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Autore: _Lady di inchiostro_    20/06/2017    4 recensioni
«Non è una faccenda che ti riguarda, Oikawa!»
«Mi riguarda eccome, invece! O vuoi che ti riservi un posticino in obitorio, eh?»
«Pensi che io sia uno sprovveduto? Io so quello che faccio!»
«No, non lo sai, altrimenti non accetteresti di andartene in giro con un pazzo pronto a farti fuori! Ti interessa così tanto avere quel posto all’FBI?»
«Se significa togliermi dalle scatole un medico legale che gioca a fare il poliziotto, allora sì, mi interessa parecchio!»
[…]
Mi sono trovato diverse volte in situazioni come quella di oggi, e ogni volta accettavo l’idea che sarei potuto morire, e sì, avevo anche paura. Eppure stavolta… avevo paura non perché sarei morto… ma perché avrei lasciato te.» S’interruppe, non sapendo con quale forza avesse alzato lo sguardo su Oikawa. Aveva gli occhi lucidi, come lui del resto, e se ne accorse solo allora. «Perché ti avrei lasciato da solo.»

~
[E si torna a pubblicare per la serie; sì anche se il contest è finito] [Attenzione: potrebbe urtare la vostra sensibilità. Io vi ho avvisato] [Precede le altre storie] [A chuuyajpg e Sarck ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Tè&Caffè'
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Questa storia fa parte della serie "Tè&Caffè". Si consiglia la lettura delle precedenti storie per comprendere meglio le dinamiche




A chuuyajpg, la mia pasta di zucchero che mi rallegra le giornate

A Sarck, per tutti i bellissimi complimenti che mi ha lasciato 




 
Tè alla vaniglia





«Posso chiedervi una cosa?»
Due teste si sollevarono in contemporanea, entrambe concentrate su quello che doveva essere il cadavere di un giovane uomo. La persona che aveva parlato, invece, si portò un ciuffo di capelli biondo platino dietro l’orecchio, in leggero imbarazzo.
«Ecco, io sono arrivata da poco qui» disse. «Ero curiosa di sapere come mai litigate spesso nella zona per il rinfresco…»
«Zona relax.» Fu Oikawa a correggerla, da bravo maestrino, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Iwaizumi, di fianco a lui.
«Ecco, quella!» esclamò, torturandosi una ciocca di capelli. «Gli altri non me l’hanno voluto dire... Vi ho solo sentito nominare il tè e il caffè…»
La ragazza si chiamava Maura Dorotea Isles, ed era divenuta da un paio di mesi l’assistente del medico legale Oikawa Tooru. Era ancora inesperta, non aveva mai operato sul campo, eppure tutti la accolsero con grande entusiasmo, soprattutto il ragazzo, che era felice di avere un po’ di compagnia di tanto in tanto. Non era di certo bello stare sempre in mezzo ai morti.
Per questa ragione, aveva potuto assistere a tutta una serie di discussioni avvenute tra lui e un detective, Iwaizumi Hajime, l’oggetto delle attenzioni e dei dispetti di Oikawa. Aveva provato a chiedere in giro che cosa avessero mai da litigare tanto quei due, ma gli altri le rispondevano con una semplice alzata di spalle, dicendole di lasciare perdere.
Purtroppo, non avevano tenuto in conto che la ragazza fosse molto sveglia e curiosa – due qualità che, invece, Oikawa aveva notato –, per cui aveva cercato di captare qualcosa durante uno dei dibattiti che stava avvenendo tra quei due proprio nella zona relax, ritrovandosi ad ascoltare due voci diverse che osannavano due bevande diverse.
Proprio come successe in quel momento.
A quanto ne sapeva lei, anche Oikawa e Iwaizumi erano arrivati da poco in centrale, ma si conoscevano da un vita, erano stati amici sin dall’infanzia; poi, per diverse questioni, non si erano più rivisti per diverso tempo. E, in effetti, vedendoli litigare in quel modo, difendendo a spada tratta la loro bevanda preferita, sembravano che lo facessero da sempre, come se fossero marito e moglie.
«E poi, che odore ha quella roba che bevi durante la pausa? Vaniglia?»
«Sempre meglio di quella robaccia che ti lascia la bocca amara, puah!»
C’era della chimica tra loro due. Era come se quello fosse il loro modo per stare insieme, per stuzzicarsi a vicenda: non ne potevano fare a meno.
Senza volerlo, da quel giorno li soprannominò “Tè” e “Caffè”, e il nomignolo piacque così tanto che persino i ragazzi del dipartimento lo utilizzarono. E i diretti interessanti, non parvero affatto turbati dalla cosa.

