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Autore: _Frame_    26/06/2017    2 recensioni
[Human!AU][Gakuen!Verse]
[GerIta!Centric; accenni ad altre coppie]
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La festa di fine anno scolastico alla World Academy W si avvicina. Fra passeggiate all’ombra dei ciliegi in fiore, riunioni segrete da Starbucks, piani di intrufolamento in farmacia, e navigazioni in incognito su WikiHow, l’impavido e sfortunato Kiku Honda ha un’unica missione da portare a termine: organizzare la Prima Volta dei suoi due migliori amici.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brevi disavventure di adolescenti allupati'
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2. Caramelle al malto

 

 

Ludwig richiuse il libro di scienze su cui aveva incollato i post-it gialli per segnare le pagine corrispondenti alle lezioni di anatomia e quelli verdi per evidenziare i paragrafi che spiegavano l’apparato riproduttore. Aprì il quaderno ad anelli e rinfilò al loro posto i vecchi appunti che aveva preso durante le lezioni di educazione sessuale e che ora aveva tornato a sottolineare e a ripassare. Piegò in quattro il foglietto su cui aveva trascritto le nozioni fondamentali, come faceva sempre prima di un compito in classe o di un esame, e lo sistemò nella tasca esterna della borsa a tracolla. Richiuse la tasca, aprì quella centrale e scostò una manica della busta di plastica appallottolata che conteneva ancora il secondo pacchetto di caramelle al malto e le due infami bustine singole che aveva fatto comprare a Kiku.

Chiuse gli occhi affaticati dal ripasso teorico che lo aveva tenuto impegnato per tre ore di fila, sospirò a fondo, sentendo sorgere un sentimento di sconforto ad appesantirgli il cuore e schiacciargli le spalle, e si massaggiò la fronte e le palpebre.

Sto...

Aggrottò la fronte, le labbra tremolarono, allo sconforto si mescolò una fiammata di imbarazzo che gli imporporò le guance e gli fece ribollire il sangue all’altezza dello stomaco.

Sto davvero per farlo? Domani io e Feliciano...

Si strinse la fronte anche con l’altra mano, spinse il peso sui gomiti piegati fra gli appunti sulla scrivania, ed esalò un altro sospiro.

Le pareti della casa tremavano per il fracasso che pompava dalle casse installate nella camera di Gilbert. Stava ascoltando il cd “Carolus Rex”, dei Sabaton, la versione in inglese. Ludwig strizzò gli occhi premendosi le dita sulle tempie, isolò le note di “Gott Mit Uns”, e si concentrò solo sui suoi pensieri, su quello che avrebbe dovuto fare domani. Mise insieme tutta la conoscenza che possedeva, assemblando scene dai film e dai libri come i pezzettini di un puzzle.

Chiudere gli occhi, baciarlo prima con delicatezza e poi con più trasporto, stringendogli una mano fra i capelli e l’altra attorno al fianco, farlo sdraiare sul letto stando attento a non inciampargli addosso e a non schiacciargli la pancia con il ginocchio, sollevargli lentamente la maglia, sfilargliela dalla testa e lasciarsi sbottonare la camicia. Abbandonarsi al suo tocco tiepido sulla pelle, al suo respiro accanto all’orecchio, assaporare le sue labbra umide e dolci, far scorrere le mani lungo il suo busto, fino al bacino, infilare le dita sotto la cinta dei pantaloni, sganciare la chiusura, e scendere giù fino...

Ludwig scosse la testa, aprì le mani sul viso che scottava come la piastra di un ferro da stiro acceso, scivolò in avanti con i gomiti, piegandosi sullo stomaco che già formicolava di ansia e di aspettativa, e si nascose dietro le sue stesse dita divaricate sulle guance e sulla fronte.

La musica proveniente dalle casse di Gilbert continuava a tremare attraverso le pareti, gli fece girare lo sguardo verso la porta della sua camera su cui aveva appeso la giacca della divisa scolastica. Ludwig sospirò, si strofinò la nuca e strinse il pugno sulla scrivania, contenendo i tremolii di agitazione che gli correvano nel sangue. Un senso di sconforto si abbatté sulla sua schiena.

Doveva parlare con suo fratello.

 

.

 

Quando Ludwig raggiunse la porta della camera di Gilbert, il cd era arrivato ad “A Lifetime of War” e le pareti tremavano un po’ di meno.

Ludwig bussò sull’anta, fra il poster dell’ultimo album degli Equilibrium che si era staccato a un angolo e il cartello di latta gialla su cui era inciso un teschio nero trafitto da due saette che Gilbert aveva rubato durante la gita alla centrale elettrica in terza media. Staccò le nocche, tese l’orecchio e nessuno rispose. La voce di Gilbert gracchiava farfugliamenti che Ludwig non riusciva a capire, assordato dalla musica. Ludwig sospirò, esasperato, e bussò più forte. «Gilbert?» Aprì la porta senza aspettare risposta, scostò la bandiera prussiana che faceva da tenda, e si tappò un orecchio con la mano libera. «Gilbert, posso entrare?»

Gilbird sollevò il musetto dalla ciotola di popcorn posata vicino al computer acceso sulla schermata di gioco di Black Ops II, sbatacchiò le ali per salutare Ludwig e ingoiò la briciolina di popcorn che teneva stretta nel becco. Gilbert non girò nemmeno la poltroncina, sollevò le braccia sopra la testa ruotando il joypad, la sua voce gridò sopra la musica sparata dalle casse.

«Fermo, fermo, mettiti dietro il Van, ho visto un fottuto cecchino al piano superiore della casa che si è messo a fare il camper.» Il suo soldato attraversò il prato nella mappa di Nuke Town, passò in mezzo al fumo di un’esplosione che aveva sbriciolato una coppia di manichini, si infilò in una delle case aperte e vi uscì subito dalla porta sul retro. Le dita di Gilbert picchiettarono sui tasti del joypad, raffiche di spari esplosero illuminando lo schermo. «Piazza un mortaio ma non lanciare granate altrimenti si accorge che l’abbiamo stanato.» Girò la canna del fucile SWAT-556 che il suo soldato impugnava fra le braccia e mitragliò un nemico che era saltato fuori da una siepe. Continuò a correre. «Io metto il silenziatore, gli vado da dietro e gli faccio saltare il –»

Ludwig raggiunse lo schienale della poltroncina girata e urlò tenendo una mano attorno alla bocca. «Gilbert, sono qui!»

Gilbert saltò sul posto, una gamba stravaccata sul tavolo accanto alla tastiera urtò la ciotola di popcorn. «Who, cos...» Riacchiappò il joypad che gli era sobbalzato fra le mani e sollevò lo sguardo tinto della luce dello schermo verso Ludwig. Sbatté le palpebre, l’espressione ancora smarrita. «Oh, Lud, sei appena tornato?»

Ludwig sospirò e indicò la porta che aveva lasciato aperta. «Già un paio di ore fa.»

«Hai fatto tardi.» Gilbert si sfilò le cuffie dalle orecchie e le lasciò ciondolare attorno al collo, l’archetto del microfono ancora accostato alla bocca. Si strofinò i capelli spettinati. «E io che ti ho anche aspettato fuori da scuola prima di tornare a casa. Sei stato in giro con i rag –»

Un’esplosione dilatò un globo di fiamme e fumo che inghiottì lo schermo, le casse del computer tremarono superando la canzone proveniente da quelle dell’impianto stereo, Gilbird saltò sul posto e perse due piume, e il soldato di Gilbert si ribaltò finendo a gambe all’aria, il fucile cadde accanto alle sue braccia spalancate. La schermata si chiazzò di rosso, entrò in stallo.

Gilbert si girò di scatto verso lo schermo, sgranò gli occhi, spalancò la bocca, e sbatté un pugno accanto alla tastiera. «Shieße, chi è quel bastardo che...»

La schermata lo riportò al menu principale. Accanto al suo equipaggiamento apparve il suo stemma: una croce di ferro pixelata.

Gilbert sospirò fra i denti stretti, lasciò il joypad sulla scrivania e si grattò la nuca. «Merda. Ancora tre headshot e facevo record.»

Gilbird ingoiò un ultimo bocconcino di popcorn, spiegò le ali e gli volò sulla spalla.

Delle voci disturbate dalla frequenza della connessione brontolarono attraverso le cuffie che Gilbert si era appena sfilato. «Ma che cazzo, Beilschmidt...», «Qualcuno mi può dire dove hanno piazzato il mortaio?», «Ma avete bannato il camper?», «Beilschmidt, ma perché merda ti sei fatto ammazzare?»

Gilbert acchiappò il microfono e ci sbraitò dentro. «Chiudete il becco!» Mollò l’archetto e si tolse le cuffie, accavallò le gambe al tavolo, si abbandonò con le spalle sullo schienale della poltroncina e si mise ad accarezzare Gilbird in mezzo alle ali. «Senti, per domani sera preferisci ordinare una pizza o ci facciamo portare il kebab?» Indicò fuori dalla finestra con un cenno del capo. «C’è quel nuovo locale all’angolo che dà le patatine in omaggio se si prendono quattro porzioni complete.»

Ludwig strinse i pugni ai fianchi, raccolse il coraggio nel petto, scostò lo sguardo da suo fratello, e aggrottò un sopracciglio. «Ehm, n-no» balbettò, «era di questo che volevo parlarti. Io...» Si strofinò la nuca e si girò di profilo. «Io domani andrò alla serata in palestra» disse d’un fiato.

«Ah.» Il cd cambiò traccia, passò a “1 6 4 8”, e le pareti ricominciarono a tremare. Gilbert sfilò l’indice dalle piume di Gilbird, annodò le braccia al petto e scoccò a Ludwig un’occhiata offesa e contrariata. «E lasci da solo il tuo fratellone per andare a mescolarti in mezzo a quelli che l’hanno espulso dalla festa?»

