
- PAPÀ! DILLE QUALCOSA! TI PREGO! – urlò Ace con voce spezzata.
- Ace! Devi finirla! – lo rimproverò Haruta. Anche lei aveva gli occhi umidi, ma la sua voce era ferma – Ti stai comportando come un bambino!
- Ora basta, figli miei – intervenne grave Barbabianca. Evitava di guardare i figli negli occhi, si limitava a fissare con insistenza il pavimento – Non c’è più niente da discutere. Vostra sorella seguirà la strada che ha scelto, con la mia benedizione.
Ace si voltò verso il padre, sconvolto. Come poteva proprio lui, che su quella nave era la persona che più amava la ragazza dopo di lui, accettare così la sua improvvisa e inaspettata decisione?! Katherine era sempre stata la sua figlia prediletta, l’aveva presa con sé quando non aveva neanche dieci anni…
- Ma lei non sa combattere! È totalmente incapace di difendersi! – protestò Vista angosciato – Non può andarsene in giro da sola, è troppo pericoloso!
- Piantatela di parlare di me come se non fossi presente. – sibilò irritata la diretta interessata di quel litigio – State sprecando solo fiato, tanto non cambierò idea.
Tutti si voltarono verso il giovane medico che aveva appena parlato. Fino a quel momento Kate aveva ignorato le loro proteste e le loro suppliche, e aveva continuato a caricare le proprie cose su una piccola barca che Barbabianca le aveva concesso come se non ci fosse nessuno intorno a lei. Fisicamente era ancora lì, ma la sua mente e il suo cuore erano già lontani. Era da anni che non erano più con loro, ma loro l’avevano compreso solo ora.
Ace la fissò con gli occhi pieni di lacrime: sembrava così giovane, così ingenua… nessuno avrebbe mai creduto che quella piccola ragazza fosse il medico capo della ciurma più forte del mondo, e una delle menti più brillanti di tutto l’oceano. Sembrava solo una comunissima ragazzina di sedici anni che del mondo non sapeva nulla, che si stava gettando in un’avventura troppo grande per lei…
Perché era questo che era, in fondo. Una ragazza che, per quanto intelligente e capace, stava facendo un gigantesco salto nel buio, e lo stava facendo da sola, disarmata e senza protezione.
- Katie… – la chiamò Ace con il suo nomignolo – …ti supplico, ripensaci. Non devi farlo, per favore!
- Sì, devo. Se voglio realizzare le mie ambizioni, devo andarmene.
Il suo tono era così freddo, pacato, inflessibile… come quello che usava quando dava un ordine a una delle sue infermiere, o quando prescriveva una cura ad un malato. Le quindici infermiere delle quali fino a qualche ora prima era stata a capo sobbalzarono a quelle parole.
- No, non è vero! Non devi! Puoi restare con noi! Noi ti aiuteremo, non è vero? – fece Ace, guardandosi freneticamente intorno alla ricerca dell’approvazione dei fratelli – Ti insegneremo a combattere! Io ti insegnerò, se vuoi! Puoi avere tutto quello che vuoi, puoi essere quello che vuoi…
- Sono anni che voialtri continuate a ripeterlo – lo freddò Kate con voce tagliente – dopo un po’ perde di significato.
Il suo tono glaciale e vagamente annoiato fece rabbrividire tutti.
- Eddai, petit… – farfugliò Thatch, sorridendo nervosamente. Stava evidentemente cercando di mantenere la calma, ma con risultati scarsi. Lui era uno di quelli che stava soffrendo di più. – Non ti sembra di stare un po’ esagerando…?
- Esagerando?! – lo interruppe Kate, arrossendo violentemente per la rabbia – Hai anche la faccia tosta di insinuare che sto esagerando? Hai ascoltato anche una sola parola di quello che ho detto prima?!
- Mi sembra una reazione eccessiva…
- Eccessiva?! – ripeté ancora la giovane – Tu e tutti gli altri non avete idea di cosa significhi vivere nei miei panni. Evitate di parlarne!
Tutti sobbalzarono e tacquero davanti a quell’esplosione di veemenza e rabbia. Era raro che la si vedesse furente, lei di solito manteneva la calma in qualsiasi situazione, era il suo lavoro a richiederlo.
Lei però ormai era partita a ruota libera – Mi sembrate confusi. Che c’è, non capite? C’era da immaginarselo. Ok, vedrò di spiegarvelo con parole semplici, cosicché possiate capirmi. – lanciò con violenza l’ultima borsa sul fondo della barca, e parlò gonfiando il petto – Voi siete pirati, giusto? Siete forti, coraggiosi, e siete liberi. Non è così? Potete fare tutto ciò che volete, andare dove volete, vivere come volete, e potete farlo senza avere paura, perché siete tutti in grado di difendervi senza temere nessuno. Non è così?! – chiese la ragazza incrociando le braccia al petto, e tutti annuirono come dei mocciosi ubbidienti – Ecco, io questo non posso farlo. Io non ho le vostre possibilità! Io non so combattere, non so difendermi in nessun modo! Non posso alzarmi la mattina e decidere di andare a cercare questo o quel tesoro, o di andare ad affrontare questo o quell’avversario! Sono indifesa, sono inerme, tutto ciò che posso fare è starmene qui a curare le vostre ferite, e fare pat pat sulle vostre stupide spalle! – ormai stava urlando – Voi avete vissuto sempre al massimo; io invece sono sempre stata relegata su questa nave, in quella dannatissima infermeria, sempre dietro le quinte, perché non potevo fare altro! – la voce della ragazza si ruppe, così prese un respiro profondo per riacquistare il controllo – Non ce la faccio più. Non voglio più vivere così. Non è questa la vita che voglio!
- Ma se tu restassi…
- Restare per fare cosa, esattamente? Per tornare a stare in infermeria, a guardarvi dall’oblò mentre voi vivete la vita che vi piace, mentre io sono infelice? Per mettere in ordine, per curare e consolare? Tanto è quello il mio compito secondo voi, non è così? E quello è il mio posto…
- Ma se solo tu l’avessi detto prima…
- Non l’ho fatto?! Quante volte ho chiesto di poter partecipare ad una missione, anche solo come supporto medico?! Quante, papà?! – gridò il medico rivolgendosi al vecchio capitano, che sussultò nel sentirsi chiamato in causa – Anche l’altro giorno, ricordi? Ti ho chiesto di permettermi di andare con Marco e i suoi a cercare quel pirata, che di sicuro avrei potuto essere d’aiuto come medico, o semplicemente come mente dell’operazione. E tu che mi hai detto?! Non è il caso Kate, è meglio se resti in infermeria a lavorare! – un singhiozzo le bloccò le parole in gola – Ti costava così tanto darmi un po’ di fiducia?! Che c’è, è perché sono una donna?! O forse non mi ritieni abbastanza in gamba e avveduta per lasciarmi anche solo andare in giro da sola?!
Barbabianca sembrava a dir poco distrutto. Il suo viso, di solito costantemente illuminato da una luce allegra e gioviale, era deformato dalla vergogna e dal rimorso. Non osava guardare la figlia negli occhi quando rispose – Hai perfettamente ragione, tesoro. Sono stato ingiusto con te, e non so davvero come scusarmi… tutto ciò che posso fare è darti la mia benedizione per qualunque scelta vorrai fare da oggi in poi. Anche se questo significa che dovrò lasciarti andar via da me, bambina mia.
A quelle parole la rabbia scomparve all’istante dal volto del giovane medico, che si distese in un’espressione di sincero dispiacere – Mi dispiace causarti un dolore, papà… e mi dispiace dover passare questi ultimi minuti litigando con voi, ragazzi. Vi prego, cercate di capire…
- Cosa dovremmo capire?! – urlò Ace – Se te ne vai da sola, non ci sarà più nessuno a proteggerti, lo capisci?! E tu sei una dei figli di Barbabianca! Ti uccideranno entro pochi giorni!
Kate sospirò, tenendosi la fronte con una mano; non sembrava più infuriata, solo incredibilmente stanca – Era proprio di questo che parlavo: non ho ancora messo un piede fuori da questa nave, e tu già mi stai scavando la fossa. Eppure hai sempre detto di credere in me… anche poco fa.
L’espressione di Ace era indescrivibile. Non ci sono parole per spiegare, punto.
- Basta. – sospirò la ragazza – Non c’è più nulla da dire. Dobbiamo finirla qui.
Sembrava una sentenza di morte. Ace sapeva bene che Kate non si stava riferendo solo alla sua decisione di andarsene, ma anche alla loro relazione.
Quella consapevolezza lo fece rabbrividire fin nelle ossa. Si erano trovati da così poco tempo…
- È pericoloso… - sussurrò Ace – Ti uccideranno…
- In quel caso, niente fiori bianchi sulla mia tomba. Lo sai che non mi piacciono, preferisco quelli rossi.
- SMETTILA!
- No, tu smettila! – perse di nuovo la pazienza il medico – Sei veramente infantile. Piantala di piagnucolare, tanto non mi farai commuovere. Tu sei quello che mi ha deluso più di tutti.