 

~






«Oikawa?» Isles sollevò lo sguardo dal cadavere della donna che stava analizzando. Aveva la sua età, e la cosa le aveva fatto venire i brividi. Aveva ancora i peli delle braccia intirizziti. «Posso chiederti una cosa…?»
Il ragazzo, però, non le rispose immediatamente, concentrato com’era ad estrarre una pallottola. Isles aveva visto quell’espressione diverse volte, anche se non sempre si trovava in obitorio: le sopracciglia erano talmente corrugate che quasi sembravano unirsi, e il suo sguardo era vacuo, completamente perso nella delicatissima operazione che stava compiendo. Alla fine, non ci mise molto a estrarre la pallottola, mostrandola poi alla collega.
«Avevo ragione, ha usato una nove millimetri» disse, attraverso la mascherina che teneva in bocca, e posò il proiettile in un piattino, che produsse un inquietante suono metallico, in quella stanza così silenziosa.
Del resto, erano tutti quanti tesi in quell’ultimo periodo. 
«Cosa mi dovevi dire?» La ragazza quasi trasalì, non aspettandosi che Oikawa l’avesse effettivamente sentita.
Adesso era in imbarazzo, forse la domanda che voleva porgli era fin troppo indiscreta, ma oramai il danno era fatto. Congiunse gli indici. «Ecco… posso sapere cosa è successo tra te e Iwaizumi?» Le spalle del medico ebbero un sussulto. «Ho saputo che avete litigato, e…»
«Niente di importante» disse, cercando in tutti i modi di non tradirsi, di non far incrinare la voce, mentre tornava a esaminare il cadavere. Era estremamente difficile. «Non sono solo d’accordo sul suo ruolo in questo caso, tutto qui…»
Un caso di una portata quasi nazionale. Uno dei più importanti cui il dipartimento di Boston avesse mai lavorato, e per la prima volta a stretto contatto con l’FBI.
Si trattava del caso di un uomo, un ex marine che aveva combattuto in Afghanistan, che soffriva di diversi squilibri mentali, al punto da averlo portato a uccidere diverse donne; e secondo le indagini erano tutte simili alla sua ex moglie, che era deceduta mentre lui era in missione.
Probabilmente aveva subito delle torture inimmaginabili, tanto che adesso le riversava sulle sue vittime prima di ucciderle: giocava sulla loro paura di morire. Il motivo di questo gioco così macabro era ancora inspiegabile, e già due donne erano decedute, mentre una terza si trovava in pericolo di vita, seppellita chissà dove e con poco ossigeno a disposizione.
E loro potevano solo stare lì ad esaminare gli altri corpi, gli era stato negato l’accesso al piano superiore.
Maura produsse un profondo respiro dal naso, gli occhi piccoli e azzurri puntati su quelli del collega. Sapeva che continuare a parlarne avrebbe solo peggiorato le cose, eppure Oikawa aveva il bisogno impellente di sfogarsi con qualcuno, di tirare fuori quello che sentiva nella parte più profonda del suo essere. «Sei per caso geloso dell’agente Blye?»
Oikawa fermò la mano a mezz’aria, il bitagliente che stava calando proprio all’altezza del fegato. Posò l’arnese di lato, sentendo le mani che cominciavano a fremere senza un motivo ben preciso.
L’agente Byle era uno dei membri più competenti all’interno dell’FBI, oltre ad essere una donna estremamente affascinante e avvolta da un’aura di mistero. Tutti quanti gli uomini del dipartimento – da quando era iniziata quella storia – non facevano che morirle dietro; l’unico che, però, aveva avuto il privilegio di lavorare a stretto contatto con lei, era stato proprio Iwaizumi.
E questo era stato solo uno dei motivi per cui lui e Oikawa avevano litigato in maniera accesa. Non erano le solite scaramucce in cui si mettevano a elencare i vantaggi del godersi una tazza di tè o di caffè, in questo caso si parlava di una cosa seria: si parlava di un uomo con l’animo di un serial killer, e questa volta c’era il rischio di non uscirne vivi.
Quindi sì, la gelosia l’aveva fatto parlare, ma erano altri i motivi che lo affliggevano.
Puntò gli occhi su quelli della ragazza, sapendo benissimo che sia lei, sia mezzo dipartimento, sia gli stessi uomini di Blye, avevano sentito benissimo la loro discussione avvenuta qualche giorno prima nella zona relax, sebbene stessero parlando nella loro lingua natia. «Non c’entra niente l’agente Blye…»
«Ma allora…»
«Sono preoccupato, va bene?» sbottò, facendo il giro largo e ritrovandosi davanti alla ragazza, il tutto parlando e agitando le mani. «Sono preoccupato per quell’idiota, ma lui sembra non volerlo capire! Vuole fare l’eroe? Che faccia pure, tanto non lo disseziono io se poi muore!» Produsse un verso frustato. «E sono preoccupato perché… Perché potrebbero chiedergli di trasferirsi e non voglio… lo so che sarebbe l’occasione di tutta una vita, ma io non voglio… e sono un egoista, e…»
Se c’era una cosa che aveva capito Isles, da ben cinque mesi, era che l’affinità che c’era tra loro due, aveva una natura ben più complessa e particolareggiata. Un po’ come un fiore, poiché quando sboccia sembra piccolo e delicato, ma quando cresce può divenire un fiore gigantesco, pieno di spine e opprimente.
Oikawa portava dentro di sé quel rogo di spine che pungevano ogni volta che Iwaizumi feriva i suoi sentimenti. Come in quel caso, dove l’agente aveva dichiarato che per lui era solo un medico legale che giocava a fare il poliziotto; insomma, che non lo voleva nelle indagini e che era solo di impiccio.
«Ehi!» La ragazza mise le mani guantate sul viso di Oikawa, ora libero dalla mascherina, e lo vide sorridere appena, gli occhi lucidi. «Vedrai che tutto si aggiusterà…»
Oikawa prese un profondo respiro, cercando di non far fuoriuscire le lacrime. «Speriamo che sia davvero così, Mau-chan…»





