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Autore: Machaira    20/06/2017    2 recensioni
Dal secondo capitolo.
Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
[…] “Che cosa volete?” chiese secco.
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
(sempre) dal secondo capitolo.
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno, uno qualunque di voi, facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. […] Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Michonne, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15
 
Quando Rick arrivò in centrale non si stupì di vedere tutta la squadra già pronta; nessuno era nel proprio ufficio ed evidentemente aspettavano solo lui dato che, non appena varcò l'ingresso, sei paia di occhi lo fissarono. C'erano tutti: Juliet era già dietro al bancone con le cuffie e il microfono appesi attorno al collo, e il monitor di tracciamento delle automobili pronto sul piano sgombero.
 
Accanto a lei c'era Maggie che aveva preso un giorno di ferie proprio per controllare che andasse tutto bene alla sua sorellina; se non fosse successo nulla, sarebbe rimasta a casa anche il giorno successivo o quello dopo ancora. Le sembrava strano non vedere da così tanto tempo la sua Beth; bene o male, anche se il lavoro le teneva occupate, a casa riuscivano sempre a scambiare qualche parola la sera.
 
Jesus e Abraham sarebbero stati la seconda squadra; per l'occasione il primo aveva anche dato prova della sua sobrietà in modo da non compromettere la missione - alleggerendo un po' l'atmosfera tesa che si era creata quella mattina. Per il resto avevano dovuto avvertire un altro distretto, chiedendogli di mettere a disposizione delle volanti in caso di bisogno. Miracolosamente, avevano accettato senza problemi. Quando la sera prima Rick le aveva parlato della missione, Michonne aveva insistito per voler partecipare e dare una mano, ma il vicecapitano era stato irremovibile e l'aveva obbligata a stare a casa per rimettersi dalla febbre. Alla fine lei aveva accettato solo a patto che lui l'avvisasse in caso di novità.
 
La squadra principale invece sarebbe stata composta da lui, ovviamente Daryl e... Glenn. Volevano dare nell'occhio il meno possibile, in modo da non essere riconoscibili da miglia di distanza grazie all'automobile e alle sirene blu e rosse, quindi la sera prima avevano chiamato il fattorino e gli avevano chiesto di portargli la macchina “aziendale”; ripensare alla scena lo faceva ancora ridere.
 
 
Erano nel parcheggio sul retro della centrale, il sole era già tramontato da un po' e il crepuscolo stava svanendo nei primi raggi della luna. Aspettavano Glenn da almeno mezz'ora e non capivano proprio perché ci mettesse tanto. Rick stava quasi per richiamarlo quando una macchina svoltò l'angolo e accostò di fronte a loro.
 
“Ehi!” li salutò il guidatore dopo aver abbassato il finestrino.
 
“Si può sapere dov'eri?” gli chiese l'agente.
 
“Be' scusate se ho un lavoro!” li rimbeccò Glenn.
 
“Mmm...” mormorò Daryl. “Qualcosa di più appariscente no? Mancano solo le luci.” berciò sarcastico osservando l'auto a pochi passi da loro; era un'utilitaria giallo senape con una scritta rossa a caratteri cubitali - “Totò Sapore”*1 - sulla portiera.
 
“Ce le ho, eh!” lo contraddisse, schiacciando un pulsante sul cruscotto. Immediatamente dei led rossi che contornavano la scritta cominciarono a lampeggiare a intermittenza, lasciando gli altri due uomini allibiti. “E non avete ancora visto niente!” aggiunse, procedendo nel parcheggio. Fece inversione in modo da mostrare l'altro lato della macchina, su cui - Rick e Daryl se ne accorsero solo quando questa si avvicinò al lampione - c'era stampata la facciona sorridente di un uomo cicciottello con i pollici in su.
 
“Noi dovremmo andare in giro con questa roba?” domandò Daryl sconcertato.
 
“Io la uso tutti i giorni! Se volete una fuoriserie, chiedete aiuto a un avvocato!” sbottò Glenn, esasperato.
 
“No, no va benissimo! Puoi prestarcela, quindi?” aveva detto l'agente, fermando ogni diatriba sul nascere.
 
 
Rick si avvicinò al bancone e dopo un saluto generale chiese: “Notizie di Beth?” Si voltò automaticamente verso Daryl, che scosse la testa. Quasi quasi si stupiva che non gli si fosse svitata dal collo e la portasse sotto braccio, dato che nell'ultimo giorno si era espresso per lo più così.
 
“Be, in ogni caso tra poco si farà sentire, quindi teniamoci pronti; forza ragazzi!” incitò la squadra, prima di andare verso il suo ufficio seguito dall'amico.
 
Si richiusero la porta alle spalle e si sedettero ai rispettivi posti; dovevano solo aspettare un segnale della ragazza per intervenire.
 
“Come stai?” Rick glielo chiese senza malizia, senza preoccupazione o senza quel tono serio pieno di sottintesi; era una semplice domanda, con la quale il suo amico gli stava chiedendo davvero come stesse; apprezzava in particolar modo questo suo aspetto. Lo guardò negli occhi per un istante infinito, sicuro che avrebbe capito, e chiuse il tutto con un'alzata di spalle.
 
“Dovrai dirglielo prima o poi.” riprese, continuando a guardarlo.
 
“Mmm...” mugugnò; nemmeno lui sapeva se fosse un sì o un no. “Pensiamo a tirarla fuori dal casino in cui si è messa. Di proposito.” sottolineò infine.
 
“Secondo me siete carini insieme.” gli sorrise Rick a quel punto; ecco, quando ci si metteva era un vero e proprio stronzo.
 
“Sì, sì come ti pare.” lo liquidò, nascondendo l'imbarazzo dietro il ciuffo di capelli lunghi, ma riuscì comunque a vedere l'altro che scuoteva la testa mentre sorrideva sotto i baffi.
 
Rimasero in silenzio; paradossalmente il clima era contemporaneamente più rilassato e più teso rispetto al giorno prima. Erano preoccupati perché forse quella sarebbe stata davvero la volta buona per chiudere quella storia, ma contemporaneamente Beth sarebbe stata in pericolo; d'altra parte però, Rick aveva notato un'espressione meno triste, rispetto al giorno prima, negli occhi dell'amico.
 
Improvvisamente, il suo cellulare iniziò a squillare; Daryl alzò di scatto lo sguardo e lo osservò impaziente. Rapido come un fulmine, il vicecapitano lo prese dalla tasca e l'osservò. Sullo schermo spiccavano tre parole che lo lasciarono paralizzato.
 
Generale H. Greene
 
Come se si fosse scottato, lasciò andare il telefono che ricadde sulla scrivania con un tonfo sordo. L'altro uomo si sporse per guardare chi stesse chiamando e dopo aver letto si ritrasse, rilassandosi nella sedia.
 
“Oh no! Io non so niente! Non ho visto niente!*2” esclamò Rick mettendosi le mani nei capelli.
 
“Dovrai farlo prima o poi.” gli fece il verso Daryl.
 
Maledizione, se non avesse risposto avrebbe potuto chiamare Maggie o, ancor peggio, la stessa Beth! E, conoscendolo, se non fosse riuscito a mettersi in contatto con nessuno, non ci avrebbe messo cinque minuti a piombare in centrale. Non poteva permetterlo, assolutamente! Intanto la suoneria andava spedita e le note incalzanti di “Action Packed”*3 rimbombavano nella stanza.
 
“Cristo! Rispondi almeno per farla smettere!” sbottò Daryl, quando a coronare il tutto si aggiunse anche il coro. Odiava quella canzone; prima di lavorare in centrale, non l'aveva mai sentita in vita sua. E ne avrebbe fatto volentieri a meno anche dopo: erano due mesi che ogni volta che chiamavano il vicecapitano, la voce squillante di Ronnie Dawson gli perforava i timpani.
 
Rick lo osservò poi chiuse gli occhi, inspirò profondamente, aiutandosi con le mani per scandire il ritmo del respiro e, afferrato il cellulare come se fosse una sorta di mostro, rispose.
 
“Pronto?” disse in tono neutro e controllato, cercando di risultare il più naturale possibile.
 
“Rick, ragazzo! Come stai? Pensavo non rispondessi più!” lo salutò Hershel.
 
“Sì, ho fatto appena in tempo; avevo lasciato il telefono in ufficio.” si giustificò.
 
“C'è Beth?” domandò l'uomo dall'altra parte del telefono. Oddio, sapeva che rispondere era una pessima idea! Quell'uomo doveva aver venduto l'anima al diavolo in cambio dell'onniscienza! Eppure era stato attento a non far trapelare nulla! Calma; finché non l'avrebbe dichiarato colpevole doveva negare: negare fino alla morte. E come gli avevano insegnato in Accademia, se anche l'avesse scoperto, piuttosto che cedere al nemico, meglio l'autodistruzione.
 
“È in bagno, signore.” rispose tentando di non far trapelare la sua agitazione.
 
“Oh bene, così possiamo parlare tranquillamente. Allora, come sta andando lo stage?” chiese in tono pratico.
 
“Benissimo!” disse Rick sollevato, con un po' troppa enfasi. Infatti proseguì subito. “È davvero molto brava.” confermò con tono serio e deciso. “Quando io non ci sono sta spesso con Juliet, la centralinista, o con Paul..a, l'addetta all'archivio.” inventò di sana pianta.
 
“Bene, bene. E non sa niente del nostro piccolo accordo, vero?” indagò.
 
“Assolutamente. Sta...” lasciò la frase in sospeso, indeciso su che parole usare. “Sta decisamente entrando nel mondo della polizia a piccoli passi.” mentì, forzando un sorriso falso per essere più convincente.
 
“Un giorno diventerà una grande agente.” concordò con orgoglio il padre della ragazza. Il vicecapitano trattenne a stento un mugolio nervoso e si limitò a mormorare qualcosa in assenso. “Bene, ora devo andare. Mi raccomando, tieni d'occhio la mia bambina: la affido a te.”
 
Rick avrebbe giurato di poter sentire la presenza della spada di Damocle oscillare sulla sua testa; se quell'uomo avesse saputo...
 