- Non dire così, ti prego…
- Allora non lo farò. Me ne vado e basta.
- Kate, io ti amo! – urlò Ace, incapace di trattenersi oltre.
Kate si era congelata nella posizione in cui stava, pallida come una statua di sale. Aveva gli occhi spalancati e le labbra dischiuse, e lo sguardo vacuo mentre lo fissava incredula.
Ma durò poco, pochissimo. Kate raramente perdeva il controllo sulle proprie emozioni, e ancora meno spesso le rivelava apertamente. Forse era per questo che per anni i suoi fratelli non avevano sospettato nulla di ciò che le passava davvero per la testa: era brava a nascondere le emozioni, quasi quanto era brava a salvare vite umane.
Ben presto il medico richiuse le labbra, scrollò la testa come per recuperare la concentrazione, e gli voltò le spalle per non mostrargli il volto.
- Mi dispiace, Ace – mormorò la ragazza. La sua voce era appena un sussurro, ma non era mai stata così ferma – mi dispiace davvero. Tu sei stato l’unico motivo che mi ha dato la forza di restare finora. Ma ora non posso più, nemmeno per te.
Lei puntò lo sguardo sul mare e l’orizzonte, non volendo voltarsi per vedere la faccia dell’uomo che ormai aveva capito di amare. Non voleva che l’ultimo ricordo che avrebbe avuto di lui fosse un Ace deluso o addolorato. Voleva pensare a lui come il ragazzo sorridente e focoso che era sempre stato, quello che crollava continuamente addormentato nelle situazioni più assurde facendole prendere un colpo ogni volta, quello che adorava nascondersi dietro gli angoli per farle gli agguati solo perché la trovava bellissima quando si infuriava, quello che le rubava i bisturi in continuazione solo per il gusto di sentirle gridare ogni sacrosanta volta con aria seccata – Quello non è un giocattolo, baka!-, quello capace di confortarla quando aveva paura di non farcela a salvare una vita, e che si feriva continuamente e di proposito come un idiota solo perché voleva farsi curare da lei, rifiutando ogni volta l’aiuto delle infermiere.
Era finita. Non c’era più niente da dire. Salì sulla barca continuando a fissare ostinatamente l’oceano, e tirò fuori un bisturi dalla tasca, puntandolo verso la corda che teneva ancora la barca sospesa oltre il bordo della balaustra.
Adesso è davvero il momento.
- Addio. – mormorò il giovane medico, e in quello stesso momento la corda venne lacerata, facendo piombare la piccola barca in acqua, alla deriva delle onde. Un grido di sconcerto percorse le fila dei pirati, ma era troppo tardi, ormai era andata.
Barbabianca si strinse nel cappotto, improvvisamente infreddolito, e osservò la barchetta allontanarsi, diretta verso l’ignoto.
Vai tesoro, e non voltarti indietro.
 
Tre anni dopo…


No, non può essere. Pensò incredula O’Rourke D. Katherine, mentre leggeva il biglietto che quel vile figlio d’una cagna del suo capitano aveva lasciato sulla sua scrivania.
Quello stronzo non può essere arrivato a tanto. Neanche il coraggio di venirmelo a dire in faccia ha avuto!
Il giovane medico posò il biglietto sul tavolo, chiuse gli occhi, si portò entrambe le mani sul ventre per evitare di uscire dalla propria cabina e commettere atti violenti sul primo malcapitato che si fosse trovata davanti – ignorando nel frattempo il lieve fastidio che le dette il piercing all’ombelico quando fu toccato (se l’era fatto fare da poco) -, e si concentrò per cominciare l’esercizio di respirazione controllata.
Fece un respiro profondo, contando mentalmente e lentamente fino a tre. 
Spinse l'aria inspirata verso la pancia, via via sempre più su fino a riempire completamente i polmoni.
Trattenne il respiro per circa tre secondi.
Espirò lentamente contando fino a cinque.
Dannazione, non funziona!
Serrò i pugni con forza, cacciandoli nelle tasche del cappotto per evitare di ridurre in briciole a suon di cazzotti la sua adorata e innocente scrivania, e si diresse a passo di marcia verso la credenza in fondo alla stanza, da dove tirò fuori una bottiglia di bourbon piena a metà.
Morirò di cirrosi epatica e carcinoma alla bocca prima di compiere trent’anni se continuo così. Pensò sconsolata la ragazza, mentre crollando seduta sul pavimento con la schiena poggiata contro il muro con una mano faceva saltare il tappo di sughero della bottiglia, e con l’altra tirava fuori dalla tasca il pacchetto delle sigarette.
No, ora che ci penso, probabilmente quel bastardo si prenderebbe cura di me salvandomi da un’orribile morte solo per il gusto di continuare a torturarmi con la sua immensa idiozia e quella sua odiosa faccia da schiaffi.
Interruppe quelle sinistre congetture per accendersi la sigaretta che si era infilata tra i denti, per poi inspirare una grossa boccata di fumo.
Catrame, benzene, nicotina, monossido di carbonio… tutti gli ingredienti necessari per finire precocemente di fronte all’Altissimo. Se ci penso… io sono un dannato medico, non dovrei neanche avvicinarmi a questa merda! Come al solito è colpa sua, di quell’emerito imbecille…
Proprio così. Era stato proprio a causa di quella sottospecie di sociopatico psicolabile che aveva cominciato a fumare, due anni e mezzo prima. A quei tempi era ancora nel pieno dei suoi severi e disumani allenamenti per aumentare la forza fisica, ed era ancora incapace di controllarsi per evitare di demolire accidentalmente quello stupido sottomarino giallo ridicolo che lei aveva sarcasticamente soprannominato sin dal primo giorno “Catorcio”. Ci aveva provato davvero a contenersi, ma l’inesperienza, e soprattutto la presenza di quel pazzo nella propria vita le avevano reso il compito veramente impossibile.
Una volta non ero così. Ma in effetti prima avevo molte meno emozioni.
Così un brutto giorno lui l’aveva convocata nel suo studio – come se non ci passasse già abbastanza tempo -, ed esponendole il problema con quel suo insopportabile e onnipresente ghigno dipinto in faccia le aveva dato un ultimatum: o trovava il modo di controllare in maniera efficace il proprio stress emotivo – scongiurando così il rischio di farli annegare tutti a causa un pugno troppo potente che avrebbe potuto sfondare le pareti del Catorcio -, oppure il suo addestramento sotto la sua supervisione si sarebbe concluso lì.
Ovviamente quell’imbecille aveva completamente trascurato il dettaglio che il novanta per cento della frustrazione della ragazza venisse regolarmente causata proprio da lui e dal suo dannato sorrisetto strafottente… e così lei cosa aveva potuto fare? All’epoca era ancora troppo debole ed inesperta per considerare l’idea di dargli la lezione che si sarebbe meritato, e avvelenarlo con il cianuro sarebbe stato complicato, tenendo presente il fatto che sarebbe stato perfettamente in grado di farsi una lavanda gastrica per conto proprio… così non aveva avuto altra scelta che adeguarsi alle becere pretese di quello stronzo, cominciando a fumare per regolare il proprio umore come se fosse stato la temperatura del frigorifero. Gli psicofarmaci li aveva pure provati, ma dopo un poco tempo era stata costretta a sospenderli per evitare di cadere nella spirale della dipendenza, e diventare così una drogata esagitata a tutti gli effetti.
In certi casi o si beve o si affoga.
Inutile dire che una volta preso il vizio levarselo sarebbe stato quasi impossibile, considerando anche il fatto che i suoi livelli di stress erano rimasti più o meno invariati rispetto a quel periodo… e così eccola lì, una dei più brillanti medici del mondo che aspirava ed espirava con aria rassegnata cancro allo stato puro dal quel dannato cilindro cartaceo puzzolente.
Dio, che vergogna.
Kate scosse la testa con uno sbuffo, riportando i piedi per terra e spegnendo la sigaretta ormai finita nel posacenere sul comodino. Inutile rimuginarci sopra, ormai era fatta. Tanto valeva preoccuparsi di risolvere i problemi immediati, che in quel momento consistevano nel farle recuperare un minimo di calma prima di andare a prendere gli ordini dal capitano. La sigaretta aveva fatto la sua parte, ma si sentiva ancora le viscere contorte per la rabbia, un po’ troppo per essere pronta ad affrontare il nemico a mente lucida. Non aveva altra scelta, anche se aveva sperato di evitarlo doveva attaccarsi alla bottiglia nel disperato tentativo di sedare i propri nervi.
Dannazione, non sono neanche le quattro del pomeriggio!
Il medico afferrò la fiasca di liquore – e dire che l’alcool neanche le piaceva, anche quello veniva assunto per uno scopo più alto – e con uno sospiro afflitto se la portò alle labbra, gettando all’indietro la testa e prendendo un abbondante sorso che le ustionò la gola e mandò momentaneamente in panne il suo cervello.
L’effetto non si fece attendere. La mente si svuotò quasi all’istante, il corpo le sembrò molto più leggero, e i muscoli, prima duri e tesi come una corda di violino, si rilassarono visibilmente. Aveva funzionato.