«Non è una faccenda che ti riguarda, Oikawa!»
«Mi riguarda eccome, invece! O vuoi che ti riservi un posticino in obitorio, eh?»
«Pensi che io sia uno sprovveduto? Io so quello che faccio!»
«No, non lo sai, altrimenti non accetteresti di andartene in giro con un pazzo pronto a farti fuori! Ti interessa così tanto avere quel posto all’FBI?»
«Se significa togliermi dalle scatole un medico legale che gioca a fare il poliziotto, allora sì, mi interessa parecchio!»


Ci stava ripensando di nuovo. Alla loro discussione, alle parole che aveva detto, all’espressione ferita di Oikawa che tentò di nascondere dietro un: “Perfetto!”, detto in inglese e con la voce che gli tremolava. In quel momento, mentre il castano gli voltava le spalle, era troppo arrabbiato per sentirsi in colpa, ma adesso, seduto dentro l’autoveicolo blindato, aveva le budella completamente sottosopra. Si chiese se Oikawa, in fondo, non avesse ragione: insomma, era seduto vicino a un presunto serial killer, circondato da uomini armati fino ai denti, e questo solo perché quell’uomo sembrava avere una particolare simpatia per lui.
Gli aveva detto che gli ricordava un suo compagno d’armi, morto durante un raid aereo, e per questa ragione era l’unico con cui riuscisse a comunicare; l’unica possibilità per farsi dire dove si trovava la vittima, ecco perché gli agenti dell’FBI avevano fatto in modo che fosse lui ad attuare una sorta di patteggiamento. Ed era anche per questo motivo che Oikawa si era infuriato così tanto.
Alla fine, l’uomo decise che avrebbe portato gli agenti nel luogo in cui si trovava la donna, ma che avrebbe accompagnato solo Iwaizumi e un altro agente; lui sarebbe stato disarmato ma senza manette, e gli agenti gli avrebbero potuto comunque puntare una pistola contro. Il litigio vero e proprio iniziò dopo che annunciò a Oikawa la prossima mossa.
La vettura si fermò improvvisamente, segno che erano arrivati sulla scena del crimine, e Hajime rinfoderò immediatamente l’arma, mentre uno degli agenti era già in piedi e con il colpevole affianco.
«Spara un colpo, e noi arriveremo subito, chiaro?» gli disse l’agente Blye sottovoce, e Iwaizumi la fissò un attimo prima di annuire.
Non era sicuro di voler entrare a far parte della squadra dell’FBI. Certo, un altro al suo posto non si sarebbe lasciato sfuggire un’occasione del genere, ma lui… era come se qualcosa lo frenasse.
Prese un profondo respiro, poi fece un cenno all’agente di scendere, ed entrambi puntarono subito la pistola alla nuca dell’uomo, che intanto se la rideva, fischiettava e fissava il cielo. Camminava con passo lento, tenendo due pale nelle mani alzate, come se stesse facendo di tutto per fargli perdere tempo.
«Principessa, lo so che ti piace passeggiare per i boschi, ma noi avremmo un po’ di fretta.» Gli tremava la voce per via della tensione, ma cercò di parlare come aveva fatto fino ad adesso con lui, usando il suo tono pungente.
L’uomo rise, una risata che si protrasse in quel luogo fatto di terra battuta e di cespugli. Erano molto lontani da Boston. «Ah, agente Iwaizumi» disse, con quella sua voce bassa che metteva i brividi. «Mi mancheranno le sue battute, lo sa?»
Piantò una delle due pale davanti a sé, fermandosi. «Siamo arrivati» disse poi. 
Hajime tolse l’arma di mezzo per prendere l’altra pala, avvertendo il collega di fare attenzione e di non abbassare mai la canna della pistola. «Vedi di muoverti a scavare!» disse poi al colpevole, come se si stesse rivolgendo a un uomo qualunque, lasciando il collega sempre più scioccato. L’altro, invece, ghignava di gusto.