“Certo, non si preoccupi.” lo salutò e poi, finalmente, finì la chiamata. Lasciò il cellulare sulla scrivania, appoggiò la schiena sulla poltrona e liberò il sospiro che non si era accorto di trattenere.
 
“Allora?” domandò Daryl dopo qualche istante. Quella telefonata gli aveva quasi fatto dimenticare il motivo per il quale si trovava lì: non aveva mai visto l'amico così tanto in difficoltà e, inutile dirlo, quel siparietto l'aveva divertito.
 
“Tuo suocero è un maledetto cane da tartufo: quell'uomo fiuta il momento peggiore in cui farsi sentire.” rispose sconcertato l'altro, scuotendo la testa.
 
Daryl nascose un sorriso e poi rimasero in silenzio. Dopo una mezz'ora, il suo cellulare vibrò.
 
Da: Beth
Sono appena arrivata in negozio. State pronti, vi faccio sapere appena posso.
 
§§§
 
Quella mattina, come la precedente, Beth si era svegliata per tempo in modo da prepararsi, e si era premurata di chiamare un taxi che la accompagnasse prima in pasticceria e poi da Nico. Per l'occasione aveva rubato a Kelly un paio di jeans neri a vita alta, una maglia svasata giallo chiaro e un golfino in tinta ma di tonalità più intensa. Proprio in quel momento l'auto aveva accostato di fronte all'entrata del negozio di fiori. Pagò il tassista ed entrò.
 
“Permesso?” si annunciò, guardandosi attorno mentre cercava la sagoma del ragazzo. Nessuno le rispose. Posò i due caffè e la busta sul bancone, poi mandò il solito messaggio a Daryl e Rick in cui li avvisava di essere arrivata, e cominciò a girare per il negozio chiamando il ragazzo.
 
“Nico?” ormai lo chiamava già da un paio di minuti e lui non sembrava esserci. Lanciò un'occhiata alla porta del magazzino che aveva visto il giorno prima e notò che era socchiusa. Doveva buttarsi; magari non avrebbe trovato nulla o magari sì. Non l'avrebbe mai saputo se non si fosse data una mossa. Si fece coraggio e velocemente, ma con cautela, si avvicinò. Si guardò intorno e sbirciò; nello spiraglio tra lo stipite e la porta poteva vedere solo uno stanzino buio, rischiarato leggermente dalla luce delle lampadine sopra di lei. Nel piccolo stanzino c'era un tavolo che sembrava apparecchiato; sopra c'erano un piattino, una tazza, un bicchiere alto da succo e delle posate. Due pancake erano avanzati nel piatto più grande e accanto c'era una bottiglia. Aguzzò lo sguardo e non ebbe dubbi. Non poteva essere...
 
Proprio mentre stava per fare un passo avanti, un rumore alle sue spalle la fece trasalire e ritornò velocemente di fronte al bancone d'entrata, fingendo di essere appena arrivata. Pochi secondi dopo sentì la voce del ragazzo dire qualcosa e richiudersi la porta sul retro alle spalle.
 
“Nico?” lo chiamò sicura che a quel punto l'avrebbe sentita. Intanto, ora che lui non poteva vederla, scrisse velocemente un breve messaggio. Avrebbe aspettato ad inviarlo solo quando fosse stata sicura della sua intuizione.
 
A: Shawn.
Sono sicura, è qui.
 
“Daisy, arrivo subito!” le rispose Nico da qualche metro di distanza. Appena questo comparve nella sua visuale, lei non lo mollò un attimo, osservando attentamente ogni sua mossa. Mentre andava verso di lei era passato vicino alla porta del magazzino e con nonchalance l'aveva chiusa con un piccolo calcio. “Scusami, sei arrivata da tanto?”
 
“No, sono appena entrata, tranquillo.” gli sorrise dolcemente, dandogli un bacio sulla guancia.
 
“È passato un fornitore e ho dovuto aiutarlo a scaricare; lavora sempre da solo.” si giustificò lui.
 
“Non c'è problema, ho immaginato.” disse comprensiva “Facciamo colazione?” chiese indicando i due caffè e il pacchettino posati sul bancone.
 
“Certo!” rispose entusiasta, per poi andare a liberare una sedia per lei.
 
“Ecco qui.” disse Beth mentre tirava fuori tre piccoli pancake da una scatolina di plastica. “Ho preso le stesse cose di ieri, per andare sul sicuro.” proseguì tranquilla, mentre metteva 'in tavola' le ultime cose e si sedeva al suo posto. “Ho anche espressamente chiesto alla cameriera se ci fosse traccia di sciroppo d'acero ma mi ha assicurato di no, quindi... buon appetito.” gli sorrise, guardandolo negli occhi.
 
“Grazie mille, sei stata molto dolce a preoccuparti; in effetti, se lo mangiassi la faccia mi si gonfierebbe come un melone!” le rispose, ridendo.
 
Lei sorrise a sua volta, ma dentro di sé esultò; aveva ragione! Non poteva esserci solo lui lì, altrimenti non avrebbe potuto spiegare la presenza degli avanzi della colazione sul tavolo del magazzino e soprattutto quella che inequivocabilmente era una bottiglia di sciroppo d'acero ancora mezza piena. Scommetteva che non era di Nico, ma di Chacòn, anche perché glielo aveva appena confermato: se l'avesse ingerito avrebbe avuto una forte reazione allergica. E si fidava di quello che le aveva detto, non aveva senso mentire su una cosa tanto banale.
 
Sbloccò il cellulare e rapidamente premette il tasto “Invio” prima di bloccarlo di nuovo e posarlo accanto a sé sul bancone. Chiacchierarono per qualche minuto quando la suoneria del cellulare di Beth risuonò nel negozio.
 
“Non rispondi?” le domandò lui curioso.
 
“Non mi sembra il caso dato che sono qui con te.” rispose titubante.
 
“Per me non c'è problema, fai pure.” le sorrise.
 
“Forse dovrei... insomma, Shawn non mi chiama quasi mai...” finse un'espressione preoccupata e si alzò dallo sgabello; si allontanò di pochi passi e poi rispose.
 
“Pronto Shawn, tutto bene?” chiese.
 
“Rispondi solo sì o no a quello che ti chiederò ora.” la voce familiare di Rick le entrò nell'orecchio e, per un momento, avvertì come un nodo allo stomaco. Sentiva la mancanza di tutti loro.
 
“Non mi disturbi, dimmi: che è successo?” domandò di nuovo.
 
“Sei sicura che lui sia lì?” mormorò l'uomo dall'altra parte.
 
“Sì. Mi aveva detto che non era in forma.” aggiunse giusto per non far insospettire il ragazzo a qualche metro da lei che la osservava con interesse.
 
“È solo una sensazione?” indagò di nuovo.
 
“No, no; all'epoca il veterinario aveva detto di non aver trovato nulla in particolare.” scosse la testa, con espressione concentrata.
 
“Ne hai le prove?”
 
“Certo. Immagino...” sussurrò dispiaciuta.
 
“D'accordo, noi arriviamo entro dieci minuti. Pensi di riuscire a trattenerlo?” chiese con urgenza.
 
“Sì, se ci sono novità fammi sapere.” Rick chiuse la chiamata in quel momento, ma lei finse il contrario. “Va bene, ciao.” concluse dopo una pausa.
 
Quando ritornò al bancone si sedette di nuovo sullo sgabello di legno e con un sospiro posò il cellulare vicino al bicchiere di caffè.
 
“Tutto bene?” domandò Nico con cautela.
 
“Sì... insomma.” scosse la testa. “Era mio fratello; Otto, il cane di mia madre, sta morendo. La vecchiaia, sai.” precisò. “Era inevitabile, ha compiuto tredici anni il mese scorso, ma lei ci soffre perché è l'unico ricordo che le rimane di mio padre. Da quando è venuto a mancare, si dedica anima e corpo alla salute di quel cagnolino. Era stato lui a regalarglielo, ne aveva voluto uno sin da quando era piccola.” raccontò con dolcezza, cercando di non pensare a quale sarebbe stata la reazione di Hershel se avesse mai dovuto sentire quella storiella.
 
“Mi dispiace... vuoi andare?” domandò comprensivo.
 
“Ma no, là non sarei d'aiuto e se anche tardassi di cinque minuti non cambierebbe molto. Ormai siamo qui, quindi finiamo la colazione; non mi sembrerebbe giusto lasciarti qui così.” disse convinta.
 
Nico accettò, facendole comunque capire che non ci sarebbe rimasto male in caso avesse voluto raggiungere la madre. Beth sospirò ed osservò l'orologio appeso alla parete. Dieci minuti. Doveva resistere dieci minuti.
 
§§§
 
“Forza, è il momento! Dobbiamo andare!” Rick stava correndo giù dalle scale, seguito dai colleghi che man mano lo sentivano urlare per la centrale. Affianco a lui poteva vedere Daryl con la coda dell'occhio, che si stava precipitando al piano di sotto con la sua stessa urgenza.
 
Arrivati di fronte al bancone aveva detto a Juliet di avvisare l'altra centrale; subito la ragazza aveva indossato le cuffie col microfono e, dando le spalle ai colleghi, aveva digitato velocemente il numero al telefono. Fortunatamente il Distretto 15 si trovava quasi a metà strada tra il Distretto 23 e il negozio di fiori quindi le squadre di supporto li avrebbero aspettati all'incrocio poco distante e non appena li avessero visti passare, li avrebbero seguiti.
 
Maggie intanto, che era rimasta accanto a lei cercando di tranquillizzarsi, aveva spalancato gli occhi velati dal timore non appena aveva sentito il trambusto provenire dalle scale. Aveva fatto un cenno risoluto alla centralinista - non sapeva se volto a rassicurare la ragazza o sé stessa - e poi era corsa nel parcheggio sul retro, insieme agli altri agenti.
 