Bene. Forse adesso ce la faccio. Pensò soddisfatta la ragazza, rimettendosi con calma in piedi. Di solito la sua praticamente inesistente resistenza all’alcool era motivo di vergogna per lei – quale razza di pirata senza spina dorsale perdeva lucidità dopo neanche un bicchiere di liquore?! -, ma in casi come quello – che, spiaceva dirlo, si verificavano decisamente troppo spesso - era una vera e propria benedizione, visto che le permetteva di calmare la propria rabbia con un semplice sorso di bourbon. L’importante era non andare oltre, altrimenti avrebbe finito per restituire molto presto il pranzo ad un water.
Fortunatamente non sarà necessario, pensò compiaciuta la ragazza. Non è che non fosse più arrabbiata con l’idiota per quel che aveva fatto, ma quasi sicuramente sarebbe stata in grado di parlargli senza dargli la soddisfazione di vederla sclerare come se le stessero girando le scatole alla velocità del suono, cosa effettivamente vera.
Perché lui godeva immensamente nel vederla infuriata, oh sì. Lo adorava proprio, probabilmente tanto quanto adorava la medicina, e ne aveva evidentemente fatto uno degli scopi della sua vita, visto il commovente impegno che metteva nel provocarla e stuzzicarla in continuazione.
Basta cattivi pensieri. Si impose Kate, mentre si avviava verso la porta. Devo solo andare nel suo studio, ascoltare con la massima calma le sue cretinate per una decina di minuti, ed uscire. Entrare, ascoltare ed uscire. Semplice, no?
Sì, sembrava semplice; tuttavia la prudenza non era mai troppa, così Kate si fermò davanti allo specchio accanto alla scrivania per esaminare la propria espressione, ed assicurarsi che fosse tutto in ordine.
L’immagine che le restituì lo specchio fu alquanto sconfortante: guance arrossate, occhi adombrati, capelli arruffati, labbra ancora umide di liquore… non sembrava affatto rilassata, neanche lontanamente.
La ragazza sospirò, dandosi da fare per aggiustarsi i capelli e lasciando vagare la mente nel tentativo di distrarsi.
O’Rourke D. Katherine non era esattamente come la maggior parte della gente immaginava che fosse, considerando la reputazione che si portava appresso: uno magari si sarebbe aspettato una donna alta, dalla presenza appariscente e aggressiva, con uno sguardo cupo e magnetico, magari vestita con abiti succinti - non avrebbe mai capito perché quasi tutte le poche piratesse che c’erano in circolazione andassero in giro vestite come se esercitassero un ben altro tipo di professione –, e ricoperta di tatuaggi… magari anche incredibilmente sexy – tipo Boa Hancock, per intenderci -, oppure incredibilmente grottesca e bizzarra – tipo Charlotte Linlin, per intenderci –.
In effetti, Kate non aveva mai incontrato una piratessa che fosse una via di mezzo. Insomma, qualcuno di parecchio trasgressivo, per farla breve!
Be’, lei non voleva certo squalificarsi da sola dichiarando di essere l’esatto opposto di ciò che le persone si immaginavano, ma affermare che il suo aspetto corrispondesse a quel sopra descritto… be’, sarebbe stata una bugia ancora più stratosferica. E visto che lei era medico, e di conseguenza realista e schietta ai limiti della crudeltà, non l’avrebbe fatto, scegliendo di ammettere con molta tranquillità che lei era probabilmente l’unica piratessa al mondo che si trovava “nel mezzo”.
Ok, iniziamo dalle aste. Purtroppo purtroppissimo, Kate decisamente non era alta. No, non è che semplicemente era nella media, era proprio uno scricciolo, alta un metro e un sputo, sul serio. Certo, era pur vero che tre anni prima, dopo secoli di prese in giro più o meno crudeli da parte dei fratelli maggiori, aveva cominciato a portare in qualunque situazione almeno un tacco dodici, ed era solo per questo che riusciva a sporgersi oltre la balaustra del Catorcio in maniera dignitosa; se non l’avesse fatto si sarebbe rivelata in tutta la sua insignificante altezza di un metro e cinquantacinque raggiunta a malapena, e sarebbe stato veramente umiliante, considerato che ormai stava per compiere vent’anni.
Cosa c’era poi? Ah, la presenza. Ora, Kate non poteva propriamente definirsi scialba – insomma, un minimo di possibilità le spettava -, ma non poteva neanche definirsi una bellezza da calendario. Era minuta, magra e delicata – almeno apparentemente -, con il seno poco pronunciato e i fianchi stretti. Il viso forse dava un po’ più di soddisfazione, con i suoi capelli lunghi e scuri quasi sempre raccolti in una ordinata treccia, le labbra rosee e carnose e gli occhi incredibilmente grandi, vispi e intelligenti di un particolare verde acceso, che Law in uno dei suoi rari momenti di gentilezza aveva definito “verde primavera” … be’ sì, tutto sommato era piuttosto carina, ma accanto a Boa Hancock avrebbe sfigurato come una bambola di pezza accanto ad una Barbie.
Non importava. Lei si era sempre piaciuta così com’era, e poi non doveva fare colpo su nessuno.
Appariva aggressiva? Be’, di certo non quand’era a riposo. Quand’era tranquilla in effetti aveva un aspetto alquanto bizzarro, con quel suo viso da bambolina abbinato alla lucente spada che le pendeva dal fianco destro, e con quei vestiti da brava ragazza che indossava abbinati ai numerosi orecchini che portava, al jolly roger ricamato sulla schiena e al piercing all’ombelico.
In sostanza dava un’impressione di confusione, il suo aspetto la faceva sembrare un bizzarro miscuglio tra una punk e una ragazza casa e chiesa. Law una volta l’aveva definita “piratessa dei folletti irlandesi”, e lei in tutta risposta gli aveva rotto il naso con un gancio sinistro ben assestato. Non aveva più provato a dirlo, meglio per lui.
Se papà mi vedesse adesso probabilmente gli verrebbe un infarto.
In ogni caso quel suo aspetto stravagante le tornava spesso utile! La gente la sottovalutava spesso, e lei lo usava a proprio vantaggio, prendendoli completamente alla sprovvista quando in combattimento si rivelava la sua vera natura, che era decisamente aggressiva e decisamente spaventosa.
Vabbè, andiamo avanti. Sguardo cupo e magnetico? No, al massimo era arguto e intelligente, spesso anche ironico e malizioso. Diventava cupo quando si incazzava, ma questo non credo conti.
Abiti succinti? No, abbiamo già detto di no, poteva accadere che li portasse al massimo una volta su cento. In quel momento ad esempio indossava un paio di semplici pantaloni bianchi lunghi fino al ginocchio, un top qipao rosso senza maniche con due code e rifiniture bianche, che esponeva solo la porzione di pancia dove c’era l’ombelico con il piercing, un ampio cappotto nero che arrivava a toccare terra, e i soliti tacchi. Ai fianchi portava una cintura con appesa la sua spada, più un grosso borsello dove teneva i suoi strumenti da medico.
Semplice, essenziale, funzionale. Era sempre stato quello il suo stile e sempre quello sarebbe stato.
Tatuaggi? Sì, quelli sì. In realtà ne aveva solo uno, piuttosto piccolo e discreto, rappresentava un fiore di ciliegio stilizzato. Kate lo adorava letteralmente, soprattutto per il significato che aveva, ed era per questo che il fatto che ce l’avesse tatuato in piena fronte non la turbava affatto, anzi, ne andava orgogliosissima.
Incredibilmente sexy? No, direi proprio di no. Certo, moltissimi uomini l’avevano definita sexy, specie quando per qualche motivo era incazzata, ma le donne sexy erano fatte in maniera diversa, con decisamente più centimetri. tette, e fianchi. Lei era carina, ma di certo non era sexy, anche perché non perdeva tempo a cercare di mettersi in mostra provocando gli uomini, o anche solo considerando la loro esistenza in quel senso. E poi è risaputo che i maschi quando sono alla canna del gas – ma anche quando non lo sono, in effetti- trovano attraenti anche le borse dell’acqua calda. E i pirati erano cento volte peggio, questo era sicuro.
Incredibilmente grottesca? Be’ no, sarebbe stata una cattiveria gratuita bella e buona definirla così. Forse un tantino bizzarra, ma in fondo tutti i gusti sono gusti, e la cosa importante era ciò che lei pensava di sé stessa. E lei si piaceva così com’era, non si si sarebbe lasciata influenzare da chicchessia. In fondo non era per essere libera di fare ed essere ciò che voleva che aveva lasciato la propria famiglia?
Il che le riportava in mente…
Kate distolse senza pensare lo sguardo dallo specchio, lasciandolo cadere sul biglietto che era rimasto sulla scrivania.
La tua missione è annullata. Vieni subito nel mio studio, ho altri ordini per te.