Per dei minuti che parvero eterni, Iwaizumi vide solo terra, respirò solo polvere, i pensieri che vagavano e si focalizzavano su tante cose: il serial killer che aveva di fronte, la donna che aveva di sotto, gli agenti che stavano da tutt’altra parte, Oikawa che…
Perché?
Perché pensava a lui in un momento del genere?
Forse, fu per questo motivo che si distrasse, che cominciò a concentrarsi esclusivamente sulla cassa che erano riusciti a trovare. Era come se fosse diventato improvvisamente fiducioso e speranzoso che la donna fosse ancora viva, che poteva riportarla dai parenti che la stavano aspettando. Perché anche lui aveva qualcuno che lo stava aspettando, c’erano delle questioni che doveva risolvere.
Si accorse che l’assassino l’aveva bloccato solo in un secondo momento, quando si era abbassato per aprire la cassa. Il braccio dell’uomo era attorno al suo collo, sentiva il suo respiro dentro l’orecchio, mentre l’altro agente puntava la pistola contro entrambi. Lo stava usando come scudo. Sapeva che l’altro non avrebbe mai sparato con lui in mezzo.
«Spara!» tentò di urlare, anche se la presa di quell’uomo gli mozzava il fiato.
L’assassino fu più veloce: sfilò la pistola ad Iwaizumi e in un attimo sparò un colpo contro il ragazzo, che cadde a terra; in seguito, gettò Hajime di lato, come se fosse un sacco di patate, dandosi alla fuga.
«Lurido figlio di…» disse, mentre partiva all’inseguimento, e un attimo dopo riuscì ad atterrarlo.
L’uomo sparò un colpo in alto, verso la sua testa, mancandolo di pochissimo e ferendogli un sopracciglio, mentre Iwaizumi lottava per poter riavere l’arma indietro. Mollò una serie di pugni, ma fu comunque l’ex marine a stenderlo, colpendolo con il calcio della pistola. Sentì un bruciore fortissimo allo zigomo sinistro, che venne subito sostituito dal sapore del sangue, il labbro spaccato dopo che l’uomo si era messo sopra di lui e gli aveva mollato un pugno.
Avevano entrambi il fiatone, ma Iwaizumi non si dava per vinto e continuava a dimenarsi. Riuscì a sfilargli al pistola dalle mani, ma questa volò poco lontano, e non avrebbe avuto comunque molto senso in quel momento, poiché le mani dell’uomo avevano afferrato il suo collo con violenza e stavano stringendo.
Per quanto cercasse di avvicinarsi all’arma… Non ci riusciva, gli mancava l’aria.
I suoi occhi si puntarono su quelli del colpevole, ma adesso vedeva i contorni bianchi, come se una forte luce lo stesse accecando.
«Siete tutti uguali» sibilò l’uomo. «Avete tutti paura di morire… Lo leggo nei tuoi occhi…»
Era vero. Iwaizumi Hajime stava provando la terrificante sensazione di sentire la vita che gli scivolava addosso, che fluiva via. I suoi polmoni cercavano aria, eppure il suo cervello – per quanto non stesse ricevendo più ossigeno – aveva assimilato la consapevolezza che, oramai, era finita. E insieme a questa consapevolezza, la mente di Hajime cominciò a mandargli davanti agli occhi delle immagini.
Non vedeva più l’assassino… Vedeva Oikawa. Da piccolo, da adolescente, da adulto, in qualsiasi modo, ma c’era sempre lui che gli sorrideva e inclinava la testa di lato, o che parlava con quelle sue maniere pompose e civettuole.
L’ultima immagine, prima di vedere solo bianco, fu la scena di Oikawa che gli preparava il caffè, qualche giorno prima che quella storia avesse inizio, una cosa che non aveva mai fatto…