Gilbird diede un battito d’ali. «Pyo!»

Gilbert annuì, rivolse al canarino un’occhiata di complicità. «Sì, lo so, è una vergogna.»

Ludwig sospirò, tenne la fronte aggrottata. «Mi dispiace, Gilbert» gli disse. «Non intendo pagare le conseguenze delle tue azioni.»

Gilbert fece roteare lo sguardo. «Che razza di supporto.» Raccolse Gilbird dalla spalla, lo tornò a posare sull’orlo della ciotola, e agguantò anche lui una manciata di popcorn. Se li ficcò in bocca gonfiandosi una guancia. «Vai con Feli?» Continuò a sgranocchiare.

Ludwig strinse le labbra, girò il viso verso la spalla per nascondere l’improvviso rossore che gli bruciò sulle guance. «E-ecco...» Prese un lungo sospiro e annuì. Inutile negarlo. «Sì.»

«Oh.» Gilbert si ripulì la bocca con la manica e svelò un sorriso aguzzo. Sventolò la mano verso Ludwig. «Allora ti perdono.»  

Ludwig annuì. «Scusa se te l’ho detto all’ultimo momento.»

«Naah», Gilbert si strinse nelle spalle, tolse le gambe dalla scrivania e le incrociò sulla poltroncina, «io me la spasso alla grande da solo.» Diede un’altra carezza sulla testolina di Gilbird. «Io e il mio piccino ci facciamo una serata da uomini veri.»

Gilbird scrollò il piumaggio. «Pyo, pyo!»

Ludwig fece roteare lo sguardo e gli diede le spalle, si riavviò verso la porta. «Come vuoi.»

Gilbert acchiappò un’altra manciata di popcorn, riagguantò anche il joypad che gli era caduto fra le cosce, e tornò al gioco. Si mise a scorrere fra i fucili del menu, aggiunse una granata stordente al suo arsenale, poi passò alle mappe e selezionò “Hunted”. «Ah, Lud.» Gilbert fece emergere un braccio da sopra lo schienale, ruotò la poltroncina di profilo, e puntò l’indice contro Ludwig. Il suo sguardo rabbuiò, un’espressione truce si incavò attorno alle palpebre ristrette. «Se Køhler prova a inventarsi qualcosa di più ingegnoso di quello che abbiamo fatto noi l’anno scorso, pensaci tu a fermarlo. Abbiamo già pagato Zwingli perché porti il fucile a pallettoni e blocchi chiunque provi a fare casino al posto nostro, ma potrebbe non bastare.» Strinse il pugno, i suoi occhi si infiammarono. «Non permetterò a quel bastardo danese di primeggiare sulla nostra supremazia.»

Ludwig scosse la testa, si massaggiò le tempie cercando si scordare quello che Mathias aveva annunciato quel pomeriggio appena usciti da scuola. «Non mi interessa quello che ha in mente Mathias.»

«Ah, aspetta, aspetta!» lo fermò Gilbert. «A che ora torni? Per sapere se devo aspettarti sveglio.»

Ludwig bloccò il passo, la mano che si era tesa per scostare la bandiera prussiana raggelò a mezz’aria, le sue guance sbiancarono, il respiro gli rimase incastrato in gola. «Urgh...» Agitò le dita per sciogliere il formicolio, una vampata di caldo lo travolse, sudori freddi gocciolarono dalla fronte. «Io...» Si chiuse nelle spalle, si costrinse a tenere lo sguardo lontano da quello di Gilbert. «Io non so...» Inspirò e parlò di colpo. «Non so se torno per la notte.»

La poltroncina gigolò. Gilbert spinse il piede sull’orlo della scrivania, stese la gamba e si girò completamente – un sopracciglio sollevato e le dita congelate sul joypad –, lanciando a Ludwig una squadrata di sospetto. Restrinse le palpebre, mimò sguardo inquisitorio.

Ludwig si schiarì la voce, allentò il colletto della maglia. «I... io forse mi...» Sollevò gli occhi al soffitto, si grattò dietro l’orecchio con gesti rapidi e nervosi. Le guance stavano tornando a imporporarsi. «Mi fermo a dormire fuori. Da...» Chiuse gli occhi. Lo disse d’un fiato prima di cambiare idea. «Da Feliciano.»

Gilbert sgranò gli occhi nei quali si riflesse una scintilla di luce del sole che entrava dalla finestra, spalancò la bocca, le labbra tremarono, pietrificate come il suo corpo e il suo sguardo, e il joypad gli cadde dalle mani. Si schiantò sul pavimento con un sonoro crack! , rimbalzò due volte e giacque immobile.

Ludwig aggrottò la fronte, gli lanciò una severa occhiata di ammonimento, già aggredito dal rimorso. «Non una parola!»

Gilbert si posò una mano sul petto, aggrappandosi alla maglia, e si appese con l’altra all’orlo della scrivania per non rischiare di cadere all’indietro. L’espressione sbiancata divenne una maschera di dramma. «Non ci posso credere!» Saltò dalla poltroncina, spalancò le braccia e corse verso Ludwig con occhi umidi. «Il mio fratellino sta crescendo, voglio abbracciarti!»

Ludwig gli schiacciò una mano sulla faccia, lo spinse all’indietro e si appiattì con le spalle alla porta. «Non ci provare.» Gli scollò il palmo dal viso, si girò di profilo tenendo la fronte aggrottata, gli occhi freddi per nascondere il rossore, e si mise a braccia conserte. La voce di nuovo calma e profonda. «Devo solo tenerlo d’occhio perché Lovino sarà da Antonio. Nulla di che, davvero.»

Gilbert fece roteare lo sguardo e sventolò le mani, ridacchiò fra i denti. «Oh, certo, certo, come no.»

Ludwig sbuffò, scostò la bandiera prussiana che pendeva dall’architrave della porta e strinse la maniglia. «Non voglio più sentirne discutere.» Aprì la porta, allungò un passo fuori dalla camera ma il piede rimase sospeso prima di toccare il pavimento. Un pensiero gli trafisse la testa, lo ghiacciò sulla soglia. Ludwig lanciò un’occhiata a Gilbert da sopra la spalla, corrugò le sopracciglia, e le dita scricchiolarono attorno al pomello. «Non dirlo ad Antonio. E nemmeno a Francis, altrimenti...»

Gilbert si posò una mano sul cuore e aprì l’altro palmo davanti alla spalla, in segno di giuramento. «Bocca cucita.»

Un soffio di sollievo attraversò il petto di Ludwig, sciolse il nodo di ansia e distese i tratti del volto in tensione. Uscì dalla camera.

«Ohi, Lud, Lud, aspetta, aspetta un attimo.» Gilbert gli saltò dietro e lo afferrò per la spalla con una presa solida. La voce si fece di colpo seria. «Dimmi la verità.»

Ludwig si girò, lanciandogli un’occhiata sospettosa. Gilbert gli prese anche l’altra spalla, sollevò lo sguardo per fissarlo dritto negli occhi, e strinse forte le dita per non lasciarselo scappare. Gli intensi occhi rossi gli scavarono nello sguardo, profondi, e animati da una luce apprensiva e paterna. Le dita premute sulle sue spalle gli trasmisero una stretta di calore che gli trapassò il cuore.

«Ti servono preservativi?»

Il calore andò a fuoco, gli torse lo stomaco, accelerò il battito, fiamme di vergogna ruggirono fino al viso di Ludwig, lo resero viola di vergogna. Ludwig sgranò gli occhi, arricciò la bocca tremolante mordendosi un labbro, e percepì due fiotti di fumo fischiargli fuori dalle orecchie.

Si strappò via una mano di Gilbert dalla spalla e gli urlò addosso. «No, Gilbert!» Gli diede le spalle, marciò fino alla sua camera e si chiuse dentro sbattendo la porta.

Il tremore delle pareti attraversò tutta la casa, superò persino quello martellato dalle casse dell’impianto stereo.

Gilbert rimase sulla soglia, sporse le spalle in avanti, incrociò le braccia al petto, e sbirciò la porta sigillata della camera di suo fratello tenendo il sopracciglio sollevato. Gilbird gli tornò a volare sulla spalla, sporse anche lui il musetto, sbatacchiò le ali e si rivolse al padrone con un cinguettio. «Pyo, pyo!»

Gilbert gli rispose piegando un ghigno da furbo. Usò l’indice per fargli una carezza sulla testolina. «Tutto come previsto, piccoletto.»

Infilò una mano in tasca ed estrasse il cellulare. Chiuse la chat di gruppo “The-Bad-Touch” dove l’ultimo messaggio di Francis spiava qualcosa a proposito di Alfred e Kiku che sarebbero andati assieme alla festa per far ingelosire Arthur, e aprì la chat nominata “Impero Austro-Ungarico di Nobile Dominio Prussiano”. Si mise a digitare.

 

TheAwesomeSirGil: Grandi notizie, plebaglia! Domani sera casa libera. Tutti da me come programmato. Roddie prende le cibarie e Liz i film. E con “le cibarie” intendo schifezze vere, Roddie. Non quelle porcherie alla soia e senza zucchero che hai comprato per la serata di Halloween.

Roderich: Gilbert, se fossi più specifico te ne sarei grato. E ti ho già spiegato di come non tutti si adattano al tuo apparato digerente. Qui ognuno ha le sue necessità primarie.

One-Punch-Liz: Evviva! Casa libera e domani si spacca! Ma come hai convinto Ludwig a passare fuori la notte?

TheAwesomeSirGil: Ci ha pensato il bel culetto di Feli, non io. E Roddie, a questo punto tu occupati dei film, mi fido più dello stomaco di Liz. E per “occupati dei film” intendo film da uomini, non robe da principessina. Quindi assicurati di procurarti una copia di Bambi o tu non entri in questa casa. Consideralo il tuo passaporto.

