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Autore: Gagiord    14/06/2017    3 recensioni
{ hurt/comfort | 1705 words }
[Questa storia partecipa al contest “Caffè o Tè?” a cura di Fanwriter.it!]
[..]s’innamora ogni giorno di più quando, la sera, lui gli chiede di che colore senta il suo timbro e Koushi continua a ripetergli che va dal rosso al marrone, che lo rasserena ed elimina tutto il nero e il bianco che altri suoni gli recano.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Iniziativa:Questa storia partecipa al contest “Caffè o Tè?” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 1705
Prompt/Traccia: 8 ~ Quarto caffè della giornata.




Shades of red

 

 

 

 

 

 

 

 

Il soffio del vento contro la finestra di vetro è di un giallo tenue, quasi bianco.
Koushi odia il bianco: è accecante, gli dà fastidio. Non è come il bianco delle lenzuola su cui è steso; lo sa, anche se non può vederlo con i suoi occhi.
Il rombo dei motori delle macchine sotto di lui è verde petrolio, quasi nero.
Il nero è ancora peggio: assorbe tutti gli altri colori, gli impedisce di avere davanti agli occhi i suoni che altrimenti non saprebbe a cosa associare. È il nero che gli ha fatto trascorrere la maggior parte degli ultimi due anni in ospedale; fino ai ventun anni c’erano stati i suoi genitori ad assisterlo in quasi ogni situazione, ma all’arrivo della maggiore età di Koushi i permessi concessi dai loro datori di lavoro erano drasticamente diminuiti e lui si era ritrovato a fare i conti con l’autonomia che aveva sempre guardato come se fosse irraggiungibile. Non che gli fosse dispiaciuto, affatto. Aveva fatto finta di apprezzare tutte quelle preoccupazioni per lui, ma, in realtà, non c’era volta in cui la frustrazione non avesse preso il sopravvento sulla gratitudine.
Certo, l’autonomia è anche alquanto ostica. Koushi se n’era reso conto per la prima volta quando una crepa nel marciapiede gli aveva provocato una storta al piede, e poi se n’era assicurato con tutti i pali che aveva preso di petto: può sentire i colori, ma ciò non rende meno insostenibile la sua cecità.
«Vado a prendere un caffè.»
Daichi si sente terribilmente in colpa. Le poche ore in cui non è impegnato con l’università sta con lui, ma sa che non sono sufficienti a prevenire i suoi frequenti incidenti. Sa anche che Koushi non sopporta tutte quelle attenzioni e che si sente più responsabile di chiunque altro.
Gli carezza dolcemente una mano mentre si alza; la sua voce tende verso un marrone rossiccio, caldo e rassicurante. «Tu non ti muovere, mi raccomando.»
Daichi è sempre il primo a precipitarsi da lui, qualunque cosa accada. Koushi quasi non ha il tempo di farsi visitare che già lui è lì, con le sue parole tranquillizzanti e le sue mani grandi e protettive. Questa volta, però, è stato seduto in sala d’attesa per due agonizzanti ore, ad aspettare che l’operazione finisse, perennemente sull’orlo di un attacco di panico.
Quando è venuto a conoscenza dell’incidente che Koushi aveva avuto con una motocicletta e che era stato trasportato d’urgenza all’ospedale più vicino, ha fatto il più rapidamente possibile. A quanto pare non è abbastanza, gli è passato per la mente, mentre si passava nervosamente le mani tra i capelli corvini. Nemmeno un assistente che, a metà dell’intervento, gli ha detto che il ragazzo non correva alcun rischio e che la probabilità di uno pneumotorace Daichi non sapeva cosa fosse e tuttora è fermamente convinto di non volerne cercare la definizione era stata azzerata del tutto.
Alla fine, Koushi è stato ricoverato con fratture composte di due costole asternali e una scomposta della tibia.
Il ragazzo gli rivolge un sorriso triste. «Non potrei comunque» dice con un filo di voce, una nota di amarezza appena percettibile. «E poi, Daichi, è il quarto caffè che prendi oggi e sono ancora le quattro, non pensi di esagerare?» Non c’è nessun tono di rimprovero nella sua voce, ma aggrotta la fronte in un cipiglio preoccupato.
Daichi lo guarda Koushi per poco non percepisce il peso del suo sguardo su di sé e gli sorride. «Tu come lo vuoi il tè?»
Sospira, rassegnato. «Dovresti andare al bar…»
«Ci vado, infatti» afferma con risolutezza Daichi, poi si avvicina al giovane e gli posa un bacio tra i capelli chiari e morbidi. «Se non posso portarti dal tè, allora porto il tè da te, no?»
Koushi alza un sopracciglio. «Era un gioco di parole orribile.» Scoppia a ridere di cuore, nonostante il dolore al petto lo stia facendo impazzire.
Daichi sorride ancora una volta, gli occhi incantati e fissi sul suo compagno. «Quindi prendo il solito?»
«Sì, ma… con la tazza come fai? Ne rubiamo una?» ridacchia lui, ironico.
Daichi alza gli occhi al cielo. Certe volte non sopporta proprio quel suo attaccarsi ai dettagli. Lo sa, è la paura di affidare più di quanto voglia agli altri, sebbene Daichi non perda mai occasione per ricordargli che a lui non grava nulla della sua situazione anzi, s’innamora ogni giorno di più quando, la sera, lui gli chiede di che colore senta il suo timbro e Koushi continua a ripetergli che va dal rosso al marrone, che lo rasserena ed elimina tutto il nero e il bianco che altri suoni gli recano. «Ho con me la tua tazza preferita, quella con le orecchie da coniglio rosa» tiene a sottolineare, con una sfumatura vivace nella voce.
Koushi s’immagina subito Daichi al bancone che richiede del tè in quella tazza ridicola i suoi genitori gliel’hanno regalata un giorno dell’inverno dei suoi cinque anni, quando ancora poteva vedere e si sbatte la mano del braccio privo della flebo sulla fronte, trattenendo a stento una risata. «Ti butteranno fuori» lo avverte, le labbra piegate in su.
Daichi alza ancora una volta le spalle, afferra in gesto rapido lo zaino grigio Eastpak che di solito contiene il materiale con cui studia quando Koushi si lascia abbracciare da Morfeo. «In tal caso, andrò in un altro.»