«Mi hai preparato il caffè?»
«Che c’è? Non ti piace?»
«No… Per quanto mi dia fastidio ammetterlo, è ottimo…»
«Visto? Che cosa faresti senza di me?»


Non poteva andarsene così, non senza che la discussione tra loro due non si fosse risolta. Voleva… voleva vedere quel sorriso ancora una volta...
«To...ru…» mormorò a stento, le palpebre che quasi si abbassavano.
«IWA-CHAN!»
Forse era la sua mente che giocava ancora con lui, eppure la sentì chiaramente: quella era la voce di Oikawa.
Il secondo rumore fu il fischio di un arma da fuoco, e quando avvertì qualcosa di caldo sulla faccia e la presa farsi più leggera, capì che l’assassino era ufficialmente morto. Respirò a tentoni, e riuscì definitivamente a prendere aria solo quando gli tolsero il corpo di dosso. Era come se i polmoni fossero tornati a nuova vita.
«Iwaizumi, stai bene?» Vedeva ancora un po’ sfocato, ma vicino a lui c’era l’agente Blye, preoccupata. Lo scalpiccio di alcuni scarponi gli fece intuire che avevano già pensato all’agente ferito e alla donna, e che probabilmente erano entrambi salvi.
Annuì, e solo quando la vista gli tornò nitida si accorse di un’altra persona. Non sapeva come diavolo avesse fatto ad arrivare lì, sapeva solo che non era stato il frutto della sua testa, quella era veramente la sua voce.
Quello era veramente Oikawa, che lo fissava con gli occhi colmi di lacrime.