Era visibilmente tesa e il fatto che, in quanto medico, non avrebbe potuto partecipare all'operazione la faceva sentire anche peggio. Giusto pochi minuti prima si era confidata con Juliet, ammettendo quanto fosse frustrante essere lasciata indietro e non poter aiutare attivamente; si sentiva terribilmente impotente. Si riscosse allontanando i brutti pensieri,  cercando di riporre fiducia - come sempre - nei colleghi che conosceva quasi da quando aveva cominciato a lavorare.
 
Si stavano preparando a partire: dalla cima della piccola scala che collegava la porta di servizio al parcheggio, vedeva tutti come un generale che prepara le sue truppe alla battaglia. Daryl era saltato sulla macchina gialla di Glenn, posizionandosi al posto del guidatore senza chiedere niente a nessuno; non che qualcuno si sarebbe azzardato a dirgli qualcosa. Anche se la maggior parte delle persone non sapeva il motivo, quel giorno il consulente del Distretto 23 emanava una sorta di aura che trasudava negatività e forza. Il fattorino, nonché proprietario del mezzo, era salito velocemente posizionandosi sui sedili posteriori, mentre Rick coordinava le ultime cose, rivolgendosi a gran voce alle altre due volanti davanti a sé. Infine annuì rivolto alla sua squadra, per poi voltar loro le spalle. Prima che il vicecapitano se ne andasse, Maggie gli aveva lanciato uno sguardo che poteva significare una cosa sola: riportala qui sana e salva. Lui le rispose velocemente facendole un cenno col capo, per poi salire sull'utilitaria color senape.
 
Rick aveva avuto a mala pena il tempo di sedersi e chiudere la portiera, che Daryl era partito sgommando. Poteva percepire chiaramente la tensione e il nervoso dell'uomo al volante: le mani erano strette attorno allo sterzo e si muovevano con gesti nervosi, nonostante la guida - miracolosamente - non ne risentisse. I suoi occhi non mollavano mai la strada e la fronte era corrugata in un cipiglio concentrato; era un fascio di nervi in quel momento.
 
Dietro di loro, nel sedile che normalmente avrebbe occupato Beth, c'era Glenn. In quanto proprietario dell'auto aveva insistito per seguirli e, nel caso le cose si fossero messe male, avrebbe potuto garantire loro la copertura. Sperava solo che non ce ne fosse bisogno.
 
Rick aveva concordato con Abraham e Jesus che le squadre 1 e 2 avrebbero preso un'altra strada in modo da bloccare l'entrata principale ed intrappolare eventuali fuggitivi, mentre lui, Daryl e Glenn avrebbero imboccato la via che li avrebbe portati sul retro del negozio. Pochi secondi dopo infatti, Rick vide le due volanti alle loro spalle svoltare a sinistra mentre Daryl, con la stessa urgenza che l'aveva contraddistinto fino a quel momento, aveva sterzato verso destra.
 
Ma appena qualche secondo più tardi fu costretto a frenare bruscamente, facendo stridere i freni e strisciare le ruote sull'asfalto. Probabilmente, se non fosse stato per lui, in quel momento si sarebbero ritrovati spiaccicati sul rimorchio del camion che Rick non aveva notato fino all'ultimo. Il contraccolpo lo aveva portato avanti di scatto per poi farlo ricadere nel sedile una paio di secondi dopo e, una volta ripresosi, aveva allungato il collo fuori dal finestrino per vedere quanto si estendeva la coda di auto imbottigliate nel traffico dinanzi a loro: troppo. Semplicemente troppo.
 
“Cazzo!” sbottò Daryl in preda alla frustrazione, colpendo il volante con i pugni chiusi.
 
“Ehm... non potremmo accendere la sirena?” domandò cautamente Glenn, che per tutto il viaggio era rimasto vigile sul sedile, reggendosi a qualsiasi appiglio trovasse e lanciando qualche occhiata scettica all'autista.
 
“No.” rispose Rick. “Oltre al fatto che su questa macchina non l'abbiamo messa, in linea d'aria siamo troppo vicini e l'obiettivo riuscirebbe a sentirci. Dobbiamo trovare un altro modo.” mormorò guardandosi attorno in cerca di una via d'uscita.
 
Daryl era tornato a stringere le mani attorno al volante e aveva iniziato a tamburellare le dita in segno di impazienza. La situazione non accennava a migliorare e dopo aver sbuffato, sussurrò “Eccolo l'altro modo.” Senza preavviso sterzò bruscamente fino a salire sul marciapiede alla loro destra, facendo ondeggiare l'auto.
 
“Daryl!” aveva urlato Rick dalla sorpresa, afferrando per riflesso la maniglia della portiera.
 
Ma il diretto interessato non fece nemmeno una piega; aveva stretto il labbro inferiore tra i denti e, sollevandosi nel sedile per vederci meglio, aveva raddrizzato la vettura per poi cominciare ad avanzare - seppur molto più lentamente di come avrebbe voluto. Per sua fortuna, il marciapiede era piuttosto largo e riuscivano a starci quasi completamente, ma evidentemente doveva aver calcolato male le misure dato che, pochi secondi dopo, lo specchietto di destra cozzò contro il muro e, dopo aver inequivocabilmente strisciato sulla superficie ruvida producendo un rumore acuto e fastidioso, si staccò di netto.
 
“Oddio, è saltato!” esclamò Glenn in panico. Se il suo datore di lavoro avesse visto la macchina in quel momento...
 
Si erano portati più avanti rispetto a prima, erano a poco più di cinquanta metri dal famoso incrocio da cui sarebbero partite anche le altre volanti, ma Daryl fu costretto a frenare di nuovo. Di fronte a loro una vecchina scheletrica, che doveva avere come minimo ottant'anni, gli bloccava la strada mentre cercava di raccogliere una mela che le era caduta dalla piccola borsa appesa a una delle maniglie del girello.
 
“Porca troia!” esclamò Daryl, colpendo il clacson con forza. Il suono fu piuttosto prolungato (giusto il tempo che ci volle a Rick per afferrare il braccio dell'amico e allontanarlo faticosamente), ma la vecchietta non sembrava averlo sentito minimamente.
 
“Adesso la investo.” aveva detto lapidario l'autista, cominciando ad accelerare. Rick tirò il freno a mano e la macchina si fermò con un sussulto, facendoli di nuovo sobbalzare nei sedili. “Siamo in ritardo!” esclamò l'altro, voltandosi furioso verso di lui.
 
“Aspettate, ci penso io.” li interruppe Glenn. Senza aggiungere altro scese dall'auto e si diresse verso la donna, che non era ancora riuscita a raccogliere il frutto da terra. Dall'interno dell'abitacolo lo videro scambiare poche parole con lei, raccogliere quella maledetta mela, e aiutarla ad attraversare. Quando la donna fu dall'altra parte della strada, il fattorino corse verso di loro e risalì in macchina.
 
“Prego.” esclamò mentre richiudeva la portiera. Gli sembrò quasi vedere Daryl fargli un cenno, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, anche perché quello rimise immediatamente in moto l'auto e con uno scatto percorse tutto il marciapiede.
 
Quando arrivarono quasi alla fine della via, Rick vide che il semaforo era giallo. Presto sarebbe stato verde per le macchine che percorrevano l'altro senso e, se avessero girato quando non era il loro turno, si sarebbero trovati falciati.
 
“Daryl, è giallo. ” lo ammonì. “Non possiamo. Daryl... Daryl!” Il tono era cresciuto sempre di più, finché non urlò. Ma il pilota non sembrava voler cedere e, anzi, prese ancora più velocità; era appena scattato definitivamente il rosso quando sterzò bruscamente, accostandosi al muro. La macchina si sbilanciò leggermente, perdendo aderenza sul terreno e finì per strusciare tutta la fiancata destra contro il muro - che il vicecapitano non aveva mai visto tanto da vicino fino a quel momento.
 
Riuscirono appena in tempo a raddrizzarsi nella corsia, prima che il traffico ripartisse.
 
“Le portiere! Daryl, hai strisciato tutta la fiancata!” si sporse leggermente dal finestrino, mentre l'aria gelata gli sferzava il viso. “L'insegna è mezza staccata! Mi stai distruggendo la macchina! Anzi, non è nemmeno mia; il capo mi ucciderà!” urlò nel panico il fattorino.
 
“Pago io.” rispose l'altro imperturbabile. “Adesso tieniti.” ed accelerò pericolosamente diretto verso quel maledettissimo negozio di fiori.
 
“Sempre se riusciamo a sopravvivere...” sussurrò scettico Glenn mentre allacciava la cintura di sicurezza.
 
§§§
 
Beth era quasi sorpresa che l'orologio appeso alla parete di fronte all'ingresso fosse ancora al suo posto e non fosse caduto sotto il peso del suo sguardo insistente. Quindici minuti. Era passato un quarto d'ora da quando Rick l'aveva chiamata e lei davvero non sapeva più con che scusa trattenersi in negozio. Aveva finito la colazione molto lentamente, troppo, riempiendo l'aria di chiacchiere per cercare di prolungare la sua presenza il più possibile.
 
Eppure non poteva fare a meno di continuare a guardare quel maledettissimo orologio, le cui lancette scorrevano nel quadrante molto più lentamente di quanto non avessero mai fatto. E Nico se ne era accorto.
 
“Sei sicura di non volere andare?” le aveva chiesto appena dopo cinque minuti dalla chiamata. Lei aveva minimizzato, dicendo che doveva ancora finire la colazione, nonostante ormai stesse fingendo di bere dal bicchiere di caffè vuoto e le restasse solamente il cornetto della brioche.
 
Alla fine Nico si alzò sparecchiando e poi la accompagnò sul retro dove - così lei gli aveva detto - sarebbero arrivati a prenderla. In realtà aveva specificato che la sua amica sarebbe passata a un paio di vie di distanza, ma uscendo dalla porta dei fornitori si sarebbe accorciata di un bel pezzo la strada, così lui non aveva avuto niente da ridire.
 
Anche arrivati fuori nell'aria fredda, Beth si perse in chiacchiere per concedere tempo a quei due - a cui avrebbe fatto sicuramente una ramanzina più tardi. Ad un certo punto, non sapendo proprio più che dire, mormorò solamente: “Devo andare...” in modo dolce.
 