- MALEDETTO IDIOTA! – urlò furibonda Kate, abbattendo con violenza il pugno contro il muro. Com’era prevedibile quello cedette all’istante, accartocciandosi e sfasciandosi sotto il colpo come se fosse stato di burro, e non di ghisa a tenuta stagna.
E tanti cari saluti al mio piano di restare calma e non dargli soddisfazione. Be’, almeno non era la scrivania.
Kate non ci badò, e senza perdere tempo si lanciò fuori dalla cabina, dirigendosi di corsa verso lo studio del capitano, fermamente intenzionata a sgranchirsi le gambe sulla sua faccia.
Trafalgar D. Water Law non riuscì a reprimere un sorrisetto compiaciuto quando sentì il suono dei tacchi della sua vice rimbombare nel corridoio con la stessa violenza di una batteria di cannoni, annunciando l’arrivo della loro proprietaria chiaramente molto infuriata con largo anticipo, e si sistemò meglio sulla poltrona, ansioso di vederla comparire sulla soglia della sua porta e godersi l’effetto che il suo stringato biglietto doveva aver provocato.
Il demonio in gonnella non era mai stata famosa per la sua grazia. Al contrario, era sempre stata molto poco femminile nei movimenti, ricordando più un uomo che una donna quando camminava. Law lo sapeva che non era colpa sua se faceva sempre tutto quel baccano - essendo cresciuta circondata praticamente da soli uomini era piuttosto normale che diventando adulta non avesse acquisito un portamento molto leggiadro; per non parlare del fatto che il sottomarino, essendo fatto interamente di ghisa a tenuta stagna, facesse rimbombare il suono dei suoi tacchi amplificandolo alla stregua di una cassa armonica -, ma non riusciva comunque a fare a meno di prenderla costantemente in giro per questo, facendole notare che perfino Bepo camminava con più grazia di lei, e Bepo era un dannato animale.
Kate di solito non si mortificava a quelle parole – dopo aver passato tre anni su quel sottomarino e sotto il suo comando erano veramente poche le cose che riuscivano a mortificarla -, ma si limitava a sbuffare e a piantagli casualmente un tacco sul piede, oppure a rispondergli a tono con quella sua linguaccia affilata; in effetti quella era un’ottima cosa, significava che tutto sommato il tempo che Law aveva scialacquato nel tentativo di tirare fuori un po’ di carattere da quel demonio in gonnella era servito a qualcosa.
La porta del suo studio si spalancò con un tonfo così forte da far tremare gli infissi di tutta la stanza, e il vice capitano dei pirati Heart comparve sulla soglia in tutta la sua insignificante ma alquanto incazzata stazza.
- DANNATO IMBECILLE!
- Buon pomeriggio anche a te, mia cara – la accolse mellifluo il chirurgo – non sai che è buona regola bussare prima di entrare in una stanza?
In tutta risposta la ragazza gli ringhiò contro un insulto parecchio colorito.
Non dovrebbe usare questo linguaggio.
Law intrecciò le dita sotto il mento, e ci accinse ad esaminare le condizioni dell’amica con occhio clinico. Aveva gli occhi incupiti dalla rabbia, lo sguardo era stranamente liquido, e le guance erano arrossate, un angolo della bocca della ragazza era stato preso dagli spasmi, e i polsi avevano cominciato a tremarle vistosamente.
Il ghigno di Law si allargò. Magnifico.
Sì, perché Trafalgar Law adorava letteralmente far perdere le staffe alla sua vice nonché migliore amica; provava un gusto sottile e vagamente perverso nel farle perdere il controllo delle sue emozioni, nel vederla combattere contro sé stessa una battaglia che era già persa in partenza, e nel far emergere la sua vera natura, che sapeva audace e passionale, e che la ragazza – per qualche strano e oscuro motivo che sfuggiva alla comprensione di Law - si ostinava a tenere nascosta sotto strati e strati di riservatezza, orgoglio e palate di sarcasmo.
Ora, a dispetto di ciò che si può pensare, non era così semplice far perdere la calma a Katherine: in quanto medico lei infatti era addestrata a mantenere sempre il sangue freddo, soprattutto nelle situazioni peggiori. Lui era diventato piuttosto bravo a scuoterla, ma solo perché aveva dalla sua un particolare talento nel far irritare la gente e una notevole conoscenza della personalità della ragazza, abbastanza da sapere quali fossero i punti deboli da colpire. Lei non ne aveva poi così tanti – come già detto, un medico non dovrebbe averne affatto -, ed era proprio questo a rendere quella sfida terribilmente, assolutamente, follemente divertente.
Senza contare il fatto che quando si arrabbiava diventava straordinariamente affascinante da guardare. Il rosso sulle guance le donava moltissimo, e Law si stupiva ogni volta di come i suoi grandi occhi color primavera riuscissero a diventare scintillanti e cupi al tempo stesso; sembrava quasi di guardare un’eclissi. Era di gran lunga più attraente così piuttosto che quando se ne stava con la schiena rigida e il volto congelato in un’espressione pacata, ligia così come la sua natura di medico richiedeva.
– Hai voglia di prendermi in giro, per caso? – lo richiamò la giovane, reclamando la sua attenzione.
Law ghignò - naturalmente. Come sempre, del resto. Perché non ti siedi e ti metti comoda?
- Non voglio mettermi seduta! Voglio delle spiegazioni! – il vice capitano attraverso a grandi passi lo studio fino a quando non giunse davanti a lui, per poi sbattere con violenza il biglietto sulla scrivania, facendola vacillare pericolosamente – che diavolo è questo?!
Law abbassò senza fretta lo sguardo sulla scrivania – mi pare un biglietto. Hai bevuto, per caso?
- Ma va’! – replicò lei stizzita, sporgendosi verso di lui – e che dovrebbe significare il fatto che la mia missione è annullata, sentiamo!?
Law alzò un sopracciglio – non è abbastanza chiaro? Significa che non devi più rubare quelle informazioni dal quartier generale della Marina.
- Ascoltami bene idiota, ci ho messo una settimana per elaborare la strategia perfetta per infiltrarmi in quel posto e rubare quei documenti senza danni o effetti collaterali! Una settimana! E tu adesso mi vieni a dire che tutto il mio lavoro è destinato ad andare sprecato?!
Un ghigno cattivo e vagamente annoiato increspò le labbra del chirurgo – esatto, è proprio quello che volevo dire.
Una vena cominciò a pulsare pericolosamente sulla fronte della donna, che si chinò ancora di più su di lui – e potrei sapere per quale motivo, di grazia? – quasi sputò l’ultima parola.
- È semplice, mia cara: perché quelle informazioni non mi interessano più. Abbiamo finito?
Law aveva parlato con noncuranza, ma qualcosa lo fece tornare all’istante sul chi vive. Uno strano lampo di amarezza aveva appena attraversato gli occhi della sua amica, e non era la prima volta che succedeva da quando la conosceva. Era da anni che Law si mordeva le mani – psicologicamente parlando – nel tentativo di individuarne l’origine, ma non durava mai abbastanza da permettergli di capire. E quella volta non fece eccezione.
Durò solo per un attimo. Katherine sbatté le palpebre e fece una risatina gutturale, sporgendosi ancora e arrivando a un soffio dal viso del suo capitano, e sibilò – Quindi se ho capito bene mi stai dicendo che mi hai fatto lavorare come una schiava per nulla, e che come al solito non hai alcun rispetto per i sentimenti altrui. – un sorrisino sadico le increspò le labbra, si stava già chiaramente pregustando la vendetta - Dammi una sola buona ragione per cui non dovrei evirarti a mani nude proprio qui e proprio adesso.
- Perché sono il tuo migliore amico?
- Sto seriamente pensando di destituirti da quella carica, mio caro.
- Perché sono il tuo capitano?
- Stavo anche pensando di ammutinarmi.              
- Perché il mondo perderebbe un medico dalle capacità ineguagliabili?
- Tsk, non sopravvalutarti. Come medico io valgo esattamente quanto te, bello mio. E poi l’evirazione non comporta necessariamente la morte, se poi la ferita viene trattata adeguatamente.
- Perché hai con me un debito di coscienza grande quanto tutto l’oceano.
Kate stavolta non replicò subito. Quello era stato veramente un colpo basso, Law lo sapeva. Lo fissò negli occhi per diversi secondi, serrando le labbra in una linea durissima e cercando nel suo sguardo i kami solo sapevano cosa. Il chirurgo, per nulla impressionato, si limitò a farle un sorriso serafico.
Alla fine fu lei ad arrendersi, come sempre: si sarebbe gettata in mare piuttosto che ammetterlo, ma se c’era una cosa che proprio non sopportava – a parte il caffè amaro ed essere infastidita mentre lavorava – quella era litigare seriamente con lui. Si raddrizzò con uno sbuffo, lasciando cadere le spalle, e si voltò per non mostrarsi le guance rosse d’imbarazzo per essersi ritrovata ad un soffio da lui senza neanche rendersene conto – Accidenti a te, Trafalgar Law! Proprio nelle tue mani dovevo andare a mettermi!
Law sorrise, estremamente appagato quella reazione - Già, hai davvero buon gusto, dolcezza.