Roderich: Gilbert, dubito che esista una copia DVD di Bambi. È troppo vecchio.

One-Punch-Liz: Un momento, un momento, CHE COSA? Cosa vuol dire che ci ha pensato il sedere di Feliciano?

TheAwesomeSirGil: Che domani sera qualcuno perderà l’innocenza, mia cara. E per “qualcuno” non intendo Roderich. Anche se so che brama dalla voglia che sia io a portargliela via, lo so, lo so.

Roderich: Gilbert, onestamente, non so più cos’è che mi spinga ancora a discorrere con te e a frequentare la tua presenza.

One-Punch-Liz: Roderich, non temere, finché ci sono io a fare la guardia nessuno si prenderà la tua innocenza. Ma questa cosa di Lud e Feli la devo sapere!

TheAwesomeSirGil: Lud mi ha detto che dopo la festa andrà a casa di Feli e che passerà là la notte. Se non è significativo questo...

One-Punch-Liz: Ma Kiku? Non c’è Kiku con loro?

TheAwesomeSirGil: Nemmeno l’ombra. In realtà Francis prima mi ha detto che Arthur gli ha detto che ha litigato con Alfred perché lui ha spifferato quella cosa del bacio dopo la partita di baseball, e ha deciso di tenergli il muso fino alla festa per fargliela pagare. Ma a Francis è comunque giunta voce che Alfred sta pianificando di andare alla festa con Kiku. Francis lo ha detto ad Arthur, e ora Arthur è incazzato a morte e probabilmente scazzotterà Alfred davanti a tutti. Quindi Kiku è impegnato.

One-Punch-Liz: Kyaa! Ma allora fanno sul serio! Che dolci! Quanto vorrei essere là a vederli...

Roderich: Gilbert, non pensi che tuo fratello gradirebbe che queste questioni rimanessero private?

TheAwesomeSirGil: Roddie bello, io sono un fratello maggiore, NIENTE è privato quando lo confidi a un fratello maggiore. Tantomeno a ME. Piuttosto, pensa alle questioni serie e di vitale importanza e vedi di procurarti il DVD di Bambi. E anche quello di Dumbo!

One-Punch-Liz: No, Gilbert, niente Dumbo! L’ultima volta hai pianto ed è stato uno spettacolo pietoso a cui non ho intenzione di assistere un’altra volta.

Roderich: Gilbert, invece che lamentarti e impuntarti su questo tuo insostenibile atteggiamento irrispettoso, dovresti prendere in seria considerazione l’idea di ringraziare me ed Elizaveta per aver rinunciato alla festa e aver accettato di trascorrere la serata con te, anche se, dopo quello che tu e gli altri due avete combinato lo scorso anno, avrebbero dovuto impedirti di mettere piede nell’intero edificio scolastico e non solo nella palestra.

TheAwesomeSirGil: Sarei scoppiato a piangere dalla disperazione, guarda.

 

.

 

Feliciano fece scorrere la punta della matita sul foglio, tracciò l’ennesimo cuore che si unì alla composizione che riempiva già metà della pagina, lo terminò con un ghirigoro, e ne disegnò subito un altro, grande il doppio, schiacciato in mezzo agli altri. Sospirò, spinse il peso sul gomito piegato sulla scrivania, reclinò il capo poggiando la guancia contro le nocche, e disegnò un altro cuore tondo e lucido, che sembrava nato da una bolla di sapone. Non era riuscito a disegnare nient’altro durante tutto il pomeriggio. Un formicolio di nervosismo, eccitazione, gioia, ansia e aspettativa stagnava attorno al suo cuore facendogli sentire il petto come riempito di uno sciame di farfalle, gli gorgogliava in fondo alla pancia senza permettergli di pensare ad altro.

Feliciano staccò la punta della matita dal foglio, posò l’estremità con la gommina fra le labbra, e alzò gli occhi al soffitto della sua camera, attirato dai passi di Lovino che si spostavano avanti e indietro al piano di sopra.

Sospirò di nuovo.

Dovrei dire a Lovino di domani sera?

Posò la matita accanto al foglio da disegno, raccolse le ginocchia al petto, abbracciando le gambe piegate, e dondolò avanti e indietro accoccolato sulla seggiola.

Mhm, non credo che gli farebbe molto piacere sapere di Ludwig. Poi non è nemmeno detto che il piano che abbiamo progettato io e Kiku fili liscio e che lui riesca a trascorrere la notte con me.

Smise di dondolarsi, abbassò le palpebre, e ritornò a quel pomeriggio, sotto l’ombra dei ciliegi in fiore, avvolto dalla brezza fresca che profumava di polline, a smangiucchiare la pasta morbida dei macaron insieme a Kiku.

Kiku, dopo averlo preso per le spalle, gli aveva spiegato per filo e per segno il piano, guardandolo dritto negli occhi con un’espressione seria e concentrata. “Usciti dalla festa, io farò in modo che siate voi due da soli, mi allontanerò con una scusa oppure mi fermerò dicendo che non posso accompagnarvi. Allora tu insisterai che sia Ludwig-san ad accompagnarti a casa e io farò lo stesso, assecondandoti. Una volta a casa, dovrai inventarti qualcosa per trattenerlo. Potresti dirgli che...”

Un sentimento di affetto e gratitudine intiepidì il petto di Feliciano, sciolse il groppo di agitazione e gli piegò un tenero sorriso sulle labbra.

Kiku l’ha presa davvero a cuore, è davvero un amico. E anche io spero che possa davvero succedere qualcosa in più. Altrimenti...

Piegò il capo e premette la guancia sulle ginocchia, emise un altro sospiro di sconforto e il sorriso si ammosciò. Gli occhi si intristirono.

Vorrà dire che io proprio non piaccio a Ludwig come speravo.

Dondolò ancora avanti e indietro, consolandosi in quell’abbraccio solitario.

E lui invece mi piace così tanto...

Gli uccellini cinguettarono fuori dalla finestra, una brezza scosse i rami del nocciolo piantato in giardino, li fece ticchettare contro il vetro attraversato dalla luce rossastra della sera.

Feliciano si girò. Lo sguardo gli cadde sul letto immerso nel fascio di luce che riempiva la camera, sulla borsa di scuola che aveva gettato fra i due cuscini, sulla trapunta invernale che non aveva ancora risistemato dentro l’armadio perché la notte aveva ancora freddo e gli piaceva dormire arrotolato nella lana. Tornò a chiudere gli occhi, si ritrovò accoccolato nel suo letto, ma con le braccia strette attorno a Ludwig e non al cuscino. Si immaginò con il capo posato sulla sua spalla o sul suo petto, le mani intrecciate alle sue, i piedi a toccarsi sotto le coperte, il suo respiro fra i capelli, e i cuori che battevano all’unisono. 

Feliciano riprese a dondolarsi avanti e indietro tenendo le ginocchia premute al petto, sulle labbra sbucò di nuovo il gongolante sorrisetto di aspettativa che gli tinse le guance di rosso.

Io e Ludwig...

Le farfalle presero a svolazzargli nello stomaco, spansero il caldo e piacevole formicolio attraverso tutto il ventre.

Feliciano scosse il capo, si diede un piccolo schiaffetto alla guancia, e tornò serio.

No, non posso distrarmi, si disse. Devo rimanere concentrato!

Strinse un pugno davanti al petto e volse lo sguardo alla parete, mimando un’espressione agguerrita.

Kiku si è impegnato duramente per sostenermi, e io non lo deluderò. Mi farò coraggio e la renderò una serata indimenticabile!

Annuì a se stesso.

Assolutamente indimenticabile!

 

.

 

Feliciano girò le chiavi dentro la serratura dell’entrata di casa, avvitò il pomello, spinse una spalla sulla porta, e la luce spanta dalla lampadina sul portico entrò a rischiarire il buio del corridoio. 

«È un peccato che anche Kiku non sia potuto venire a casa con noi, vero?»

Tese il braccio, aprì la mano sulla parete, tastò il muro fino a raggiungere l’interruttore della luce. Clic! Accese il lampadario e illuminò il piano di sotto, immerso fino a poco prima nel buio della notte.

Feliciano entrò in casa e si sbottonò il bavero della giacca, si girò per rivolgersi a Ludwig. «Ma immagino che si sia sentito un po’ responsabile per quello che è successo ad Alfred» gli disse. «Io non avrei mai creduto che Arthur riuscisse a tirargli certi pugni, invece era proprio arrabbiato. Ma credo che Alfred l’abbia fatto solo per ingelosirlo un po’, perché a lui piace davvero Arthur, e ora Kiku si sentirà in colpa verso tutti e due.»

Ludwig si ripulì le scarpe sullo zerbino ed entrò a sua volta, si sbottonò anche lui la giacca, senza togliersela, ed esalò un grave sospiro di sconforto. «Se non altro, il fatto che Arthur abbia picchiato Alfred davanti a tutta la palestra ha distratto tutti da quello che stava per fare Mathias.»

Feliciano annuì. «Già.» Si sfilò la giacca e la lasciò cadere su una delle seggiole nel soggiorno, accese anche le luci nella saletta. «Meno male che c’erano Berwald e Lukas a tenerlo d’occhio, perché penso che Vash avesse portato un fucile ad aria compressa, questa volta, e Mathias avrebbe potuto fare una brutta fine.»

Ludwig fece roteare lo sguardo. «Se lo sarebbe meritato.»

Feliciano rise, gli diede una piccola spallata. «Ludwig!»

