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Autore: Gwen Chan    27/06/2017    8 recensioni
Quando Yuri, un giovane pescatore, finisce fuori bordo durante una tempesta particolarmente violenta dovrebbe essere spacciato. Invece riesce a sopravvivere abbastanza a lungo da essere soccorso da un sottomarino sovietico di passaggio, il cui bel capitano potrebbe spingere Yuri a fermarsi a bordo più del previsto.
Benvenuti sul Vydra.
[Submarine!AU]
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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ROTTE INCROCIATE
 
24 SETTEMBRE 1976,
44°10’39.306” N, 152° 36’25.531” E
AL LARGO DELLE COSTE DI HOKKAIDO
 
Yuri puzzava di pesce. La situazione in cui versava la sua persona poteva anche essere migliorata dopo essersi fatto una doccia, ma l’odore del tonno appena pescato sembrava essere penetrato sotto pelle. Il pesce veniva pulito direttamente a bordo prima di essere congelato e per la fine della giornata Yuri si era trovato con frammenti di interiora e squame tra i capelli,  sangue fino ai gomiti, e la convinzione che puntualmente veniva smentita di non poter più vedere un tonno nemmeno in fotografia.

Era stato un giorno propizio.
           
In cabina indossò un paio di pantaloni frusti ma puliti, un dolcevita asciutto e un pesante maglione turchese a collo alto, il suo preferito, quello dedicato alla fine di una buona giornata. Accarezzò la grossa treccia sul petto dell’indumento e affondò il viso nella lana. Il tempo e l’usura l’avevano ammorbidita; in più profumava di casa.​
           
Qualche ora dopo era intento a passeggiare sul ponte dell’Eros, il peschereccio su cui lavorava da un semestre circa, le mani infilate nelle tasche della cerata gialla.​            
Le goccioline che gli bagnarono il viso erano fredde, segno di quanto si fossero spinti a nord rispetto alle usuali aree di caccia. Ma quell’anno qualcosa aveva spinto i tonni fuori dalle solite rotte e il Capitano dell’Eros li aveva seguiti.           
La stagione, in ogni caso, stava volgendo al termine. Iniziata più tardi del previsto, si era prolungata fino a metà settembre. Ora, tuttavia, l’arrivo dell’autunno iniziava a rendere pericolosa la pesca, con il periodo dei tifoni nel Pacifico occidentale nel pieno della sua potenza.
“Ho pregato Kuroakami di ritardare la tempesta” Yuri udì una voce familiare alle proprie spalle. Si voltò.​
“Ah, Nishigori. Inquieto anche tu?”​
“Sì. Conto le ore che mi separano dal momento in cui potrò riabbracciare la mia Yuko e le mie bambine.”

Takeshi aveva un paio d’anni più di Yuri, da bambini si era divertito a prenderlo in giro, e aveva sposato la sua amica di infanzia, Yuko. Anche Yuri aveva avuto una cotta per lei, da ragazzi, ma già allora era stato chiaro per chi battesse il cuore della donna. ​
Yuko e Takeshi avrebbero presto festeggiato il sesto anno di matrimonio. La coppia era stata anche allietata dalla nascita di tre gemelle, peperini in miniatura col senso per gli affari già nella culla. A sette anni non ancora compiuti avevano preso in mano la promozione della scuola di vela gestita dalla madre;​ insieme alla Yu-topia Katsuki, il complesso termale di proprietà dei genitori di Yuri, era diventata una delle perle di Hasetsu. Yuri quasi non l’aveva riconosciuta quando era tornato nella sua città natale nel sud del Giappone, un semestre prima, dopo cinque anni trascorsi su un peschereccio che batteva bandiera americana.​
Il periodo trascorso sulla nave da pesca di Ciao Ciao - così il migliore amico di Yuri, Phichit, aveva soprannominato il Capitano Celestino Cialdini - gli aveva insegnato nuove tecniche di pesca, diverse e a volte più innovative di quelle ancora in voga nel Kyushu. L’ultima stagione era stata quasi un incubo per Yuri, costellata di errori che più volte erano quasi costati l’intero pescato della giornata. Così alla fine aveva deciso di tornare a casa. ​
Aveva passato qualche settimana a gironzolare per il paese senza né una meta né un obiettivo finché il mare non lo aveva di nuovo richiamato a sé, guidandolo fino a bordo dell’Eros, dove Yuri aveva ri-incontrato Takeshi e un giovane pescatore, Kenjiro Minami, che a quanto pareva aveva eletto Yuri come proprio idolo.
“Sono sicuro che Kuroakami sarà benevolo.”
 
 
25 SETTEMBRE
41°10’43.154” N, 146°31’43.601” E
AL LARGO DELLE COSTE DI HOKKAIDO
 
Il giorno successivo invece apparve chiaro che Kuroakami non aveva udito le preghiere di Takeshi e, se anche erano giunte alle sue orecchie, aveva deciso che non valevano il suo tempo.
L’equipaggio si era svegliato col mare agitato. Un vento gelido dalle coste canadesi ne spazzava la superficie coperta di schiuma grigia. Onde rabbiose si infrangevano contro lo scafo dell’Eros in un fragore di spruzzi. Già una volta erano state abbastanza alte da bagnare il ponte.​
 
Per il tardo pomeriggio i grossi cumulonembi che Yuri aveva visto all’orizzonte la mattina stessa si erano addensati sopra il peschereccio, color antracite e densi di pioggia. Il cielo si era fatto scuro come a notte fonda. Il vento soffiava senza pietà. Rendeva quasi impossibile muoversi o anche solo rimanere in piedi. Di solito in simili condizioni climatiche il Capitano dell’Eros dava l’ordine di scendere sottocoperta in attesa che la tempesta passasse; quel giorno tuttavia la prudenza era stata sacrificata per la possibilità di pescare ancora qualcosa e migliorare una stagione che non era stata delle più proficue.​
I tonni però dovevano aver percepito il pericolo e non uno aveva abboccato. In compenso una delle casse dove il pesce veniva conservato sotto ghiaccio si era liberata dai tiranti con uno schiocco secco, costringendo Yuri e Takeshi a correre a sistemarla. Yuri era quasi rimasto schiacciato. ​
 
Per l’ennesima volta controllò che il proprio giubbotto di salvataggio fosse ben allacciato. Lo stillicidio cominciato già la mattina del giorno precedente era diventato prima una fastidiosa pioggia rada e infine un violento acquazzone. Yuri e gli altri avevano ormai gli stivali di gomma pieni d’acqua, i capelli zuppi, le mani intirizzite dal freddo. La visibilità era pessima, tanto che Yuri avrebbe anche potuto togliersi gli occhiali, legati stretti dietro la nuca, e non avrebbe fatto differenza.
“Maledizione!” Imprecò Takeshi quando un’onda particolarmente violenta lo investì.​
“Tutto bene?” urlò Yuri, impegnato a reggersi alla battagliola.​
“A” - un’altra onda - “meraviglia!” rispose Takeshi sopra il ruggito della tempesta. Un fulmine illuminò il cielo a giorno. Yuri contò cinque secondi prima che giungesse il rombo del tuono. L’intero scafo della nave tremò. I tiranti cigolavano sotto il peso delle casse e la forza della tormenta.
In quel momento una nuova onda sollevò l’Eros così tanto da portare il peschereccio quasi perpendicolare al mare. Yuri, a poppa, si ritrovò con la testa a un pelo dall’acqua. Con orrore vide Minami venire trascinato dalla forza di gravità da prua addosso a lui. Staccò una mano dalla battagliola e afferrò il polso del ragazzo prima che finisse fuori bordo.
“Grazie!” ansimò Minami. Un volto di norma allegro era distorto dal terrore. Non era la prima volta che incappavano in una tempesta, ma finora si era trattato solo di acquazzoni estivi; nulla a che vedere con quella in atto.​
“Ti tengo!”​
Yuri ringraziò di avere delle braccia forti. Lo sforzo di reggere se stesso e Minami allo stesso tempo minacciava di slogargli le spalle. Sentiva le umide dita dell’altro scivolare dalle sue.
Sospirò di sollievo quando, spinto da una nuova onda l’Eros ritornò in posizione orizzontale, atterrando con uno schianto. Un secondo di più e Yuri non avrebbe più resistito. Si rimise a fatica in piedi. Non riusciva a vedere nulla. La frangia gli si era appiccicata alla fronte.
Un nuovo tuono squarciò l’orizzonte. Minami si strinse a lui. Minami si era imbarcato solo quella stagione, mostrando fin da subito un grande entusiasmo e una spiccata ammirazione per Yuri. Yuri non era solo un mentore per Minami. Per lui era più una specie di semi-divinità.​
Takeshi non perdeva la possibilità di prendere Yuri in giro per il fatto. Rimproverava Yuri di essere insensibile quando egli fuggiva i complimenti di Minami. ​
“Il ragazzo si è preso una bella cotta. Sii gentile!” gli aveva detto una sera, mettendogli un braccio attorno alla spalla. Yuri si era schermito.​
In un’altra occasione Minami avrebbe squittito di gioia per la possibilità di stringersi a Yuri come stava facendo, arrossendo fino alla radice dei capelli ossigenati. Questa volta l’ennesima onda giunse a far rollare l’Eros verso babordo, tanto che Yuri fu di nuovo sbattuto contro la battagliola. Il colpo lo lasciò senza fiato. Non vedeva niente.
La pioggia era troppo fitta.
 
 
 
 
27 SETTEMBRE
38°57’33.872” N, 145° 1’10.312” E
AL LARGO DELLE COSTE DI HOKKAIDO
 
Il Vydra, duecento tonnellate di sottomarino sovietico classe Victor II, si muoveva placido, quasi immobile, a duecento metri di profondità a qualche miglia dalle coste giapponesi. In sei mesi aveva percorso il Pacifico in lungo e in largo in una continua caccia con un sottomarino gemello per abilità e dimensioni ma che batteva una diversa bandiera. Così il Vydra aveva pedinato il Chicago fino alle coste australiane e ritorno prima che giungesse l’ordine di invertire la rotta per una nuova missione. Non era mancato tuttavia il tempo per una sosta di qualche giorno presso la base di Vilyuchinsk, dove ai marinai era stato permesso di sgranchirsi le gambe, divertirsi, e scendere in città prima di rimbarcarsi. ​
Da mezz’ora un nuovo puntino era apparso sullo schermo sonar.​
L’operatore sonar premette una cuffia contro l’orecchio sinistro mentre l’altro venne lasciato libero per eventuali ordini. ​​​​​
“Siamo sicuri che non siano i nostri vecchi amici?” chiese.​
“Troppo fermi per essere loro, Gosha” rispose un altro uomo, poggiando una mano sulla spalla del primo e sporgendosi in avanti per esaminare egli stesso il sonar. “Avvisami se comincia a muoversi” aggiunse, prima di spostarsi verso la plancia di comando.     
Victor Nikiforov aveva ventisette anni e da una settimana era ufficiosamente al comando del Vydra, da quando il Capitano ufficiale di prima classe si era trovato bloccato a letto con una severa polmonite. A suo dire gli aveva riempito così tanto i polmoni e il cervello di muco che non sarebbe stato in grado di guidare una barchetta giocattolo, figuriamoci un sottomarino nucleare. Da allora il giovane aveva preso il comando del mezzo, scavalcando per bravura il comandante e il Capitano di corvetta. Dopotutto non era necessario che a Mosca si sapesse che uno dei pezzi più importanti della sua flotta era in mano di un ventisettenne i cui colpi di testa erano famosi quanto il suo genio. La presenza di un altro sottomarino nei paraggi non lo preoccupava eccessivamente, ma allo stesso tempo non gli piaceva. Spostò un paio di mappe che ingombravano il tavolo per recuperare uno schema approssimativo della dislocazione della flotte USA e USSR. Sei mesi di spionaggio erano serviti a scoprire che gli Stati Uniti avevano due sottomarini classe Los Angeles nel mare di Bering, più un classe Ohio al largo delle Hawaii. Quattro cacciatorpediniere pattugliavano l’area e due incrociatori concludevano il tutto.
 
Della flotta sovietica c’erano quattro sottomarini a sorvegliare le acque del Pacifico settentrionale, di cui due troppo lontani dall’attuale posizione del Vydra stando alle ultime informazioni.
“Scommetto che è il Kit” annunciò alla fine del proprio esame. Il Kit apparteneva alla generazione precedente al Vydra, un buon sottomarino per quanto abbastanza lento. “O il Lenin.”
“In ogni caso si sta spostando” lo informò Gosha, urlando dalla sala sonar che era adiacente alla plancia. Il suo vero nome era Georgi, ma tutti lo chiamavano Gosha.
“Direzione?”
“Si sta allontanando.”
Victor si picchiettò il labbro inferiore con l’indice, un occhio ancora rivolto alle mappe sul tavolo.
“Sottomarino a quota periscopica” ordinò infine. Poi premette gli occhi contro lenti, la schiena curva perché era alto. Con le mani attorno alle maniglie manovrò lo strumento per fargli fare un giro completo. Sembrava tutto tranquillo. Fuori dense nuvole si stavano addensando all’orizzonte, foriere di un’imminente e violenta tempesta, qualcosa che raramente costituiva un fastidio per il Vydra. Il vento soffiava forte, le acque agitate erano deserte: non l’ombra di una nave o imbarcazione minore intenta a lottare contro la furia delle onde. Evidentemente avevano tutti seguito con diligenza il meteo prima di decidere la propria rotta e dare la precedenza ad acque più tranquille.
Tutti tranne uno.​​
Victor strizzò gli occhi dietro le lenti del periscopio, ma non c’erano dubbi su cosa fosse quella macchia gialla che galleggiava tra i freddi flutti.          
“Uomo in mare!”
 
Di norma quando Victor Nikiforov si metteva in testa qualcosa era impossibile farlo desistere dal suo obiettivo. E ora si era messo in testa di non poter lasciare un povero cristo in balia dell’Oceano.
Pochi minuti dopo era già fuori dal boccaporto del Vydra, i polmoni gonfi d’aria salmastra. Guardò attraverso un binocolo. L’uomo era ancora lì, un punto giallo in un’infinità di blu. Al fianco di Victor uno degli altri ufficiali cercò di nuovo di fargli cambiare idea.
“Victor – voglio dire, Capitano - il mare è troppo agitato. Non ce la farete mai a raggiungerlo con un canotto.”
Victor lo ignorò, più concentrato ad assicurare una gomena attorno ai fianchi. “Andreev, fidati, so quello che faccio!”
“L’hai detto anche la volta in cui ci siamo quasi scontrati col, qual era il suo nome?, Austin?”
“Houston. Ma non ci siamo scontrati.”  
“A malapena!”
Senza un secondo in più di esitazione Victor fece una cosa molto coraggiosa e molto stupida: si tuffò.
L’acqua gelida gli tolse il fiato, mordendo la pelle come fuoco liquido. I vestiti impregnati si fecero subito pesanti, tali da trascinare sul fondo un nuotatore meno esperto. Ma Victor era nato e cresciuto a Leningrado, dove aveva imparato a nuotare prima di saper camminare. Le fredde acque del Golfo di Finlandia erano state la sua palestra.​
Dopo aver controllato che la gomena attorno alla sua vita fosse ben salda, Victor si girò su un fianco e fendette i flutti in un crawl preciso e potente.​ 
Quando fu abbastanza vicino notò con sollievo che il naufrago indossava un giubbotto di salvataggio, che lo continuava a tenerlo a galla nonostante le forze lo avessero da tempo abbandonato. La bocca era semi sommersa sotto il pelo dell’acqua, il viso cianotico. Nonostante ciò Victor non poté evitare di notare che lo sconosciuto era molto carino, pur coperto di sale e sul punto di tirare le cuoia. ​
Victor non perse tempo. In fretta girò il malcapitato supino, facendo passare un braccio attorno alla sua vita e facendo quasi aderire la schiena dell’altro al proprio petto. Quindi diede uno strattone alla gomena, iniziando egli stesso un dorso lento pensato per coprire lunghe distanze senza disperdere energie. L’adrenalina pulsava sottopelle.​
 
Di nuovo all’interno del Vydra, Victor diede ordini con gelida efficienza. ​
“Immersione rapida. Cento metri. 30° Nord, 163° Est!”​
“Sì, Capitano!”​
Mentre gli uomini si affrettavano a obbedire, impostando la nuova rotta, pensata per far perdere le tracce del Vydra qualora la recente emersione lo avesse messo troppo in luce, Victor stava già spogliando i propri abiti fradici. Si liberò anche di quelli dello sconosciuto.
“Chiamate il dottor Kulikov, presto! E portate asciugamani e vestiti asciutti!”​
Poi si chinò a scostare dei ciuffi umidi dalla fronte dell’altro. Premette appena il pollice contro il violaceo labbro inferiore.
“Non preoccuparti.  Sei al sicuro adesso. Non ti lascerò andare.”
 