In realtà aveva notato come, da un paio di minuti a quella parte, Nico le stesse guardando le labbra. Cercò di prolungare il più possibile il momento: rimasero di fronte alla porta, immersi nel silenzio interrotto solo dai rumori lontani della via attigua, a guardarsi. Lui la studiava e lei - che grazie a Dio, aveva ascoltato i consigli di Maggie negli ultimi anni - cercava di riprodurre il più fedelmente ciò che aveva imparato dalla sua sorellona: essere sfuggente, ma poi ricatturare lo sguardo, allontanarsi e poi riavvicinarsi.
 
Rimasero a fare tira e molla per un minuto che le parve infinito, ma improvvisamente lui abbassò lo sguardo imbarazzato, grattandosi il mento con il pollice in un gesto nervoso. Stava per parlare, ma se l'avesse fatto l'avrebbe lasciata andare e Beth non poteva assolutamente permetterlo, così si affrettò a precederlo: “E questo bacio? Non vuoi darmelo?” chiese dolcemente, ma con un po' di malizia.
 
Nico alzò di scatto gli occhi su di lei, guardandola stupito e contento allo stesso tempo. Si avvicinò lentamente e quando fu a solo un palmo dal suo naso, Beth gli sorrise debolmente come per incoraggiarlo a proseguire.
 
Quando lo vide avvicinarsi sentì una strana sensazione nel petto; ma dove diavolo era Daryl? Non sarebbe mai voluta arrivare a tanto, e non lo avrebbe fatto se loro fossero stati puntuali! Il ragazzo di fronte a lei posò delicatamente le labbra sulle sue, cominciando a muoverle piano. Erano fredde, fu tutto quello che riuscì a notare lei. Si sentì leggermente a disagio quando lui le mise una mano sul fianco, per tenerla più stretta a sé, ma si era rilassata subito sperando che lui non l'avesse notato. Per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi aperti; di solito lei non era tipa da bacio ad occhi spalancati, ma quello infondo non era nemmeno un bacio vero. Il ragazzo che la stringeva fra le braccia invece sembrava piuttosto preso; aveva gli occhi chiusi in una smorfia rilassata, e lo sentiva mentre respirava il suo profumo.
 
Improvvisamente lui si scostò da lei, interrompendo bruscamente il bacio, tanto che rimase per un attimo immobile, non capendo cosa stesse succedendo. Ma quando dall'auto a pochi metri da loro vide balzare fuori Daryl e Rick, capì il motivo della reazione del ragazzo.
 
Attorno a loro c'erano almeno cinque volanti - quindi ad occhio e croce dovevano esserci almeno una decina di agenti -  senza contare la macchina da cui erano appena spuntati i suoi Duke. Quanto l'avevano fatta aspettare! Ma il lieve sorriso spontaneo che non si era nemmeno accorta di avere in volto, si spense quando si sentì prendere per le spalle e strattonare all'indietro.
 
“Fermi! Fermi o la ammazzo!” urlò Nico agli uomini che li circondavano. Beth sentì la canna ghiacciata di una pistola  posarsi sulla sua tempia e istintivamente portò le mani sul braccio del ragazzo che la tratteneva. Come se servisse a qualcosa. Come diavolo aveva fatto a non accorgersi che era armato? L'aria sembrò farsi stranamente densa e le azioni sembravano compiersi a rallentatore. Tutti erano immobili; nessuno sembrava voler cedere.
 
“Fatemi passare o giuro che le sparo!” minacciò di nuovo, indicando con un cenno il furgoncino con stampata l'insegna del negozio a pochi passi da loro. “Levatevi!”
 
Beth fece correre gli occhi sugli agenti di fronte a sé, finché non incontrò quelli di Rick. Lui la fissò intensamente e dopo aver girato la pistola in modo che la canna puntasse verso terra, portò le mani in alto. “Non fate niente.” disse risoluto agli altri agenti. “Lasciatelo passare.” Loro gli obbedirono, abbassando le pistole ed allontanandosi di qualche passo.
 
Beth ebbe a mala pena il tempo di scambiare un'occhiata con Daryl. Quasi le salirono le lacrime agli occhi quando vide che non la stava perdendo d'occhio nemmeno per un attimo. Aveva guardato in quelle iridi azzurre e per la prima volta vi aveva trovato la paura. Durò solo un attimo perché quando lui si riscosse, rendendosi conto che lei lo stava fissando, la sua espressione era cambiata di nuovo. Forza. Se in quel momento avesse dovuto descrivere cosa le trasmetteva l'uomo dietro la portiera spalancata, avrebbe senz'altro detto forza.
 
Tentò di accennare un sorrisino prima di essere trascinata via completamente dalla sua visuale. Temeva di non essere stata molto convincente, ma sperava che a lui bastasse. Non riuscirono a dirsi nient'altro: Nico la trascinò verso il furgoncino verde scuro e la spinse sul sedile del passeggero, sbattendo la portiera con uno tonfo sordo.
 
Gettò una rapida occhiata nell'abitacolo attorno a sé, alla ricerca di qualcosa che potesse esserle utile, ma non riuscì a trovare niente e appena prima che potesse aprire il vano portaoggetti, il ragazzo era salito e aveva messo in moto. Con una guida incerta, uscì dalla via diretto chissà dove. Aveva gli occhi fissi sulla strada, la mano destra saldamente ancorata al volante, mentre la sinistra reggeva la pistola con cui la stava tenendo ancora sotto tiro.
 
Non capiva dove stessero andando e la cosa la innervosiva, ma si sentì contemporaneamente più tranquilla e più agitata quando il rumore delle sirene esplose alle sue spalle, e vide l'utilitaria gialla in testa alle altre volanti. Tranquilla perché non l'avevano lasciata e agitata perché non sapeva fino a che punto avrebbe potuto spingersi Nico sotto pressione. Bene, ci sarebbe stato tempo per avere paura e per cedere al panico, ma non era quello il momento.
 
“Fanculo.” sbottò lui, osservando nello specchietto retrovisore. “Mi hai proprio fottuto, eh biondina?” le disse con cattiveria, rinforzando la presa sull'arma con cui la stava minacciando. Beth rimase zitta per non far peggiorare la situazione; si limitò a tenere sotto controllo la pistola nera che sembrava osservarla come un serpente segue l'incantatore.
 
Improvvisamente, Nico portò entrambi le mani sul volante e sterzò bruscamente, infilandosi in una vietta che Beth non aveva notato fino all'ultimo. Il furgoncino aveva sbandato talmente tanto che aveva temuto si ribaltasse, e aveva lasciato andare un piccolo urletto spaventato. Proseguirono sempre più velocemente con le volanti alle calcagna, ma il ragazzo non sembrava volersi arrendere.
 
Forse a causa del suono delle sirene, le macchine rallentavano lasciandoli passare, ma un paio di volte rischiarono di tamponare questa o quella macchina. Durante un'altra sterzata improvvisa, Beth aveva ringraziato il cielo che in quel momento non ci fosse nessuno su quell'angolo di marciapiede perché, in caso contrario, dubitava che chiunque sarebbe riuscito ad uscirne indenne.
 
Ormai avevano raggiunto la periferia; lì le strade erano più strette ma meno affollate e riuscivano a muoversi con più facilità; probabilmente sarebbero riusciti anche a nascondersi più facilmente. Un brivido di paura le percorse la schiena; se c'era una cosa che la intimoriva più di essere costretta nell'abitacolo con quel ragazzo, era essere un suo ostaggio permanente. Non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se davvero Nico avesse seminato gli agenti alle loro spalle.
 
Beth era talmente presa dalle sue paure che non si accorse di nulla finché non alzò gli occhi. Una macchina sbucata da una delle vie secondarie gli aveva tagliato la strada, costringendo il ragazzo a sterzare per non fare un frontale. Nico aveva dovuto frenare o sarebbero finiti contro la recinzione di un campo da calcio, e le aiuole li avrebbero bloccati definitivamente.
 
In un momento di distrazione, il ragazzo accanto a lei aveva abbassato la guardia - e la pistola - osservando nello specchietto le volanti che rallentavano, fermandosi a pochi metri da loro. Senza nemmeno pensare a cosa stava per fare, Beth prese la canna lucida dell'arma, abbandonata nella mano di Nico e cercò di portargliela via.
 
Pessima scelta. Lui era molto più forte di lei e, anche se solo con una mano, riusciva a metterla in difficoltà. Si sentiva quasi come quando al campo estivo facevano la gara di tiro alla fune. A volte lei sembrava avere finalmente la meglio, ma il secondo dopo lui riguadagnava terreno. Il tutto si svolse in una manciata di secondi, probabilmente gli agenti dietro di loro non erano nemmeno scesi dalle volanti.
 
Ma Beth commise un errore. Pensando di riuscire ad avere più presa sull'arma, cercò di ruotarla tra le dita del ragazzo che, facendo forza per non lasciarla andare, strinse. Un colpo partì improvvisamente, e la mano di Nico fu liberata da qualsiasi resistenza.
 
§§§
 
Appena Daryl aveva sentito Rick ordinare di lasciare andare quel ragazzetto, con lei, avrebbe voluto tirare un pugno a qualcuno; meglio ancora se proprio all'amico. Ma quando, mentre si stava girando verso di lui già pronto a fare il diavolo a quattro, aveva rintracciato gli occhi di Beth, non era riuscito a fare nient'altro che ricambiare quello sguardo così spaurito che non sembrava avere nessuna intenzione di lasciarlo andare. La osservò finché quel figlio di puttana non la fece salire sul furgoncino e sparì alla sua vista. In men che non si dica anche il ragazzo si nascose nell'abitacolo, uscendo spedito dalla via.
 
Dopo un momento si voltò verso il vicecapitano che già stava tornando in auto. Dall'interno del negozio proveniva molto rumore; non aveva dubbi che la sua chiacchierona ci avesse visto giusto. Scommetteva che proprio in quel momento Abe e Jesus stavano mettendo le manette attorno ai polsi di Chacòn.
 