Attraversarono il soggiorno e si ritrovarono ai piedi delle scale che salivano fino al piano di sopra. La penombra del corridoio infossava strati di buio fra i gradini rivestiti di parquet, sempre più scura man mano che risaliva, fino a diventare di un nero pece fra le pareti del corridoio al piano superiore.

Ludwig si fermò, irrigidendo, strinse la mano attorno alla tracolla della borsa di scuola appesa alla sua spalla, il braccio tremò, il peso della busta di plastica appallottolata nella tasca interna si aggravò, iniziò a tirarlo verso il basso, a pulsargli sul fianco. Iniziò a percepire la presenza delle due infami confezioni singole custodite nella borsa come una bomba a orologeria che ticchettava incessantemente – tic-tac, tic-tac, tic-tac – senza dargli pace. Inspirò a fondo per placare i tremori che cominciavano ad attraversargli il petto e la schiena, trattenne il respiro, strinse forte la mano attorno alla tracolla fino a farsi sbiancare le nocche, sudori freddi gli bagnarono la pelle, il cuore si gonfiò di agitazione e cominciò a martellargli fino in gola.

Anche Feliciano si fermò in fondo alla gradinata che conduceva al piano di sopra. Guardò il corridoio immerso nel buio, strinse le mani dietro la schiena, dondolò avanti e indietro sui piedi – tallone, punta, tallone, punta – e chinò lo sguardo al pavimento, nascondendo il leggero rossore che si era spolverato sulle sue guance. Tossicchiò. «Ehm...»

Ludwig scattò sull’attenti come se lo avesse punto. «Sì, ehm,» prese un altro respiro, «io...»

«Vorresti...» Feliciano si strofinò la nuca e sollevò l’indice libero a puntare il piano di sopra. Schiuse le labbra per spiegarsi, ma Ludwig lo anticipò, irrigidì lo sguardo stendendo le braccia sui fianchi e mostrandogli occhi seri.

«Feliciano.»

Feliciano deglutì, sollevò un sorriso di attesa e aspettativa. «S-sì? Ludwig.» Le pareti dello stomaco cominciarono a prudergli.

Ludwig sospirò e rilassò i tratti del volto. «Ho pensato...» Si strofinò il capo e spostò gli occhi verso la parete, lontani da quelli di Feliciano. «Ho pensato a quello di cui abbiamo parlato ieri...» Un tremolio lo fece esitare. «Uscendo da scuola.»

Feliciano sbatté le palpebre e si posò la punta dell’indice fra le labbra. «Dei problemi di matematica che mi sono dimenticato di trascrivere?»

Ludwig sobbalzò, strabuzzò lo sguardo. «Cosa?» Capì e si premette una mano sul viso. «No, no, non quelli. Io...» Feliciano, ti prego, concentrati. Non rendere le cose più difficili di quello che già sono! «Quello che dicevamo a proposito di...» Sospirò attraverso le dita ancora premute sulla faccia che stava diventando sempre più calda. «Di noi. Sai,» borbottò, «tu mi avevi già chiesto di accompagnarti a casa e...»

Il viso di Feliciano si illuminò. «Ooh, sì.» Di nuovo un dolce imbarazzo tornò a pizzicargli sulle guance, lo spinse a chinare il viso e a stringersi nelle spalle, rigirando a terra la punta del piede. «In realtà non l’ho fatto proprio perché avevo paura a rimanere da solo. Be’, okay, un po’ è vero che ho paura a rimanere da solo, ma la verità è che io...» Stese le braccia lungo i fianchi, strinse i pugni, raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo, trattenne il respiro, chiuse gli occhi. «Ludwig.» Sollevò i pugni davanti al petto, guardò Ludwig negli occhi con un’espressione forte e determinata. «Ludwig, io vorrei che tu e io...»

«Sì.»  

Un barlume di smarrimento attraversò gli occhi di Feliciano. «Cosa?»

Ludwig annuì. «Sì» ripeté. «Cioè», inspirò anche lui, «va bene, anche io...» Tornò a grattarsi la nuca e spostò lo sguardo in disparte, riprese a borbottare. «Anche io intendevo quello quando ho accettato di accompagnarti a casa, e...» Si strinse nelle spalle. «E in realtà l’ho fatto anche perché non mi sarei fidato a lasciarti girovagare da solo per la città a quest’ora di notte e anche se ieri ho detto il contrario non mi piaceva davvero l’idea che tu stessi solo a casa, e...»

Feliciano gli scivolò davanti, salì sulle punte dei piedi posandogli le mani sulle spalle e gli frenò la parlantina con un bacio.

Il tepore delle sue labbra trasmise a Ludwig quel piacevole e caldo senso di sicurezza che provava ogni volta in cui si baciavano, ogni volta in cui gli stringeva la mano, ogni volta in cui gli carezzava le guance, ogni volta in cui Feliciano lasciava riposare il capo sulla sua spalla, e ogni volta in cui si ritrovavano loro due da soli, o a passeggiare o a tenersi compagnia durante lo studio, in quei momenti in cui bastava la presenza reciproca a riempire la camera di luce e a intiepidire l’aria, a rendere il cuore gonfio di quella candida gioia tutta loro.

Ludwig chinò le spalle, gli strinse delicatamente una mano fra i capelli per reggergli la nuca e gli posò le nocche sulla guancia, godendosi la dolcezza della bocca di Feliciano che serbava ancora il sapore morbido e zuccherino della torta di panna e meringa che aveva mangiato alla festa in palestra.

Separò le labbra dalle sue, riaprì le palpebre e abbassò subito gli occhi, sentendosi stringere il cuore da una fitta di colpevolezza. «S-scusa se ieri non ti ho baciato nel corridoio.»

Feliciano ridacchiò, fece scivolare la mano dalle spalle di Ludwig e gli strinse una mano, intrecciò le dita alle sue, tornò a trasmettergli calore e sicurezza. I cuori di entrambi battevano veloci, Ludwig sentiva quello di Feliciano palpitare attraverso il suo stesso palmo.

«Quel sì di prima» disse Feliciano, «era...»

Ludwig si strinse nelle spalle, una fiammata di rossore salì a bruciare fino alle punte dei capelli. «S-sì. Immagino.»

«Oh. Bene.» Feliciano gli strinse la mano, guardò le scale e il corridoio del piano superiore, dondolò avanti e indietro sui piedi, e anche lui si chiuse nelle spalle diventando più rosso in viso. «Ehm.» Rivolse l’indice al soffitto. «Vuoi andare in camera mia?»

Ludwig agitò le dita che non stringevano quelle di Feliciano, il formicolio al basso ventre si raggrumò in un gomitolo di prurito attorno allo stomaco che gli infiammò il sangue pizzicando fino al petto e lungo gli arti. Annuì. Strinse la mano di Feliciano aggrappandosi a lui come se si fosse trovato alla deriva in mare aperto, percependo quella presa come il suo unico appiglio e unica sicurezza. «C-credo sia meglio.»

 

.

 

Quando raggiunsero il piano di sopra, Feliciano aveva già perso le scarpe e la giacca, aveva già slacciato la camicia di Ludwig tenendosi incollato alle sue labbra e camminando all’indietro, senza mai separare il bacio attraverso tutta la salita degli scalini.

Gli strinse la cinta dei pantaloni, mosse la bocca sulla sua, gli sfilò la mano da sopra le spalle e piegò il braccio contro la porta della sua camera per spalancarla. Anche Ludwig perse le scarpe, infilò il tocco sotto la maglia di Feliciano, trasmise una scossa di calore ai suoi fianchi nudi. Feliciano schiuse le labbra, soffocò un gemito, strinse le braccia attorno al collo di Ludwig e lo fece scivolare sul letto, sopra di lui. Il materasso rimbalzò, le molle cigolarono, e la maglia di Feliciano cadde fra le coperte.

Unirono di nuovo le labbra in un bacio più frenetico e umido, i respiri accelerarono, le guance di entrambi più calde e rosse. Feliciano infilò le dita sotto la cinta di Ludwig, gli sganciò la chiusura, arrivò all’orlo dei pantaloni.

Ludwig si affrettò a separare il bacio, punto da una scossa di panico. «A-aspetta.» Aveva ancora il fiatone.

«Uhm?» Anche Feliciano riprese fiato, gli mostrò un’espressione smarrita, immersa nella penombra gettata dalla luce della luna che gli tingeva le guance di bianco. «Cosa?»

Ludwig chinò lo sguardo, allontanò gli occhi da quelli di Feliciano, il cuore continuò a palpitargli in gola. «N-nella mia borsa.» Stese un indice verso la tracolla che era caduta sulla soglia della camera. «Non possiamo fare senza.»

Feliciano si sporse dal letto, lanciò un’occhiata alla borsa, e rotolò di nuovo con i piedi sul pavimento. Si chinò e spostò la giacca di Ludwig che era caduta sopra la borsa, aprì la tasca centrale, sollevò uno scricchiolio di plastica che viene mossa. Fermò il tocco. Estrasse qualcosa e lo mostrò a Ludwig sollevando un sopracciglio.

«Caramelle al malto d’orzo?»

Ludwig tirò su la testa, sgranò gli occhi. «Cosa?» esclamò.

Illuminato da un fascio di luna che splendeva sulla confezione, Feliciano stringeva il pacchetto di caramelle al malto fissato dall’adesivo che ritraeva il monaco a passeggio nel giardino di erbe.

Ludwig si nascose la faccia dietro la mano, una stretta di vergogna si annodò nel petto. «Oh, Gott, no. Quelle sono...» Scese anche lui dal letto, si inginocchiò accanto a Feliciano senza osare incrociare il suo sguardo, e tuffò anche lui le mani dentro la busta della farmacia. Sollevò lo scricchiolio della plastica che veniva scossa. «Ecco, ieri ho pensato fosse meglio procurarmi questi nel caso io e te avessimo...» Prese l’Infame stringendolo fra le dita tremanti e lo porse a Feliciano, senza guardare.