- Che devo sentire! – sbuffò di nuovo la ragazza – Non credere di cavartela così! Me la pagherai in ogni caso! E non chiamarmi dolcezza!
- Ma davvero? Sono proprio curioso di vedere cosa farai, demonio in gonnella!
Kate, che aveva già cominciato ad avviarsi verso la porta, si voltò di scatto verso di lui, fissandolo con aria spaventosamente truce.
Il sorriso del chirurgo scivolò via, insieme ai secondi che passavano silenziosi.
Ops. Forse ho tirato troppo la corda.
- Vedi di non provocarmi troppo, Trafalgar. – mormorò alla fine Kate - Non sia mai che la mia coscienza mi abbandoni, uno di questi giorni. Non è mai una buona idea inimicarsi un medico, dovresti saperlo. Soprattutto se è un medico pirata.
A quelle parole il chirurgo non riuscì a trattenere un ghigno compiaciuto. Fortunatamente aveva reagito contrattaccando come al solito – Lo so. Soprattutto se il medico in questione è uno di noi due, dico bene?
Kate alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa – stai cercando di lisciarmi per farti perdonare.
- Sì, lo ammetto. E dimmi, funziona?
- Assolutamente no! – sbottò seccata la ragazza.
- Bugiarda. Stai sorridendo!
- Non è vero! – Kate si voltò di nuovo coprendosi la bocca con la mano, ma non prima che Law vedesse allargarsi sul suo volto un sorriso dolce e raggiante. Il chirurgo si rilassò sulla poltrona, soddisfatto per la vittoria appena ottenuta.
Non sa proprio resistere ai complimenti.
- Ad ogni modo, cos’è che volevi? Avevi detto di avere altri ordini per me! – chiese Kate continuando a dargli le spalle.
- Oh, sì. Devi andare in biblioteca a prendermi dei manuali di pneumologia, e portarli nella mia cabina.
La dottoressa si voltò nuovamente di botto, e nuovamente offesa - che cosa?! E perché dovrei occuparmi io di un compito così banale?! Non può farlo Shachi, o Pen?
Law ghignò, incapace di resistere alla tentazione di farla incazzare ancora – No, perché io l’ho chiesto a te. Non stare là a cavillare ed obbedisci agli ordini, dolcezza.
- Razza di…. – rantolò Kate con voce strozzata – TI ODIO! – strillò inviperita, per poi lanciarsi fuori dallo studio con la grazia di un carro armato.
Il chirurgo si adagiò sullo schienale della poltrona, ridacchiando soddisfatto.
Ma che bugiarda.
- Maledetto, maledetto, MALEDETTO!
- Su Kate, adesso calmati, ok? – disse Bepo ficcandole in mano una tazza fumante – Lo sai com’è fatto, non devi prendertela.
Kate imprecò per quella che doveva essere la millesima volta mentre si portava la tisana alle labbra – Dannato lui, avrei dovuto picchiarlo!
Bepo sospirò, forse la tisana non era sufficiente a farla calmare. Era il caso di mettersi a preparare i pancakes con lo zucchero e il caramello? Kate li amava alla follia, erano l’unica cosa al mondo capace di farle tornare istantaneamente il buon umore.
È inutile chiederselo, tanto non li so cucinare.
- È un bene che tu non l’abbia fatto, capitano. – dichiarò infine Bepo, non sapendo cos’altro fare.
Kate sbuffò - Bepo, tu e gli altri dovete smettere di chiamarmi in quel modo! Non sono io il capitano di questa ciurma, sono solo il vice…
- Sì, ma in sostanza è come se lo fossi. Hai praticamente la stessa autorità di Law su questa nave…
- Sì, come no, magari. Il capitano di una nave è uno solo, purtroppo. – sospirò Kate.
Bepo fece un gran sorriso - be’, allora va bene che siate in due, no? In fondo questa non è una nave, è un sottomarino!
Kate alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a nascondere una risatina divertita di fronte a quel goffo tentativo dell’orso polare di risollevarle il morale. Tutto sommato aveva fatto bene ad andare in cucina a piagnucolare da Bepo; se non l’avesse fatto probabilmente a quell’ora si sarebbero ritrovati sul fondo dell’oceano per colpa di un altro pugno contro le pareti del Catorcio.
- Oh, così va meglio! – esultò Bepo indicando il sorriso della ragazza – Adesso mi vuoi raccontare cosa è successo?
- Andiamo Bepo, lo sai benissimo cos’è successo. L’ho notato che stavi origliando fuori dalla porta!
- Chiedo scusa… - mormorò Bepo mortificato – e comunque non stavo origliando! Ero solo pronto ad intervenire per evitare che vi picchiaste come al solito! E non provare a dire che non succede poi così tanto spesso!
Kate gli lanciò un’occhiataccia, ma non poté replicare. Era vero che si picchiavano in continuazione, c’era ben poco da negare.
- Be’, riassumendo in poche parole… Law ha annullato la mia missione perché a quanto pare le informazioni sulla Flotta dei Sette che voleva non gli interessano più. – borbottò il medico.
Bepo sobbalzò.
Ma no, non è possibile! A Law quelle informazioni servono eccome! Perché ha mentito a Kate…?! Oh, ma certo. Non vuole metterla in pericolo coinvolgendola nei suoi piani di vendetta prima del tempo… prima che sia pronta…
- Bepo, a che diavolo stai pensando?
- Uh? Niente, niente! – si affrettò a rispondere Bepo, sfuggendo allo sguardo sospettoso dell’amica – Senti, lo so che ci tenevi ad andare in missione. Ma devi avere pazienza… sono sicuro che il capitano aveva le sue buone ragioni per cambiare idea.
- A me è sembrato che lo facesse solo per il gusto di farmi arrabbiare.
- Be’… - fece Bepo in difficoltà - …magari c’entra anche questo…
- Senza magari, ammettilo.
- Ok, sicuramente c’entra anche questo. Però Kate, non prendertela troppo, va bene? Tu sei molto importante per lui, così come lui è importante per te. Lo sai.
A quelle parole la ragazza arrossì visibilmente. Era sempre a disagio quando si parlava di sentimenti o cose simili – non saprei…
- Si che lo sai, Kate. – la interruppe dolcemente l’orso.
- Non voglio parlarne, Bepo.
- Ok, come vuoi – sospirò deluso il navigatore – In ogni caso tu e lui siete una squadra, no? Ergo, dovreste andare d’accordo…
- Ma noi andiamo d’accordo! – protestò Kate – solo… non in maniera convenzionale.
- Lo so, e va bene anche così, credimi. In questi tre anni vi ho visto fare cose insieme che la maggior parte delle persone non potrebbe mai neanche immaginare! Ok, siete entrambi due orgogliosi patologici, è normale che non esprimiate l’affetto che provate come i normali esseri umani…
- Ora sei offensivo, Bepo. – lo interruppe freddamente Kate. Non lo pensava sul serio, ma quei discorsi non le piacevano, e non vedeva l’ora di cambiare argomento.
- Scusa – mormorò, di nuovo mortificato – insomma, ciò che sto cercando di dire è che… non ho mai visto due persone legate come lo siete voi due. Devi solo tenere a mente questo, e andrà tutto bene!
Kate lo guardò dubbiosa – ci proverò. Possiamo parlare d’altro, adesso? Per favore.
Bepo si strinse nelle spalle – non credo che capirò mai né te né lui. State tutto il giorno a discutere tra voi di cose complicate come tracheotomie, strane sindromi, terapie a base di antibiotici ad ampio spettro e altra roba del genere, però quando si tratta di parlare di affetto o amicizia vi inceppate. Che problemi avete?
- È semplice. La medicina e la farmacologia sono scienze esatte, i sentimenti no. – Kate posò la tazza sul tavolo della cucina – Devo andare. Law mi ha chiesto dei libri di pneumologia, e…
- Lascia stare, me ne occupo io. Tu scendi a terra e vai a prendere un po’aria, ok? – Bepo le strizzò l’occhio – non tornare troppo tardi, però. E non metterti nei guai!
- Agli ordini! Grazie Bepo, sei il mio eroe! – esclamò Kate felice, schioccando un bacio sul muso dell’orso – che sarebbe di certo arrossito se avesse potuto -, e si lanciò fuori dalla cucina, incapace di nascondere il sollievo.
Intendiamoci, lei voleva bene a Bepo, e non c’era stato giorno da quando lo conosceva in cui non aveva apprezzato la sua onestà e il suo buon cuore; era il ruolo che lui si era sobbarcato, cioè quello del grillo parlante, che a volte faceva fatica a digerire.
- Un altro caffè doppio, per favore.
Il cameriere annuì con aria poco convinta – Posso portare via le altre tazze?
- Sì, fai pure. – rispose Kate senza alzare lo sguardo dal libro.
Il cameriere impilò con aria da martire le otto tazze che era sparpagliate sul tavolo e lanciò un’occhiata al manuale di psichiatria e psicologia che la ragazza stava leggendo – lei è un medico, per caso?
Kate lo guardò – sì, perché? Hai bisogno di un consulto?