Il dottor Kulikov era un uomo piccolo e severo senza peli sulla lingua. Si era fatto le ossa da giovane come medico militare durante la Seconda Guerra Mondiale e si era imbarcato su un incrociatore appena dopo la fine del conflitto. L’esperienza sul Vydra era ormai la terza a bordo di un sottomarino. Non c’era ormai ferita che riuscisse a impressionarlo. Era anche un fanatico della prevenzione e più volte aveva chiuso un marinaio in infermeria non appena aveva manifestato i primi sintomi di influenza. ​
Quando Victor gli portò Yuri grugnì: “Prima una polmonite e ora un mezzo-annegato!”
Concesse a malapena un’occhiata all’uomo tra le braccia di Victor. “È spacciato” fu il suo giudizio. “Mettilo in una cuccetta se vuoi, tienigli la mano, so che è da te, ma non arriverà a domani!”​
Victor ignorò le parole di Kulikov. C’era un lettino nella stanza. Vi depositò Yuri con delicatezza. Era pallido come un cadavere, tranne che per le dita, blu scuro. ​
“Ti prego, Aleksey, fa’ qualcosa! Hai fatto un giuramento o sbaglio?” supplicò. Kulikov fece un profondo respiro, ma infine si avvicinò a Yuri che respirava a malapena.​
“Non capisco perché ti importi tanto” borbottò, cominciando a visitare il moribondo con freddezza e precisione.
“Allora?” Incalzò Victor quando Kulikov ebbe finito la visita. Il medico si pizzicò l’attaccatura del naso, togliendosi gli occhiali.​
“Cosa vuoi che ti dica, Vitya? Quest’uomo dovrebbe essere morto. Deve essere rimasto in mare per quasi due giorni. Non so come faccia ad essere ancora vivo. Ma continuo a ritenerlo spacciato. Dubito che possa superare la notte.”​
“Tu fa’ comunque il possibile.”​
Victor prese la mano inerte, fredda, di Yuri e la strinse. Sussultò quando Kulikov gli toccò la schiena.
“Vitya!” richiamò la sua attenzione.
“Cosa?”
“Dovresti tornare dai tuoi uomini.”​
Victor lo ignorò, completamente catturato da Yuri. ​
“Victor!”
“Non posso lasciarlo!”​
Kulikov gli mollò un sonoro ceffone, l’anzianità più importante della gerarchia al momento. “Vitya” ripeté, con voce severa ma addolcita, “Yakov ti ha affidato il comando del Vydra. Tutti gli uomini a bordo sono sotto la tua responsabilità. Non puoi rimanere qui a tenere la mano di uno sconosciuto che hai ripescato dall’oceano”​ borbottò, come un buon padre in presenza di un figlio disobbediente e capriccioso. ​
Victor fece per protestare, ma Kulikov anticipò i suoi dubbi. “Farò il possibile.”
Victor si decise infine a lasciar andare la mano di Yuri che ricadde al suo fianco.​
 
Kulikov prese Yuri come una sfida, soprattutto dopo che il giovane ebbe confutato la sua triste diagnosi, superando la notte. La febbre salì bruscamente fino a quaranta gradi. La fronte del malato, appiccicosa di sudore, bruciava; eppure continuava a battere i denti e il corpo era scosso da violenti brividi. Kulikov gli somministrò un siero. Quindi prese uno dei suoi volumi di medicina e si mise a leggere, gettando di tanto in tanto un’occhiata al malato. Per tutta la giornata Victor mandò qualcuno, un marinaio diverso a ogni ora, per informarsi sulla situazione. Verso sera si presentò egli stesso.​
“Ha una buona tempra” affermò Kulikov senza preamboli. “Ma la febbre è ancora alta.”
“Quante probabilità ha ora?”
“Più di ieri, ma finché non si sveglia non posso dirlo fuori pericolo.”
Ci fu un momento di silenzio, interrotto solo dal debole gemito di Yuri quando Kulikov gli iniettò una nuova dose di siero. “Io ormai ho fatto tutto quello che potevo. Tenerlo qui o altrove non farebbe differenza, a patto che rimanga isolato. Non voglio un’epidemia sul Vydra.”
“Ne ho già parlato con Yakov. Starà nella sua cabina.”
Kulikov sospirò, poco convinto. “Spero che tu sappia quello che stai facendo.”
 
 
 
30 SETTEMBRE
20°37’58.023” N, 138°9’50.625” E
MARE DELLE FILIPPINE
 
Durante il delirio causato dalla febbre Yuri fu più volte sul punto di svegliarsi, ma non appena la coscienza cominciava a ri-affiorare ecco che l’oblio tornava ad avvolgerlo, riportandolo nei suoi abissi come il mare con la risacca. Il coma fu popolato prima da sogni di tempeste, con la medesima scena ripetuta in loop; poi fu solo buio e freddo. Qualcosa tirava Yuri sul fondo, due volte più forte ogni volta che il giovane cercava di opporsi. Vedeva il sole oltre la superficie dell’acqua, un puntino lontano come da un altro universo, ma più si muoveva, più quello diventava irraggiungibile. Qualcosa gli afferrò una caviglia. Scalciò per liberarsi, cercando di allungare una mano verso il coltello che portava sempre in tasca, ma si accorse di essere troppo debole per muoversi. Non riusciva a piegare le dita. I polmoni bruciavano. Yuri li sentì andare in fiamme, esplodere nel petto. La pressione sulle orecchie era insopportabile. Yuri avrebbe urlato di dolore se non fosse stato impegnato a usare l’ultimo barlume di lucidità per nuotare verso la superficie. Gli girava la testa per lo sforzo, il freddo, e la mancanza di ossigeno. Lottare contro il proprio corpo che aveva già accettato l’idea che sarebbe morto e a essa si stava abbandonando. La superficie era così lontana. Troppo lontana perché potesse raggiungerla prima che gli esplodesse la testa. Non ce l’avrebbe mai fatta.
L’ultima barriera di consapevolezza cadde. I muscoli labiali cedettero all’impulso di rilassarsi. L’acqua gli invase i polmoni.
 
Yuri si svegliò ansante con ancora la convinzione di non riuscire a respirare. Quando il respiro si stabilizzò scoprì di trovarsi in una cabina non troppo diversa da quella in cui viveva il Capitano dell’Eros, solo più grande e più spoglia. Per un momento credette di essere morto. Poi gli parve strano che nell’aldilà ci fosse un ambiente simile. Scollò a fatica le palpebre, strizzando gli occhi nella penombra. La stanzetta era buia a parte la debole luce di un’abatjour appesa sopra la cuccetta. Senza occhiali Yuri riusciva a distinguere ben poco. Tastò il materasso attorno a sé con movimenti inconsulti; per fortuna qualcuno li aveva lasciati sul cuscino, da dove Yuri li recuperò con un sospiro di sollievo e gratitudine.
Si mise seduto, lottando contro i capogiri. La cabina in questione era grande, più di quella sull’Eros o di qualsiasi altra Yuri avesse mai visto. Era anche spoglia e ciò dava l’illusione che fosse più spaziosa. Il lato opposto al letto era occupato da una scrivania retraibile, incassata all’interno di una libreria. La maggior parte dei tomi avevano la costa in cirillico, ma Yuri ne riconobbe anche un paio scritti in inglese. Si sporse per guardare sotto la cuccetta, per trovare una serie di cassettoni. Appoggiato contro il fondo c’era un attaccapanni e un divanetto nero, davanti al quale stava un tavolino basso del medesimo colore. Il pavimento era in un linoleum verde petrolio. Un pesante orologio nautico era appeso alla parete. Niente foto.
Yuri aveva appena notato la completa assenza di oblò quando la porta si aprì. Il nuovo arrivato non poteva avere più di diciassette anni. Indossava un grembiule sporco sopra la divisa da marinaio, portava i capelli legati in un codino e guardò Yuri come se fosse irritato con lui per qualche motivo. Spingeva un lucido carrello da cucina.
Il nuovo arrivato parlò in fretta e per ogni due parole in inglese ce n’era una in russo, ma cosi fu come si svolse in generale la conversazione.
 
“Finalmente ti sei svegliato! Ci hai fatto prendere un colpo! Ma chi è il folle che esce con questo tempaccio?”
Yuri si strinse nelle spalle, strofinandosi le mani in grembo. ​
“Siamo stati colti di sorpresa” ammise con voce secca e rotta all’improvviso ricordo del naufragio. Si prese la testa fra le mani, le immagini di quegli ultimi momenti più vivide che mai. Ricordava bene l’Eros in completa balia delle onde, le gomene srotolate dalla furia del vento, la presa del giovane Minami che diventava sempre più debole finché Yuri non l’aveva lasciato cadere. Lo aveva lasciato cadere. Aveva visto il ragazzo sprofondare tra i flutti vorticosi. Aveva assistito impotente allo spettacolo di Minami che si agitava nel tentativo di lottare contro i cavalloni che lo investivano senza dargli tempo di riprendere fiato.​
Yuri gli aveva lanciato un salvagente un attimo prima che l’oceano venisse a reclamare anche lui.
“Che giorno è oggi?” chiese invece.​
“Lunedì.”
Il naufragio era stato mercoledì. ​
“Davvero, sei stato fortunato. Ti abbiamo recuperato venerdì sera e giuro che sei tornato dal mondo dei morti. Poi ti è anche salita la febbre” continuò il marinaio. Puntò un dito contro Yuri, come a incolparlo dell’essere finito in mare.
Yuri si portò il dorso della mano alla fronte. La sentì ancora tiepida. Il pigiama che indossava era invero intriso di sudore. Puzzava. C’erano delle crosticine agli angoli degli occhi che rendevano difficile tenerli aperti. Yuri le grattò via con la manica. Gli faceva male la gola e la testa gli girava come una trottola.​
“Comunque ti ho portato una zuppa calda. E se non trovo il piatto pulito quando torno ti infilo un imbuto in bocca e ci verso dentro il bortsch bollente!”      
Il marinaio, che Yuri ipotizzò dovesse essere un aiuto-cuoco, indicò il carrello.
Yuri annuì. Per sua grande sorpresa il ragazzo lo aiutò a posizionare un vassoio in legno sulle ginocchia fatto in modo che gli oggetti posti sopra non cadessero. Poi vi dispose con cura una scodella di zuppa rosso scuro, quasi porpora, un panino, e una tazza che riempì con quello che dall’odore Yuri riconobbe come tè. ​
“Lo bevo amaro” fermò il giovane che era già in procinto di lasciare cadere una zolletta di zucchero nella bevanda bollente.​
“In effetti, non hai bisogno di zuccheri extra.”
Yuri incassò con grazia la battuta sul suo aspetto. Sentendo il peso degli occhi dell’altro su di sé, riempì con diligenza il primo cucchiaio di minestra.
“Victor ti voleva a cena ma l’ho fatto desistere.”​
Yuri annuì distrattamente. Alitò sopra la zuppa prima di sorbire con attenzione il primo sorso. Prima ancora di apprezzarne il sapore, percepì il calore del liquido che gli bruciò il palato e le viscere. Poi giunse il gusto. La barbabietola dominava il piatto, insieme a una nota d’acidità che Yuri non riuscì a riconoscere. ​
“Bene! Io torno in cucina!”​
“Aspetta. Non mi hai ancora detto dove mi trovo. Né chi sei.”​
“Aiuto-cuoco Yuri Plisetsky. Cosa c’è da sorridere?” Il secondo-Yuri corrugò la fronte, le mani strette attorno al bordo del carrello. ​
“Niente, è che mi chiamo Yuri anche io.”
Plisetsky fece un suono di disapprovazione con le labbra. “Mangia, si raffredda!”
“E dove mi trovo?” insistette Yuri.​
“Sei nella cabina del Capitano del Vydra. Victor ha convinto Yakov a farti dormire qui.”​
“Yuri fece un cenno distratto. Il nome non accendeva alcuna lampadina. Di nuovo esaminò l’ambiente. L’assenza di oblò gli dava un vago senso di claustrofobia.
“Come immaginavo non ci sei abituato” commentò l’altro Yuri come se gli avesse letto nel pensiero. 
“A cosa?”
“Agli ambienti chiusi.” ​
Yuri chinò la testa in ammissione. “Sono un pescatore” si giustificò, “sono abituato a lavorare all’aperto. Mi serve solo un po’ d’aria fresca.​
Di nuovo quel suono di disapprovazione. Plisetsky fece la medesima smorfia che Yuri aveva visto tante volte fare dai marinai veterani ai novellini che ancora puzzavano di terraferma.
“Dovrai adattarti. Non possiamo certo riemergere ora. Anzi, non riemergeremo per un bel po’.”
“Riemergere?”
“Il Vydra è un sottomarino!” rise l’altro Yuri. ​
E con questa rivelazione uscì. ​
 
Yuri aveva bevuto fino all’ultima goccia di bortsch quando la porta della cabina si aprì di nuovo. Lasciò cadere il cucchiaio nel piatto.​
Davanti a lui, vestito in un’uniforme blu scuro al limite del nero, col colletto appena sbottonato stava l’angelo che lo aveva salvato. Un angelo con un viso stupendo, capelli biondo-argenteo e caldi occhi azzurri.​
Nel vederlo sveglio, lo sconosciuto gli sorrise. ​
“Vedo che hai finito tutto il bortsch. Yura sarà contento! Ha voluto portartela personalmente. Fa tanto lo scontroso, ma ha un cuore d’oro! Si è arrabbiato tanto quando ho proposto di farti scendere a mangiare con gli altri!”
Victor ti voleva a cena ma l’ho fatto desistere.
Dunque il suo angelo salvatore si chiamava Victor. Un nome perfetto per una persona perfetta.
Di colpo Yuri fu consapevole del proprio aspetto, dei capelli spettinati dall’avere dormito per quasi tre giorni filati, del velo di sudore che gli copriva la pelle, degli occhi gonfi. Soprattutto aveva davvero bisogno di una doccia.
“Il medico dice che se ti sei svegliato il peggio è passato” riprese l’uomo dopo un momento di silenzio. Si sedette sul bordo della cuccetta. Yuri istintivamente ritirò le gambe al petto per fargli spazio. Un fremito viaggiò lungo la spina dorsale. Oltre ad essere molto bello aveva anche un buon profumo  e a Yuri di colpo fu difficile parlare. Inoltre l’avere la pancia piena e i residui di febbre gli avevano messo addosso una grande stanchezza. Si trovò a lottare per tenere sollevate le palpebre. aperti.​
“Non preoccuparti, ti riporteremo a casa” udì l’altro mormorare, ma a quel punto era già sprofondato nell’incoscienza. Avvertì però la mano dell’uomo sulla fronte. Era fresca.
 