Dopo la discussione con Isles, aveva deciso di andare da Iwa-chan per parlargli e spiegargli le sue ragioni, infischiandosene del divieto di salire. Solo che, una volta arrivato al piano superiore, alcuni colleghi del ragazzo gli dissero che lui era già in viaggio, diretto verso il luogo in cui era sepolta la vittima, assieme all’assassino.
Entrò subito nel panico, e non ci volle molto prima che afferrasse la collottola dell’agente che gli stava davanti e lo costringesse a dirgli dove erano diretti; alla fine, quel povero agente in prova, gli dette le coordinate precise, impaurito da quella reazione così violenta.
Isles non riuscì nemmeno a fermarlo. Doveva andare da Iwa-chan. Doveva impedire che si facesse ammazzare.
Quando arrivò sul posto, trovò solo il furgone, e non appena aprì lo sportello, si ritrovò una decina di uomini che gli puntavano dei fucili addosso, e lui alzò subito le mani in alto, spaventato. Fu la stessa Blye a rassicurare i suoi uomini, riconoscendo perfettamente Oikawa. E sapeva anche che non doveva essere lì, che per la legge lui era solo un civile e che la sua presenza avrebbe solo ostacolato le indagini. Stavano discutendo proprio di questo, Oikawa che insisteva per voler raggiungere Iwaizumi e dargli un mano, quando sentirono uno sparo.
Accorsero immediatamente, trovando un agente per terra e con un braccio sanguinante, e una fossa con dentro una cassa, ma di Iwaizumi e del colpevole non c’era completamente traccia. Li trovarono poco più avanti, e Oikawa non riuscì a frenare il suo istinto, la sua voce carica di panico e paura che richiamò il ragazzo non appena lo vide in quelle condizioni. Fu Blye a sparare e a uccidere l’assassino, mettendo fine a quella storia.
«Sta fermo!» intimò Oikawa, rivolto ad Hajime, mentre cercava di medicargli le ferite che aveva in faccia.
Erano tornati in centrale, e adesso si trovavano all’obitorio, il detective seduto sopra uno dei lettini in metallo che utilizzavano per le vittime, mentre Oikawa cercava di curarlo con quello che aveva a disposizione.
Il ragazzo sbuffò, il disinfettante che gli pizzicava la pelle, e senza volerlo si ritrovò a fissare gli occhi del castano. Erano tristi. Non brillavano di quella sfumatura vispa e allegra che avevano sempre. Non brillavano come quelli che aveva visto poco prima di…
«Okay, ho finito» disse, riponendo poi gli arnesi che aveva utilizzato. 
Rimasero un attimo in silenzio, Oikawa che gli dava le spalle nonostante fosse di fronte a lui, mentre sistemava alcune boccette con dentro dei liquidi che per Iwaizumi avevo lo stesso colore delle pozioni magiche.
Alzò la testa di scatto non appena sentì Oikawa parlare. «Avevi ragione. Io non sono nessuno per dirti come devi fare il tuo lavoro.» Fece una risata amara, ma non si voltò. «Devo solo accettare il fatto che non siamo più ragazzini, che io sono solo… una parte del tuo mondo… che c’è qualcosa di più importante. Del resto, forse è per questo che non ci siamo sentiti per tanti anni, mmh?»
Il silenzio che calò in quel momento quasi raggelò le ossa di Hajime, che stringeva con forza il bordo di metallo, le nocche che gli dolevano per via della serie di pugni che aveva mollato a quell’uomo.
Oikawa stava praticamente rinunciando a lui. Gli stava dicendo di proseguire per la sua strada senza pensare a lui.
Se glielo avesse detto qualcun altro, forse non avrebbe fatto così male, ma detto da lui…
Prese un profondo respiro, rendendosi conto che se non avesse parlato adesso non l’avrebbe fatto mai più.
«Non ho intenzione di diventare un agente dell’FBI. Sono troppo fiscali persino per me, e poi tu lo sai che a volte sono troppo impulsivo…» Si grattò la nuca con violenza, ma quella frase bastò a far girare Oikawa, che adesso lo guardava con gli occhi colmi di stupore. «Io non mi voglio liberare di te, sei praticamente l’unica cosa che rende questo lavoro un po’ meno stressante e…»
Calò ancora una volta il silenzio, le mani di Iwaizumi che tremavano, non riuscendo più a controllare il flusso dei suoi pensieri, e sentiva Oikawa vicino, sempre più vicino.
E all’improvviso, le visioni che ebbe durante la colluttazione con il serial killer, tornarono nuovamente a galla. «Mi sono trovato diverse volte in situazioni come quella di oggi, e ogni volta accettavo l’idea che sarei potuto morire, e sì, avevo anche paura. Eppure stavolta… avevo paura non perché sarei morto… ma perché avrei lasciato te.» S’interruppe, non sapendo con quale forza avesse alzato lo sguardo su Oikawa. Aveva gli occhi lucidi, come lui del resto, e se ne accorse solo allora. «Perché ti avrei lasciato da solo» disse, quasi in un soffio.
Si fissarono per attimi che parvero infiniti, entrambi con gli occhi coperti da una patina lucida, fino a quando Oikawa non sollevò una mano e la posò sulla guancia di Iwaizumi, che quasi ebbe un sussulto. Il suo pollice passò sul labbro inferiore, sulla parte ferita, lasciandogli una piccola striscia rossa sulla guancia.
«Ti si è riaperta la ferita…» mormorò, quasi in trance.
Non ci volle molto prima che le sue labbra calassero su quelle del detective. Credeva che si sarebbe ritratto, e invece sentiva le labbra dell’altro premere contro le sue, in un bacio a fior di labbra che voleva cancellare per sempre tutta la tensione e le malelingue di quei stramaledettissimi giorni.
Oikawa si staccò poco dopo, senza fiato, il ciuffo completamente spostato di lato, metabolizzando quello che aveva appena fatto, mentre l’altro lo fissava sconvolto.
L’aveva baciato.
Aveva baciato Iwa-chan.
«Scusami…» biascicò, cercando di allontanarsi.
Fu comunque inutile, perché un secondo dopo sentì una mano che si insinuava tra i suoi capelli e che premeva contro la nuca, le labbra di Iwaizumi che entrarono nuovamente in contatto con le sue, in un bacio molto più passionale rispetto al precedente. Hajime ogni tanto mormorava qualche lamentela per via della ferita, ma non gli importava poi granché, in quel momento i suoi sensi e la sua mente erano tutti concentrati sulle labbra di Oikawa.
Voleva di più. E lo capì soltanto il quel momento.
Si staccarono poco dopo per riprendere fiato, le fronti premute l’una contro l’altra. Avevano ancora il sapore delle labbra dell’altro sulla lingua, e avrebbero volentieri ricominciato a saggiarlo.
Le labbra di Hajime avevano il sapore amaro del caffè e del sangue, mentre quelle di Oikawa…
«Tooru?»
Il ragazzo, ancora mezzo frastornato e incredulo, rispose appena al richiamo del ragazzo che gli stava davanti. «Sì…?»
«Credo che adesso apprezzerò molto di più il sapore della vaniglia.»
La ragione per cui si misero a ridere rimase un mistero. Forse era per via della tensione che era finalmente scomparsa, o forse per via della piega che aveva preso quella strana situazione, fatto sta che risero di gusto. E quando la risata scemò del tutto, Iwaizumi sentì l’impellente bisogno di premere ancora di più la fronte contro quella dell’altro e di immergersi dentro quegli occhi color cioccolato.