- No, in realtà mi stavo chiedendo… sa dirmi quali conseguenze ha l’eccesso di caffeina?
Kate alzò un sopracciglio, sollevando dal naso gli occhiali da lettura dalla spessa montatura nera per mettere meglio a fuoco il ragazzo - ansia, eccitazione, insonnia, vampate di calore al viso, disturbi gastrointestinali, contrazioni muscolari, irritabilità, battito cardiaco irregolare, agitazione psicomotoria, disorientamento… perché lo chiedi?
Il cameriere le sorrise placido - oh nulla, volevo solo sapere cosa dovrò aspettarmi una volta che lei avrà bevuto il suo nono caffè doppio in meno di due ore.
La donna ricambiò il sorriso con aria beffarda - Il caffè è l’unico luogo dove il discorso crea la realtà, dove nascono piani giganteschi, sogni utopistici e congiure anarchiche senza che si debba lasciare la propria sedia.
- Chi l’ha detta questa? Shakespeare?
- No, l’ho detta io!
Il cameriere sgranò gli occhi – questa frase è sua?!
- No, è di Montesquieu.
- Ma lei ha appena detto…
- So cosa ho detto. Ma tu mi hai chiesto chi l’aveva detto, e io ti risposto. Se volevi sapere chi l’avesse ideata avresti dovuto chiedere “chi l’ha ideata?”, non ti pare? – Kate sorrise angelica – potrei avere il mio caffè doppio ora?
Il cameriere ci mise diversi secondi a riprendersi dallo sbigottimento – A-arriva subito!
- Grazie mille.
Il ragazzo si allontanò, e Kate ridacchiò, risistemandosi sul naso gli occhiali da lettura. Adorava spiazzare e far sentire idiote le persone con ragionamenti deduttivi da bambini dell’asilo combinati ad eleganti sottigliezze e all’applicazione del metodo socratico. Law avrebbe apprezzato moltissimo, anche se era consapevole di sembrare un po’ troppo altezzosa.
Oh be’, l’intelligenza è il mio unico attributo davvero degno di nota, quindi perché essere modesti? E poi così imparerà a farsi i fatti propri.
Si strinse nelle spalle e tornò a studiare il manuale con rinnovato interesse.
… i disturbi dello "spettro bipolare", ovvero i quadri clinici un tempo indicati col termine generico di "psicosi maniaco-depressiva", consistono in sindromi di interesse psichiatrico sostanzialmente caratterizzate da un'alternanza fra le due condizioni contro-polari dell'attività psichica, il suo eccitamento (donde la cosiddetta mania) e al rovescio la sua inibizione, ovvero la "depressione", unita a nevrosi o a disturbi del pensiero tipici delle psicosi…
Un sorriso soddisfatto curvò le labbra della ragazza, mentre si portava alle labbra la tazza che il cameriere le aveva appena portato. Dopo una bella passeggiata un buon caffè e un buon libro di medicina sono ciò che ci vuole.
Era stato un pomeriggio estremamente piacevole. Katherine era scesa a terra ed era rimasta incantata dalla piccola isoletta dove erano attraccati: era un luogo paradisiaco, una specie di romantica fortezza circondata da alte e frastagliate scogliere. La città era parecchio lontana dalla riva, ed era in una valle poco profonda, un viluppo di edifici color miele dai tetti rossi e un groviglio di acciottolate stradine scure e serpeggianti per arrivare in ogni angolo della città. Kate l’aveva esplorata per ore con gli occhi spalancati di meraviglia come quelli di una bambina – era confortante sapere che, anche se aveva praticamente già girato il mondo prima con il padre e poi con Law, era ancora capace di stupirsi della sua bellezza – e ne aveva anche approfittato per cercarsi qualche nuovo libro da studiare; in un negozio aveva scovato quell’ultima edizione con tutti gli ultimi aggiornamenti e i nuovi studi, e, incapace di aspettare quelle due ore che sarebbero state necessarie per tornare al Catorcio, si era sistemata al tavolo di una locanda per cominciare ad esaminare il suo nuovo amico.
Sì, come no. Come se il vero motivo fosse questo. Cattiva Katherine, non si dicono le bugie.
Ovvio che non era quello il vero motivo… Kate in realtà non aveva nessuna voglia di tornare sul Catorcio e seguire le solite imbarazzanti tappe di riappacificazione che seguivano sempre ad un litigio con Law. Andare in cabina ad aspettare che lui la raggiungesse, sentire le sue poco accorate e poco dispiaciute scuse – quando si scusava Law sembrava la voce che annuncia i numeri del Lotto alla televisione -, doversi scusare a propria volta per aver reagito come una psicopatica schizzata, imbarazzo su imbarazzo…
Era una cosa che odiavano entrambi. Fosse stato per loro avrebbero fatto finta di nulla, e sarebbero andati avanti fingendo che non fosse mai accaduto. Parlare di cose astratte e complicate come i sentimenti era una cosa che odiavano entrambi, e se lo sarebbero risparmiato volentieri se avessero potuto… ma dopo anni di amicizia avevano scoperto che le emozioni chiedevano lo scotto di essere manifestate di tanto in tanto, altrimenti diventavano più dannose per l’anima dell’amianto per i polmoni.
Kate era consapevole di essere infantile quando faceva così. Sapeva che la sua era stata una reazione eccessiva, che non avrebbe dovuto essere così sensibile alle provocazioni, e che non c’era niente di strano ad ammettere di essere dispiaciuta per un qualsiasi motivo, o di voler bene a un sociopatico con manie di controllo come Trafalgar D. Water Law…
Sì, capiva tutte le ragioni, solo che… per quanto il suo QI potesse essere alto – e lo era davvero -, riuscire ad ammettere qualcosa di reale e concreto come il fatto che effettivamente condivideva un legame incredibilmente stretto e profondo con quel medicastro di terza mano a volte era davvero difficile, e non solo perché sapeva essere esageratamente odioso.
Forse era perché erano spaventosamente simili, in molti sensi. Erano entrambi troppo orgogliosi, mostruosamente intelligenti, acuti e poco tolleranti con le persone, fastidiosamente schietti e sfacciati, e realisti al punto di sfiorare la crudeltà, e rivedere sé stessi in qualcun altro che non sia un tuo parente può fare paura, specie se hai problemi a gestire le emozioni. O forse era perché, per quante cose potessero avere in comune, e per quanto fossero in sintonia – e lo erano davvero molto, anche se dai loro litigi poteva non sembrare così – Kate non era ancora riuscita a confessare a Law il motivo per cui aveva abbandonato la famiglia tre anni prima, e quel segreto tra loro le pesava sulla testa peggio di una spada di Damocle.
Perché non l’aveva fatto? Ovviamente per orgoglio, come ogni altra cosa che faceva. Law non era il tipo di uomo che provava compassione per i drammi di qualcuno, e tantomeno che la mostrava, ma, Kate ci avrebbe giurato, l’avrebbe provata per lei se avesse saputo. Magari non l’avrebbe manifestata, ma l’avrebbe di certo provata, e Kate non voleva la compassione di nessuno, ma soprattutto non voleva assolutamente la sua. Non avrebbe potuto sopportarlo, ne era sicura.
Era per questo che si era arrabbiata così tanto quando Law le aveva annullato la missione: per un momento le era sembrato di tornare sulla Moby Dick, dove era considerata soltanto una mocciosa ingenua capace solo di curare ferite e malattie varie, e che doveva starsene buona buona in infermeria per evitare di farsi male.
Ma non era solo il suo orgoglio il problema; c’era anche la vergogna. Kate era diventata tutta un’altra persona negli ultimi tre anni, e non solo perché dopo molti sacrifici era diventata una potente combattente. Si sentiva più forte, più sicura di sé, più matura, più audace…
Più vicina alla donna che voleva essere. Più simile alle donne del proprio clan. Più O’Rourke.
E il merito di quel cambiamento così profondo era di una persona sola, anche ad alta voce non l’avrebbe mai ammesso: Trafalgar D. Water Law. E lei non voleva che lui sapesse quanto debole, fragile, insicura e insoddisfatta fosse stata in passato. Non voleva. Quella Katherine era morta il giorno in cui aveva tagliato la corda che teneva sospesa in aria quella barca, ed era giusto che continuasse a riposare in pace.
Ok, basta. Stava diventando patetica, era il caso di darci un taglio. Tornò a concentrarsi sulle nozioni di medicina, quelle sì che erano rassicuranti.
…l'alessitimia, o alexitimia, in psicologia è un disturbo che consiste in un deficit della consapevolezza emotiva, palesato dall'incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi…
Oh andiamo, è una dannata congiura! Pensò infastidita Kate chiudendo bruscamente il libro con un tonfo e gettando con stizza gli occhiali sul tavolo. Quel giorno i kami avevano deciso di accanirsi su di lei o cosa?!
- Ti dico che è proprio vero, amico! L’ho sentito con queste orecchie!