Ma non era ancora finita. Salì velocemente in auto e partì, alla volta di quel cazzo di camioncino su cui lo stronzo teneva Beth. Si accorse che in auto c'erano solamente lui e Rick solo quando gettò un'occhiata nello specchietto, per controllare le due volanti dietro di loro. Quasi come se gli avesse letto nella mente, l'altro gli disse: “Glenn è rimasto. Non mi sembrava il caso di coinvolgerlo ulteriormente.” Daryl si limitò ad annuire distrattamente.
 
Faceva scorrere gli occhi ovunque, cercando un qualsiasi segno che il furgoncino verde a cui davano la caccia fosse passato di lì, e anche se all'inizio Rick si era un po' lamentato, aveva abbassato tutti i finestrini, in modo da essere meno isolati dalla strada.
 
L'aria ghiacciata e sferzante aveva raffreddato l'abitacolo; il vento gli muoveva i capelli tirandoli all'indietro e, data la velocità a cui erano costretti, gli si insinuava dappertutto. Immaginava che fosse esattamente quella la sensazione di chi fa un bagno nudo in Alaska, ma non poteva importargli di meno in quel momento.
 
Si permise di tirare un sospiro di sollievo non appena riuscì a trovare il furgoncino, ma poi tornò immediatamente concentrato sulla loro missione.
 
Grazie alle sirene, le altre macchine rallentavano leggermente o accostavano in modo da lasciarli passare - anche se sospettava che Rick avrebbe avuto il suo da fare per giustificare un'utilitaria senape con il logo di una pizzeria che sfrecciava per la città a più di cento chilometri all'ora.
 
Durante quella corsa impazzita, a cui le sirene e le voci che gracchiavano dalla radio della polizia facevano da sottofondo, aveva sentito in un paio di momenti una fitta di paura esplodergli nel petto. Non era di sé che si preoccupava, ma quel coglione - tra le altre cose - non sapeva nemmeno guidare e non gliene sarebbe importato di meno se in quel momento non ci fosse stata Beth con lui.
 
Era almeno un quarto d'ora che guidavano e avevano appena raggiunto la periferia. Lo irritava non poter vedere cosa stava succedendo nell'abitacolo del mezzo davanti a loro, ma doveva mantenere la calma se non voleva combinare qualche stronzata.
 
Non capì subito per quale motivo, ma ad un certo punto vide il furgoncino sterzare bruscamente e frenare a meno di un metro da un cespuglio. Oltre al camion intravide una macchina in obliquo che bloccava la strada semideserta. Lanciò un'occhiata a Rick e dopo essersi scambiati un cenno d'intesa, scesero entrambi dalla macchina. Il vicecapitano era ad un paio di passi da lui, con la pistola tesa davanti a sé, ma entrambi si bloccarono quando improvvisamente l'aria fu squarciata dal rumore di uno sparo.
 
§§§
 
Juliet e Maggie erano sedute l'una accanto all'altra, di fronte al grande schermo su cui tanti puntini bianchi si rincorrevano. Quando li avevano visti fermarsi, senza ricevere notizie per un paio di minuti, avevano trattenuto il fiato ma la centralinista, con la professionalità di sempre, aveva mantenuto il sangue freddo e aveva continuato a chiedere.
 
Dopo circa cinque minuti Jesus le aveva risposto che avevano catturato Chacòn e la squadra 2 lo stava già scortando in centrale, accompagnata da altre due volanti.
 
“E Beth?” aveva domandato d'impulso Maggie.
 
Ci fu un momento di silenzio in cui il ragazzo esitò a rispondere ma poi, con un sospiro si decise a parlare: “A quanto mi ha detto Glenn, Russo l'ha presa in ostaggio e ora Rick, Daryl e le squadre 3 e 4 del Distretto 15 li stanno inseguendo.”
 
Senza aggiungere altro si dileguò, lasciando le due ragazze nel silenzio. Dopo qualche istante passato a interiorizzare quel poco che gli era stato detto, Juliet si spostò nuovamente sul monitor per cercare il GPS delle radio di Rick e delle altre due volanti. Li identificò dopo pochi secondi, che si dirigevano senza dubbio verso la periferia.
 
“Squadra Alpha, qui Centrale, passo.” chiamò. Rimase in attesa qualche secondo ma non ottenne risposta. “Centrale chiama Squadra Alpha, rispondete.” Ancora nulla. “Jesus! Abraham! Si può sapere dove cazzo siete finiti?!” urlò prendendo in contropiede Maggie, che non si aspettava proprio un urlo del genere.
 
“Ehm... non ci sono. ... Passo.” sentirono rispondere con incertezza dopo pochi secondi.
 
“Ma chi è?” domandò attonita Juliet.
 
“Glenn ... Passo.” disse insicuro.
 
“Glenn! Pensi di poterci aiutare?” chiese schietta la ragazza.
 
“Non saprei, dipende cosa vi serve. ... Passo.”
 
“Devi solo guidare, e smettila di dire passo.” spiegò sbrigativa.
 
“Dove dobbiamo andare?” domandò, probabilmente sapendo già la risposta.
 
“Credo che rivedrai Rick e Daryl prima di quanto pensi.”
 
Glenn rimase in silenzio un momento; Maggie non staccava gli occhi dallo schermo e pregava che il ragazzo accettasse. Qualsiasi cosa avesse in mente Juliet si fidava di lei, e soprattutto se i Duke avessero avuto un aiuto in più su cui contare sarebbe stato solo un bene.
 
“D'accordo, che strada prendo?” chiese salendo in macchina e mettendo in moto.
 
 
 
Erano ormai dieci minuti che Juliet si destreggiava tra monitor, radio e un'applicazione sul suo iPhone che davvero non pensava gli sarebbe mai tornata utile. Grazie a chissà quale statistica, l'app mostrava quanto trafficata era una strada a una data ora. Facendo così percorrere al fattorino le stradine secondarie erano riusciti a recuperare terreno, raggiungendo la squadra che inseguiva Russo.
 
“Bene, svolta a sinistra.” disse Juliet a Glenn. Rimasero in silenzio un minuto e poi il ragazzo chiese cosa avrebbe dovuto fare a quel punto. “Perfetto, alla prossima gira a destra. Dovresti trovarteli subito sulla destra, al prossimo incrocio.” concluse con calma.
 
Poi rimase attenta ad osservare il monitor e i puntini che si seguivano come formichine. Considerando uno scarto di almeno cinquanta metri, Glenn sarebbe dovuto riuscire a tagliare la strada a Russo, ma non avendo l'esatta posizione del furgoncino non poteva esserne sicura al 100%. O la va, o la spacca, si disse tra sé e sé.
 
Il cuore cominciò a martellarle nel petto sempre più veloce man mano che i puntini luminosi convergevano tutti verso lo  stesso centro. Dalle cuffie sentì un fischio acuto e prolungato; sicuramente stridore di ruote sull'asfalto. Rimasero entrambe attente a captare eventuali rumori, ma non sentirono altro. Niente che assomigliasse minimamente a uno scontro.
 
“Tu sei tutta matta! Juliet! Volevi farmi ammazzare?!” urlò Glenn una volta che sia la sua auto che il furgone si fermarono.
 
“Ce l'hai fatta, li hai fermati?” chiese impaziente.
 
“C'è mancato un pelo che non mi beccasse in pieno!”
 
“Te l'avevo detto che li avresti trovati subito.” rispose, permettendosi di accennare un'espressione sollevata. Si rilassò nella poltroncina girevole, guardando Maggie con un sorriso incoraggiante. Stavano entrambe per commentare con qualcosa di divertente quando il rumore di uno sparo le immobilizzò sul posto, ghiacciandogli il sangue nelle vene.
 
§§§
 
Quel rumore secco gli avrebbe fatto meno male se lo avesse preso in pieno. Dopo essere rimasto immobilizzato per un paio di secondi, Daryl era corso verso il furgone, direttamente verso il lato del passeggero, senza preoccuparsi di cosa avrebbe potuto fare o meno Russo.
 
Aprì la portiera con uno movimento brusco e rapido, e salì immediatamente abbassando un po' la schiena. In una posizione tutt'altro che comoda, piegato a fisarmonica per riuscire a stare in piedi nell'abitacolo basso, aveva immediatamente preso la ragazza per le spalle e l'aveva scossa. Lei non lo guardava; aveva gli occhi spalancati fissi su qualcosa di indefinito e tremava.
 
È viva, pensò egoisticamente.
 
Controllò rapidamente che non fosse ferita, e non trovò tracce di sangue da nessuna parte. Ma quasi non ci credeva, quindi ripeté un paio di volte il “controllo” prima di fermarsi. Solo alzando la testa per sbaglio si accorse del piccolo forellino nel tettuccio del furgone, in corrispondenza della spalla destra della ragazza. La pistola aveva puntato in su.
 
A quel punto lasciò andare un sospiro di sollievo che non si era accorto di aver trattenuto. Si sfregò gli occhi con i palmi delle mani; improvvisamente sentiva una forte stanchezza incombergli sulle spalle. Si sentiva completamente sottosopra. Ma lei era lì.
 
Le prese il viso tra le mani e, da come ricambiò il suo sguardo, sospettò che si fosse accorta di lui solo in quel momento. La osservò, sperando di ritrovare la sua Beth, e ben presto la vide riaffiorare nelle lacrime salate che le riempirono gli occhi. In modo un po' sgraziato scese dal furgoncino, poi le mise una mano sul fianco per aiutarla a scendere a sua volta.
 
Appena Beth si ritrovò con i piedi per terra alzò gli occhi su di lui, e subito le lacrime cominciarono a rigarle le guance. Fu totalmente inaspettato quando lui la abbracciò, posando la fronte sulla sua spalla e tenendola stretta a sé, quasi come se volesse proteggerla da tutto il mondo con le sue braccia forti.
 
