Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: hibou    10/06/2017    0 recensioni
Tirò un cassetto del vecchio mobile facendo forza con la mano, il quale scricchiolando e raschiando contro il legno consumato dalle termiti si aprì con non poca difficoltà, mostrando il proprio contenuto avvolto in un panno e custodito con cura agli occhi emozionati del giovane ragazzo. Lo prese e se lo pose in grembo, carezzando con le dita la vecchia e ruvida copertina di pelle.
Lo aveva trovato per sbaglio, sbirciando tra i vecchi bauli e ben nascosto tra le cianfrusaglie lasciate dagli avi. Aveva capito subito che si trattava di un oggetto proibito, probabilmente unico al mondo. Soggiogato dalla curiosità, aveva immediatamente spiato al suo interno, tuffandosi nei colori, nel profumo e nella sensazione tattile che solo un libro antico e portatore di segreti sapeva regalare. Le pagine ingiallite dal tempo erano decorate con splendide immagini di luoghi mai visitati, cartine geografiche di paesi inesplorati e creature animalesche dagli aspetti bizzarri, contornati da esaustive descrizioni in una scrittura lontana e aulica.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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atlante

Atlante

 

 

 

 

Faceva caldo, un caldo soffocante.

 

“Armin, esco a stendere il bucato”.
Alzò la testa e con un sorriso annuì alla madre, vedendola sparire oltre la porta di servizio, l’ingombro del cesto dei panni tra le mani. Una volta rimasto solo si lasciò sfuggire un respiro profondo, godendosi la tranquillità della casa vuota.
Era una calda giornata primaverile, il sole filtrava dalle tende accostate alle finestre e rifletteva giochi di luce sul legno del tavolo da pranzo. Bevve dal bicchiere accanto e, ultimato il suo pasto, si apprestò a rassettare la sala. Non che ci fosse molto da fare: non potevano permettersi grandi quantità di cibo e, di conseguenza, le stoviglie da lavare erano poche e quasi sempre linde. Ogni briciola era un dono dal cielo per la sua famiglia e a fine banchetto i piatti risultavano talmente bianchi da non sembrare appena utilizzati. Sistemò gli utensili nei ripiani appositi e spiò la madre nel cortile: a giudicare dalla quantità di lenzuola aggrovigliate nella cesta, ce ne avrebbe messo di tempo.
Con un sorriso soddisfatto, corse alla volta del piano superiore cercando di non attirare l’attenzione del genitore all’esterno, il rumore concitato dei passi attutito dal vecchio tappeto. Attraversò il corridoio difilato e, individuata la porta, saltò gli ultimi scalini rimasti a due a due, fermandosi con sacralità al principio dell’angusta stanza. Gli piaceva immergersi nella vecchia soffitta di casa.
L’ambiente era piccolo e scuro, granelli di polvere si sollevavano e volavano al minimo movimento, creando un’atmosfera magica in cui il tempo sembrava scorrere con un ritmo proprio, dilatandosi e allungandosi a suo piacimento. Non era particolarmente ingombra, anzi: di generazione in generazione, i componenti della famiglia si erano passati mobili, attrezzi ed ogni altro oggetto utile alla vita quotidiana con cura e rispetto, riciclando ciò che era riutilizzabile e recuperando ciò che veniva rotto o risultava troppo antiquato. Erano poveri, i mezzi a disposizione erano pochi ma, in fin dei conti, non gli era mai mancato nulla. In
casa, perlomeno.
Un paio di bauli e alcune cassette di legno erano ordinatamente impilati nella parete di fondo, un vecchio armadio, uno scrittoio e diverse sedie bisognose di un restauro erano state poste alla sua destra, occupando gran parte della superficie.
Si avvicinò alla scrivania su cui passava ore a leggere, indisturbato e protetto in un mondo tutto suo, illuminato dalla debole luce solare che si infilava dalla piccola e unica finestra tonda come un oblò. L’aria era pesante, il caldo avvolgente si depositava e concentrava all’interno della stanza tanto da togliere il respiro e costringerlo a spalancare l’apertura in modo da far circolare un po’ di ossigeno. Era da quella piccola fessura circolare che spiava la strada e la vita scorrere all’esterno, quando l’oppressione si faceva più avvolgente e i sentimenti traboccavano dalle palpebre. Ogni tanto, dall’alto della sua postazione, immaginava d’essere il capitano di una nave, impervio e coraggioso, che sfidava tempeste e cavalloni anomali in nome della scienza, portando alto il vessillo della scoperta e sfidando il blu oscuro e sconfinato dell’
oceano.
Tirò un cassetto del vecchio mobile facendo forza con la mano, il quale scricchiolando e raschiando contro il legno consumato dalle termiti si aprì con non poca difficoltà, mostrando il proprio contenuto avvolto in un panno e custodito con cura agli occhi emozionati del giovane ragazzo. Lo prese e se lo pose in grembo, carezzando con le dita la vecchia e ruvida copertina di pelle.
Lo aveva trovato per sbaglio, sbirciando tra i vecchi bauli e ben nascosto tra le cianfrusaglie lasciate dagli avi. Aveva capito subito che si trattava di un oggetto proibito, probabilmente unico al mondo. Soggiogato dalla curiosità, aveva immediatamente spiato al suo interno, tuffandosi nei colori, nel profumo e nella sensazione tattile che solo un libro antico e portatore di segreti sapeva regalare. Le pagine ingiallite dal tempo erano decorate con splendide immagini di luoghi mai visitati, cartine geografiche di paesi inesplorati e creature animalesche dagli aspetti bizzarri, contornati da esaustive descrizioni in una scrittura lontana e aulica. Narrava di distese di sabbia lunghe chilometri, in cui le condizioni della vita erano impervie se non impossibili; continenti circondati dal ghiaccio, immense calotte bianche galleggianti, case di orsi bianchi – bianchi! Non bruni come i più comuni – e strani volatili che si muovevano su due zampe; di estese pozze d’acqua salata, dimora di pesci grandi come abitazioni, profonde tanto da poter sommergere montagne e con onde più scure del cielo buio della notte. L’
oceano.
Quel giorno si strinse forte al petto il vecchio tomo, tesoro prezioso e gemma lucente di un terreno arido, decidendo di non farne parola con nessuno in casa.
Ed ora, seduto alla scrivania, il caldo rarefatto del sottotetto ad inumidirgli la nuca bionda, si tuffò nuovamente nella privata contemplazione del libro seguendo con le falangi le pieghe del rivestimento marrone scuro e screpolato, piccoli granelli di pelle che si depositavano al contatto; inciso sulla facciata principale, sotto la grande scritta de
L’Atlante Geografico, l’immagine in rilievo di un essere gigantesco, umanoide, intento a sorreggere sulle possenti spalle una grande palla di terra e acqua, il mondo. Un mondo completamente diverso da quello che conosceva, da quello narrato dai libri di scuola. Un mondo tondo, come lo era anche il suo, ma non circondato da lunghe mura bensì da catene montuose con valichi percorribili e cime da scalare. Un mondo composto prevalentemente dall’azzurro dell’acqua e non da quello del cielo, costretto a rimirare come un quadro, la costante cornice bianca a rammentargli i propri confini.
Una piega gli solcò la fronte nello seguire il bordo di quell’essere forte e teso, un immagine che fin dalla prima occhiata lo aveva affascinato e intimorito. A guardarlo bene, le sembianze potevano parere quelle di una persona, però…
Il cuore gli rimbalzò nel petto e deglutì un malloppo d’aria. Un brivido gelido corse lungo la colonna vertebrale, restituendogli una sensazione di sgradevole disagio che si espandeva dalla punta dei piedi fino al capo.
Non ne aveva mai visto uno in vita sua e sperava vivamente non dovesse mai accadere, eppure… gli sembrava decisamente un
titano quello costretto a sorreggere il peso del mondo, a reggere eternamente sulle spalle la Volta Celeste.
Scosse la testa e si strinse il libro tra le braccia, lo sguardo alla finestra, oltre il vetro appannato e lontano sulla sagoma della candida cinta. Si passò una mano alla fronte imperlata di sudore, il caldo gli stava decisamente dando alla testa. Vide l’amico di sempre ciondolare lungo la strada, seguito dall’ombra onnipresente della ragazzina sua compagna di avventure e di vita. Svoltarono l’angolo e sparirono dalla sua silenziosa ispezione, probabilmente diretti al fiume. Depose il tesoro nel suo scrigno e saltò con i piedi a terra, deciso a raggiungerli.
Erano gli unici con i quali poteva condividere i suoi pensieri.