- Mh? – fece Kate, voltandosi nella direzione da cui era venuta l’esclamazione… per poi insaccarsi nel cappotto alzando in fretta e furia il bavero nel tentativo di nascondersi dai due uomini appena entrati nella locanda, colta alla sprovvista.
Che seccatura, ci mancavano solo i Marines!
Non che non fosse in grado di affrontarli, intendiamoci. Avrebbe potuto stenderli entrambi con una mano sola… ma aveva promesso a Bepo di non combinare guai, e aveva intenzione di mantenere la parola finché ne avrebbe avuto la possibilità.
- Ma va’, non è possibile! Vorresti farmi credere che quella recluta è riuscita a ferire a morte un pirata di quel calibro? L’unico che avrebbe qualche probabilità di riuscirci sarebbe uno degli Ammiragli!
Un pirata di grosso calibro ferito a morte…? Interessante! Chi sarà? Kate affinò l’udito.
- Sarà di sicuro una balla… evidentemente non è stata quella recluta a ferirlo, ma un superiore… oppure l’avrà ferito lui, ma di certo non a morte. Sai come sono i pettegolezzi, probabilmente gli avrà fatto un graffio microscopico e poi la vicenda sarà stata gonfiata!
- Gli ha fatto esplodere una granata in faccia! Ti pare possibile che quel delinquente possa essersi fatto solo un graffio microscopico?!
-  Una granata in faccia?! Dici sul serio?!
- Te lo giuro! Pare che questa impresa abbia fatto guadagnare a quel pivello la nomina a Capitano di fregata…
- Ma dai, non posso crederci!
- Credici! Ma era abbastanza prevedibile un esito simile! Ha praticamente ucciso uno dei fedelissimi di Barbabianca! Mi meraviglia che non l’abbiano fatto Contrammiraglio o qualcosa di simile…
CRASH!
Tutti sobbalzarono a quel fragore improvviso, anche la stessa Kate, e nel locale cadde il silenzio.
Senza rendersene conto il medico aveva ridotto in mille briciole la tazza che stringeva in mano, macchiando il libro e la mano di caffè… e sangue, sprizzato dalle ferite che diventavano più profonde man mano che Kate serrava le dita intorno alle schegge superstiti.
Ha praticamente ucciso uno dei fedelissimi di Barbabianca…
Non fece caso al dolore e al sangue, e nemmeno si preoccupò di essere riconosciuta. Scalciò via la sedia, rovesciò il tavolino e camminò a grandi passi verso quei due, con il volto deformato da un’espressione folle.
Non dovevano essere due completi imbecilli, perché percepirono subito il pericolo: il primo, più reattivo, tirò immediatamente fuori una pistola e gliela puntò contro, ma Kate si limitò ad afferrargli il polso e a torcerglielo con un movimento fluido, spezzandoglielo di netto. Il Marine lasciò cadere la pistola e indietreggiò urlando, e Kate con aria annoiata gli dette un leggero buffetto sulla fronte con l’indice, che lo mandò violentemente a sbattere contro il muro. Il rumore della sua schiena che si spezzava, unito a quello delle grida di terrore degli altri avventori, fu la cosa più gradevole che Kate avesse sentito da quando era scesa dal letto quella mattina.
L’altro, quello che stava raccontando quella vicenda con tanto entusiasmo, e che fino a quel momento era rimasto terrorizzato a guardare, si riscosse dallo shock solo quando si rese conto che Kate con la mano ferita aveva raccolto dal pavimento la pistola del collega, e che ora gliela stava puntando tra gli occhi con un ghigno sadico che non aveva nulla da invidiare a quello di un demonio, con tanto di rivoli di sangue che le scorrevano giù per il braccio.
- Temo che tu sia arrivato al capolinea, mio caro. – sussurrò la ragazza leccandosi le labbra.
- L-la p-pre-go, n-non m-mi fac-ccia del m-male…
- Oh, dunque non vuoi morire come il tuo amico? – chiese Katherine fingendosi sorpresa – Sicuro? Guarda che per lui è stata veloce, il dolore sarà durato al massimo per due secondi…
- No, la supplico! Non voglio morire! – implorò atterrito l’uomo.
-  Vedremo, amico. Se continuerai a respirare dipende solo da te…
- Farò qualunque cosa!
- Ottimo, era quello che volevo sentire. – sorrise Katherine senza abbassare la pistola– Ora mi dirai tutto quello che sai su questa storia della recluta che ha ferito uno dei figli di Barbabianca.
Un lampo attraversò gli occhi del Marine – Io non ne so nulla… ok, ok! – strillò quando Kate alzò il cane – Avevamo saputo di questa faccenda pazzesca… ne parla tutta la Marina! Una grossa flotta delle nostre navi era riuscita chissà come a rintracciare la Moby Dick dell’Imperatore, e hanno colto l’occasione per attaccare. Sono stati massacrati, solo un terzo di quelli che erano partiti è riuscito a mettersi in salvo…
- Non mi interessano queste sciocchezze! Voglio sapere quale degli uomini di Barbabianca è stato ucciso!
Il Marine spalancò gli occhi – Non è ancora morto…
- Che cosa?! – gridò Kate incredula.
- Non è ancora morto… ma lo sarà presto. Ho sentito dire che è troppo grave, che per lui non c’è niente da fare…
- Ma chi è?! CHI?! –
Il Marine singhiozzò di paura, ma quando Kate lo guardò come se volesse smembrarlo a mani nude si costrinse a parlare – I-il co-coman-dante d-della Qu-quarta Di-divisione… non s-so quale sia il suo nome…
- Thatch – sussurrò sconvolta Kate, abbassando inconsciamente la pistola.

No. Non può essere…

Come se si fosse sentito chiamato in causa, qualcosa scintillò alla mano del medico.
- AAAAAAH! – strillò qualcuno dei clienti, facendo sussultare di nuovo tutti.
- Che c’è? Che succede?! – chiese spaventato qualcun’altro.
- L’ANELLO CHE PORTA! CONOSCO QUEL JOLLY ROGER! – urlò l’uomo, indicando la mano con cui la ragazza teneva ancora la pistola – È UNA FIGLIA DI BARBABIANCA ANCHE LEI! -
- UNA FIGLIA DI BARBABIANCA?! – ripeterono increduli tutti i presenti.
- SCAPPIAMO! –
Tutti si lanciarono fuori dal locale in preda al panico, terrorizzati solo dall’aver sentito pronunciare il nome del terribile Edward Newgate. Tutti terrorizzati da una ragazza di meno di vent’anni, alta un metro e sessantatré con i tacchi, che per lo shock di aver scoperto che il suo fratello prediletto era in fin di vita aveva cominciato a tremare come una foglia e a singhiozzare senza versare nemmeno una lacrima, che aveva sì appena ucciso un uomo, ma che adesso vacillava per il dolore, con la mano sinistra ancora gocciolante di sangue, indifesa come non era mai stata prima. E tutto solo perché al dito della destra portava un pesante anello d’argento con inciso sopra un teschio con i baffi a forma di mezzaluna, posto su una croce fatta di ossa incrociate, che aveva ricevuto per il suo tredicesimo compleanno e che tre anni prima non aveva avuto il coraggio di togliere.

Thatch…

- Mannaggia, mi sono persa di nuovo!
Kate si guardò intorno, spaesata e preoccupata. Quella nave era veramente immensa, non avrebbe mai immaginato potesse esisterne una così grande!
Quando l’amico della mamma, l’uomo gigantesco che si chiamava “Newgate” l’aveva portata su quella nave il giorno prima, Kate aveva capito immediatamente che sarebbe stata una vera impresa orientarsi là sopra, almeno per i primi tempi; era almeno venti volte più grande di quella della mamma, piena di corridoi che tra di loro sembravano tutti uguali, piena di estranei che sembravano tutti spaventosamente giganteschi in confronto a lei. Kate sapeva che non era una cosa carina da dire visto che non li conosceva, ma aveva un po’ paura di loro.
Perché la mamma l’aveva lasciata lì? Kate continuava a chiederselo, mentre girava sconfortata per i corridoi alla ricerca della cabina del capitano, sperando almeno di poter rivedere un viso amico.
A Kate quell’uomo piaceva, anche se lo conosceva poco; le piaceva il modo in cui le aveva sorriso quando le aveva stretto la mano il giorno prima, sembrava il sorriso di un bambino. Aveva l’aria simpatica, e quando si era accorto che era triste perché la mamma era andata via l’aveva presa sulle spalle e aveva giocato con lei per ore, fino a quando non era riuscito a farla sorridere.
Se solo fosse riuscita a trovare la sua cabina!
- Questa nave è così grande… non riuscirò mai ad orientarmi! – si lamentò la bambina, pestando i piedi a terra per la frustrazione.
- Ehi piccolina, ti sei persa per caso?
Kate saltò in aria lanciando un gridolino, presa alla sprovvista da quella voce grossa che le era arrivata alle spalle, e si voltò in preda al panico per individuare lo sconosciuto.
- Ehi, non devi avere paura! – le disse con un sorriso amichevole il proprietario della voce, mettendole una mano sulla testa – Qui sei al sicuro, te lo garantisco!