Chi gli ha indirizzato occhiate torve, chi allibite, chi invece ha riso; in ogni caso, Daichi non è passato per niente inosservato: camminare a grandi falcate – quasi correva – con un piccolo bicchiere di plastica e una grande tazza rosa e azzurra non era il miglior modo per non farlo, comunque.
«Sei pazzo.» Koushi ride, soffia sul liquido bollente e si riscalda le mani infreddolite dall’aria secca e gelida della stanza.
«Forse,» gli concede Daichi, poi beve tutto d’un sorso il suo espresso, «ma il tè ti arrivato ed è ancora caldo.» Gioca distrattamente con il bicchierino ora vuoto, mentre osserva il compagno sorseggiare la bevanda con flemma. «Come va?» gli domanda dopo qualche minuto.
I lineamenti di Koushi s’incurvano ancora una volta in un sorriso mesto, quasi amaro, e Daichi giura che pagherebbe oro pur di non vederne più sul suo volto; immediatamente, però, riprende la sua vitalità, quasi volesse spazzar via i pensieri dell’altro. «Bene…»
«… Ma?»
Koushi sospira e si sistema meglio contro il cuscino duro e ruvido tipico degli ospedali, attento a non far traboccare il tè dalla tazza e a non gravare troppo sul petto. «Be’, sai che non potrò mai stare del tutto bene in questa situazione» commenta, e finalmente sul suo viso sboccia un sorriso sincero, di quelli in grado di stordire totalmente il suo ragazzo. «Ma va bene così, davvero.»
«Non va bene così.» Gli prende la mano libera e, per quanto voglia stringerla forte, si limita a muovere delicatamente il polpastrello del pollice sul suo dorso. «Si può essere felici anche in queste condizioni, ma devi volerlo tu.»
«Io sono felice, Daichi» asserisce Koushi con fermezza, la bocca ormai diventata una linea sottile, poi china leggermente il capo. «Però...»
«Non c’è nessun “però”.» Daichi si alza dalla sedia di plastica solo per tornare a sedersi sul letto del giovane, sperando di non causare fastidio; si umetta le labbra, come a dover valutare bene le parole. «Non puoi vivere nella costante paura di far qualcosa di sbagliato e di doverti affidare alle altre persone. Fatti aiutare come tu aiuti loro.»
«Non sarebbe “aiutarmi”, come dici tu.» Si morde il labbro inferiore, impugna ancora più fortemente la tazza. «Mi sono fatto aiutare per tutta la vita, ora vivrei alle spalle degli altri!»
Daichi si protende lievemente verso il suo ragazzo. «Quante cose ti hanno insegnato i tuoi genitori, Koushi?» gli chiede con una dolcezza inaspettata, leggera, mentre continua ad accarezzargli la mano pallida. «Sei sempre stato intelligente e sensibile, e di sicuro non avrai avuto problemi ad imparare un sacco di cose sul mondo intorno a te.»
Koushi aggrotta le sopracciglia, non capendo dove Daichi voglia andare a parare.
«Invece, a certi ragazzi bisogna dare un appoggio perché comprendano meglio quello che li circonda…» prosegue, non riuscendo a non abbozzare un sorriso davanti all’espressione dell’altro. «E a te, quell’appoggio, è servito a qualcos’altro. Ma tutti abbiamo bisogno di un aiuto, Koushi, e tu non fai eccezione, ed è inutile che continui a rifiutarlo,» stavolta, , gli afferra la mano e quasi non la strizza, «perché alcuni sono così cocciuti da continuare ad offrirtelo.»
Un singhiozzo scappa dalle labbra di Koushi, s’imprime nella sua testa con un tenue grigio. Due lacrime calde cominciano a scendere lungo le sue guance, ma vengono subito portate via dalle dita affusolate e lunghe di Daichi; subito dopo, sorride. Un sorriso luminoso, pregno di emozioni e di gratitudine, che l’altro non può non ricambiare, sebbene Koushi non possa vederlo. «Daichi...» lo chiama, la mano va a cercare il suo viso. Qualche secondo e trova l’angolo della sua bocca, che sfiora lentamente con i polpastrelli, finché non sente qualcosa di appiccicoso. Si porta la mano vicino al naso: un odore forte e acre gli arriva alle narici, poi scoppia a ridere sotto gli occhi increduli di Daichi.
«Ehi, che c’è?» gli domanda, quasi allarmato.
Koushi scuote un po’ il capo, ridendo ancora. «Eri sporco di caffè.»
Daichi espira rumorosamente l’aria che ha trattenuto per secondi. Accartoccia il bicchierino che ancora teneva in mano il rumore si tinge di una sfumatura accesa e fastidiosa di giallo , poi lo tira dentro il cestino dei rifiuti.
Ciò ricorda a Koushi che non sono nemmeno le 17:00 e quello è già il quarto espresso della giornata. «Ma poi stanotte riesci a dormire?»
Si china su di lui sempre con la maggiore prudenza: Daichi ha troppa paura di fargli male e lo bacia.
Koushi non sa spiegarselo; benché non abbia mai collegato automaticamente il tatto ad un colore, quando Daichi lo bacia lui riesce a vederne uno solo: rosso. Rosso intenso, deciso come lui.
Daichi si allontana appena, prende a scrutare tutti i dettagli del viso del suo ragazzo: il neo vicino all’occhio sinistro, gli zigomi poco accennati, la curva del sottile naso… Sorride nel sentire il respiro di Koushi sulle sue labbra. «Be’, saprò comunque cosa fare.»