I due ragazzi non sapevano che, da dietro la porta dell’obitorio, c’era qualcuno che aveva assistito all’intera scena, un dolce sorriso sulle labbra e due tazze fumanti in mano.
E mentre Isles riprendeva l’ascensore, decidendo di lasciare i due ragazzi in pace, si disse che per quella volta le due bevande potevano aspettare.




 
___


 
C non sa che nominare tè o caffè in presenza di A e B porterà a un’interminabile e molesta diatriba.

Okay, non so se ho rispettato a dovere il prompt, anche se il contest è finito e io, in teoria, potrei usarli a mio piacimento, yay! :’)
Ringrazio sempre e comunque Fanwriter.it, che ha sempre bisogno di complimenti per lo splendido lavoro che fa! <3
Dunque, volevo scrivere qualcosa che fosse ambientata prima che questi due stessero insieme e, puff, salta fuori il momento in cui si baciano e capiscono che sono due dork stupidissimi e innamorati, aww! *w*
Ho messo l’avvertimento “contenuti forti”, perché non vorrei che qualcuno si fosse turbato durante la lettura. L’idea è di mia sorella, perché io a un certo punto ho avuto un blocco e non sapevo come continuare. Della serie, avevo la scena finale, ma non il resto. Lo so, non sono normale :’)
Comunque, spero che si sia capito: l’uomo era stato torturato, di conseguenza ha vissuto con la costante paura di morire; la patologia è scattata dopo che ha scoperto della morte della moglie, ecco perché andava cercando delle donne che fossero del suo stesso aspetto. Voleva “purificarle”, diciamo così, torturandole per poi ucciderle.
Lo so, è una cosa molto macabra…
Per quanto riguarda la possibilità per Iwaizumi di entrare all’FBI, tutto sarebbe dipeso dal suo ruolo in questo caso, che comunque era molto rilevante. Lui decide di rifiutare, rendendosi conto che quell’ambiente non fa per lui, e questo si è visto in “Caffè e muffin”.
Oh, l’agente Blye è ispirato all’agente di NCIS LA, che personalmente amo *w*
Per quanto riguarda gli arnesi che utilizza Oikawa (che poi è solo uno lol), mi sono documentata su Wikipedia, quindi non so quanto possa essere attendibile, in caso chiedo venia! *genuflessione* 
Che dire, sono convinta che questa storia faccia molto schifo e che i personaggi siano OOC, fatemi sapere voi :’)
(alle persone a cui l’ho dedicata, PEDONATEMI! *piange*)
Per adesso sarò sottopressione per via degli esami, spero di tornare al più presto (tutti: no)
_Lady di inchiostro_

l'uccellino che cinguetta 
  
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