Lei strinse a sua volta le sue braccia esili attorno alla vita dell'uomo e posò la testa contro il suo petto. Di quel momento ricordava solo il ritmo frenetico del cuore di Daryl e il calore del suo respiro che le solleticava il collo. Pian piano smise di tremare, come se le sue braccia fossero il porto sicuro che era andata cercando in tutti quegli anni. Sarebbe potuto cadere l'universo in quel momento, ma a lei non sarebbe importato di meno; era a casa.
 
Lui non poteva crederci; quanto aveva avuto paura in quei giorni? Sempre; ma mai come in quel momento. Quello sparo gli aveva fermato il cuore, si era sentito morire nell'esatto momento in cui aveva realizzato che proveniva dal furgoncino. Per un primo momento aveva sperato invano di essersi sbagliato, ma quando aveva sentito addosso lo sguardo di Rick aveva capito che, purtroppo, non era stato un sogno.
 
Appena aveva aperto la portiera non si era accorto di quello che gli stava accadendo attorno; nei suoi occhi c'era solo lei. E controllare tre volte non era stato abbastanza per assicurarsi che stesse bene. Aveva ragione Merle; lo aveva fottuto. Ma in quel momento non importava nemmeno questo. L'unica cosa importante era che lei stesse bene.
 
Quando l'aveva vista piangere aveva ringraziato tutti gli dei in cui non credeva per non avergliela strappata, e mai come in quel momento se ne era reso conto: lei era la sua possibilità. Come aveva detto Rick, meglio non lasciarsela scappare. E allora l'aveva stretta forte, per tenerla ancorata a quella terra meschina che li sbatteva da una parte all'altra come foglie nel vento.
 
Dopo un minuto o forse una vita si sciolsero dall'abbraccio; non si guardarono negli occhi come in qualche commedia romantica, né dissero nulla. Non c'era altro da aggiungere.
 
Distrattamente Daryl le asciugò una lacrima e si guardò intorno; le volanti del Distretto 15 erano posizionate in modo da deviare il traffico così che nessuno potesse avvicinarsi. Glenn aveva appena riposto la radio dentro una volante - Ma che ci faceva lì? - e osservava Rick che conduceva Nico Russo con le mani dietro la schiena proprio verso l'auto.
 
Senza nemmeno pensarci due volte, percorse con ampie falcate la distanza che lo separava da quella sottospecie di pezzo di merda ambulante e appena arrivò a un paio di passi da lui caricò un destro che lo centrò dritto sul naso. Il ragazzo si sbilanciò, totalmente preso in contropiede, urtando il vicecapitano che ne frenò la caduta.
 
“Ohi! Questo è abuso di potere!” urlò poco dopo, mentre il sangue gli colava copioso dal naso. “Digli qualcosa!” esclamò proprio rivolto all'uomo alle sue spalle.
 
“Cosa? Io non ho visto niente.” rispose furbescamente Rick, spingendolo sul sedile posteriore per poi chiudere la portiera.
 
Si voltò e vide Beth mezza nascosta dietro l'amico; si avvicinò e la abbracciò forte. “Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai?” domandò con un sorriso tenero. La ragazza gli sorrise debolmente ed annuì; era ancora un po' sconvolta ma decisamente meno spaventata di prima.
 
Daryl attirò la sua attenzione e dopo uno sguardo piuttosto lungo e pieno di significato, il vicecapitano annuì brevemente, facendo il giro della vettura per mettersi alla guida.
 
“Mi presti la macchina?” chiese Daryl quando Glenn gli passò affianco per andare verso il posto del passeggero.
 
“Certo.” mormorò con un sospiro. “Tanto peggio di così.” gli sorrise spontaneo.
 
§§§
 
Avevano girato senza meta per almeno mezz'ora. Non si erano detti niente durante il tragitto; ad entrambi bastava la presenza l'uno dell'altra. Beth si era accoccolata nel sedile accanto a Daryl e aveva lasciato che le vie della città scorressero sotto i suoi occhi. Era tutto uguale, come lo ricordava da sempre ed in un certo senso la rassicurava. Eppure sembrava che tutto fosse cambiato così tanto dall'ultima volta che era uscita dalla centrale. Solo ripensandoci si era resa conto che non potevano essere passati più di tre giorni.
 
Si sentiva cambiata, diversa. Non era più la stessa ragazza che ad inizio settembre aveva messo piede nell'ufficio di Rick. Erano cambiate così tante cose in quei tre mesi. Così tante persone avevano incrociato la sua strada e lei la loro a sua volta.
 
Abraham, che ogni volta che la vedeva le faceva l'occhiolino per dare fastidio a Rick - che puntualmente gli ricordava che avrebbe dovuto accettare quell'invito a casa sua che gli aveva fatto Rosita qualche tempo prima, facendo risentire l'uomo.
 
Jesus, che tra una canzone e l'altra di Bob Marley (“Ti mostro la retta via da seguire in fatto di musica”) rideva e scherzava con lei; una volta aveva anche provato ad offrirle una canna sotto gli occhi di Rick - di proposito - che infatti era esploso in mille invettive e aveva rincorso per mezzo edificio il povero agente.
 
Michonne era stata gentile con lei da sempre; non perdeva mai la pazienza mentre le mostrava come svolgere questo o l'altro compito. Sospettava già da un po' che con Rick ci fosse qualcosa; da quando il vicecapitano era uscito a cena - quella sera che lei, Daryl e i bimbi gli avevano ridipinto la camera, per intenderci - si erano comportati entrambi in modo contradditorio. All'inizio non si parlavano, mentre negli ultimi tempi si erano avvicinati più di quanto non avessero mai fatto. Non le ci era voluto molto fare due più due.
 
Rick. Se un paio di mesi prima avesse pensato a lui sarebbe stato solo per ideare come fargli pagare quella sorta di accordo che aveva stretto con suo padre. Hershel non era mai sceso a patti col fatto che le sue figlie stessero crescendo. La domenica sera, a fine cena, lasciava sia a lei che a sua sorella un cioccolatino affianco al piattino del caffè. Era una premura che le faceva tenerezza, ma si era davvero arrabbiata quando si era intromesso nella sua vita lavorativa.
 
D'altra parte, ragionandoci a mente fredda, aveva realizzato che qualsiasi padre - se avesse potuto - avrebbe fatto esattamente la stessa cosa con la propria figlia, quindi aveva accantonato il tutto, relegandolo nei cassetti della sua mente come un altro di quei momenti in cui suo padre non era Hershel, ma il Generale Greene.
 
Doveva ammettere che, in effetti, Rick non si era comportato come lui. Se anche aveva dovuto accettare la situazione, non l'aveva mai trattata come una bambina incapace e anzi, era diventato come una sorta di fratello maggiore in centrale. E questo, ovviamente, faceva divertire da morire Abraham e Jesus, che erano sempre pronti a stuzzicarlo.
 
Maggie era al lavoro così come era a casa: un misto di tenacia e dolcezza che stregava sempre tutti, in particolare un certo fattorino di loro conoscenza. Solo in quel momento capì dove aveva già visto la macchina su cui stavano viaggiando; era proprio quella con cui Glenn faceva le consegne quando non aveva il motorino... Ecco, allora forse fattorino lo sarebbe rimasto ancora per poco.
 
Improvvisamente, senza sapere bene come, le vennero in mente Juliet e il favore che la ragazza le aveva chiesto qualche giorno prima; se ne era andata ed aveva completamente dimenticato lo spazzolone e il secchio che doveva cercare.  Forse sarebbe dovuta andare a prenderli. Poi le venne da ridere; di sicuro a quest'ora la centralinista si era arrangiata in qualche altro modo.
 
“Perché ridi?” le chiese Daryl, spezzando il silenzio che regnava sovrano nell'abitacolo da molto tempo.
 
Beth scosse leggermente la testa, mentre il sorriso si ampliava sul suo volto stanco. Lui le lanciò un'occhiata diffidente, controllando che stesse bene. Che fosse ancora sotto shock?
 
“Non sto impazzendo.” gli rispose come se gli avesse letto nella mente. “Rido perché mi è venuto in mente che non ho ancora portato lo spazzolone e il secchio a Juliet.” spiegò imbarazzata.
 
Lui la guardò di nuovo e dopo aver scosso debolmente il capo ritornò con gli occhi fissi sulla strada, ma Beth avrebbe giurato di aver visto un sorrisino spuntare timidamente sulle sue labbra.
 
Avevano percorso tutta la periferia avventurandosi in stradine sperdute, ma la ragazza poteva riconoscere che stavano tornando verso il centro della città: le strade si facevano via via più curate, i palazzi erano ben tenuti e moderni e, oltre a un gran numero di persone, c'erano anche molte più auto.
 
“Ci fermiamo; sta finendo la benzina.” la avvisò lui dopo qualche minuto, mentre parcheggiava. “E poi tu devi mangiare.”
 
Scesero dall'auto e Daryl la raggiunse sul marciapiede. Entrambi rimasero ad osservare per un momento l'auto: prima quando era salita non ci aveva nemmeno fatto caso, ma ora era stato impossibile non notare com'era conciata. Dal lato del passeggero mancavano lo specchietto retrovisore e, oltre una vistosa strisciata che aveva grattato via la vernice, anche l'insegna luminosa era tutta storta e le luci lampeggiavano debolmente ad intermittenza.
 
“Guidavi tu, vero?” chiese lei dopo un paio di minuti di contemplazione, nascondendo un sorrisino e il tono divertito che era sorto quasi spontaneamente assieme alla domanda.
 
“Ho fame.” sviò il discorso lui, dopo una pausa che le fornì comunque la risposta.
 
Avevano cominciato a camminare, ma Beth non si rese subito conto in che zona erano finché non vide in lontananza la tavola calda in cui erano stati la sera del Festival. Entrarono facendo tintinnare il campanello; l'aria era piena delle chiacchiere dei clienti e del buon odore di carne alla griglia e patatine fritte. A differenza dell'ultima volta, i tavolini erano tutti occupati - complice anche l'ora di pranzo - quindi si diressero verso la cassa. Avevano solo tre persone davanti a loro, che si sbrigarono anche piuttosto in fretta, e dopo una decina di minuti circa arrivarono di fronte alla stessa ragazza che avevano già visto l'altra volta.
 