Salve! Allora, comincio col ringraziare infinitamente Fanwriter.it per questa stupenda iniziativa, che ha oltretutto fatto venire fuori fiction davvero belle. Passo al ringraziare la dolcissima _ A r i a per aver betato la storia e per avermi fatto cambiare punto di vista su di essa (ancora grazie <3). Grazie anche a voi, che dalla prima storia che ho pubblicato qualche giorno fa mi avete fatto sentire tutta la vostra calorosa accoglienza. <3
Ora, andiamo alla fic! Lo so, lo so, ieri è stato il compleanno di Suga e io ho regalato al mio personaggio preferito quest'orribile fine. Ma non pensate che per me sia stato facile, perché per poco non mandavo all'aria tutto e andavo ad abbracciare lo schermo. :'D A parte il fatto che, quando l'ho finita, mi faceva piuttosto schifo ‒ però, come detto prima, Aria mi ha fatto ricredere ‒, soprattutto per l'IC.
La shot dovrebbe essere ambientata in una specie di modern!AU, senza club di pallavolo e cose varie. Insomma, Koushi e Daichi non sono mai stati compagni di scuola né di club, ma si sono incontrati in un altro modo (giuro che un giorno ci scriverò una storia, che conterrà anche l'incidente per il quale Suga ha perso la vist-- no ciao vado a piangere sob). "Sentire i colori" è un "dono" ‒ chiamiamolo così, nonostante Koushi, qui, lo odi ‒ che ha invece sin dalla nascita; questo è un rarissimo fenomeno, chiamato cromoestesia, in cui l'individuo associa automaticamente un suono ad un colore.
Bene, penso di aver detto tutto! Che dire? Spero proprio che vi sia piaciuta e che magari lascerete una parere piccolino-ino-ino. ~ Alla prossima! :3

Baci
Shizuha

  
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