Feliciano sgranò gli occhi. «Ooh. È...»

Ludwig tossicchiò e annuì. «Sì.» Gli occhi incollati al pavimento.

Feliciano posò il sacchetto delle caramelle e sollevò un sopracciglio, si strofinò la nuca. «Ma a cosa ci servono, Ludwig? Io non rimango mica incinto.» Un barlume di panico gli attraversò il viso. «Non rimango incinto, vero, Ludwig?»

«Cosa? No! È solo...» Ludwig scosse il capo e gli puntò l’indice contro, aggrottò la fronte. «Sono importanti, Feliciano, e noi... io li userò lo stesso. Non sei stato attento durante le tre lezioni di educazione sessuale che abbiamo fatto a scienze?»

«No, perché Francis continuava a fare battute e mi veniva da ridere.»

Ludwig tornò a prendersi la fronte fra le dita, strinse la pressione sulle tempie esalando un respiro profondo. «Non posso credere che...» Rivivendo la fuga fra gli scaffali della farmacia, a Ludwig saltò in testa una seconda realizzazione. Gli arrivò addosso come una cariolata di mattoni rovesciata dal soffitto. Sgranò gli occhi, tornò a impallidire e a nascondersi la fronte sotto la mano, e un violento tremore lo scosse fino alle viscere. «Oh, no.»

Feliciano sollevò un sopracciglio. «Cosa?»

Ludwig stese le dita sulla fronte per coprirsi gli occhi e si morse il labbro inferiore. «Il lumhbrifhganteh

«Il cosa

«Il...» Ludwig inspirò profondamente, cercò di raffreddare la temperatura delle guance. «Ci servirebbe qualcosa per...» Guardò a terra, fece roteare la mano. «Sai, per... rendere la cosa più...» Stupido! Come ho potuto dimenticarmi di qualcosa di così fondamentale? Tornò a coprirsi gli occhi, imprecò a denti stretti. «Maledizione, ora ho rovinato tutto, e non...»

Il bacio di Feliciano interruppe le sue parole. Fu un bacio più profondo e bruciante rispetto a quelli strappati di fretta che si erano scambiati durante la scalata dei gradini. Ludwig tornò ad abbandonarsi al sapore di meringa delle labbra di Feliciano, alla pressione morbida e calda della sua bocca, al profumo di pesca che avevano i suoi capelli, e al tocco delle sue mani intrecciate dietro il collo. Ludwig gli avvolse le guance e rispose al bacio. Finì avvolto da una spirale di felicità simile ai vortici di fiori di ciliegio che avevano colorato di rosa i corridoi della loro scuola; una spirale che riuscì a spazzare via la nuvoletta grigia di timore che per tutto quel tempo aveva ristagnato nella sua testa.

Si dimenticò di WikiHow, della figuraccia in farmacia, delle lezioni di anatomia che aveva ripassato, delle caramelle al malto, e si fidò dell’unica persona che voleva avere nei suoi pensieri in un momento del genere.

 

.

 

Alla fine, al posto del “lumhbrifhganteh usarono una crema per le mani. Le gambe di entrambi, ancora intrecciate fra loro sotto le coperte, serbavano il delicato profumo di olio di mandorla, le ultime goccioline di sudore scivolarono fra i loro bacini e rotolarono lungo le cosce rimaste lucide di unguento.

La brezza notturna fischiò attraverso la fessura della finestra rimasta socchiusa, scosse le tendine e agitò i rami del nocciolo che sfiorarono il vetro producendo un ticchettio simile a quello dato dalle unghie. Un gufo bubolò, e il suo verso svanì portato via dal frullio d’ali, canti di grilli frinirono in lontananza, trascinati dal vento che spirava in quella fresca e limpida notte primaverile. Nella camera da letto regnava un pacifico silenzio interrotto solo dai respiri flebili e regolari dei due ragazzi abbracciati nel letto. Un fascio di luce argentata entrava dalla finestra, scivolava attraverso le coperte rigonfie e increspate di ombre attorno ai loro corpi, e luccicò su un braccio nudo di Feliciano avvolto attorno al torso di Ludwig.

Feliciano stese le gambe, stiracchiò i piedi sfregandoli contro le caviglie di Ludwig, rotolò sul fianco allontanandosi dal suo calore e scivolando via dal suo braccio stretto attorno alle spalle. Le coperte frusciarono, una molla del letto cigolò. Feliciano allungò un braccio verso il pavimento, tastò l’aria agitando le dita, raggiunse la borsa di Ludwig sepolta da una maglia, scostò la manica, tuffò la mano nella tasca e aprì la borsa di plastica per raccogliere il sacchetto di caramelle al malto. Ne pescò due, le scartò usando entrambe le mani, e ne strinse una fra le labbra.

Tornò a rotolarsi sotto le coperte, si rannicchiò sotto il braccio che Ludwig aveva tornato a stringergli attorno al fianco, e rosicchiò lentamente la caramella al malto, gustandosi le scaglie brune che si scioglievano fra le guance. Il buon gusto di zucchero, il calore di Ludwig attorno a lui, il suo tocco sul viso e il respiro regolare accanto all’orecchio gli trasmisero un profondo senso di pace e felicità che riuscì a sciogliere la pesantezza accumulata nei muscoli. Si sentiva esausto come dopo due ore filate di educazione fisica.  

Feliciano inghiottì il resto della caramella e mangiò subito anche l’altra, rosicchiandola subito fra i molari. «Queste caramelle al malto sono buonissime.» Si succhiò l’indice su cui era rimasto un sottile strato appiccicoso di zucchero.

Ludwig sollevò la guancia dal cuscino, il raggio di luna gli toccò il viso, splendette attraverso le palpebre socchiuse accendendo l’azzurro degli occhi. «Ti piacciono tanto?»

Feliciano annuì tutto contento. «Oh, sì.» Succhiò anche il pollice, si leccò le labbra sporche di briciole di zucchero, e si infilò di nuovo sotto il braccio di Ludwig. Si strinse al suo fianco e posò il capo sulla sua spalla. «Le hai prese pensando a me? A te non piacciono le caramelle al malto.»

Ludwig allontanò lo sguardo, nascose l’espressione imbarazzata sotto la penombra dei capelli spettinati. Le immagini del pomeriggio del giorno prima, della fuga dalla farmacia, di quando aveva passato i due pacchetti di caramelle a Kiku come diversivo, gli tornarono a balenare in viso come un flash. «Più», arricciò un labbro, «più o meno.» Tornò con il capo sul cuscino e sospirò, distese anche lui la tensione dei muscoli. «Se vuoi puoi tenere il pacchetto intero, io non le mangerei comunque.»

Feliciano sorrise. «Che bello! Grazie!» Si spinse più vicino a lui tornando a intrecciare le gambe fra le sue, i bacini a toccarsi e i torsi ad aderire uno sull’altro, e gli avvolse le braccia attorno alle spalle, intrecciando le dita fra i suoi capelli ancora umidicci di sudore. «Uffa, così però mi fai sentire di nuovo in colpa.»

Ludwig inarcò un sopracciglio, sollevò una mano per scostargli una ciocca di capelli che gli era finita davanti agli occhi. «Perché in colpa?»

Feliciano emise un sospiro profondo – Ludwig percepì il battito del cuore direttamente sul suo petto – e gli poggiò la fronte sotto la spalla, inumidendogli la pelle con il suo respiro caldo. «Tu pensi sempre a me» mormorò. «Sai sempre come farmi felice quando sono triste, come farmi sentire sicuro quando ho paura e anche quando non ne ho.» Si rotolò supino, tenendosi avvolto nel braccio di Ludwig, e girò la guancia per guardarlo in viso. «Ti ricordi quando abbiamo fatto amicizia all’asilo?» Anche le sue guance finirono illuminate dal fascio di luna che entrava dalla finestra. «Quella volta che Alfred e gli altri mi volevano fare i dispetti e mi avevano tirato i capelli, e tu mi hai difeso perché nessun altro lo faceva e sei rimasto sempre assieme a me per proteggermi. E anche alle elementari, poi! Ogni volta che mi dimenticavo il pranzo o la merenda, tu mi davi sempre la tua, mi facevi copiare i compiti quando non li facevo, e...»

«Anche adesso ti faccio copiare i compiti» disse Ludwig, facendo roteare lo sguardo.

Feliciano ridacchiò. Gli strinse la mano, fece aderire il palmo al suo, intrecciò le dita e chiuse la presa, gli carezzò le nocche con il pollice. «Quella volta dei compiti di geometria, ti ricordi?» mormorò.

Ludwig esitò. Sfiorato dalla brezza fresca della notte che entrava dalla finestra socchiusa, tornò all’inizio dell’anno scolastico, quando lo stesso profumo di prato umido che sentiva ora si mescolava a quello evaporato dal tè ai frutti di bosco che lui e Feliciano avevano preparato mentre studiavano per il primo test di geometria. La sera, sulla soglia della casa di Ludwig, dopo avergli detto grazie, Feliciano si era sporto a baciarlo. Aveva posato le labbra sulla sua bocca, però, non sulla guancia come faceva di solito. Ludwig era rimasto pietrificato, con il cuore che scoppiava come se fosse stato appena trapassato da una saetta di elettricità, la bocca che scottava a contatto con quella di Feliciano. Il sapore di frutti di bosco era rimasto stampato sulle labbra per tutta la notte. Non era riuscito a chiudere occhio ed era rimasto a fissare il soffitto buio della sua camera a palpebre sbarrate, vedendo e rivedendo quel momento che gli aveva ghiacciato il cervello e infiammato il petto. Il giorno dopo non era nemmeno riuscito a guardare Feliciano negli occhi. «S-sì» rispose, sentendosi di nuovo toccare da quel soffio di caldo e bruciante imbarazzo. «Mi ricordo.»