 
2 OTTOBRE
12°12’40.249” E, 135°N
AL LARGO DELLE FILIPPINE
 
Occorsero altri due giorni perché Yuri fosse abbastanza in forze per essere di nuovo in grado di stare in piedi senza che le sue gambe cominciassero a tremare  nell’istante in cui vi caricava sopra il peso del proprio corpo. L’altro Yuri aveva continuato a rimpinzarlo di bortsch e tè caldi come se fossero stati una panacea universale e il medico di bordo aveva rincarato la dose con le sue pastiglie.
Inoltre, dopo che Yuri aveva espresso il proprio desiderio di lavarsi, il Capitano del Vydra gli aveva mandato un altro marinaio – un giovanotto basso dai capelli castani – per aiutarlo. La pulizia aveva fatto sentire Yuri decisamente meglio.​
Fu felice nel vedere che ben piegata in fondo al letto c’era una divisa da marinaio fresca di bucato. La indossò. Gli stava un po’ grande, le maniche gli coprivano le mani e dovette ripiegare su se stesso l’orlo dei pantaloni un paio di volte per non inciampare; sui fianchi invece stringeva appena.
La divisa non era l’unica cosa che era stata lasciata nella cabina. Là dove un attimo prima c’erano stati gli indumenti Yuri notò un foglio piegato in quattro. Inforcò gli occhiali e lo aprì. Conteneva uno schizzo veloce della mappa del Vydra, con disegnato in rosso il percorso che Yuri avrebbe dovuto compiere per arrivare fino al quadrato degli ufficiali.
Il Vydra aveva la forma affusolata dei sottomarini classici, pensata per fendere le acque profonde incontrando la minor resistenza possibile. La poppa, che terminava con una gigantesca elica per la propulsione, era occupata dal motore elettrico di emergenza e dall’enorme generatore connesso al reattore nucleare. Seguiva poi la stanza dei tubi missilistici. La parte centrale era occupata dagli ambienti destinati alla vita quotidiana dell’equipaggio, il tutto organizzato su due piani. Quello inferiore ospitava la cucina, la mensa e le cuccette. Quello superiore era costituito dal quadrato degli ufficiali, dalla plancia, dalla sala sonar e dalla stanza dei siluri. Al centro del corpo principale si ergeva quindi una tozza torretta, destinata ad accogliere il periscopio e le antenne radio. Infine la prora era destinata ai tubi di lancio.
 
Yuri girò il foglio. Sul retro due righe in cirillico e un rapido messaggio in inglese. ​
“Fai vedere questo se ti fermano.”​​
Non aveva fatto che pochi metri fuori dalla cabina che incrociò l’altro Yuri, intento a spingere un carrello carico di piatti. Lo salutò.​​​​​​
“La colazione?” domandò indicando i piatti. Aveva perso il proprio orologio durante il naufragio e non aveva idea di che ora fosse.​
“Il pranzo. Dove stai andando?” rispose l’altro Yuri. Come lo aveva chiamato Victor? Ah, Yura. Yuri gli mostrò il foglietto con la mappa. Yura lo studiò in fretta.
“Sì, non è lontano. Pensi di arrivarci da solo o ti serve una guida?”
Nel riprendere il foglietto Yuri fissò sorpreso l’altro. Ripiegò la mappa e la infilò nella tasca dei pantaloni. C’era un strano miscuglio di scherno e gentilezza nell’offerta del giovane aiuto-cuoco; ma nei giorni della malattia Yura si era preso cura di lui, su questo Yuri non aveva dubbi.
“Se non hai altro da fare.”
Yura scosse la testa, accennando al carrello. “Devo solo portare questi in cucina. Ah, tempismo perfetto!”
Con un gesto della mano fermò un marinaio di passaggio. “Tu! Puoi portare questi in cucina? Fantastico!”
Liberatosi del carello rivolse a Yuri un grande sorriso soddisfatto.
Nel breve tragitto Yuri scoprì molte cose su Yura, tra cui il suo disprezzo per il soprannome che Victor gli aveva affibbiato di recente, “Yurio.”
Gli raccontò, con malcelato ardore, di come uno dei nonni – Yuri non comprese bene se dal ramo paterno o da quello materno – avesse fatto per anni il cuoco a bordo di navi e sommergibili.
“È stato sul Volya!” affermò Yurio con orgoglio. Quando Yuri non mostrò l’entusiasmo previsto, aggiunse “È stato uno dei sottomarini più importanti! Mi sorprendo della tua ignoranza!”
Yuri fece spallucce. Yurio si era già rilanciato nella sua cronaca di come il nonno lo avesse portato a bordo di un sottomarino – Deka-qualcosa – che non aveva ancora cinque anni e di come da allora se ne fosse innamorato, tanto da muovere le carte per essere imbarcato ad appena quattordici anni.
Dopo un biennio ad affiancare il nonno, il Vydra rappresentava la prima volta in cui Yurio si trovava ad essere completamente indipendente.
Tra le altre cose, Yurio gli spiegò anche di come Victor fosse stato il Capitano in via ufficiosa del Vydra per un paio di settimane e di come il vero Capitano, ancora convalescente per la polmonite, gli avesse di fatto lasciato il comando.
“È un bene che Mosca adesso sia così lontana” commentò Yurio, dopo essersi assicurato che non ci fossero orecchie indiscrete nei paraggi; ma erano tutti troppo impegnati ad assolvere i propri compiti per gironzolare nell’area dove si trovava il quadrato degli ufficiali. Yurio guidò Yuri attraverso una serie di stretti corridoi, fermandosi di tanto in tanto per sottolineare una particolare svolta o spiegare cosa si celasse dietro una porta.
“Bene, immagino che Victor voglia decidere cosa fare con te. Riesci a tornare indietro da solo?”
Yuri annuì. Yurio cacciò via il suo grazie con un gesto della mano.
 
Victor era seduto a capotavola di una massiccia scrivania in una stanza tappezzata da mappe nautiche, la maggior parte coperte di puntine colorate. Appesa sulla parete opposta alla porta c’era la foto di Lenin. Un quadro ne decorava un’altra. Yuri si chiese se nascondesse una cassaforte, magari per i documenti importanti.
Victor era chino su un plico di fogli, la frangia che quasi sfiorava il tavolo. Le sopracciglia erano aggrottate e stava mordicchiando il tappo di una stilografica.
Yuri si schiarì la voce, dando un paio di rapidi colpi alla porta per annunciare la propria presenza. Victor sollevò la testa dalle proprie scartoffie. Un sorriso si allargò sul suo viso .
“Non ti sei perso, vedo. La mappa è stata utile?”
“Yurio mi ha accompagnato” rivelò Yuri, facendo un passo nella stanza al cenno di Victor di sedersi. “Burocrazia?” chiese poi, indicando i fogli sparsi ovunque. Alcuni erano finiti sul pavimento.
“La parte noiosa del comandare una nave” sospirò Victor. “Tè?” offrì poi.
“Volentieri.” 
Victor riempì due tazze. Nella sua spremette un intero tubetto di conserva di fragole. Lasciò intonsa quella di Yuri.
“Lo bevi amaro, giusto?”​
Yuri annuì. Il tè era denso, quasi pastoso, appena più che tiepido. Yuri cercò di concentrarsi su di esso, gli occhi incollati al liquido vorticante. Ne rimase tanto incantato da sobbalzare quando Victor ricominciò a parlare. Ci fu il rumore della ceramica contro il legno.
“Sarò chiaro, Yuri, ci troviamo in mezzo al Pacifico e al momento non ho modo di farti scendere senza mettere a rischio la missione affidatami dal governo di Mosca.”
 
Come spiegò, erano troppo lontani dalla costa per far recuperare Yuri da un elicottero e la porta-arei sovietica più vicina si trovava ormai ad almeno cinque giorni di navigazione, su una rotta del tutto opposta a quella del Vydra.
“E prima eri troppo debole per essere spostato” continuò Victor, suonando quasi come se si stesse scusando. Yuri soffiò sul proprio tè per nessun altro motivo se non fare qualcosa. La presenza, la vicinanza di Victor lo metteva a disagio; sentiva le guance accendersi ogni volta che quegli occhi color cielo si posavano su di lui.
“Quando saremo di nuovo abbastanza vicini alla costa americana potremo calare un gommone di salvataggio in acqua e da lì metterti in condizione di chiamare i soccorsi. Oppure …”
“Oppure?”
“Potresti rimanere con noi fino al nostro ritorno alla base di Vilyuchinsk. Non c’è un’opzione senza rischi, però” avvertì. Yuri strinse le mani attorno alla tazza.
“Quanto tempo prima di raggiungere le coste americane?” chiese.
“Una settimana circa. Ho allungato la rotta per sicurezza. Magari di meno con i motori a piena potenza.”
Yuri rifletté sull’informazione. “E se scegliessi la seconda opzione?”
“Tre mesi, minimo” fu l’approssimazione di Victor.
“Credo che opterò per la prima, allora” considerò Yuri, parlando più a se stesso che all’altro. Ci fu un momento di silenzio, poi Yuri riprese: “Dove ci troviamo al momento?”
“Al largo delle Filippine.”
“Ci sono notizie sul-”
La voce gli morì in gola. Ritentò. “Ci sono notizie sui miei compagni?”
Victor scosse la testa in diniego. Sembrava sinceramente dispiaciuto. Yuri lo osservò da sopra il bordo della tazza ormai vuota. Victor era indubbiamente giovane, ma c’erano già rughe di espressione agli angoli degli occhi e della bocca. Aveva zigomi alti e la mascella squadrata, ma posta su un viso ovale che ingentiliva l’insieme. Gli occhi, poi, di un celeste che Yuri non credeva potesse esistere; gli causavano un brivido ogni volta che ne incrociava lo sguardo. E si sentiva invero molto stupido.
“Purtroppo le comunicazioni con l’esterno sono limitate. Tuttavia, non mi dispiacerebbe sapere cosa è successo. Se te la senti, ovviamente.”
 
Yuri chiuse gli occhi. Immediatamente le immagini del naufragio furono lì, vivide come quadri, tanto vicine che Yuri credette di sentire il freddo della pioggia. L’Eros rollava senza controllo, un guscio di noce in balia dell’Oceano. Un salvagente si era staccato dal suo supporto, sollevato dal vento senza difficoltà, e aveva colpito Minami alla tempia, tanto forte da farlo sanguinare. Yuri non riusciva a respirare. Il ponte dell’Eros era diventato così scivoloso.
Yuri aveva visto l’onda, l’ultima di una serie interminabile, ergersi in tutta la sua mostruosa potenza. Aveva compreso di non avere scampo un attimo prima si essere travolto.
Ricordava invece poco del tempo trascorso in mare, a parte la disperazione con cui si era aggrappato alla vita, la convinzione che fosse ancora troppo presto per lui; ma il dolce richiamo dell’oblio era così attraente, così semplice, la promessa che se si fosse lasciato andare freddo e dolore sarebbero scomparsi. Gli sarebbe bastato cedere al sonno e sarebbe finita.
Il gelo gli era penetrato nelle ossa.
 
“Preferirei evitare” rispose infine, con voce flebile. Dovette aggrapparsi alla scrivania per convincersi di non essere più in mare.
Non si sentiva ancora pronto ad elaborare l’accaduto, non importava quanto potesse essere salutare affrontare il trauma prima che si incancrenisse. Per ora meno pensava alle onde che trascinavano Via Minami o a quella che poteva anche essere stata l’ultima telefonata di Takeshi alla moglie, meglio era.
“Tuttavia vorrei rendermi utile” si offrì. “So leggere le carte nautiche. E ho un buon orecchio. E conosco un po’ di morse. Lo so, non è molto.”
“È più di quanto sappia fare molta gente” replicò Victor. “Ma sei mio ospite, non devi sentirti obbligato in alcun modo. Non dopo quello che hai appena passato.”
Con sua sorpresa Victor si alzò, coprì la distanza tra loro, e gli prese le mani tra le sue. Yuri chinò la testa per nascondere il proprio imbarazzo.
“Yuri, ti prometto che farò di tutto per farti tornare a casa il prima possibile e per rendere la tua permanenza qui sopportabile.”
Yuri avrebbe voluto chiedergli perché lo avesse preso tanto a cuore, perché fosse così disponibile. Non aveva debiti nei suoi confronti. E comunque Yuri era certo di non meritarsi un simile impegno. Liberò le mani con uno strattone forse appena troppo violento.
“C’è altro?” domandò.
“No. Riesci a trovare la strada per il ponte di comando? Porta questo a Gosha. È il giovane al sonar.”
Yuri prese in consegna il messaggio scribacchiato da Victor.
“C’è scritto che lo affiancherai finché starai con noi.”
“D’accordo.”

 
3 OTTOBRE-9 OTTOBRE
OCEANO PACIFICO
 
 
A Yuri non dispiaceva lavorare al sonar. Qualcun altro avrebbe potuto considerarlo un compito noioso e ripetitivo, ma dopo la recente burrascosa esperienza diventava un balsamo. Georgi era stato estremamente gentile. Aveva mostrato a Yuri i principali comandi, specificato i rumori cui prestare maggiore attenzione, e lo aveva invitato a rivolgersi a lui per qualsiasi dubbio.
Quando Yuri non era al sonar, lo si poteva trovare in cucina, ad aiutare Yurio a pelare patate o a preparare i pasti per l’intero equipaggio.
La sera tardi, invece, vedeva Yuri intento a smistare con Victor l’immensa mole di certificati e moduli richiesta da Mosca. Victor giurava che le scartoffie si replicassero per partenogenesi.
In quei momenti, che si prolungavano sempre fino a notte fonda, Yuri teneva gli occhi fissi sul foglio, una ruga in mezzo alla fronte per la concentrazione del cercare una determinata parola o uno specifico simbolo per distinguere un documento dall’altro come gli aveva insegnato Victor. Le orecchie si riempivano del fruscio delle pagine girate o del grattare della penna contro la carta. Ogni tanto, quando Yuri era sicuro che avrebbe trovato Victor immerso nello studio, osava sollevare la testa e sbirciare. Non poteva negare che Victor gli piacesse e di sentirsi arrossire tutte le volte che l’altro gli rivolgeva la parola o anche solo incrociava il suo sguardo.
Victor non perdeva occasione per fare almeno una delle due cose. ​
“Così è molto più semplice!” Aveva esclamato il primo giorno che Yuri lo aveva aiutato. “Oh, Yuri, sei la mia salvezza!”​
Poi, preso dall’entusiasmo lo aveva abbracciato così stretto da sollevarlo da terra. Yuri riteneva ancora un miracolo che le orecchie non gli fossero andate a fuoco. Aveva tuttavia pregato Victor di non ripetere il gesto, sentendosi quasi in colpa alla faccia da cucciolo colpevole che l’altro aveva fatto. Da allora si era limitato a sfiorare appena le dita di Yuri con le proprie, una volta, sopra un modulo da compilare. Yuri aveva lasciato correre perché in fondo non era così male.
 
Mercoledì finirono con notevole anticipo, quasi due ore prima.Yuri aveva raccolto i fogli ancora sparsi sul tavolo in un plico ordinato, come aveva fatto nei tre giorni precedenti, ma quella volta Victor gli chiese di aspettare. ​
“Cosa c’è?”​
“Ti andrebbe una partita a scacchi?”​
Yuri corrugò la fronte. “Scacchi?” ripeté a pappagallo. Forse aveva capito male a causa della stanchezza. Invece Victor tirò fuori una scacchiera da un armadio. Era una piccola scacchiera da viaggio, i pezzi appena abbozzati in due tipi di legno.
“Di solito gioco con Yakov o con Yurio. Anche se Yurio non ha strategia” spiegò Victor, sistemando le pedine nelle loro caselle. Yuri si strofinò il mento. Gli scacchi in verità non erano mai stati in cima ai suoi interessi e la prospettiva di un’ora di sonno in più era ben allettante. Eppure gli occhi di Victor erano così speranzosi che alla fine non ebbe il cuore di rifiutare.​
“Una sola” accettò, indicando i pezzi bianchi come sua scelta. ​
Victor lo sconfisse in tre mosse. Yuri pretese allora la rivincita, la preoccupazione per l’ora tarda sostituita dal desiderio di rivalsa. La seconda partita fu più lunga della precedente ma si concluse comunque col Re in mano a Yuri costretto alla resa. Durante la terza Yuri riuscì a mettere in difficoltà Victor una volta, più per fortuna che per abilità. Alla quarta partita cominciò finalmente a capire il gioco di Victor. ​
Il che Yuri a vincere la sua prima partita un paio di giorni dopo; tuttavia, per sua stessa ammissione non ci sarebbe riuscito se Victor non fosse stato distratto. Era qualcosa che Yuri aveva scoperto per caso, in tutt’altro contesto: aveva scostato la frangia dalla fronte e aveva sorpreso Victor a fissare, la bocca socchiusa. Così aveva ripetuto il gesto durante la partita, come per caso, e la sua Torre aveva messo in scacco il Re di Victor sotto il suo naso. Victor non l’aveva presa a male.
 