L’aria rarefatta della sera era carica di aspettative.
Il colore vermiglio del cielo rappresentava alla perfezione l’atmosfera tesa ed elettrica che li circondava, sembrava promettere lingue di fuoco e pioggia di braci ardenti. Armin si riscosse e fu come svegliarsi da un sogno, dovette sbattere le palpebre ripetutamente per recuperare appieno le proprie facoltà mentali. Il ricordo era giunto prepotente e inaspettato, lo aveva percepito vivido e vicino, come un’esperienza appena vissuta e non lontana negli anni. Si sentiva indolenzito e stanco fino al midollo, avrebbe dato qualsiasi cosa per immergervisi nuovamente e ritrovarsi a casa, nella soffitta, il vociare ovattato delle persone sulla strada, la madre a stendere in cortile. Il libro.
Guardò avanti a sé, le urla delle persone nelle orecchie e i passi vibranti dei giganti che si dirigevano verso le mura. Tra le case diroccate, i rivoli di fumo e le scie dei sistemi di manovra tridimensionale, lo vide sollevare il pesante masso e caricarselo sulle spalle con un urlo cavernoso, gutturale e profondo tanto da risuonargli nella cassa toracica e fargli fremere le ginocchia.
Il caldo soffocante gli appiattiva i capelli sul viso e sulla nuca, avrebbe voluto affacciarsi al suo piccolo oblò e refrigerarsi al dolce spirare del vento, spiare gli amici fidati come fece quel giorno, ma non vi erano finestre nelle mura su cui era appeso.
Vide Eren, lontano, muovere un primo passo incerto, la testa titanica piegata contro la dura scorza della roccia. Nuovamente padrone di sé, proseguì lentamente verso la breccia nel muro, le immense braccia tremanti.
Deglutì vistosamente Armin, le sopracciglia contratte e gli occhi carichi di muta determinazione. Il loro piccolo mondo era stato nuovamente violato, i limiti sormontati e il flebile equilibrio spazzato con l’imposizione di una mano. Come un fiume alla deriva, l’esterno si era riversato senza sosta nelle fragili sponde della loro esistenza, riorganizzando i confini e fondendo la loro isolata civiltà in una terra unica.
Non mosse lo sguardo, lo tenne fisso sul lento proseguire del titano con alle spalle il peso del mondo, farsi strada tra i detriti, le vite spezzate e i sogni infranti, lento ma inesorabile contro il male, la speranza dell’umanità stretta tra le braccia.
Il ricordo dell’Atlante leggero nella mente, la vista dell’oceano sempre più vicina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Nella mitologia greca, Atlante è il nome del titano costretto a sorreggere il peso della volta celeste per l’eternità.

Grazie per l’attenzione dedicatami, auguro a tutti un buon weekend. ^^
Un bacio

hibou.

  
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