Feliciano sorrise, riassaporando anche lui il loro primo vero bacio al sapore di frutti di bosco, e carezzò il braccio di Ludwig che gli passava attorno alle spalle. «È stato in quel momento che ho capito quello che avevo già iniziato a provare all’asilo: che ti avrei sempre voluto avere vicino a me.» Ruotò la guancia poggiandogliela sulla spalla e sospirò di nuovo. Sul viso tinto del blu cristallino della notte si dipinse un’espressione avvilita. «Però mi sentivo anche inutile.»

Ludwig corrugò la fronte, di nuovo colto da quel pizzico di confusione. «Inutile?»

Feliciano annuì sfregandogli i capelli sulla spalla, aprì e strinse la mano ancora unita alla sua, rannicchiò le gambe intrecciando le ginocchia e facendogli strusciare i piedi fra i suoi polpacci. «Tu sai sempre come badare a me» disse, «io invece non posso difenderti perché non ho muscoli, non posso rassicurarti perché non c’è niente di cui tu abbia paura e che non ne faccia a me, non posso farti copiare i compiti perché tu a scuola vai meglio di me, tranne in arte.» Prese un sospiro, diede un’altra spremuta alla mano. «È così che ho pensato che...» Si strinse nelle spalle e guardò in basso. «Che io forse avrei dovuto dimostrarti quello che provo in un’altra maniera.»

Ludwig sbarrò gli occhi, ammutolì rimanendo di sasso come durante il loro primo bacio, il suo corpo rigido avvolto da quello di Feliciano e il respiro fermo. Dimostrarlo in un’altra maniera... «Feliciano.» Un leggero brivido di freddo trasmesso dall’aria fresca entrata dalla finestra gli fece vibrare la gola.

Feliciano sollevò lo sguardo spostando il capo sul suo avambraccio, sbatté le palpebre, gli mostrò un’espressione interrogativa.

Ludwig sollevò le spalle dal cuscino facendo leva su un gomito, e la coperta gli scivolò attorno ai fianchi. «Credevi...» Si posò una mano sul petto, la penombra del riverbero lunare si frammentò nei tratti del suo viso, gli occhi azzurri luccicarono di incredulità, limpidi come specchi d’acqua. «Credevi che io avessi bisogno di questo per capire quello che tu provi nei miei confronti?»

Feliciano si strinse nelle spalle, abbassò di colpo lo sguardo, trafitto da una frecciata di colpevolezza. «Uhm.» Strinse le ginocchia più vicine a sé, raccolse la coperta sul petto chiudendosi nelle spalle, e piegò un imbarazzato sorrisetto di circostanza. Lo rivolse a Ludwig e si strofinò il capo: la stessa espressione di scuse che gli aveva rivolto il pomeriggio prima quando si era fatto dare una copia dei compiti di matematica. «Più o meno.»

Ludwig sollevò le sopracciglia, appiattì le labbra, lo sguardo irrigidì, e una fitta di delusione gli strinse il cuore spazzando via la dolce e piacevole sensazione di calore che gli riempiva il petto.

Ma allora è vero che non riesco a dimostrargli i miei sentimenti apertamente come vorrei? Ho fatto sentire Feliciano in debito per tutto questo tempo e io nemmeno me ne rendevo conto?

Feliciano si accorse del conflitto nel suo sguardo, degli occhi toccati dalla luce della luna che erano rabbuiati, della sua espressione più distante e avvilita. Una stretta di rimorso punse anche lui. Feliciano si affrettò a sventolare una mano e a scacciargli di dosso quei pensieri. «Ah, ma ora ho capito che tu saresti rimasto con me lo stesso, davvero! E lo so che mi vuoi bene perché anche Kiku l’ha detto quando...»

«Kiku?» Ludwig sollevò un sopracciglio, lo sguardo riacquistò una scintilla di vita. «Hai...» Un fulmine di sospetto gli attraversò la testa, gli fece corrugare la fronte. «Hai parlato con lui?»

«Uhm. Sì.» Feliciano abbassò lo sguardo tornato rosso, strinse le coperte fra le dita e si strofinò la nuca. Le labbra si incurvarono in un sorrisetto di imbarazzo intenerito dai ricordi del giorno prima. «Mi ha aiutato lui a...» Fece dondolare le spalle. «A pensare a come poter», si pizzicò il labbro, «sai», spostò di nuovo lo sguardo su Ludwig, tenendolo basso, «riuscire a farci stare insieme questa sera.»

Ludwig rimase a bocca aperta, gli occhi increduli, l’espressione congelata, ma il cuore in qualche maniera più leggero. «A-anche io.»

“Feliciano-kun ha molta fiducia in te,” ripeterono le parole di Kiku. “E se è stato lui a fare i primi passi significa che ha fiducia anche nel fatto che riuscirai a trattarlo bene e ad avere cura di lui anche... anche, ehm, in una situazione di quel genere.”

«Anche io ho chiesto a Kiku di aiutarmi a...» Ludwig si strinse nelle spalle, allontanò lo sguardo, le guance ricominciarono a scottare, in testa ronzarono i ricordi della loro visita su WikiHow e della fuga dalla farmacia. Tossicchiò. «A organizzare tutto.»

«Oh!» Feliciano batté le mani davanti al petto, i suoi occhi si illuminarono. «Ma allora è stato un piano collettivo» esclamò. «Una missione fra noi tre!»

Un brivido di disagio percorse la schiena nuda di Ludwig, come un cubetto di ghiaccio lasciato scivolare attraverso la pelle. Un piano collettivo. Una missione fra noi tre.

Feliciano slargò le palpebre, colto da una saetta di illuminazione. «Oh», si posò una mano sulla bocca, «povero Kiku, e noi che lo abbiamo lasciato solo alla festa. E ora lui dovrà anche occuparsi di riappacificare Alfred e Arthur, dato che è finito in mezzo al loro litigio.» Scostò la coperta dalle gambe e si gettò sull’orlo del letto, tese il braccio verso il pavimento, scostò un paio di jeans e una camicia, andò in cerca del cellulare. «Dobbiamo avvisarlo che è andata tutto bene!»

Il brivido di disagio che era sgusciato sotto la pelle di Ludwig si trasformò in un’unghiata di panico. Avvisarlo. Avvisarlo ora? Ludwig scattò verso Feliciano e gli prese il polso. «Aspetta, Feliciano, fermo! Non...» Lo tirò delicatamente all’indietro, abbassò la fronte. «Non è il caso che si sappia ancora che...» Kiku non farebbe mai la spia, ma potrebbe essere ancora assieme ad Alfred e ad Arthur, e loro due potrebbero scoprirlo accidentalmente e a quel punto lo verrebbero a sapere tutti. È anche vero che senza di Kiku ora noi non saremmo nemmeno qui, ma...

La stretta di colpevolezza tornò a chiudersi attorno al suo cuore, fece salire quell’amaro sentimento di rimorso che coprì la dolcezza del momento. Ludwig sospirò e si strofinò il capo. «Dovremo comunque ringraziarlo per bene.»

Feliciano annuì, sorrise. «Già.»

Il vento soffiò lento e silenzioso fuori dalla finestra socchiusa, i rami del nocciolo frusciarono, un’auto percorse la strada del quartiere e il leggero rombo svanì in lontananza. I grilli continuarono a cantare, al bubolare del gufo si unì quello di una civetta. L’aria notturna scivolò dentro la camera da letto, scosse le tendine alle finestre, sfiorò la pelle nuda di Feliciano facendolo rabbrividire.

Feliciano tornò ad avvolgersi fra le coperte, scivolò di nuovo nell’abbraccio di Ludwig, gli posò la guancia sul petto dove sentiva il calmo e rassicurante battito del cuore pulsare sotto il suo orecchio. Socchiuse gli occhi, inspirò profondamente. «Ora però mi sta venendo sonno» sbiascicò contro la spalla di Ludwig.

Ludwig gli fece correre le dita fra i capelli, gli posò le nocche sul viso, passò una leggera carezza lungo il profilo della guancia. Quell’immagine di Feliciano sdraiato accanto a lui, accoccolato nell’incavo del suo braccio, con le ginocchia intrecciate alle sue gambe, le palpebre chiuse toccate dalla luce lunare che brillava d’argento fra le ciglia, e il sorrisetto sulle labbra, gli trasmise un tocco di tenerezza che gli intiepidì il cuore e tornò ad arrossargli la faccia. Si sentì il più fortunato del mondo.

Ludwig si schiarì la voce, il suo petto vibrò contro quello di Feliciano. «Tu...» Allontanò gli occhi. «Ti senti bene, ora? Non ti fa male da qualche parte?»

Feliciano si strinse nelle spalle, arricciò le punte dei piedi sotto le coperte. «Solo un po’ le gambe.» Sollevò la guancia e guardò in basso, arricciò la punta del naso. «E i fianchi.»

Ludwig gli fece una carezza sulle spalle e lungo la schiena. «Domani cerca di non affaticarti troppo. E fatti degli impacchi con l’acqua calda.»

«Va bene!» Tornò ad accoccolarsi, allacciò le braccia attorno al busto di Ludwig e richiuse gli occhi. 

Anche Ludwig lasciò riposare il capo sul cuscino, il viso vicinissimo a quello di Feliciano, le punte dei nasi a sfiorarsi. «Ehm, è stato...» Abbassò gli occhi per non vedersi riflesso in quelli dell’altro. «Voglio dire, è stato come...» Si strinse nelle spalle. «Come speravi?» Le sue guance tornarono a scottare.