- Io non ho affatto paura! – sbottò infastidita la bambina scostandosi dal tocco dell’uomo – Mi hai solo colta di sorpresa, tutto qui!
- Oh, ma guarda! La mocciosa è combattiva!
- Non chiamarmi mocciosa, cafone!
- E come dovrei chiamarti?
- Katherine! O’Rourke D. Katherine!
Il pirata, sentendosi rispondere con tanta veemenza da una bambina di dieci anni, scoppiò a ridere di gusto.
Kate ringhiò offesa, ma poi si soffermò ad osservarlo. Era molto alto e anche muscoloso, poteva avere circa vent’anni, era difficile dirlo. Aveva i capelli castani, pettinati in stile Pompadour, un pizzetto nero e una cicatrice attorno all'occhio sinistro. Vestiva con una divisa elegante, con pantaloni al polpaccio e con una cintura nera in vita, che faceva pensare a…
- Sei un cuoco, per caso? – chiese curiosa Kate, dimenticando per un momento la propria irritazione.
- Niente male! Sei sveglia, O’Rourke D. Katherine! – la sfotté il pirata, per poi chinarsi fino ad arrivare al livello dei suoi occhi – Su, vieni con me. Ti preparo la merenda, che ne dici?
- Grazie, ma non ho… ehi! – esclamò incredula la bambina quando il pirata se la caricò sulle spalle come un sacco di patate – Mettimi giù!
- Su, non fare la timida! Sono molto bravo a cucinare, vedrai che sarai contenta!
Ma Kate non era affatto contenta di quella situazione, e scalciò con decisione lungo tutto il tragitto per farsi liberare. Il cuoco però ignorò del tutto le proteste della bambina, e chiacchierò per tutto il tempo come se nulla fosse.
- Vedrai che sarai contenta di vivere qui! Qui siamo tutti una famiglia, siamo tutti fratelli, figli del capitano Barbabianca! Anche tu, da adesso in poi! Questo significa che ora io sono tuo fratello maggiore, e quindi sarà mio dovere avere cura di te!
Finalmente arrivarono in cucina, e il pirata la depositò direttamente su una sedia accanto ad un tavolo.
- Ora stai lì e non muoverti! – le disse con un gran sorriso, per poi mettersi al lavoro.
Kate incrociò le braccia al petto e gonfiò le guance con stizza, ma obbedì e non si mosse. Aveva capito di avere a che fare con un uomo insopportabilmente testardo, quindi era chiaro che provare a ribellarsi sarebbe stato inutile.
- Ecco qua! – annunciò trionfante il cuoco, mettendole davanti un vassoio.
Kate abbassò lo sguardo su ciò che aveva davanti, studiandolo con curiosità, Sul vassoio era stato sistemato un grosso bicchiere pieno di quello che sembrava essere latte con il cacao, coltello e forchetta, e un piatto contenente qualcosa che Kate non aveva mai visto prima. Era una pila di strani dischi dorati dall’aria morbida e dal profumo incredibilmente dolce, cosparsi da un abbondante strato di zucchero a velo e da quello che sembrava essere del miele dal colore un po’ più scuro del normale.
- Be’, perché non mangi? – domandò perplesso il cuoco.
- Ehm, io… - farfugliò esitante Kate – …come si mangiano questi? – chiese indicando gli strani dischi.
Il pirata strabuzzò gli occhi – Come sarebbe a dire “come si mangiano”? Non mi dire che non hai mai mangiato i pancakes!
- Pancosa? – fece Kate perplessa.
- Pancakes! Oddio, non posso credere che tu non sappia cosa siano, petit! – rise incredulo il pirata, arruffandole i capelli.
Kate scacciò via la sua mano con aria indispettita, per poi replicare sospettosa – Petit?
– “Piccolina” in francese. – spiegò intenerito il pirata, per poi afferrare il coltello e la forchetta che stavano accanto al piatto della bambina e cominciare a tagliare a pezzi i pancakes.
 – Si mangiano come se fossero una fetta di carne, devi dividerli in pezzi.
Quando finì ficcò la forchetta in mano alla bambina, e la invitò implicitamente con lo sguardo a servirsi. Kate assottigliò lo sguardo e infilzò un pezzo di pancake, portandoselo poi alle labbra.
- Buono, eh? – ridacchiò il pirata, divertito dall’espressione della bambina.
Oh, era molto più che buono. Era delizioso, paradisiaco, squisito, magnifico…
Non trovando parole adeguate per esprimersi, Kate si limitò ad annuire con aria estasiata.
Mangiò di gusto tutto ciò che c’era nel piatto, finendo per dare la caccia anche alle briciole, trattenendosi a stento dal leccare il piatto. Quando ebbe finito si alzò e si inchinò leggermente in segno di gratitudine.
- Grazie. Erano davvero buonissimi.
- Non devi ringraziare, petit! – rispose compiaciuto il cuoco, accarezzandole la testa – Ora siamo una famiglia, ricordi?
Stavolta Kate sorrise a quelle parole, e non si scostò dal suo tocco – non mi hai ancora detto come ti chiami, però.
- Giusto! – esclamò il cuoco sorpreso. Sorrise e le tese la mano – il mio nome è Thatch, sono il comandante della Quarta Divisione. Piacere di conoscerti, petit!
Kate rise di quel tono entusiasta, e gli strinse di cuore la mano.
- Il piacere è mio… nii-san.
Nii-san… non è possibile, tu non puoi morire!

Erano scappati tutti, tranne uno. Il Marine superstite non si era mosso, la fissava con occhi spalancati; non sembrava più spaventato da lei, anzi sembrava quasi… dispiaciuto.
- È tuo fratello quello che sta morendo, non è vero? – mormorò l’uomo.
Kate annuì appena, non sarebbe comunque riuscita a parlare.
- Mi dispiace.
Ci vollero diversi secondi prima che Kate riuscisse di nuovo ad aprire bocca – Perché gli altri non fanno niente? Perché dicono che non c’è nulla da fare?
- Dicono che le sue condizioni sono troppo gravi… l’unica cosa che possono fare è aspettare che muoia.
- Aspettare che muoia?!
- A quanto ho sentito dire non hanno un medico a bordo. – spiegò il Marine – ci sono solo delle infermiere, e loro non sanno come intervenire… hanno provato a cercarne uno nell’isola dove hanno attraccato, Banaro, perché lo aiutasse, ma quelli che hanno trovato sono stati categorici: non si può fare nulla, tranne prepararsi al peggio.

Non hanno un medico a bordo. Non faranno niente, staranno a guardare mentre lui ci lascia.

- MALEDETTI, DANNATI INCOSCIENTI! – urlò fuori di sé Kate, facendo sobbalzare l’uomo – COSA DIAVOLO HANNO IN TESTA?!
Senza aggiungere altro Kate uscì a grandi passi dal locale, lasciando il Marine là come un palo.
Non poteva permettere una cosa simile. Non poteva assolutamente. Quegli idioti senza spina dorsale dei suoi fratelli che come al solito non avevano fede potevano anche essersi arresi, ma lei non era come loro. Lei era una piratessa e il miglior medico del mondo insieme a Law, e non si sarebbe arresa nemmeno quando il cuore del fratello si sarebbe fermato. L'avrebbe tenuto in vita, a costo di superare i propri limiti.
I medici hanno detto che non c’è niente da fare. Ma io non sono un medico come tutti gli altri, i miei poteri uniti alle mie conoscenze possono rendere possibile l’impossibile. Lo salverò, a qualunque costo, e poi darò una lezione a quegli irresponsabili dei miei familiari per aver anche solo pensato di abbandonare nostro fratello al suo destino.
Sono sicura che Law capirà, e mi aiuterà. Con il suo aiuto sarà un gioco da ragazzi.




Angolo autrice:
Buonasera a tutti!
Questa è la mia prima storia su questo fandom, quindi sono un po' emozionata! :)  Immagino che questo capitolo vi abbia lasciato un bel po' di domande - diciamo pure che molto probabilmente non ci avete capito una mazza XD - ma vi assicuro che già dal prossimo capitolo tutto comincierà a chiarirsi!
La storia è ambientata in un punto imprecisato prima degli eventi di Alabasta. Il raiting probabilmente cambierà man mano che la storia procede.
Non voglio fare spoiler, ma posso dirvi che nel prossimo si capirà qualcosa di più su come le strade di Kate e Law si sono incrociate dopo il ritiro della dottoressa dalla ciurma di Barbabianca - e si approfondirà meglio la natura del loro rapporto - e vedremo anche di approfondire le vere capacità del medico, e che ruolo abbia avuto esattamente Law nel suo cambiamento -
Non voglio anticipare altro, lasciatemi una vostra opinione, e vi ringrazio per essere arrivati fino a qui! :D
Un bacio grande! <3
Tessie_chan
P.S.: Molto lieta di conoscervi! :D
P.P.S. Vi allego un piccolo disegno di Kate. Spero vi piaccia! :D


 Image and video hosting by TinyPic
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Tessie_chan