L’ultimo giorno di Yuri sul Vydra il giovane si svegliò con uno strano sapore in bocca; sentiva un retrogusto di fiele sulla lingua, di quando aveva un brutto presentimento. O di quando, semplicemente, stava per succedere qualcosa che temeva. Era il suo ultimo giorno a bordo del Vydra e Yuri non ne era felice. Svolse comunque i suoi compiti con la professionalità che aveva mostrato per l’intera settimana, pacificò una rissa tra due giovani marinai nata da uno stupido scherzo, preparò due litri di bortsch con Yurio e infine, come ogni sera, bussò alla porta del quadrato ufficiali, dove era sicuro di trovare Victor. ​
Non immaginava tuttavia di trovare il tavolo di solito ingombro di carte ben apparecchiato con tutte le dovute stoviglie di una cena elegante in miniatura. “E questo?” fu il primo commento di Yuri quando vide come Victor aveva preparato la tavola. L’uomo si strinse nelle spalle, le labbra tese in un timido sorriso. Gli occhi brillavano d’orgoglio. ​
“Una cena d’addio per l’ospite” spiegò “sempre che l’ospite sia d’accordo.”​
Tirò indietro una delle due sedie, facendo accomodare Yuri che sorrise imbarazzato.
“Ho chiesto aiuto a Yurio” lo informò Victor, nello stappare una bottiglia di vino.
“Ti sarà costato molto” scherzò Yuri, che in pochi giorni aveva imparato di che pasta fosse fatto il giovane aiuto-cuoco.
“Ne vale la pena.”
Yuri non commentò. Chinò la testa sul proprio piatto di caviale rosso.
Ancora poche ore e l’equipaggio del Vydra avrebbe gonfiato un canotto, ci avrebbe scaricato sopra Yuri e da lì sarebbe spettato a lui remare per colmare le miglia fino alla costa. Più ci pensava, più ne notava i problemi. Poteva decidere di lanciare un SOS, ma allora avrebbe dovuto spiegare perché si trovava in mare aperto su un gommone di salvataggio – Yuri sperava davvero, davvero tanto, che il gommone fosse il più anonimo possibile. Temeva inoltre che la notizia del naufragio dell’Eros avesse viaggiato fino ai lidi americani e che la guardia costiera lo ricollegasse al fatto, di nuovo chiedendosi chi avesse recuperato Yuri e lo avesse poi riscaricato una volta abbastanza vicino alla terraferma. In breve avrebbero collegato i punti, diventando sospettosi di tale segretezza, tanto più che Yuri dubitava seriamente di essere in grado di sostenere una finzione se messo sottopressione. Avrebbe potuto giocare la carta dello shock, magari. Fingere che il canotto appartenesse all’Eros? Senza che su di esso fossero saliti Minami e Takeshi? Ne sarebbe saltata fuori una stupenda storia strappalacrime, se solo Yuri avesse saputo raccontarla. Ma non era così.
Invece non riusciva a togliersi dalla testa la convinzione che avrebbe finito col mettere in pericolo Victor e il Vydra in generale, rivelando la sua posizione, causando un disastro diplomatico.
“Yuri!”
La voce di Victor lo riportò alla realtà. Yuri si accorse di aver stretto le mani sul bordo del tavolo, tanto da lasciare i segni delle unghie nella tovaglia. Gli pizzicava la gola e gli risultava difficile deglutire. Borbottò qualcosa a proposito dell’avere avuto un flash del suo mancato annegamento, prima di portare il bicchiere di vino alle labbra.
 
Oppure avrebbe potuto raggiungere le spiagge californiane da solo, senza lanciare alcun segnale di soccorso. A patto di riuscire nel suo intento senza essere cacciato come clandestino o salvato come naufrago, entrambe possibilità che avrebbero rimandato al punto uno, Yuri non aveva più il passaporto, lasciato sull’Eros, né uno straccio di soldo. Una parte di lui sapeva che si trattava di ostacoli superabili, a patto di mettere magari le mani su un telefono; ma non riusciva a impedire all’ansia di artigliarli la gola. La mano che ancora stringeva il bicchiere aveva un lieve tremito. Lo riappoggiò lentamente e lo scambiò per la forchetta.
“Qualcosa non va?”​
Yuri lasciò cadere la forchetta nel piatto per la sorpresa. ​
“No, nulla” negò, spostando il cibo da una parte all’altra. “Sono solo nervoso per domani” concesse infine sotto lo sguardo dubbioso di Victor. “Ma sto bene!”
Non dovette essere molto convincente, perché si ritrovò con Victor curvo su di lui, le mani poggiate sulle spalle e il viso a un centimetro dal proprio. Victor aveva la pericolosa espressione di chi ha fiutato una menzogna e sta aspettando di vedere fin dove l’altro è convinto di potersi spingere senza essere scoperto. Yuri aveva già visto quell’espressione, una volta, così come aveva visto gli uomini in sul ponte di comando affrettarsi ciascuno alla propria postazione senza fiatare.
“Yuri?” inquisì Victor, le sopracciglia sollevate e un sorriso che non si estese agli occhi. Yuri incassò la testa fra le spalle.
“D’accordo, sono un po’ preoccupato per domani” confessò, guardando di lato. In parte era vero e, a riprova del fatto, la sua mente passò di nuovo in rassegna tutte le possibili opzioni e i modi in cui qualcosa sarebbe potuto andare storto. Forse avrebbe potuto chiedere aiuto a Leo, un pescatore dal New Mexico che Yuri aveva conosciuto durante il suo periodo di apprendistato in America, ma alla resa dei conti doveva ammettere di non avere idea di dove potesse trovarsi il vecchio amico al momento.
“E?”
Victor era tanto vicino che la punta del suo naso sfiorava quello di Yuri. “Così mi fai diventare strabico” protestò, l’accenno di un’emicrania già in procinto di formarsi in mezzo agli occhi. Victor si tirò subito indietro. “Scusami. Ma sento che qualcosa ti disturba e non si tratta solo della prospettiva di raggiungere le coste americane in gommone.”
Yuri chinò appena la testa in ammissione. La verità era che una parte di lui non si sentiva ancora pronta a tornare a casa; una notevole parte di lui. Nei giorni trascorsi aveva fatto del suo meglio per non pensare troppo al naufragio dell’Eros, a Minami che scompariva tra i flutti, al destino di Takeshi. L’assenza di notizie alimentava le sue speranze più di quanto nutrisse la sua ansia, al punto che Yuri ora provava una fitta allo stomaco alla sola prospettiva di dover affrontare la realtà. Se rimanere sul Vydra significava che nel regno delle possibilità Minami e Takeshi erano ancora vivi, Yuri non era affatto pronto ad abbandonarlo. Non dubitava che a Hasetsu, fossero tutti preoccupati a morte per lui e avrebbero festeggiato il suo ritorno; del resto era il primo anno dopo cinque che Yuri tornava a casa. Allo stesso tempo lo spettro della morte dei suoi amici, del dover Yuko, dello scoprirla vedova, lo paralizzava. Cercò di spiegarlo a Victor nella maniera più chiara di cui fu capace.
“Il dottor Kulikov direbbe che una ferita va trattata quanto prima” fu il commento di Victor quando Yuri ebbe finito di esporre i propri crucci. “Tuttavia io non sono Kulikov e qui non si parla di una ferita in suppurazione. Hai da poco vissuto un trauma, è normale che tu non ti senta pronto a venire a patti con le notizie negative che ti aspetti.”
“Tu cosa faresti?”
“Per esperienza so che più lascerai passare il tempo più sarà difficile affrontare il problema. Ma so anche che la cena ti rimarrà sullo stomaco se rimugini troppo.”
Gli angoli della bocca di Yuri ebbero avuto un sussulto verso l’alto suo malgrado.
 
 
10 OTTOBRE
23°43’30.042” N, 123°34’27.187” O
AL LARGO DELLE COSTE CALIFORNIANE
 
 
Qualunque fu la decisione finale cui Yuri giunse al mattino, ebbe poca importanza. Il Vydra risalì a quota periscopica a poche miglia dalle coste californiane verso tarda sera, per avere la protezione del buio, solo per scoprire un oceano in subbuglio. Un vento feroce schiaffeggiò il viso dei due marinai che furono mandati fuori per esaminare meglio la situazione. Victor decise allora di attendere nella speranza che il mare si placasse, ma nell’ora successiva cominciò a piovere. Freddi goccioloni bagnarono il malcapitato che mise la testa fuori dal boccaporto. All’orizzonte un primo fulmine rischiarò il cielo a giorno per una frazione di secondo. Calare Yuri in acqua in tali condizioni, per di più da solo e su un mezzo instabile quale un gommone, avrebbe significato riconsegnarlo alle mani di quella morte da cui era scampato nemmeno due settimane prima. Victor fu irremovibile. Ordinò la ri-immersione rapida del Vydra e di tenere le macchine al minimo. Avrebbero fatto sbarcare Yuri il giorno dopo, a tempesta placata. Solo che la tempesta infuriava ancora la mattina successiva. Né la situazione migliorò il terzo giorno. Ci fu un momento, appena dopo mezzogiorno, in cui le onde diminuirono d’intensità fin quasi a cessare di essere una minaccia, ma emergere così vicino agli Stati Uniti in piena luce fu dichiarato troppo pericoloso. Per le cinque del pomeriggio aveva già ricominciato a piovere.
Ora, il problema principale era che il Vydra non poteva rimanere a lungo fermo nel medesimo posto. Da un lato lo rendeva più vulnerabile a essere scoperto; dall’altro ogni sosta rischiava di allungare la missione. Allo stesso tempo la raccolta di informazioni voluta da Mosca obbligava di fatto il Vydra a girare in tondo attorno al medesimo punto. Pian piano avrebbe risalito le coste americane fino al confine canadese meridionale per far infine ritorno in Russia per metà gennaio secondo le prime stime.
Quasi senza che Yuri se ne accorgesse trascorse un’altra settimana. Victor cercava di nascondere il proprio apprezzamento, ma bisognava essere ciechi per ignorarlo. O con un serio problema di autostima come Yuri.
Il bacio, però, fu più difficile da ignorare.
 
Yuri ebbe appena il tempo di terminare la frase con cui dichiarava la sua intenzione di rimanere sul Vydra per tutta la durata della missione, in piedi sulla porta del quadrato degli ufficiali, che Victor gli afferrò le guance e gli stampò sulle labbra un rapido bacio entusiasta. Yuri era sicuro di aver saltato almeno un metro da terra. Poco importò poi che Victor si fosse scusato e giustificato, dicendo che era una cosa normale in Russia; Yuri non riuscì comunque a incrociare il suo sguardo per i successivi tre giorni.
Per fortuna la vita a bordo di un sottomarino nucleare lasciava ben poco tempo per rimuginare su alcunché. Stare al sonar assorbiva tutta l’attenzione di Yuri, soprattutto ora che si trovavano in acque nemiche; inoltre lui e Victor passavano spesso così tante ore tra documenti e carte nautiche o a studiare vecchie rotte che alla fine Yuri si trascinava in cuccetta cinque minuti prima che suonasse la sveglia per chi aveva il turno diurno.
In ogni caso, Yuri si era abituato presto alla routine sul Vydra. Una volta stabilito che sarebbe stato il suo mondo per i mesi successivi, era deciso a non essere un fastidio per chi si trovava ad ospitarlo, per cortesia o necessità. Comunque superata la claustrofobia iniziale e la nostalgia per il cielo, il resto venne da sé.
All’inizio c’era stata una certa tensione col resto dell’equipaggio, per le differenze linguistiche – Yuri di russo conosceva solo un paio di saluti e di formule di cortesia e i marinai sovietici non spiccicavano parola d’inglese – e per le sue origini. Qualcuno aveva anche chiesto ad alta voce se non fosse una spia, proponendo di buttarlo a mare e tanti saluti. O di tenerlo come ostaggio.
Quando era venuto a saperlo Yurio aveva minacciato di avvelenare il cibo di chi aveva avuto una simile idea.
Non ce n’era stato bisogno. Yuri si era lasciato scivolare addosso le prime insinuazioni e in poco tempo aveva conquistato la fiducia dell’equipaggio con la sua disponibilità e gentilezza. Per quanto non lo desse a vedere, era più vecchio di molti dei membri della ciurma e, superata la diffidenza iniziale, molti ragazzi avevano iniziato a venire da lui per chiedere consiglio per un problema o un altro.
Stranamente le barriere linguistiche non erano apparse più così alte.
 
24 OTTOBRE
32°32’48.527” N, 131°7’58.124” O
AL LARGO DELLE COSTE CALIFORNIANE
 
“Sottomarino a ore quindici” annunciò Yuri, voltandosi verso Victor. Ottobre era ormai quasi terminato. Da quando Yuri aveva indossato le cuffie quella mattina, aveva creduto più volte captare un vago rumore di motori in sottofondo. Era debole, tanto che Yuri aveva spesso trattenuto il respiro per ridurre al minimo i possibili disturbi, e andava e veniva, ma era lì. Negli ultimi minuti era aumentato d’intensità, fino a essere rilevato dal sonar stesso. Yuri richiamò l’attenzione di Georgi con uno schiocco di dita, gesticolando verso il sonar.
“Classe?”
Yuri rifletté sulla domanda. Ogni giorno Victor o Georgi lo istruivano sui sottomarini sovietici e su quelli americani, sulla loro classe e come riconoscerli. Yuri imparava in fretta. Certo c’erano informazioni che mai gli ufficiali del Vydra gli avrebbero rivelato, sebbene Victor si fosse più volte lasciato sfuggire qualcosa, ma quello che scopriva era sufficiente perché Yuri guardasse l’oceano con occhi diversi.
“Non immaginavo ce ne fossero così tanti” aveva esclamato quando Victor gli disse una cifra possibile per quanti sottomarini sovietici si celavano sotto le acque oceaniche.
“Los Angeles” rispose Yuri. “Troppo veloce per essere un Ohio.”
“Pensi che ci abbia individuato?”
“Sì” risposero Yuri e Georgi all’unisono. “Prima non ne ero certo, ma ha cambiato rotta. Ci sta seguendo” aggiunse il secondo.
“D’accordo. Vediamo se i sei mesi appena trascorsi sono serviti a qualcosa. Motori a tutta, rotta 30° gradi Sud.”
L’ordine fu ripetuto fino ai destinatari designati.
 