Beth lasciò che fosse Daryl a pensare alle ordinazioni; a dir la verità non aveva nemmeno molta fame al momento, l'aveva accompagnato solo perché... be, in realtà non sapeva perché lo avesse accompagnato. Non c'era un motivo valido: era lui, e tanto bastava perché meritasse il suo tempo. In più le faceva piacere la premura che le stava riservando in quel momento.
 
Un paio di minuti dopo la riscosse e posandole una mano sulla schiena l'aveva portata fuori dalla tavola calda, sotto i nuvoloni plumbei carichi di pioggia. Lui aveva tirato fuori il suo panino dalla busta e glielo aveva passato. Avevano pranzato così, in piedi, mentre camminavano lentamente tra le vie della città. Il tutto si era svolto in silenzio ma non le aveva dato fastidio; si sentiva a suo agio con lui.
 
Daryl, da parte sua, lanciava qualche occhiata alla ragazza accanto a sé che mangiava il panino a piccoli morsi e occhi bassi. Avrebbe dovuto sapere che lei era viva e si trovava lì con lui, ma a volte non riusciva ad evitare di controllare che ci fosse davvero. Aveva paura di svegliarsi e scoprire che lei se ne fosse andata.
 
In più, tutto quel silenzio era innaturale da parte sua; doveva essere davvero scossa per non dire una parola. In generale, quando lei se ne stava zitta, era sempre motivo di preoccupazione per lui. Si ricordava bene com'era andata a finire l'ultima volta: lei aveva vomitato nel suo bagno e dormito nel suo letto, non prima di essere esplosa come una bomba ad orologeria.
 
Quando lei si era allontanata verso un cestino per buttare la carta del panino, aveva tirato fuori una bottiglia di birra e, dopo averla stappata con i denti, gliel'aveva passata una volta che lei gli era tornata affianco. Con la coda dell'occhio l'aveva vista arretrare un po' sorpresa, ma poi aveva sorriso e aveva bevuto un sorso dal collo di vetro. Alla fine avevano fatto a metà, mentre passeggiavano in silenzio e il tempo passava.
 
Ma Daryl non sopportava più tutta quella calma; paradossalmente, gli mancavano le sue chiacchiere. Stava davvero impazzendo. Stava pensando a un modo per farla parlare, ma quelle cose non erano il suo genere, non sapeva nemmeno da dove partire per intavolare un discorso. Improvvisamente però, qualcosa attirò la sua attenzione e si fermò ad osservarlo.
 
Beth era andata avanti di un paio di passi, ma non vedendolo più accanto a sé si era voltata e quando lo aveva trovato con gli occhi fissi su un manifesto, lo aveva raggiunto di nuovo.
 
“Non è tutto l'oceano, ma se ti accontenti punta il dito e scegli un posto.” le aveva detto, non distogliendo lo sguardo. Davanti a loro c'era una grande cartina della città, su cui erano segnate le principali attrazioni, punti ristoro e servizi che offriva Atlanta.
 
Il pesce angelo dei Caraibi ama viaggiare e andare a caccia in coppia. Il legame che forma con il proprio compagno spesso dura per la vita e, se questo muore, il pesce rimasto sceglie di continuare a vivere in solitudine piuttosto che 'risposarsi'.
 
Si era ricordato.
 
Beth osservò la mappa, non riuscendo a nascondere un sorriso contento. Un pallino rosso con sopra scritto “Voi siete qui” indicava la loro posizione. Scandagliò per bene la cartina mentre cercava qualche posto interessante in cui sarebbero potuti andare quando le cadde l'occhio su un piccolo triangolo verde chiaro. Un parco. Proprio quello in cui si erano conosciuti, quando lei era solo una bambina e lui poco più che un ragazzino.
 
“Qui.” puntò con l'indice decisa. Non erano molto distanti, era solo a un isolato di distanza, non pensava che avrebbe avuto da ridire.
 
“Andiamo.” le rispose solo, incamminandosi. Sapeva dov'era quel parco. In generale, soprattutto da ragazzo, aveva avuto modo di girare qualsiasi parte della città, quindi non aveva problemi ad orientarsi.
 
Mentre erano di strada, sporadiche goccioline di pioggia sottile avevano cominciato a cadere dal cielo, talmente fini da essere  impalpabili.
 
“Tra un po' pioverà, vuoi tornare alla macchina?” le chiese lui quando le gocce cominciarono ad essere leggermente più insistenti.
 
“No, non piove.” rispose sicura di sé con un sorriso. Ad Atlanta il cielo non crollava mai in testa alle persone all'improvviso. Prima che piovesse avrebbero avuto tutto il tempo di andare al parco, fare un giro e tornare verso l'auto. Magari verso la fine si sarebbero presi qualche goccia, ma niente di più. Di solito non c'erano acquazzoni improvvisi, soprattutto in quella stagione.
 
Di solito.
 
Ma non quel pomeriggio evidentemente, dato che la pioggia era aumentata sempre di più finché, quando mancavano appena un centinaio di metri, si erano visti costretti a correre al riparo. Si ritrovarono proprio nel mezzo di un temporale; grandi gocce scendevano fitte e spesse, cadendo copiosamente e con insistenza.
 
Beth riusciva a mala pena a vedere Daryl a un paio di metri di distanza per quanto stava piovendo. Cercò di chiamarlo, ma il rumore era talmente forte che non riuscì a sentirla. Accelerò il passo, cercando di stargli dietro e riuscì ad afferrarlo per la manica del giubbotto. Lui si girò verso di lei e quasi gli finì addosso.
 
“Dovremmo andare a ripararci!” urlò lei.
 
“Come?” gridò di rimando.
 
“Riparo!!!” disse avvicinandosi un po' al suo orecchio per farsi sentire.
 
“Siamo in un fottuto parco, dove cazzo ci mettiamo?” esclamò ancora lui.
 
A dir la verità Beth non riuscì a sentire proprio tutto, ma dall'espressione sul suo viso, il gesto che aveva fatto mentre indicava il posto attorno a loro e quel paio di parolacce che le era sembrato di sentire, afferrò comunque il senso.
 
“Lo scivolo!” gli disse avvicinandosi per poi trascinarlo verso il castello che stava giusto qualche metro più in là.
 
Salirono velocemente i gradini - ormai troppo stretti per i loro piedi grandi - e solo quando furono entrambi sotto la tettoia di legno si permisero di tirare un sospiro di sollievo e guardarsi.
 
Daryl aveva i capelli tutti appiccicati alla fronte che gli coprivano gli occhi; dalle punte scendevano rapide delle goccioline che gli bagnavano le guance e la bocca. Il giubbotto di pelle era reso ancora più lucido a causa dell'acqua che scivolava sulla stoffa impermeabile, per non parlare dei pantaloni che cominciavano ad appiccicarglisi alle gambe, ghiacciandogli la pelle. Aveva la sensazione di avere un acquario nelle scarpe, tant'è che quando spostava il peso da un piede all'altro, usciva acqua attraverso la tela.
 
La coda di Beth si era ridotta a uno straccio, quasi letteralmente: sembrava stesse indossando le frange di uno spazzolone per pavimenti. A nulla era servito il tentativo di domare i suoi capelli con il phon, perché a causa dell'umidità si stavano arricciando di nuovo. Il trucco era inevitabilmente colato e ora un alone nero le circondava gli occhi facendola assomigliare ad un panda. Il cappotto in lana cotta era impregnato d'acqua e si era appesantito, gravandole sulle spalle. Aveva avuto la mezza idea di tenerselo addosso, ma al riparo dalla pioggia, se possibile, sentiva ancora più freddo così alla fine se l'era sfilato rimanendo con addosso solo la camicetta gialla e il golfino in tinta.
 
“Non piove eh?” le disse lui beffardo.
 
“Non ha mai piovuto così ad Atlanta!” si difese; ma nella sua mente si contraddisse subito. Be, non proprio mai. Si guardò attorno ma non trovò un posto asciutto, così si accontentò di stare al coperto e si sedette su uno dei gradini che portavano allo scivolo. Non che sentisse molta differenza dato che anche lei era bagnata da capo a piedi. Dopo un paio di sbuffi, si sedette anche lui.
 
“Sai, in tutto questo tempo non mi hai raccontato niente di te. Hai parlato dei tuoi, di tuo fratello, ma mai di qualcosa che riguardasse te.” gli disse ad un certo punto, osservandolo di sottecchi. Lui bofonchiò in un mugugno non ben definito. “Ma a quanto pare era destino che scoprissi qualcosa.” ritentò.
 
Daryl la guardò stranito, non capendo cosa intendesse. Beth fece un sorrisino, divertita dall'espressione dell'uomo accanto a sé e dopo averlo tenuto un po' sulle spine spiegò. “Merle. Sai che tuo fratello è venuto a trovarmi, no?” Altra pausa. “È stato... illuminante.”
 
“Cosa ti ha detto?” le chiese incredulo e già nervoso al pensiero che avessero parlato di lui.
 
“Ah, non sai! Mi ha spifferato tutti i tuoi segreti.” disse tirando giù le maniche del maglioncino per scaldarsi le mani. Ma quando vide che l'uomo accanto a lei era davvero teso al pensiero, gli fece un sorriso e scosse la testa. Lui rimase comunque ad osservarla incerto, ma quando capì che era solo uno scherzo, mise un broncio offeso davanti al quale Beth non poté che ampliare il sorriso.
 
“Ma guarda...” l'aveva sentito borbottare tra una cosa e l'altra.
 
Poi erano tornati in silenzio.
 
Non voleva forzarlo a confidarsi; certo durante l'ultimo periodo non gli aveva dato tregua. Tra i cuoricini, il pranzo-ritratto e i messaggi sull'accoppiamento degli animali non lo aveva lasciato in pace un attimo. E poi sospettava che Rick avesse capito la sua cotta per l'altro Duke, o non si spiegava perché avesse spinto Daryl ad accompagnarla al Festival.
 