Feliciano sorrise. Un caldo e profondo sentimento di tenerezza gli riempì il petto, alleggerì il cuore. «Meglio.» Unendosi a lui aveva provato la stessa infiammante gioia che lo aveva pervaso durante il loro primo bacio, la stessa che era sbocciata all’asilo, quando Ludwig lo proteggeva nascondendolo dietro la sua schiena, quando alle elementari gli regalava la sua merenda o gli faceva copiare i compiti, quando alle medie lo continuava a tenere per mano mentre attraversavano la strada o per non perderlo di vista nei corridoi o quando andavano al parco o in gita. Lo fece sentire elevato fino al cielo, sdraiato assieme a lui in un letto di soffici nuvole di zucchero filato che li tenevano sospesi nel loro piccolo angolino di felicità. «Ludwig?»

Ludwig socchiuse un occhio. «Mh?»

Feliciano gli baciò la guancia, tornò a poggiargli il capo sulla spalla. «Ti amo» mormorò con le labbra a fior di pelle.

Ludwig sussultò, colto alla sprovvista. «Oh.» Girò lo sguardo, nascose le guance rosse. «Uh, okay.» Gli strofinò una carezza dietro la nuca, come faceva con i suoi cani. «Anche io.»

Feliciano ridacchiò a bocca chiusa. Cullato dal suono del vento fra i rami del nocciolo, dal frinire dei grilli, dal respiro di Ludwig e dal suo battito del cuore, si addormentò.

 

.

 

Ludwig si svegliò con il viso sfiorato dai capelli di Feliciano che profumavano di pesca – lo stesso dolce aroma che aveva inspirato la sera prima quando si era addormentato tenendolo avvolto fra le sue braccia.

Gli uccellini cinguettarono fuori dalla finestra, un tiepido raggio di sole mattutino attraversò il vetro dalla finestra davanti alla quale si erano dimenticati di tirare le tende e brillò sul letto come la notte prima aveva fatto il fascio di luce argentea della luna. Il raggio di sole profumava di fiori freschi, appena schiusi. Si posò sul viso di Ludwig facendogli solletico alla punta del naso e alle guance, addolcì il suo risveglio con il profumo di polline e di rugiada fresca.

Ludwig schiuse le palpebre, le sbatté due volte per spannare la vista ancora appesantita dal sonno, e si trovò davanti alla testolina addormentata di Feliciano posata sul suo avambraccio. I capelli castani attraversati da sfumature miele striate dalla luce del mattino.

Ludwig sbatté un’altra volta gli occhi. C’è già il sole? Sollevò il capo dal cuscino, rivolse lo sguardo al soffitto. Che ore saranno?

Un piede di Feliciano si mosse fra le sue gambe, gli sfregò la caviglia. Feliciano chiuse l’abbraccio attorno al suo busto, e le dita si strinsero fra le coperte. La guancia gonfia di sonno premuta sul suo avambraccio, le palpebre chiuse e sfiorate dai capelli scompigliati, e un sorriso beato a tenergli incurvate le labbra. Prese un sospiro profondo, il suo petto si mosse aderendo a quello di Ludwig, e il corpo tornò a rilassarsi, le coperte scivolarono lungo la sua spalla.

Ludwig sentì il calore del sole diffondersi anche nel suo petto, riempirgli il cuore della stessa dolcezza che gli era rimasta sulle labbra. Scostò una ciocca di capelli dalla fronte di Feliciano, gli sfiorò la guancia con le nocche. Ah, già, ieri.

Le immagini di “ieri” gli esplosero in testa come un fuoco d’artificio: il tragitto fino a casa dopo la festa, lui e Feliciano fermi in fondo alle scale, i loro sguardi intimiditi, quel primo bacio che aveva sciolto la rete di tensione e di aspettativa che si era intrecciata fra loro, le mani che sbottonavano i vestiti, i tocchi sulla pelle nuda, le labbra che si divoravano, i respiri accelerati, i cuori che galoppavano, il materasso che cedeva sotto il peso dei loro corpi intrecciati, le caramelle al malto d’orzo e i...

Ludwig si nascose metà faccia dietro la mano, la guancia arroventata gli scottò il palmo, le labbra si torsero in un tremolio di vergogna che si raggrumò in fondo allo stomaco.

Ieri!

Tolse il braccio da sotto il capo di Feliciano, scivolò verso l’orlo del letto, si sporse verso il pavimento e sollevò una giacca che non era la sua, in cerca dei suoi vestiti e delle sue scarpe. Doveva correre via.

I vestiti, i vestiti, dove saranno finiti i miei?

Il peso di Feliciano si spostò facendo frusciare le coperte e cigolare una molla del materasso. Feliciano strinse le ginocchia al petto, richiamò un braccio accanto al viso e accostò una mano alla guancia, si strofinò le palpebre ancora chiuse e lucide di sonno. «Mhm.» Schiuse gli occhi bagnati dalla luce del sole, sbatacchiò le ciglia, aprì e strizzò le dita fra le lenzuola, e rigirò le nocche prima su una palpebra e poi sull’altra. Prese un profondo sospiro, sollevò la guancia dal cuscino, e rivolse lo sguardo ancora appannato a Ludwig. «‘Giorno, Ludwig.»

Ludwig s’impietrì, una gamba già fuori dalle coperte, il piede a sfiorare il pavimento, e il braccio a tenere le coperte scostate. «Oh. Ehm...» Tenne lo sguardo chino, riparato dietro la spalla, di nuovo incapace di incrociare quello di Feliciano come dopo il loro primo bacio. Si schiarì la voce e borbottò a labbra strette, sentendo l’imbarazzo crescere fino alle orecchie. «‘Giorno.»

Feliciano fece leva su un gomito, rivolse il viso al fascio di luce solare che filtrava dai raggi del nocciolo imperlati di rugiada e che passava attraverso la finestra. Sospirò, imbronciò un’espressione contrariata, e tornò a tuffarsi con il viso contro il cuscino, le braccia a stringerne l’imbottitura. «Oh, no» mugugnò. «Ieri non ho chiuso le tende e ora c’è tutto il sole.» Tese un braccio, raggiunse quello di Ludwig, lo incatenò attorno al suo gomito e lo tirò a sé. «Dormiamo ancora, Ludwig, è presto, ci sono le vacanze, non ho voglia di alzarmi.»

«V-veramente...»

Una serratura scattò al piano di sotto, la porta d’entrata si aprì con un cigolio dei cardini. «Ohi, Feliciano!»

Un improvviso fulmine di panico si schiantò fra Ludwig e Feliciano, come una secca e sonora frustata data alla nuca. Le loro facce sbiancarono, negli occhi spalancati si riflesse quel barlume di terrore che gelò il sangue a entrambi.

Quella voce...

«Alza il culo e scendi dal letto» gridò Lovino dal piano di sotto. «Il bastardo ti ha comprato le brioche e tra cinque minuti è pronta la colazione!»

«Non alzare la voce, poverino» lo rimproverò Antonio. «Starà dormendo.»

«Dormendo un corno.» La porta di casa si richiuse, passi pesanti percorsero il corridoio d’entrata. «Feliciano! Muoviti o ti vengo a buttare giù!»

«Vado a chiamarlo io.» Passi più rapidi si avvicinarono al fondo delle scale.

Feliciano si tappò la bocca con le mani, sgranò gli occhi, una maschera di terrore gli ingrigì la faccia. Anche Ludwig si posò una mano davanti alle labbra. Nei suoi occhi spalancati e vitrei comparve l’immagine di Lovino che si era materializzata nei suoi pensieri il giorno prima: il diavoletto dalla lingua biforcuta che emerge dalle fiamme dell’Inferno impugnando la mazza chiodata imbrattata di sangue con scritto sopra “Ammazza-Crucchi”.

I passi di Antonio cominciarono a scalare i gradini, la sua voce si fece più soffice e ridacchiante, ancora rivolta a Lovino. «E io che pensavo di averti insegnato come ci si sveglia dolcemente.»

«Chiudi la bocca o ti cucino la lingua in padella e mangiamo quella per colazione.»

Feliciano rotolò con un salto verso l’orlo del letto, si impigliò con un piede nelle lenzuola e cadde sul pavimento, in mezzo ai vestiti sparsi. Ludwig saltò giù dalla sua parte, raccolse una maglia, la rigirò. Non era la sua. La lasciò cadere a terra, ribaltò un paio di pantaloni. Le mani tremavano, il cuore riprese a martellare come la notte prima, paura liquida gli corse nel sangue arrivandogli fino alla testa e facendogli vedere doppio.

I vestiti, i vestiti, devo andarmene subito, dobbiamo nasconderci, non possono vederci così!

I passi di Antonio raggiunsero la fine della scalinata e una scossa di panico trafisse sia Ludwig che Feliciano.

Feliciano pescò la prima camicia che gli capitò sottomano, la indossò, infilò i primi bottoni nelle asole e si bloccò subito. L’orlo della camicia scendeva fin sopra le ginocchia, le maniche a penzoloni arrivavano a coprirgli le punte delle dita, il profumo di pino fresco emanato dalla stoffa non era decisamente il suo. Si morse il labbro, divenne viola in viso.

«Oh, no, quella sbagliata!»

Ludwig si girò verso di lui e individuò la sua giacca accanto a un paio di jeans. Si sporse sul letto, tese il braccio. «La giacca laggiù!»

Feliciano si chinò e trovò un paio di jeans che non erano i suoi. Li raccolse e li lanciò a Ludwig. «Qui ci sono i pantaloni.»

Ludwig li acchiappò al volo, si infilò la prima gamba e saltellò accanto alla finestra socchiusa toccata dai rami del nocciolo. Si sporse, guardò in basso. Il tronco dell’albero discendeva la lunghezza della casa, Ludwig non riusciva a vederne le radici piantate nel terreno e nascoste dai rami più alti.