“Mi sorprende che Victor non abbia ordinato il – come lo chiamano gli Americani? – Matto Ivan” commentò Yurio alla prima occasione, in cucina. Yuri gli rivolse un’occhiata interrogativa.
“Matto Ivan?”
“Già. Non chiedermi perché il nome. Certo è una mossa un po’ azzardata ma non al punto di essere una pazzia” proseguì Yurio. Yuri annuì, poco convinto. La soglia di temerarietà del giovane era ridicolmente alta. Se mai un giorno si sarebbe trovato con un sottomarino tra le mani, avrebbe fatto apparire Victor prudente per confronto. In ogni caso, Yuri faticava ad afferrare il concetto.
“Certo che sei tardo!” sbottò Yurio, dopo la terza spiegazione, ripetuta con le stesse, identiche parole delle prime due. Afferrò un mestolo.
“Fingi che questo sia il Vydra.”
“D’accordo.”
“E che questo sia un altro sottomarino” proseguì afferrando una scatoletta di gelatina.
Yuri annuì, ben deciso a comprendere la faccenda. Yurio mise il mestolo davanti alla scatoletta, in posizione appena sfasata. “Ora, quest’area” – indicò la coda immaginaria del mestolo – “è zona cieca. Quindi ogni tanto i nostri capitani fanno cambiare direzione ai loro sottomarini. Tuttavia cambiare direzione significa assumere una posizione trasversale rispetto all’inseguitore” – girò il mestolo di novanta gradi.
“Quindi se l’inseguitore non si ferma in tempo.”
“Si scontra con l’inseguito” concluse Yuri al suo posto.
Anche lui aveva cambiato rotta. Ci era stato costretto.
1 NOVEMBRE
35°23’20.58” N, 126°38’7.023” O
AL LARGO DELLE COSTE CALIFORNIANE
 
“Scacco” affermò Yuri, mentre la sua Regina mangiava l’Alfiere di Victor che finora aveva protetto il suo Re, mettendo quest’ultimo in seria difficoltà. Si abbandonò contro lo schienale. La partita era stata particolarmente intensa.
“Vero” gli diede ragione Victor esaminando la scacchiera. “Scacco matto” precisò, muovendo uno dei Cavalli e costringendo di nuovo il Re di Yuri alla resa.
“Non te la prendere” - gli disse mentre rimetteva i pezzi nella scatola - “questa volta mi hai davvero messo in difficoltà. E senza troppi trucchi.”​
Accompagnò l’ultima parola con un occhiolino che spinse Yuri a trovare di colpo le proprie unghie molto interessanti.​
“Non so di cosa stai parlando” ribatté fingendo indifferenza. Cosa che si rivelò abbastanza difficile quando Victor decise di abbracciarlo da dietro, appoggiandosi a lui con buona parte del proprio peso. Yuri poteva sentire i suoi capelli solleticargli la guancia.
“Yuri!” lo chiamò Victor con voce lamentosa, strascicando la prima parte del nome.
In quel momento qualcuno bussò alla porta. Victor abbandonò ogni facezia all’istante.
“Avanti” chiamò. La porta si aprì abbastanza da permettere al Capitano di corvetta Illič di mettere la testa dentro. ​
“Capitano, il dottor Kulikov ha rilevato dei livelli anonimi di radioattività” comunicò.
Al solo sentire quella parola Yuri s’irrigidì. Sbirciò Victor e fu sorpreso nel notare che anch’egli mostrava una certa tensione corporea. Quando congedò Illič lo fece in tono forzatamente freddo.
“Probabilmente nulla di cui preoccuparsi. Andrò a parlare con Kulikov” si premurò di rassicurare Yuri, ma non riuscì a nascondere un guizzo nelle iridi chiare. Yuri lo riconobbe subito: paura.
Si voltò verso di lui, la fronte attraversata da una profonda ruga. ​
“La tua rivincita dovrà aspettare” disse e fu il suo modo di congedarlo. Nel tornare alle cuccette Yuri sbirciò l’orologio che teneva al polso. Era stato un prestito di Kulikov secondo il quale il sapere l’ora rappresentava il primo passo nella prevenzione alla pazzia causata dal vivere troppo a lungo in ambienti chiusi. Le lancette segnavano quasi le due del mattino, ben prima dell’orario in cui di norma Yuri si buttava sulla prima cuccetta disponibile per quelle quattro, a volte cinque, ore di sonno quotidiane. Come previsto perciò trovò ancora occupata la brandina che di solito gli cedeva un giovanotto lentigginoso che alle tre cominciava il proprio turno. ​
Aveva tuttavia lasciato uno spazio sufficiente perché Yuri vi si potesse sdraiare, cosa che in effetti fece. Del resto il dividersi le cuccette non rappresentava una novità a bordo del Vydra; o di un sottomarino in generale se per questo.
In ogni caso Yuri non riuscì a prendere sonno, non col chiodo fisso delle radiazioni ben piantato in testa. Certo la sua ansia a riguardo non era paragonabile a quella di chi apparteneva alla prima generazione del post-Hiroshima, ma era abbastanza forte da fargli formicolare gli arti al pensiero. Si sentiva prudere la pelle, come se fosse stato sfiorato da medusa. E, in effetti, aveva una grossa, gelatinosa medusa che premeva sul suo petto e lo bloccava con i propri tentacoli urticanti. Nella nebbia del dormiveglia Yuri non si chiese come avesse fatto una medusa ad entrare in un sottomarino a tenuta stagna. Abbandonata ogni logica, provò solo il terrore dovuto all’avere una simile creatura a pochi centimetri dalla propria faccia. Gli parve che la medusa diventasse sempre più grande. Con orrore la vide espandersi, sempre di più, una molle e soffocante coperta che ora premeva sulla bocca, sul naso, sugli occhi. Era una ventosa che gli risucchiava l’aria dai polmoni. Yuri li senti andare in fiamme. Sentì il fuoco mordere ogni centimetro di pelle. Sentì le labbra e le palpebre gonfiarsi. Bruciavano tanto che non avrebbe esitato a strapparsele per avere un poco di sollievo. Cercò di staccare l’animale dalla faccia in un impeto di disperazione ma le dita affondarono nella gelatina, inghiottite senza fatica. Poi fu il turno delle mani, delle braccia. Yuri si stava piegando a metà, risucchiato da quell’essere.​
 
Si svegliò urlando,  fradicio di sudore. Qualche marinaio mezzo-addormentato borbottò di fare silenzio.
“Yurochka, perché gridi?” grugnì uno di quelli con cui era più in amicizia e che rispondeva al nome di Boris.
“Niente, solo un incubo. Non volevo svegliare nessun. Torna pure a dormire.”
Yuri torse il busto. La cuccetta era vuota e gli doleva il fianco. Gli occhiali giacevano sbilenchi sul naso. Yuri li raddrizzò mentre cercava di rimettere a fuoco la stanza. Torse il busto per esaminare il punto dove sentiva dolore, scoprendovi un livido sul verde-giallognolo. L’agitarsi nel sonno doveva averlo portato a cadere dal letto, cozzando contro il duro pavimento d’acciaio prima che qualche anima pia lo raccogliesse. Premette i pugni sugli occhi chiusi, ricordandosi di colpo la causa principale della propria angoscia. Si conficcò le unghie negli avambracci per scacciare la sensazione di essere ancora avvolto dai tentacoli. ​
Lungo la via per raggiungere la stanza del sonar si chiese come facesse il resto dell’equipaggio a stare così tranquillo, salvo poi considerare che probabilmente la maggior parte dei marinai non erano stati informati della situazione per non causare inutile panico prima che fossero fatte le dovute valutazioni. In compenso gli parve che l’aria fosse più leggera. ​
La motivazione fu presto chiara quando raggiunse il ponte di comando da cui doveva passare per raggiungere il sonar. Per precauzione, infatti, Victor aveva ordinato di risalire a quota periscopica per un ricambio d’aria d’emergenza. Aveva anche deciso di ridurre momentaneamente l’attività del reattore per evitare un possibile surriscaldamento e di appoggiarsi momentaneamente ai motori ausiliari. Ciò avrebbe rallentato il Vydra e fatto perdere ore preziose, ma in casi simili il detto meglio prevenire che curare era più forte che mai.​
Per fortuna, come fu chiaro nelle successive quarantotto ore, il reattore non presentava danni a parte un minuscolo guasto facilmente riparabile e i livelli di radiazione erano tornati entro i normali livelli di sicurezza.
“Tutto a posto” dichiarò Victor quella sera ma Yuri notò bene le occhiaie scure che gli segnavano gli zigomi. Per quanto Victor non lo desse a vedere – dannazione se era bravo in questo – per quanto facesse sembrare tutto semplice, non doveva essere facile trovarsi nella sua posizione a una così giovane età. Yuri non era affatto certo che al suo posto avrebbe saputo tenere i nervi saldi.
 
20 NOVEMBRE
34°31’28.781” N, 123°22’59.992”
AL LARGO DELLE COSTE CALIFORNIANE
 
Georgi fischiò quattro volte, un suono lungo seguito da tre più brevi. Yuri aggrottò le sopracciglia mentre pensava alla risposta corretta. “B” decise infine. Georgi fece un verso d’approvazione. ​
Non appena aveva scoperto che la conoscenza di Yuri del morse era nel migliore dei casi traballante, soprattutto di quello sonoro, aveva deciso che fosse fondamentale insegnarglielo. Dopotutto Yuri aveva già un buon orecchio, avrebbe imparato in fretta. ​
Due suoni lunghi, uno breve. ​
“W. No, aspetta quello è breve, lungo, lungo. G.”​
Aveva aiutato che Yuri avesse già una minima infarinatura di morse in forma visiva, quanto bastava a comprendere i segnali dei fari quando vi di passava accanto durante la pesca. Era molto più ferrato nella bandiere nautiche, tuttavia. ​
Ecco una cosa che gli mancava della navigazione in superficie, la comunicazione cortese tra imbarcazioni.
Tamburellò distrattamente sulla console del sonar, facendo però attenzione a non spostare nessun tasto. Tre colpi brevi. Tre lunghi. Di nuovo tre brevi.”
Il famoso esse-o-esse. Non sorprendeva che si fosse deciso di usare la combinazione più semplice di lettere per il codice di richiesta d’aiuto. ​
“Quello lo conoscono tutti. Immagino sia fondamentale saperlo per il tuo lavoro come per il nostro” considerò Georgi ad alta voce.​
L’Eros avrebbe avuto bisogno che fosse lanciato un SOS, ma Yuri era stato sbalzato fuori bordo prima di scoprire se il Capitano avesse inviato il segnale o meno. Quella banale sequenza di suoni poteva rappresentare la differenza tra salvezza e disfatta. Le tempistiche poi diventavano tutto.
Forse se l’SOS fosse stato inviato a inizio bufera l’Eros non si sarebbe trovata tanto in difficoltà e Yuri non sarebbe finito in mare.​
Né avrebbe incontrato Victor. Sarebbe tornato a casa per l’inverno senza la minima idea dell’esistenza di chi ora stava diventando tanto importante. ​
“Stai pensando a Vitya, vero?”​
Yuri balzò sulla sedia per la sorpresa. Scosse con forza la testa, profondendosi in scuse per la propria distrazione. “Yuri” Insistette Georgi, che aveva una passione per le storie d’amore, meglio ancora se tragiche. Yurio aveva raccontato a Yuri di come Georgi avesse avuto una relazione con una bella Tenente di Arcangelo e che si fosse fatto trasferire sul Vydra nella speranza di dimenticare la delusione amorosa.
“È così evidente?”​ ammise infine.
“Un cuore innamorato riconosce i propri simili” fu la semplice spiegazione di Georgi. Yuri decise allora di approfittare della situazione per cercare di capire che tipo di persona fosse Victor, detto da chi lo conosceva molto meglio di lui. Non poteva certo affidarsi solo al parere di Yurio.
“È un bravo ragazzo” rispose Georgi dopo una pausa abbastanza lunga da far chiedere a Yuri se non avesse usato quel tempo per convincersi della sua stessa affermazione. “Ma non ama la routine” avverti, passandosi una mano fra i capelli. “Prima Yakov doveva insistere perché rispettasse il protocollo. È molto più posato da quando ci sei tu.”​
“Ed è una buona cosa?”​
“Buona per noi. Buona per Yakov. Buona per Mosca. Buona per te. Fidati si sarebbe già stancato se non lo interessassi davvero.”​
Yuri non commentò oltre, riportando alla fine la conversazione sullo studio del morse. Breve. Lungo. breve. Era un ottimo diversivo per non riflettere su cosa Victor rappresentasse per lui o anche il contrario.
 
Quando Victor venne a sapere dei progressi di Yuri ne fu deliziato. Lo abbracciò con slancio, la bocca distante un respiro dalla sua. Visto che Yuri era diventato tanto bravo col morse, d’ora in poi avrebbe bussato in codice, così da fargli capire di essere lui e non qualcun altro. Il suo Yuri, come aveva preso a chiamarlo di tanto in tanto, e non le solite rogne.
“E quale codice?” Finì col dargli corda Yuri. ​
“Ma la tua iniziale, Yuri” cinguettò. ​
Un colpo lungo. Uno breve. Altri due lunghi. ​
 
Yuri non poteva negare di apprezzare le attenzioni che riceveva, questo suo avere qualcosa di esclusivo con Victor. L’avere qualcosa di esclusivo con qualcuno. La vicinanza con Victor non lo metteva più a disagio come all’inizio, nemmeno lontanamente. Quasi il contrario semmai.​
Quando Victor gli sfiorò le labbra in un semplice bacio a stampo, arrossì ma non si ritrasse. Era fine novembre, presto avrebbe compiuto ventiquattro anni.
Gosha aveva detto che Victor tendeva a stancarsi facilmente. Yuri allora aveva voluto sapere quanto velocemente.
“Un mese. A volte due.”
Due mesi, il tempo che Yuri aveva finora trascorso sul Vydra. Era come se ci fosse un orologio invisibile a conteggiare il suo tempo, il suo tempo in quel limbo che era il Vydra; il suo tempo con Victor. Pregò che non finisse troppo presto.​
 
 
 
10 DICEMBRE
39°38’22.335” E, 130°57’25.312”O
AL LARGO DELLE COSTE CALIFORNIANE
 
 
Victor stava facendo un annuncio. Molto probabilmente la missione sarebbe finita per i primi di gennaio e con un pizzico di fortuna il Vydra sarebbe stato di ritorno in Russia in tempo per festeggiare il Natale, secondo il calendario ortodosso.
L’equipaggio eruppe in un ruggito di approvazione. Da lì a organizzare una festa clandestina per celebrare, talmente clandestina che parteciparono anche Victor e gli altri ufficiali, il passo fu breve.
Il mattino dopo Yuri si svegliò con un tremendo mal di testa, la bocca impastata, e una nausea terribile. Tutto il cibo ingerito dal primo vagito a quel momento minacciò di lasciare lo stomaco non appena provò a mettersi seduto. Grugnì e seppellì la testa fra le gambe. In un orecchio sentiva ancora la voce di Leo e i suoi rimedi contro il mal di mare. O contro le sbronze. L’alcool aveva sempre un ruolo principe. ​
Con un gemito Yuri si ributtò prono sul letto, affondando la testa nel cuscino. Ruotò il viso di lato e -
Porcamiseria si trovava nella cabina del Capitano. L’immagine di lui avvinghiato a Victor come un polpo e di Victor che lo sosteneva con le mani sotto l’incavo delle ginocchia gli attraversò la mente. Gemette. Era un disastro, un completo disastro. ​
Si rimise seduto, la nausea da ansia che minacciava di sostituire quella da post-bronza. Yuri lasciò cadere lo sguardo. Sospirò di sollievo nel constatare di essere ancora abbastanza vestito. La maglietta era finita sulla scrivania, ma i pantaloni erano al loro posto. ​
 
Nel vestirsi - per tre volte cercò di infilare entrambe le braccia nel buco della testa - Yuri si sforzò di ricordare cosa fosse successo la sera prima. Era tutto un confuso ammasso multicolore.
Rammentava con una certa sicurezza di come ad un certo punto, abbastanza presto, l’alcool avesse cominciato a girare; per sciogliere i nervi ne aveva bevuto un paio di bicchieri in rapida sequenza. I bicchieri erano diventati quattro, poi sei. In sottofondo il resto dell’equipaggio che incitava al suono di “boleye”, ancora!​
Yuri si era liberato della camicia dopo il decimo bicchiere. Poteva aver ballato con Yurio, ma non ci avrebbe scommesso la propria vita.​ In compenso, la prima immagine chiara dopo un lungo buco nero lo vedeva in braccio a Victor. ​
Yuri grugnì e nascose il volto fra le mani. ​
Per una volta fu grato che il Vydra non risentisse del moto delle onde, perché era sicuro che il minimo rollio lo avrebbe fatto vomitare nell’istante in cui avesse messo piede fuori dalla cabina.
“Finalmente!” lo accolse Yurio, le sopracciglia aggrottate per la rabbia. Yuri si chiese come facesse il ragazzo ad essere sempre nei paraggi ogni volta che si trovava in difficoltà.
“Ti ha mandato Victor?” indagò. Yurio fece un suono che poteva essere interpretato come un gemito o come una minaccia.
“Secondo te? È dalle sei che passo a controllare a ogni ora. Hai idea di quanto tempo mi hai fatto perdere? Comunque, spero che ti piaccia pulire il vomito. No, non fare quella faccia. La festa di ieri è stata un casino e la sala mensa è ancora uno schifo!”​
Yurio finse di rigettare in un cestino immaginario, roteando gli occhi come se non riuscisse a credere alla stupidaggine umana. Yuri però era abbastanza sicuro che Yurio non fosse rimasto in disparte mentre gli altri si davano alla pazza gioia.
“Sbaglio o ti sei divertito anche tu” lo stuzzicò. Yurio sbuffò, incrociando le braccia sul petto. “Se chiami divertirsi l’essere umiliato! Ora fila, la tua faccia mi fa venire il mal di mare! E io non soffro il mal di mare!”
 