 
“Mi è sempre piaciuto andare al parco.” disse ad un certo punto. “Dopo scuola stavo fuori a giocare finché non tramontava il sole. In inverno andava abbastanza bene perché di solito tornavo a casa entro le sei del pomeriggio. Ma durante le estati è capitato più di una volta che Maggie venisse a recuperarmi perché era troppo tardi e la mamma aveva già preparato la cena.” raccontò con lo sguardo perso tra i ricordi.
 
“Papà all'epoca lavorava molto più fuori casa rispetto ad ora, ma mi ricordo che quelle rare volte che non era assillato dagli impegni, prima che uscissi mi faceva sedere sulle ginocchia e mi diceva sempre "Sta' attenta Beth, mi raccomando. Non parlare con gli estranei e non accettare nulla da qualcuno che non conosci. Gli estranei prima ti offrono le caramelle e poi ti rapiscono".”
 
Daryl sul momento non capì; perché mai gli stava parlando proprio di suo padre? Era fosse un modo per spingerlo ad aprirsi? Eppure aveva sostenuto il contrario proprio poco prima. Si voltò verso di lei, non capendo cosa intendesse, pronto a chiederle spiegazioni con lo sguardo, ma appena la vide, una frase gli rimbombò in testa come un dejà-vu.
 
“Papà non vuole che parlo con gli sconosciuti. Mi ha detto che prima ti danno le caramelle e poi ti rapiscono!”
 
Forse era stata la pioggia battente che tamburellava sulla tettoia come se volesse isolarli dal resto del mondo, forse era stata la sua espressione innocente, oppure il golfino giallo che giurava di trovare terribilmente famigliare, oppure ancora gli era semplicemente tornato in mente risentendo quella frase.
 
Nella sua testa, chiaro come se fosse successo il giorno prima, gli apparve quel pomeriggio di tanti anni prima quando - sotto un acquazzone molto simile a quello - aveva trovato proprio su quello scivolo una bambina dai capelli biondi, tutta sola, che tremava di freddo. Rimase in silenzio. Non sapeva che fare, mentre in testa si accavallavano pensieri sconnessi.
 
“Dovrai dirglielo prima o poi.”
 
“Ti piace davvero...”
 
“Non lasciartela scappare.”
 
“Sei cotto di questa ragazza!”
 
“Sei tu a poter decidere.”
 
Scosse il capo come per darsi una svegliata; le voci nella sua testa lo stavano confondendo sempre di più, ma prima ancora che potesse pensarci o rendersene conto, le rispose.
 
“Io non ho le caramelle.”
 
Nel momento esatto in cui pronunciò quelle parole, spalancò leggermente gli occhi. Era stato davvero lui a parlare? La sua voce gli era arrivata lontana e totalmente inaspettata, come se non fosse stato lui a decidere di pronunciare quelle cinque parole in croce. Eppure lo aveva fatto, e adesso sentiva su di sé lo sguardo insistente della ragazza.
 
Non voleva voltarsi verso di lei; se l'avesse fatto avrebbe voluto dire buttarsi e lui non era mai stato avvezzo a cose del genere. Non poteva. No credeva di riuscirci, tra l'altro. Se fosse rimasto fermo non sarebbe successo niente e finito l'acquazzone l'avrebbe riportata a casa, come quella sera dopo il Festival.
 
Era davvero un coglione. Da quando lei aveva iniziato ad avvicinarsi, aveva avuto paura che una volta o l'altra si sarebbe spinta troppo oltre e sarebbe successo qualcosa. Ma almeno, se così fosse stato, avrebbe potuto schermarsi, liquidare il tutto a mero passatempo o dare la colpa a lei ed allontanarsi.
 
Invece quella biondina dalla lingua lunga sembrava avergli fottuto il cervello. Si comportava come un ragazzino quando era solo con lei, motivo per cui non solo arrivavano sempre al limite di quella che nella sua testa aveva rinominato “safe zone”, ma era lui a portarli fino a quel punto!
 
Non era capace di stare con una persona, ma a quel punto doveva chiedersi... sarebbe riuscito a stare senza?
 
Non seppe nemmeno lui con che coraggio si girò; quando la guardò le vide un'espressione in volto che - se la cosa non avesse coinvolto lui in prima persona - lo avrebbe anche fatto ridere. Sembrava sconvolta, almeno tanto quanto lui. Abbassò lo sguardo, non riuscendo più a sostenere il peso di quelle iridi chiare che sembravano scavarlo dentro, ma non si voltò. Rimase solamente immobile con gli occhi bassi posati sulle sue labbra e il cuore che martellava nel petto all'impazzata.
 
In quei momenti avrebbe pagato per avere la scioltezza di Merle: un braccio attorno alle spalle, magari una palpata al culo e subito si trovava spiaccicato alla parete del locale di turno con la lingua della donna di quella sera in bocca. Dio, doveva essere davvero disperato per aver pensato una cosa del genere.
 
Anche se non osava sollevare gli occhi, sapeva che lei lo stava ancora guardando; da quando le aveva risposto era come se il tempo si fosse fermato.
 
Lentamente si fece un po' più vicino e con un coraggio che non pensava di possedere, rialzò lo sguardo su di lei, ed eccoli. Ecco lo stesso timore e la stessa speranza che aveva letto nei suoi occhi quell'unica sera in cui si era inconsciamente avvicinato a lei, come se lo stesse attirando come una calamita.
 
Man mano che si faceva vicino gli occhi di Beth si socchiudevano sempre di più finché, quando posò le labbra sulle sue, si serrarono. Lui invece non riuscì a chiuderli del tutto. Se li avesse chiusi forse lei sarebbe svanita come fumo tra le dita. Aveva bisogno di sentirla e capire che non era frutto della sua immaginazione.
 
Posò le mani fredde ai lati del suo viso, come per assicurarsi che rimanesse e lentamente cominciò ad accarezzarle una guancia bollente con il pollice. Era così piccola tra le sue mani grandi. Si sorprese quando anche lei si mosse e portò le braccia a cingergli il collo, mentre con la mano sinistra gli accarezzava i capelli alla base della nuca. E si sentì andare a fuoco quando, subito dopo, dalla sua gola salì un mormorio soddisfatto. Ma sembrava che a lei non importasse tutto quello per cui lui tanto si preoccupava.
 
Il cuore di Beth galoppava all'impazzata tanto che gli rimbombava nei timpani, era talmente accaldata che temeva di avere un infarto in quel preciso istante. Quando aveva sentito la sua risposta non aveva potuto crederci; si era davvero ricordato anche di quel pomeriggio piovoso di tanti anni prima.
 
Quando poi l'aveva visto girarsi, l'aveva scombussolata talmente tanto che aveva avvertito la terra mancargli sotto i piedi. Per quanto lo desiderasse, non gli avrebbe mai rubato un bacio. Per come aveva imparato a conoscerlo, sapeva che doveva essere lui a fare il primo passo e soprattutto doveva farlo da solo; così era rimasta immobile sperando che almeno non si tirasse indietro come l'ultima volta che erano rimasti soli.
 
Aveva avuto un momento di timore quando aveva abbassato lo sguardo; era quello il momento più difficile per lui. Decidere cosa fare. Ma quando gli occhi chiari di Daryl si erano legati di nuovo ai suoi e lui aveva incominciato ad avvicinarsi a lei, aveva capito. All'inizio il bacio fu molto leggero, un semplice sfiorarsi di labbra e lo abbracciò proprio per non farlo scappare.
 
Voleva che si sentisse a suo agio con lei, anche se in quel momento il cervello le era andato totalmente in pappa. Aspettava quel momento da tredici anni; era sicura di poter dire che lui fosse l'amore della sua vita e nonostante stesse accadendo, non riusciva a crederci.
 
Dopo qualche istante passato a studiarsi, schiuse leggermente le labbra e gli diede un bacio più deciso rispetto al delicato conoscersi che era stato fino a quel momento. Da lì, senza sapere bene come, Beth si ritrovò con la schiena appoggiata alla parete di legno rosso alle sue spalle, mentre Daryl le stava accanto e la stringeva forte a sé. Sembrava sovrastarla anche da seduti, ma a lei non era mai sembrato tanto dolce come in quel momento.
 
Quando si separarono per sopperire alla mancanza d'ossigeno, Daryl chiuse subito gli occhi posando la sua fronte su quella di lei, ma aumentando la presa attorno ai suoi fianchi, dove un braccio era andato a posarsi nel frattempo.
 
Sì, per lei avrebbe potuto rischiare.




Angolo autrice:
 
*1 Totò Sapore, 2003.
*2 La Bella e la Bestia, 1991. Tockins.
*3 Action Packed, Ronnie Dawson, 1958.
 
Ciao a tutte! Non posso crederci che siamo davvero già arrivati all'ultimo capitolo! Il tempo è volato e non sembra vero che la storia sia già finita. Questo capitolo è stato durissimo da scrivere: non tanto per le idee o perché avessi un blocco, ma credo che fosse perché in realtà mi dispiaceva finire la storia. All'inizio ero anche indecisa se pubblicarlo in due parti o in una sola (è il doppio di uno dei miei capitoli "normali"), ma alla fine ho deciso di lasciarlo tutto intero e servirvelo così. Spero che non vi peserà troppo leggerlo (per la lunghezza) e che vi piacerà come andranno le cose^^ A breve pubblicherò anche l'epilogo, ma fondamentalmente le cose finiscono così :) A proposito! La suoneria di Rick, Action Packed, è la stessa canzone che viene usata nella serie quando Rick e Daryl sono insieme in macchina durante l'episodio 6x10. Questa -> https://www.youtube.com/watch?v=wfmp950atxA
 
Che dire, ormai siamo arrivati alla fine, ringrazio chi ha letto questa storia, chi l'ha messa tra le seguite/preferite/ricordate e tutti quelli che hanno recensito, in particolare Leayna e Heihei che praticamente hanno commentato tutti i capitoli o quasi, e mi hanno "seguita" passo passo in questa avventura.
 
Ci vediamo (?) per l'epilogo e spero anche in futuro, se dovessi cimentarmi in un'altra storia!
 
Un abbraccio,
·Machaira·
   
 
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