Strinse i denti, un getto di frustrazione gli bruciò il petto. Troppo alto!

«Feliii!» I passi di Antonio trotterellarono lungo il corridoio. La voce spaventosamente vicina. «Ti ho portato le brioche con la crema di mandorle e i fagottini alle mele! Vieni giù a mangiare.»

Feliciano si strinse una mano fra i capelli, guardò a destra e a sinistra, buttò lo sguardo sull’armadio guardaroba accostato alla parete. Corse attorno al letto, raggiunse Ludwig e lo prese per mano, spalancò l’anta dell’armadio guardaroba e gli indicò il nascondiglio fra i vestiti appesi. «Qua dentro, qua dentro, come Narnia.»

Ludwig non riuscì nemmeno ad abbottonarsi i jeans. Feliciano si mise dietro di lui, gli spinse le mani sulla schiena ancora nuda e lo fece rimbalzare verso l’armadio aperto. Ludwig perse l’equilibrio, si aggrappò alle ante, tese la gamba per cercare uno spazio libero in cui infilarsi, ma si fermò notando le tele bianche accanto ai barattoli di tempere e pennelli che non voleva rischiare di schiacciare, tre album di fotografie impilati, quattro scatole di scarpe, e vecchi peluche a forma di gattini, porcellini, una pecorella e due topolini.

La porta della camera si aprì. La voce di Antonio fece diventare Ludwig e Feliciano due statue di ghiaccio.

«Poi io e Lovi pensavamo di portarti a pranzo nel ristorante con le cameriere tirolesi per farci perdonare di averti lasciato da solo ieri sera.»

Antonio sbucò fra la porta e lo stipite, le dita ancora attorno alla maniglia e il viso sorridente rivolto all’interno della camera.

Il suo sguardo superò i vestiti sparsi a terra, il letto disfatto e con le coperte ribaltate, e si posò sulla scena congelata davanti all’armadio. Ludwig che reggeva le due ante aperte, una gamba tesa verso l’interno del guardaroba, la testa bassa, e Feliciano chino a premergli le mani nascoste dalla stoffa della camicia sulla schiena nuda, a spingerlo fra gli abiti appesi.

Un uccellino cantò fuori dalla finestra e volò via, interruppe il silenzio di ghiaccio. Il vento mattutino scosse i rami del nocciolo, frammentò le ombre gettate all’interno della camera.

Antonio sbatté le palpebre, il sorrisetto inebetito ancora stampato sulle labbra. Il suo cervello cominciò a collegare le immagini – vestiti sparsi sul pavimento, letto disfatto, Feliciano con indosso solo una camicia di tre taglie più grandi, Ludwig vestito solo con i jeans ancora sbottonati. Sbatté di nuovo le palpebre, una scintilla di illuminazione gli passò attraverso gli occhi. «Oh.»

Feliciano e Ludwig non si mossero.

Ludwig ruotò lo sguardo sopra la sua spalla, incrociò quello di Feliciano. Feliciano irrigidì, le mani aperte sulla sua schiena si strinsero, e un’ondata di panico gli rese le guance grigie.

Antonio sventolò una mano. «Ciao, Ludwig.» Continuava a sorridere come uno scemo.

Ludwig deglutì. «Ciao, Antonio.»

Antonio spostò di nuovo lo sguardo a terra, in mezzo ai vestiti che non avevano ancora raccolto, e sollevò le sopracciglia. Puntò un indice a terra, verso uno scintillio argenteo, e sorrise a entrambi. «È la bustina di un preservativo, quella?»

Ludwig e Feliciano divennero prima bianchi, poi rossi, poi verdi, poi viola. La vampata di vergogna ribollì nel sangue, infiammò le guance, fischiò fuori dalle orecchie, gettò una spazzata di buio nella camera che li seppellì nella sua ombra.

Ludwig guardò l’entrata dell’armadio guardaroba. Il fitto buio incastrato fra gli abiti che pendevano fra le ante non gli era mai sembrato così invitante. Desiderò davvero rinchiudersi dentro ed esiliarsi a Narnia, a lavorare come domestico nella casetta del Signor Tumnus per il resto della sua vita.

Passi più pesanti e affrettati di quelli di Antonio scalarono i gradini e marciarono attraverso il corridoio. Anche la voce di Lovino suonò più vicina e minacciosa. «Feliciano, Cristo Santo, ci sono le scarpe sparse per le scale! Esci da quel dannato letto e vieni a metterle a posto o ti devo buttare giù a cazzotti nemmeno fossi...» Lovino spinse Antonio in disparte, spalancò la porta, rimase anche lui congelato sulla soglia: la bocca ancora aperta per le imprecazioni, e la fronte aggrottata in un’espressione scocciata.

La scena all’interno della camera si riflesse nei suoi occhi, un raggio di luce gli colpì il viso, gli fece restringere le palpebre.

Feliciano piegò un sorrisetto tremolante. Staccò una mano dalla schiena di Ludwig e sventolò un saluto nascosto dall’orlo della camicia. «C-ciao, Lovino.»

Antonio scivolò di un passetto di lato. Si nascose la bocca per poter ridacchiare senza farsi notare da Lovino.

Lovino squadrò prima Feliciano, sbatté le palpebre, poi Ludwig ancora aggrappato alle ante del guardaroba, poi di nuovo suo fratello. Spostò gli occhi a terra, fra i vestiti sparsi sul pavimento, e poi sul letto disfatto. Sbatté di nuovo le palpebre, l’espressione congelata. Tornò a guardare Feliciano con un’espressione piatta, quasi delusa, e non disse nulla. Staccò la mano dal pomello della porta, fissò la parete, l’espressione si perse, un po’ perplessa, e Lovino uscì dalla camera senza dire una parola. Riattraversò il corridoio a passo lento, l’eco della sua camminata si disperse lontano.

Ludwig si girò di profilo e si nascose il viso.

Feliciano sobbalzò, punto da una scossetta di allarme, e si posò la mano davanti alla bocca. «Ehm, Lovino...» Saltellò vicino alla porta, si sporse a guardare il corridoio, ma Lovino era andato. Emise un profondo sospiro di delusione. Avrei preferito che si arrabbiasse...

Antonio si chinò e raccolse la giacca di Ludwig, gliela porse con un sorriso di solidarietà. «Tieni, questa è tua.» L’occhio gli cadde sul sacchetto di caramelle ai piedi del letto, il suo viso si illuminò. «Oh, caramelle al malto! Ve ne rubo una!» Pescò una caramella dal sacchetto, la scartò, e se la tuffò in bocca, cominciando a rosicchiarla.

Ludwig indossò la giacca continuando a guardare in basso, Antonio gli diede due soffici gomitate sul braccio. «L’ha presa bene» disse, con voce impastata dalla caramella.

Feliciano si girò e fece per rispondergli.

Passi simili alla carica di un rinoceronte riattraversarono il corridoio e piombarono davanti alla porta della camera da letto. La sagoma nera di Lovino ricomparve sulla soglia, le braccia piegate contro i fianchi slanciarono il colpo della mazza da baseball che si schiantò sulla porta, spalancandola.

Feliciano saltò contro il muro e cacciò un grido. «Ah!» Anche Ludwig e Antonio sobbalzarono.

Attorno a Lovino ruggirono le fiamme dell’Inferno, i suoi occhi furenti si accesero come bracieri, corna da diavolo sbucarono in mezzo ai capelli, una lingua biforcuta scivolò fra i denti aguzzi. «Io ti ammazzo, bastardo!» Corse addosso a Ludwig e impennò la mazza sopra la testa.

Ludwig scattò passando dietro la schiena di Antonio, chinò la testa per schivare un colpo rovescio di Lovino, si tenne stretta la giacca ancora aperta, e volò via.

Feliciano si sporse dalla porta e urlò con una mano attorno alla bocca. «Ludwig, scappa!»

Anche Lovino passò attorno ad Antonio, sfrecciò verso la porta schivando Feliciano, e tornò a gettarsi in corridoio. «Provaci un’altra volta ad avvicinarti al culo di mio fratello!» I passi di entrambi svanirono giù per le scale.

Antonio mise entrambe le mani attorno alla bocca. «Lovi, no!» Corse anche lui fuori dalla camera e imboccò il corridoio in direzione delle scale. «Non picchiarlo, a Feli serve ancora!» Anche la sua voce e il ruzzolare della sua corsa si persero come echi.

Feliciano si sporse dalla soglia della sua camera, guardò a destra, verso le scale, e la casa piombò nel silenzio. Probabilmente stavano continuando la corsa attraverso tutto il quartiere.

Feliciano tornò a udire il cinguettio degli uccellini fuori dalla finestra e il leggero soffio di vento fra i rami del nocciolo. Si rimise a spalle dritte, un lembo della camicia scivolò scoprendogli la clavicola. Lo rimise a posto e un’ondata del profumo di Ludwig gli inebriò la mente, come la notte prima quando si era addormentato fra le sue braccia. Solo in quel momento si ricordò di avere ancora indosso la sua camicia. Sollevò le braccia, le maniche penzolarono oltre le dita, e di nuovo si sentì pervadere da quel caldo sentimento di gioia che gli avvolse il cuore facendogli sentire il petto leggero e i piedi sospesi in un tappeto di nuvole. Non riuscì a contenere un sorriso.

Si chinò a raccogliere i suoi pantaloni, infilò la mano nella tasca, pescò il suo cellulare. Fece scivolare il pollice sul blocca schermo con la Venere di Botticelli, aprì la schermata che ritraeva la foto di un gattino grigio abbracciato a un gomitolo azzurro, e andò sulla chat di gruppo “Axis Powers”.

C’era solo un’ultima cosa da dire.

 

“Missione compiuta!”

 

 

 

 

Fine

   
 
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