Yurio non aveva esagerato: la mensa era davvero in condizioni terribili, il prodotto di cosa succede quando un nutrito gruppo di giovanotti in piena salute alza un po’ troppo il gomito. I tavoli era unti e appiccicosi di alcool, zucchero e grasso. Una delle panche era stata scardinata e ora giaceva ribaltata sul pavimento coperto di gusci di noce. Scricchiolarono sotto la suola delle scarpe di Yuri.
 L’aria stantia della stanza lo investì col suo misto acre di vodka e sudore facendogli ringraziare, per una volta, di aver quasi perso il senso dell’odorato dopo anni passati a pulire tonni. E poi impiegare le proprie energie a lucidare gli impediva di rimuginare troppo sulla notte precedente e il vuoto lasciato nella sua memoria.
 
“Victor, cosa è successo ieri?” domandò la sera stessa.​
“Hai bevuto un po’ troppo e hai dato spettacolo. Niente di grave!” rispose Victor zuccherando il proprio tè senza staccare gli occhi dal foglio che stava leggendo.​ Alla quinta zolletta lasciata cadere nella tazza Yuri cominciò a dubitare che Victor stesse prestando attenzione a quanto stesse facendo.
“E tra noi?” Insistette. Era raro che Victor non lo guardasse negli occhi quando parlavano e il fatto che non lo stesse facendo adesso lo preoccupava.​
“Tra noi?”​
“Fin dove?” - prese un respiro profondo - “ci siamo spinti?” ​
Finalmente Victor spostò la propria attenzione dalla pagina sotto il suo naso all’uomo davanti a lui. “Yuri,” cominciò con voce grave “credi che farei qualunque cosa con te senza essere entrambi perfettamente sobri.”​
Yuri rilassò le spalle.​
“Ci siamo solo baciati.”
Yuri si irrigidì. Victor aveva di nuovo distolto lo sguardo. Stava scrivendo qualcosa ora.​
‘E te l’ho succhiato una volta.”​
“Cosa?” strillò Yuri. La sua indignazione riecheggiò tra le pareti di ferro del Vydra.
Victor ridacchiò. “Scherzavo. Scherzavo. Ti ho solo lasciato un succhiotto.”​
L’informazione non consolò affatto Yuri. Lasciò cadere lo sguardo verso il proprio petto. Sì, nessun dubbio, dal colletto della casacca spuntata una macchia dalla vaga forma ovale. Yuri gemette.
“Non toccherò mai più un bicchiere d’alcool in vita mia!”
“Quante volte hai già fatto questa promessa?”
“Una” – Victor sollevò un sopracciglio, tanto chino sul tavolo che Yuri si chiese se non ne volesse essere risucchiato – “Ok, due.”
In verità non sarebbe mai dovuto andare oltre lo zero. Da ragazzo aveva visto l’effetto che il bere aveva su suo padre. Non che lo rendesse violento, tutto il contrario. Lo
Portava a festeggiare come se non ci fosse un domani. Bastavano un paio di bottiglie di saké perché si desse alla pazza gioia.
Victor, che di norma avrebbe pressato Yuri per ulteriori dettagli, sorrise appena. Il silenzio era scalfito solo dal rumore della stilografica contro la carta.
“Serve una mano con quel modulo?” si risolse a domandare Yuri. Era evidente che per il momento non avrebbe ottenuto altre informazioni sulla notte di bagordi.
“Sì, sarebbe fantastico.”
Quando, un paio d’ore più tardi, Victor lo congedò lo fece in maniera formale ed estranea. Yuri rimase un attimo fermo sulla porta, in attesa dell’offerta di una partita a scacchi o del bacio della buonanotte che l’altro aveva preso l’abitudine di dargli, ma fu presto chiaro che non avrebbe ricevuto né l’uno né l’altro quel giorno.
 
Né il giorno dopo.
Né quello dopo ancora.
 
E più il tempo passava, più Yuri si convinceva di aver fatto o detto qualcosa che aveva offeso Victor, qualcosa che per quanto si sforzasse non riusciva proprio a ricordare. Indagò presso gli altri membri dell’equipaggio, quelli con cui era più in confidenza, ma anche loro si rivelarono presto di scarsa utilità. Sì, aveva ballato con Victor e si era comportato come una donnetta gelosa del proprio uomo, pretendendo che guardasse lui è solo lui, ma non avevano idea di quanto fosse successo dopo che lui e Victor si erano congedati inciampando nei loro stessi piedi. Suggerirono di chiedere a Yurio, ma il secondo tentativo non si rivelò più proficuo del precedente.
“Ugh, non ne voglio parlare!” borbottò l’aiuto-cuoco, conficcando il coltello che teneva in mano nel legno del tagliere per sottolineare le proprie parole. Yuri non insistette oltre. Non dopo che Yurio gli aveva quasi tranciato le dita.
In compenso non avrebbe creduto di trovarsi nella situazione di rimpiangere l’espansività di Victor che più di una volta aveva considerato fin troppo eccessiva. Non si trattava solo dell’improvvisa assenza di qualsiasi contatto fisico ma Victor ora a malapena lo guardava. Se vi era costretto, lo faceva in maniera del tutto impersonale. Già un paio di volte Yuri si era trovato a dover ricacciare le lacrime in fondo alla gola.
L’ansia, poi, minacciava di mandarlo in pezzi ogni volta che Victor ignorava i suoi tentativi di fare conversazione o persino un semplice saluto. Sembrò che il Vitya che Yuri aveva imparato ad amare fosse stato sostituito da un alieno, un estraneo che rispondeva al nome di Victor Nikiforov e con cui Yuri non voleva avere nulla a che fare.
 
Tuttavia se c’era una cosa che l’ansia gli aveva insegnato, era che metà dei problemi si risolvono alla radice con una buona comunicazione. Così, dopo una settimana così, fece un bel respiro e domandò; “Victor, sei arrabbiato con me? Mi dispiace se ti ho messo in imbarazzo.”
E poi mi sono dimenticato di ogni cosa.
Victor non mostrò nemmeno di averlo sentito. Aveva ancora gli occhi fissi sulla solita pila di carte ma Yuri poteva vedere che non le stava davvero leggendo. Stava fingendo per evitarlo. Aveva lo sguardo vacuo e la matita stava ripassando la stessa ruga per la decima volta.
Si morse le labbra, deglutendo per raccogliere il coraggio che gli serviva.
“Davvero, non era mia intenzione!” continuò con le lacrime che già gli pizzicavano gli angoli degli occhi. All’inizio era stato troppo confuso per comprenderlo, troppo scosso dal naufragio, ma Victor era la migliore cosa che gli fosse mai capitata. Per la prima volta Yuri aveva la sensazione di potersi davvero appoggiarsi a qualcuno senza che gli si rivoltasse contro. Non aveva ancora capito se quello che provava fosse amore o qualcosa di diverso e addirittura più profondo; di certo non si trattava dell’affetto che avrebbe avuto per un amico o un fratello.
“Non sei tu.”
 
Quando Victor incrociò finalmente il suo sguardo, parve così vulnerabile da spaventare Yuri. Era come se dieci anni gli fossero caduti di colpo addosso. Prese a giocherellare con un polsino della camicia.
“Quando mi hai chiesto fin dove ci siamo spinti, non sono stato del tutto sincero.”
Victor pronunciò quelle parole con lentezza, come ognuna fosse un peso ben ancorato alla lingua. Per una volta toccava a Yuri prendere in mano la situazione.​
“Abbiamo fatto sesso?” chiese, senza mezzi termini. Victor scosse la testa.
“No, cielo, no. Cioè, non è che non vorrei farlo con te” - la voce si ridusse a poco più di un sussurro - “ma non approfitterei mai di una persona ubriaca. Soprattutto se si tratta di te.”​
“Qual è il problema allora?” lo pressò Yuri, allungando una mano sopra il tavolo senza però avere il coraggio di colmare la distanza tra le loro dita.​
“Che sono stato a tanto così da venir meno ai miei principi.”​
Victor formò un anello con pollice e indice, lasciando un spazio impercettibile tra i due polpastrelli.
“Ma non lo hai fatto” reiterò Yuri, il nervosismo non ancora sostituito dal sollievo.
“No. Te lo assicuro.”​
Yuri si abbandonò sulla sedia, come se la tensione che non premeva più sullo stomaco fosse stata l’unica cosa a sostenerlo finora. Anche Victor parve afflosciarsi, fragile come Yuri non lo aveva mai visto. Cadde sulle ginocchia davanti a lui e prese le mani fra le proprie.​​
“Credimi, non sono quel genere di persona” ribadì. Posò la testa sulle sue gambe di Yuri che non resistette alla tentazione di premere l’indice sul cocuzzolo dell’uomo: sapeva quanto gli desse fastidio.
“Sei crudele!” protestò Victor, girando il viso da una parte per sottrarre la sommità della propria testa ad ulteriori sevizie. Yuri si sciolse in un debole risolino.
“La giusta punizione per come mi hai fatto sentire. Ho creduto che fossi arrabbiato con me.”
Ma non c’era astio nella sua voce.​ Le dita presero a pettinare con delicatezza i capelli di Victor, scostando la sua lunga frangia dietro l’orecchio destro.
“Ero arrabbiato con me stesso per come mi sono comportato” - Victor lo fissò negli occhi - “puoi perdonarmi?”​
“Certo.”
Victor portò le mani di Yuri alle labbra e gli baciò le nocche. Yuri deglutì. L’immagine era più erotica di quanto avrebbe dovuto e l’avere Victor ai suoi piedi gli causava brividi lungo tutta la schiena.             
“A una condizione” aggiunse.
“Qualunque cosa.”​
Yuri mise un dito sotto il mento di Victor, costringendolo ad alzare la testa.​
“Baciami. Riprendiamo da dove abbiamo interrotto. E questa volta fammelo ricordare.”​
 
Fu la spinta di cui Victor aveva bisogno. Gli occhi si scurirono, il solito azzurro sostituito da un blu indaco, il colore del mare in tempesta. Le pupille si espansero ad occupare quasi tutta l’iride. Si alzò in piedi.  ​
Nonostante il chiaro desiderio sul suo viso, tuttavia, l’uomo non affrettò le cose, la vergogna per la volta precedente ancora viva nella sua mente. Si chinò su Yuri, prendendogli le guance tra le mani. Gli inclinò la testa di lato, giusto lo spazio perché i nasi non si scontrassero. Yuri gli afferrò la nuca, attirandolo a sé per colmare la distanza tra loro. ​
Victor lo afferrò per i fianchi, lo sollevò e lo fece sedere sul tavolo, posizionandosi tra le sue cosce.
“Fidati. Ti farò ricordare ogni secondo” sussurrò, la voce grave. Yuri sentì le vibrazioni delle sue labbra contro la propria gola. Victor gli prese un lembo di pelle tra i denti.
“Mhm” mugugnò Yuri in apprezzamento.​
Allacciò le gambe attorno al bacino di Victor, che spostò qualche foglio col braccio senza guardare. La superficie del tavolo era dura contro la schiena, ma l’unica cosa cui Yuri riusciva a pensare era il calore della bocca di Victor sul proprio collo.
“Victor. Lo vedranno tutti” protestò, cercando di apparire più preoccupato di quanto non fosse. Victor lo ignorò.
“Che vedano” ansimò spingendo il bacino contro il suo.
“Victor!”
Con un sospiro l’uomo lasciò il proprio lavoro a metà. Si riposizionò così da avere il viso all’altezza del bacino di Yuri. Gli arrotolò la casacca attorno ai fianchi, affondando la faccia nel suo addome.
“Meglio?” chiese, succhiando la pelle sopra l’osso sporgente del bacino. Yuri mugugnò qualcosa in risposta. Per Victor dovette essere sufficiente perché sul fianco di Yuri fece sbocciare una macchia porpora. Vi passò sopra il dito, visibilmente soddisfatto della sua opera. ​Yuri ebbe un brivido di solletico. Quindi inarcò la schiena nel sentire il sesso di Victor strusciare contro il proprio attraverso l’intimo. Victor passò a lasciarne un succhiotto gemello sull’altro fianco.
“Yuri. Il mio Yuri” mormorò più tardi, i denti contro la clavicola del giovane, al limite di dove si sarebbe trovato il colletto dell’uniforme. Gli strinse il polso tanto forte da fargli venire un livido. In risposta Yuri gli conficcò le unghie nelle scapole sopra il cotone della camicia. Non gli importava altro.
Che vedano.

Lo Yuri del giorno dopo avrebbe voluto prendere a schiaffi il se stesso della sera prima. Il bordo violaceo del succhiotto che spuntava da sotto la stoffa gli sembrava grande come una barca. Una nave. Il Vydra! Cercò di aggiustare la casacca per coprirlo il più possibile, ma una parte rimaneva sempre visibile.
Yurio lo avrebbe ucciso.​
Yuri se ne convinse al punto che quando l’aiuto-cuoco, invece, si comportò come sempre, fu quasi tentato di sollevare la faccenda per beccarsi la predica di cui sentiva io bisogno.
La ricevette comunque prima che giungesse la sua stessa ansia a sopperire. Dal Capitano ufficiale del Vydra, nientemeno.
“Katsuki, permetti una parola?” Lo bloccò in corridoio, sulla strada per il quadrato degli ufficiali.
“Sì.”
Non che avesse altra scelta.
Yakov Feltsman non fece giri di parole.​
“Dovreste stare più attenti. Non so come siano le cose nel tuo Paese, ma l’Unione Sovietica non è gentile con-”​
Si fermò, come se la parola gli fosse rimasta incastrata in gola. Yuri fece per sopperire.
“Quelli come Vitya” concluse Yakov senza dargliene il tempo. “Dio sa se ho provato a farlo desistere” continuò, sottolineando come Victor avrebbe avuto una vita tre volte più semplice se avesse imparato ad ascoltare di più; sottinteso, se avesse imparato ad ascoltare lui.
“Invece deve sempre fissarsi su qualcosa capace di mandargli all’aria vita e carriera.”
Yuri rimase in silenzio ad ascoltare, anche perché quel paio di volte in cui aprì bocca Yakov lo anticipò. L’anziano Capitano aveva la mascella tesa e le mani contratte. Dava l’idea che Victor gli avesse causato più di un’ulcera.​
             
“Signore, le assicuro che un comportamento tanto sprovveduto non si ripeterà” fu quello che Yuri disse infine messo davanti ai fatti. Aveva la sensazione che Yakov non si stesse riferendo solo a quanto successo la sera prima, ma anche all’esibizione durante la festicciola a base d’alcool.
Yakov annuì, soddisfatto. Non sorrise, ma Yuri si sentì un po’ meno a disagio.​
“Victor è come un figlio per me. Non lo volevo ammettere ma da quando ci sei tu è felice come non lo vedevo da anni” continuò Yakov, stropicciando il berretto tra le mani nodose. La voce era grave per una tosse che non lo aveva abbandonato dalla polmonite di settembre. Infatti, estrasse un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e vi sputò dentro un grumo di catarro.
“Accidenti! Kulikov dice che mi servirebbe un po’ di mare del sud. Magari!” borbottò, prima di congedarsi ripetendo le proprie raccomandazioni. Si allontanò con passo pesante.
 
Yakov non fu l’unico a fare la predica a Yuri. Anche Kulikov si mise di mezzo, lanciandosi in una filippica tale sui rischi dei rapporti non protetti che alla fine Yuri fu sul punto di votarsi alla castità. O di limitarsi al sesso orale per il resto della sua esistenza.  ​
Afferrò Kulikov per la spalla, con una nuova preoccupazione in gola. Stimava profondamente il medico e con lui aveva un debito di gratitudine - gli doveva la vita - ma una volta Yurio gli aveva detto di non fidarsi di nessuno. ​
“Lei e Yakov siete gli unici a sapere. Mi dica che non ci tradirà. Che non tradirà Victor.”
Kulikov si girò. L’indignazione sul suo volto non era qualcosa che si potesse fingere. Il suo tono rimase pacato ma Yuri poté sentire la rabbia celata in esso.
“Sarebbe un tradimento al mio giuramento” replicò, gelido. “Sarebbe un tradimento verso un compagno” proseguì, calcando su quel termine tanto importante per la Russia sovietica.
“E sarebbe un tradimento verso un amico. Credi che non lo sapessi già? Che non abbia visto il modo in cui ti ha guardato Vitya quando ti ha portato da me. Non ti voleva lasciare. Ho dovuto costringerlo. Credevo, temevo, che ne sarebbe uscito col cuore spezzato. Avrai notato che non è un genio nelle relazioni.”​
Yuri sorrise in approvazione.​
“Invece i miei dubbi erano infondati. Per quello che durerà.”​
“Cosa vuoi dire?”​
“Presto ci lascerai, vero? Dovresti cominciare a preparare Vitya all’idea. Non farti ingannare, è più fragile di quanto dia a vedere.”
 
Il consiglio di Kulikov era saggio e Yuri avrebbe tanto voluto rifletterci, ma poi con Victor che lo baciava con le dita affondate nelle cosce, se ne dimenticava.
Per una settimana gli parve di vivere in un sogno, un’effervescente fantasia che gli faceva sentire le scintille sottopelle. Fu come essere sotto l’effetto di una qualche droga, un cocktail di dopamina ed endorfine, mancanza o eccesso di ossigeno. Era stupendo.
Finché durò.
Il risveglio da quei giorni d’ingenua beautitudine fu una doccia così gelida che Yuri rimase paralizzato sul bordo della sua cuccetta prima che un altro marinaio non lo ridestasse con una pacca sulla spalla. Gli tornarono in mente le parole di Kulikov in tutta la loro potenza. L’ansia lo avvolse nel suo abbraccio appiccicaticcio.

26 DICEMBRE
43°19’30.64” N, 128°40’18.75” O
AL LARGO DELL’OREGON
 
Yuri fissava il sonar senza davvero vederlo. C’erano un paio di punti che pulsavano in alto a sinistra, ma erano fermi da ore e secondo Georgi non erano motivo di preoccupazione.
Victor si chinò su di lui, col chiaro intento di allacciargli le braccia attorno al collo, un gesto che negli ultimi giorni era divenuto abituale sia per Yuri sia per gli altri ufficiali eventualmente presenti. Quella volta, tuttavia, Yuri si scostò bruscamente dal gesto, il corpo che si mosse prima ancora che il cervello inviasse il comando.
Yuri si era svegliato con l’ansia ad attenderlo ai piedi della cuccetta quella mattina; da allora non aveva abbandonato un secondo il suo fianco, come un cane molesto e fedele. ​
Si tolse le cuffie e ruotò la sedia di mezzo giro. Victor aveva una ruga sopra il naso e un’espressione ferita, che rendeva il tutto solo più difficile. Il giorno prima aveva compiuto ventott’anni e a malapena Yuri gli aveva fatto gli auguri, trascorrendo il tempo insieme a confrontare un paio di tabelle nautiche invece di passare quelle ore nella maniera che non dubitava Victor avrebbe sperato.
“Cosa c’è, Yuri?” chiese, con voce sinceramente preoccupata.​
Yuri sbuffò. Si morse il labbro inferiore per impedirgli di tremare.​
“Come fai a essere così tranquillo?”​
Victor sgranò gli occhi, la confusione ben leggibile in essi.​
“Intendi come faccio a stare tranquillo su un sottomarino nucleare nel mezzo dell’oceano? Yuri, ti assicuro che non hai nulla di cui preoccuparti. L’incidente di Novembre non era nulla di grave, alla fine.”​
Yuri scosse la testa che aveva cominciato a dolere come già faceva il petto.
“No, non è quello!”​
“Hai nostalgia di casa? Yuri, lo so che è dura, ma-”​
Yuri lo interruppe prima che potesse finire la frase.
“No!” sbottò, la consapevolezza del non essere soli che gli bloccava la voce in gola. Rimanere vicino a Victor lo faceva soffocare.​
“Io” fece un sospiro “non mi sento molto bene. Se vuoi scusarmi” disse alzandosi e passando oltre l’altro. Tenne la testa bassa per non incrociare lo sguardo dell’uomo e per nascondere gli occhi lucidi. Victor non lo fermò.
Yuri scoppiò a piangere appena messo piede in corridoio.
 
Per la prima volta dopo mesi Yuri non trascorse la sera in compagnia di Victor, ritirandosi nelle cuccette non appena possibile. Il cambio di routine, tuttavia, procurò ben poco sollievo alla sua mente angosciata. Una volta motivo d’imbarazzo, la vicinanza di Victor erano diventate un’abitudine negli ultimi tempi e la sua assenza faceva sentire Yuri come se qualcuno gli avesse aperto una voragine nello stomaco. Si ritrovò a lacrimare sul cuscino prima ancora di rendersene conto. Pochi mesi, questo il tempo sufficiente perché il pensiero di perdere Victor, la prospettiva di separare le proprie vie alla base di Vilyuchinsk diventasse insopportabile.
Meglio così, rifletté mentre si raggomitolava su un fianco, col cuore che doleva al punto che Yuri avrebbe voluto strapparselo dal petto e gettarlo nelle profondità marine. 
 
Al terzo giorno passato a ridurre i contatti con Victor al minimo, Yuri dovette ammettere che l’idea di dirsi addio non era diventata per nulla più sopportabile. Semmai il contrario. Quale effetto collaterale dei sensi di colpa nati come naturale conseguenza del proprio comportamento, le notti di Yuri furono maledette da un’insonnia che nemmeno la fatica riusciva a sconfiggere. Fissò la griglia del letto sopra il suo, il materasso appena imbarcato per il peso del corpo di chi vi stava dormendo. Mancavano quattro giorni prima che il Vydra attraccasse a Vilyuchinsk, quattro giorni che Yuri avrebbe potuto passare con Victor, immergendosi in ogni istante, se non fosse stato tanto impegnato a convincere se stesso ad affrontare gli addii.
Era quello il vero problema.
Per fortuna la sera del sesto giorno – il conto alla rovescia proseguiva impietoso, col Vydra lanciato a tutta velocità – fu Victor a prendere in mano la situazione. Col Vydra ormai a largo delle coste siberiane, già visibili con un binocolo potente e una buona vista, bloccò Yuri sulla sua strada per le cuccette.
“Andiamo a fare una chiacchierata” fu tutto quello che disse, prima di ficcargli in braccio una pila di vestiti pesanti. “In plancia tra dieci minuti. Usciamo.”
Il Vydra era, infatti, in emersione per un ricambio dell’aria, su consiglio di Kulikov.
Yuri era certo che, se non si fosse presentato, Victor sarebbe venuto a prenderlo personalmente. Così com’era certo che se avesse indossato tutti gli indumenti procurategli da Victor in plancia non sarebbe arrivato se non rotolando. Non aveva ancora nemmeno indossato il cappotto e si sentiva già infagottato peggio di una certa mascotte di una certa ditta di pneumatici francesi.
“È proprio necessario?” chiese a Victor quando fu di nuovo in sua presenza. Stava già sudando copiosamente nei vestiti pesanti e la sottomaglia gli pizzicava la pelle.
“Non sei abituato al nostro inverno” fu la risposta, in un tono che non ammetteva repliche, accompagnata da una sciarpa di lana che Victor avviluppò attorno al collo di Yuri. Gli coprì naso e bocca, lasciando scoperti solo gli occhi.
“So sopportare il freddo!” protestò Yuri, la voce soffocata dalla lana. Aveva un odore stantio.
“Quello che tu chiami freddo non si avvicina nemmeno lontanamente alla temperatura che c’è fuori. Non ti sei mai spinto tanto a nord d’inverno. O ricordo male?” insistette Victor, passandogli un paio di guanti.
“No” ammise Yuri.
Né aveva mai visto il termometro scendere sotto i cinque gradi sottozero. Questo particolare, però, lo tenne per sé. In un guizzo d’orgoglio non voleva fornire a Victor un altro punto alla sua già solida argomentazione.
“Vedi!” ribadì Victor, calcandogli in testa un colbacco di pelliccia come tocco finale. Yuri si sentiva stordito per il caldo.
 
Il fastidio scomparve non appena mise la testa fuori dal boccaporto, nella gelida notte siberiana. Il caldo si trasformò in un piacevole tepore. La sensazione di goffaggine mutò in un’idea di sicurezza, come l’essere avvolto in un accogliente bozzolo. Victor gli tese la mano per aiutarlo a uscire e una volta fuori lo sostenne perché non perdesse l’equilibrio. Il freddo era tale che la parte emersa del Vydra era coperta da un sottile e insidioso strato di ghiaccio. Victor si sedette con cautela. Yuri lo imitò. Stava nevischiando e qualche fiocco rimase impigliato tra le sue ciglia. La luna era velata dalla nebbia, la luce appena sufficiente perché Yuri riuscisse a distinguere il profilo di Victor.
“Quello è il Grande Carro.”
Victor sollevò il braccio libero ad indicare la costellazione che brillava con prepotenza nonostante la foschia. “È una delle poche che ricordo” aggiunse. “Non sono la priorità quando vivi quasi sempre sott’acqua.”
Yuri aveva imparato a distinguere le costellazioni da quando aveva dodici anni. Era stata una delle cose di cui aveva avuto nostalgia a bordo del Vydra; aveva provato un senso di smarrimento quando era stato messo davanti alla realtà di doversi affidare a un computer per orientarsi nell’oscurità degli abissi marini.
“Quando” deglutì “quando è in arrivo una tempesta fai del tuo meglio per prepararti, per ridurre al limite i danni. “Volevo abituarmi a stare senza di te.”
“Ho avuto paura di averti offeso” sussurrò Victor.
“Davvero?” esclamò Yuri, una mano stretta attorno al braccio dell’altro per non scivolare. Lo spettro delle gelide acque nere pochi metri dai suoi piedi era fin troppo reale per abbassare la guardia. Le labbra di Victor si curvarono verso l’alto.
“Ti sorprende?”
“Mi sorprende che tu abbia paura in generale” confessò Yuri. Non c’era stata una volta sul Vydra in cui aveva visto Victor in difficoltà, in cui aveva avuto un’esitazione o mostrato timore. Sembrava che fosse nato per quello. Anzi, l’unica volta in cui Victor si era mostrato a disagio, era stato a metà dicembre, quando aveva confessato di aver quasi fatto sesso con lui.
“Oh, Yuri” Victor scoppiò in una debole risatina “non immagini nemmeno quanta paura io abbia. Un errore, un malfunzionamento, e questa bestia potrebbe saltare in aria senza che io possa fare nulla. E se mai succederà, spero sia una morte rapida, perché non oso immaginare l’alternativa. Ho paura di non avere futuro oltre a questo” – fece un vago gesto – “come un muro invisibile contro il quale sono destinato a scontrarmi. Ho paura di come tornerà a essere la mia vita senza te al mio fianco. Quest’anno sono stato a terra dieci giorni in tutto. Li ho contati. E ho visto il sole solo cinque giorni. Non fraintendere, mi piace quello che faccio. Ma la paura è qualcosa che mi accompagna sempre.”
Ho paura di vivere.
 
Yuri allungò la mano guantata verso il volto di Victor senza riflettere. La ritirò subito dopo, abbassando gli occhi. Un timido rossore apparve lungo il ponte del naso. Intrecciò allora le proprie dita con quelle dell’altro, sopra il metallo ghiacciato del Vydra. Il contatto tra loro era minimo, dati tutti gli strati in cui erano avviluppati ma Yuri poteva giurare di sentire il calore di Victor come se fossero stati pelle contro pelle.
“Perché? Perché hai scelto me?” specificò, lo sguardo fisso sull’orizzonte. “Cosa hai visto in me?”
“Avrei dovuto lasciarti annegare?”​​​
“No! Ma …”
“La tua forza. È stata la tua forza ad attirarmi.”
Yuri fece un suono interrogativo con le labbra, ponendo una domanda cui Victor si affrettò a rispondere. “Secondo Kulikov hai trascorso quasi due giorni in mare. Te lo avrà detto. Un uomo di solito non dura nemmeno dieci minuti. Saresti dovuto morire e invece sei ancora qui.”
Yuri mormorò qualcosa, distrattamente. Victor lo interpretò come un invito a continuare. “Tu non te ne accorgi, ma dove vai irradi luce. Hai il dono di piacere alle persone.”
“Come te” ribatté Yuri.
“Le persone rimangono affascinate da me, nulla di più. A te le persone vogliono bene. L’equipaggio ti adora. Se potesse, ti terrebbe come mascotte. È come avere il cielo, come avere il sole.”
Dopo una simile confessione, Yuri rimase in silenzio per un tempo che gli parve lungo una vita, ma che non dovette durare più di pochi minuti. Come aveva detto Victor, non solo non si era accorto dell’effetto che aveva sugli altri, ma nemmeno lo credeva possibile. Certo, ripensando ai mesi trascorsi, poteva quasi vedere come fosse riuscito a inserirsi nell’ambiente, con naturalezza e quasi senza accorgersene. Alcuni marinai si confidavano con lui; altri avevano finito con il considerarlo un punto di riferimento; tutti lo trattavano come avrebbero fatto con un amico.
“Vorrei che avessimo più tempo” sospirò, poggiando la testa sulla spalla di Victor.
“Poteva andare peggio.”
“Non è abbastanza.”
“Lo so.”
Nel dirlo Victor spogliò i guanti. La sua mano era tiepida contro la guancia di Yuri, più calda di quanto fosse fredda l’aria che morse la pelle nuda quando Victor abbassò la sciarpa fino a scoprirgli la bocca. E poi le labbra di Victor furono sulle sue.
Di baci ce n’erano stati prima e, nel profondo, Yuri sperava che ce ne sarebbero stati dopo, ma nessuno come quello. Distrusse i dubbi e creò terreno fertile perché ne nascessero di nuovi. Qualcosa si spostò nel petto di Yuri, un movimento impercettibile che lo scosse dalla testa ai piedi. Nascose il viso contro il petto di Victor mentre il suo dolore trovava infine una catarsi.
 
 
 
8 GENNAIO,
51° 58’ 25.982” N, 160° 22’ 43.154”E
BASE SOTTOMARINA DI VILYUCHINSK
 
Il primo impatto di Yuri con la base di Vilyuchinsk fu intenso. Il fragore dei macchinari era assordante, l’attività frenetica e organizzata con precisione millimetrica, e soprattutto era tutto gigantesco. Yuri aveva già una vaga idea delle dimensioni del Vydra, ma la sensazione percepita dal viverci non era affatto paragonabile col vederlo dall’esterno e scoprire, inoltre, che non era nemmeno il più grande della flotta pacifica. Di colpo l’oceano sembrò ancora meno sicuro di quanto non fosse mai stato. ​
La temperatura era precipitata a – 20. Le coste e il mare attorno alla base era stato coperto tra uno spesso strato di ghiaccio, da cui spuntava la cima tondeggiante di alcuni sottomarini rimasti bloccati.  Una neve destinata a non sciogliersi fino a primavera inoltrata imbiancava le basse colline attorno alla baia. Quella che decorava i picchi dei monti all’orizzonte, invece, sarebbe rimasta lì anche d’estate.
Vilyuchinsk si trovava all’estremo oriente del territorio sovietico, sul lato orientale della penisola della Kamchatka, inserita nella baia di Avača e Victor aveva detto a Yuri che a maggio l’area si accendeva del verde brillante degli alberi e del blu intenso dell’oceano primaverile. Le case dei pescatori e delle famiglie di chi lavorava alla base, passato il lungo inverno, si riaccendevano di vita con una grande festa in occasione della Maslenica.
“Peccato essere sempre via durante quel periodo.”
 
Per il momento, tuttavia, Vilyuchinsk era l’apoteosi del freddo siberiano. Nonostante fosse vestito col doppio degli strati rispetto a tutti gli altri, Yuri continuava a battere i denti senza controllo. Accoglieva ogni fonte di calore con la medesima gioia di un micio che si crogiola al sole. In più il tempo che trascorreva con Victor si era ridotto bruscamente dall’istante in cui il Vydra aveva attraccato. Il tempo di mettere piede a terra che un gruppo di uomini di settant’anni l’uno avevano prelevato Victor con maniere cortesi ma che non ammettevano repliche. Da allora Yuri aveva parlato col proprio innamorato una volta, di sfuggita in mensa, e cominciava seriamente ad andare in astinenza. Per questo quando a cinque giorni da quando l’equipaggio era stato sbarcato, Victor bussò alla porta dell’alloggio dove Yuri era stato sistemato, Yuri dovette appellarsi a una buona dose di autocontrollo per non spingere subito l’altro contro la prima parete disponibile.​
“Ci sono stati problemi?” Chiese invece, per ignorare la voce nella sua testa che gli ricordava che avrebbe fatto meglio ad abituarsi in fretta a una vita senza Victor, dato che era questo ciò che lo aspettava.
Victor si sedette sul bordo del materasso. Teneva la testa china ma Yuri poté notare come non sembrasse preoccupato o triste; semmai il contrario.
“Yakov ha spedito una lettera all’Ammiraglio Maslov in cui elogia il mio operato sul Vydra e avanza la proposta che me ne sia affidato il comando in forma ufficiale. A Mosca hanno ancora qualche dubbio, ma sembra che la prima risposta di Maslov sia stata positiva.”
Vladimir Petrovich Maslov era il comandante in capo della Flotta Pacifica, la testa. Se davvero Victor era riuscito a fargli una buona impressione e a entrare nelle sue grazie questo poteva solo significare l’inizio di una brillante carriera.
Ecco spiegato il motivo dell’interesse di quegli ammiragli e altri alti ufficiali per Victor. Yuri non dubitava che lo avessero sottoposto a lunghi, approfonditi ed estenuanti colloqui. In confronto le sue esigenze non erano altro che un capriccio infantile​.
“È fantastico” disse quando Victor gli chiese cosa ne pensasse. Nella sua voce non c’era nemmeno metà del l’entusiasmo che avrebbe dovuto mostrare. Il sorriso di poco prima cadde dalle labbra di Victor. Yuri distolse lo sguardo.
Il senso di colpa gli annodò lo stomaco. Avrebbe dovuto essere felice per Victor, unirsi a lui nel celebrare la buona notizia, esultare. Invece l’unica cosa a cui riusciva a pensare era l’ingiustizia dell’universo che aveva fatto incrociare le loro strade per un tratto troppo breve.​
Non si accorse di stare piangendo finché non sentì l’umido sulle guance. Victor gli prese il viso fra le mani, voltandolo verso di sé.
“Cosa c’è, Yuri?” domandò, asciugandogli con gentilezza le lacrime col lato del pollice. Yuri tirò su col naso. Si sentiva così debole e sciocco e irragionevole. Avrebbe potuto affrontare l’addio da persona adulta, cercando di non rovinare con una scenata i mesi trascorsi insieme; invece si stava comportando come un adolescente viziato.​
“Non voglio che finisca” sussurro tra un singhiozzo e l’altro.
La pausa che seguì fu tanto lunga che Yuri ebbe il tempo di convincersi che Victor, avendo compreso che genere di persona meschina fosse in realtà, lo avrebbe abbandonato senza ulteriori indugi. Si preparò a un doveroso discorso sull’egoismo. Dubitò anche che i suoi sentimenti fossero mai stati davvero ricambiati. Forse per Victor era stato solo un piacevole diversivo, niente di più.
La gola aveva già cominciato a chiudersi attorno alle sue paranoie quando Victor riprese finalmente a parlare. L’esito non era contemplato in nessuno degli scenari immaginati da Yuri. ​​
“Yuri, domani voglio portarti a vedere un posto.”
Yuri ebbe appena la forza di annuire. Si soffiò il naso nel fazzoletto che Victor fu così gentile da dargli.
“D’accordo.”
 
9 GENNAIO
49°33’13.412” N, 154°18’50.273” E
ARCIPELAGO DELLE CURILI
 
Il posto si rivelò essere un’isoletta di roccia ed erba, così piccola che il Vydra quasi non ci sarebbe stato. L’isola era una virgola nel mare. La punta nord, smussata da millenni di onde, si elevava in una duna brulla che scendeva dolcemente verso l’oceano. La cuspide sud, al contrario, era rocciosa, fatta di scogli accidentati nelle cui cavità zampettavano granchi e altri piccoli crostacei ciechi e pallidi. A ovest, nella conca della virgola, una spiaggia grigio chiaro, scevra da orme, rappresentava l’unico accesso semplice. Non un arbusto arricchiva l’isola e l’unica forma di vegetazione presente era costituita da umidi muschi e fili di sterpaglia. Una scogliera a picco sul mare, infine, proteggeva la baia dai venti orientali.
L’unico segno di vita era una casetta-faro arroccata sul promontorio settentrionale, in buone condizioni tutto sommato, ma chiaramente abbandonata.
“Dove siamo?” chiese Yuri, quando Victor lo aiutò a scendere dalla barca. Gli stivali affondarono nella rena umida. Soffiava un vento da ovest. “Non è sulle mappe, vero?”
“Non proprio” rispose Victor, chinato ad assicurare la barca a uno scoglio con una spessa corda.
Aveva svegliato Yuri che la luna era ancora alta nel cielo, aiutandolo a vestirsi in tutti gli strati necessari a sopravvivere a quelle latitudini perché Yuri minacciava di ripiombare addormentato nell’istante in cui avesse chiuso gli occhi. Era sì un uccello notturno, ma svegliarsi nel cuore della notte era tutt’altra faccenda. Così si era lasciato guidare da Victor ed era stato grato per il buio pesto quando si era trovato a salire su una barca di medie dimensioni. Era la prima volta dall’Eros
Non aveva fatto domande, più preoccupato a lottare contro l’ondata di panico che gli prese lo stomaco nell’istante in cui il lieve rollio delle onde si trasmise ai suoi piedi. Una voce nella testa gli diceva di scendere, di fuggire. Il cervello sopperì con i ricordi del naufragio, quanto Yuri non aveva voluto affrontare per mesi. Almeno al buio non poteva vedere davvero la barca e convincersi di essere da qualche altra parte. Si bloccò sul posto, l’ansia più forte dell’istinto della fuga. Le mani si fecero gelide nei guanti.
Poi Victor le aveva strette tra le proprie. Si era messo davanti a lui, un’ombra tra le ombre. Yuri non ebbe bisogno di vederlo per sapere che era lì, a ripetergli che non aveva nulla da temere; finché stava con lui non gli sarebbe successo nulla.
“È stato un errore, ti riporto a terra.”
Yuri lo aveva però bloccato prima che potesse invertire la rotta. Poteva sentire il profumo del mare, quel mare che per qualche motivo aveva deciso di proteggerlo invece di ucciderlo. Parte della sua vita apparteneva a esso, ora, non poteva sottrarsi.
“Stammi solo vicino” sussurrò a Victor, ricambiando la stretta.
Victor non l’aveva lasciato andare per un secondo.
 
Arrivarono all’isoletta che non era ancora l’alba. Victor portava una lanterna e Yuri ne reggeva una gemella. C’era una pace quasi innaturale nell’aria, il genere dato dai luoghi dimenticati dall’uomo, talmente dimenticati da perdere anche quell’aura di pericolo che hanno spesso i posti abbandonati.
“Arcipelago delle Curili” precisò Victor, finito di legare la barca. “Ufficialmente. Ufficiosamente dubito che si ricordino di questo scoglio sulle mappe.”
Cosa che tornava utile quando le isole, di origine vulcanica, erano al centro di una disputa tra Giappone e USSR. Sembrava quasi uno scherzo del destino che esse formassero un ponte naturale tra la Kamchatka meridionale e Hokkaido.
“Sono anche soggette a terremoti, ma immagino che non siano una novità per te.”
Yuri scosse la testa. Non riusciva a capire dove Victor volesse andare a parare, ma quando Victor gli fece segno di seguirlo, si limitò a obbedire senza ulteriori domande.
“La casa appartiene a un vecchio pescatore che non viene più qui da anni. Voleva stare da solo, ma con l’età anche la solitudine gli è diventata pesante” riprese Victor quando furono sotto lo pseudo-faro. Da vicino erano evidenti i lavori di restauro che la catapecchia avrebbe richiesto per essere abitabile.
“Comunque ci ho parlato e dopo lunghe discussioni, non so quante leggende di mare, e altrettanti bicchieri di vodka, l’ho convinto a darmela in affitto a patto di rimetterla a nuovo.”
Questa volta fu Yuri a rimanere in silenzio abbastanza a lungo da far rimettere in discussione a Victor tutto il suo piano.
“Allora?” Lo udì quasi supplicare. Non rispose ancora, troppo impegnato ad afferrare egli stesso la portata di quello che Victor aveva fatto.​
“Hai comprato una casa per noi?”​
“Affittato” precisò Victor, prevedendo Yuri per mano e iniziando a girare attorno al perimetro dello stabile.
“Per noi?”  ripeté Yuri, insistendo su quell’aggettivo. Aveva un bel suono.
Victor sorrise colpevole. Si arrampicarono su per la collina. Non c’era più un vero sentiero, da quando il faro era entrato in disuso e il vecchio proprietario aveva ridotto sempre più i suoi periodi di permanenza, fino ad arrivare a pochi giorni all’anno per assicurarsi che un terremoto non avesse fatto crollare il tutto. Finora non era mai capitato: il corpo principale dell’edificio, infatti, era stato eretto con maestria. La forma tozza e un poco schiacciata poteva apparire poco elegante, ma la base larga era ottima per assorbire e disperdere le vibrazioni.
La solidità del faro era però l’unico punto a suo favore. Tutto il resto parlava a chiare lettere di abbandono e intemperie. L’intonaco era caduto in più punti, lasciando scoperte le pietre sottostanti, sui quali si allargavano grosse chiazze di sale. In cima al faro la ringhiera a protezione del passatoio era arrugginita.
L’interno della casa era messo in maniera anche peggiore dell’esterno. Uno spesso strato di polvere e altra sporcizia copriva i pochi mobili presenti e il pavimento di pietra. Yuri si sentì pizzicare il naso non appena Victor aprì la porta d’ingresso con una spessa chiave. L’ambiente era organizzato in verticale, con una scala a chiocciola posta esattamente al centro per accedere alle stanze superiori. Il piano terra, come Yuri scopri presto, era occupato dalla cucina con fornello a gas e dal bagno. Il secondo piano era vuoto, ma dava l’idea di poter essere trasformato in un piccolo salotto o in uno studiolo. L’ultimo era dedicato alla camera da letto. Il mobilio era ridotto al minimo: una cassapanca, una credenza, un tavolo senza sedie e un letto senza materasso. Yuri aprì il rubinetto in bagno. L’acqua uscì singhiozzando. Le finestre erano piccole, poco più che feritoie per trattenere il calore all’interno.​
Annesso al faro c’era una cisterna per le riserve d’acqua dolce, una ghiacciaia e un cubo che Yuri ipotizzò dovesse essere una specie di dispensa.
 
Di nuovo fuori, Yuri non poté trattenersi dal porre la domanda che gli faceva prudere la lingua da quando era iniziato il giro del faro. “Perché?”​
“Perché nemmeno io sono pronto agli addii.”
Saltò fuori che Victor aveva cominciato a pensare al problema ben prima che Yuri iniziasse anche solo a percepirlo come tale. Già dai primi gesti di corteggiamento Victor stava già riflettendo su come avrebbe fatto a tenere accanto a sé la persona che gli aveva portato l’Oceano per la delizia del suo cuore se mai fosse riuscito a conquistarla. Mentre Yuri si crogiolava nella propria solitudine, convinto che non esistesse altra via, Victor aveva discusso con Yakov, col dottor Kulivov, con Yurio – per quel poco che era stato a sentirlo; aveva studiato mappe su mappe; si era informato su come funzionasse la pesca al tonno in Giappone, quali erano i mesi di punta e quali quelli in cui le barche venivano riposte in rimessa. Aveva poi incrociato i risultati con i periodi di attività e di licenza dell’equipaggio del Vydra da quando era stato varato la prima volta, con le dovute approssimazioni.
“Secondo i miei calcoli dovremmo riuscire a vederci almeno un mese all’anno. Non è molto, ma Yuri di’ qualcosa.”
“Cosa vuoi che ti dica. Penso che tu sia folle. Sì, è un piano folle e non può funzionare. È folle e  mi va bene così.”
Una volta aveva chiesto alla Dea del Mare di dargli un po’ del tempo di Victor, quando lo stare sul Vydra era passato dall’essere una costrizione all’essere una scelta. Aveva ringraziato per ogni giorno in più, allo stesso modo in cui ringraziava ogni giorno per essere vivo, per il pesce, per il mare, per il vento, per le giornate di sole, per la sua famiglia. E se gli dei volevano concedergli un altro giorno, un’altra settimana, un altro mese o addirittura un altro anno, Yuri lo avrebbe accettato cercando di non preoccuparsi troppo del dopo.
 
Victor gli mise un braccio attorno alla vita, strappandogli uno squittio di sorpresa.
“Victor! Cosa stai facendo?”
Victor aggiustò la presa sul suo fianco, tendendo l’altra mano nell’invito di essere afferrata. Yuri gliela strinse. “Una volta mi hai detto ami ballare. Sul Vydra non c’era spazio ma quest’isolotto dovrebbe essere abbastanza grande.”
“Appena.”
Yuri ridacchiò della sua stessa battuta. Posò la mano libera sulla spalla di Victor, in un silente invito a guidare la danza. Victor non perse altro tempo. Canticchiò anche, con una bella voce da tenore.
 
Sento una voce che piange lontano
Anche tu sei stato forse abbandonato?
 
Yuri aveva ballato forse una volta il valzer, ma Victor lo rese facile. Quando accennò i primi passi, Yuri si limitò a seguirlo, come una barca fa con le onde. E a ogni passo, ogni giro, ogni orma lasciata sulla sabbia e sull'erba, il mondo intorno scompariva.
“Sei ridicolo!”
“Sono felice."
 
Finisco questo calice di vino
E inizio a prepararmi
Adesso fa’ silenzio
 
La pronuncia di Yuri non era nemmeno lontanamente buona come quella di Victor che aveva canticchiato quella melodia tante volte da apprenderla alla perfezione. Yuri aveva imparato a riconoscerla come segno dei momenti di malinconia di Victor, ma nel dondolare con la testa poggiata sulla spalla del russo questa volta non riconobbe alcuna tristezza nella ballata. Piuttosto ebbe l’impressione che Victor avesse cambiato una parte delle parole.
 
Stammi vicino, non te ne andare
 
Yuri sorrise dietro la sciarpa, con gli occhi ridotti a fessure. Le guance di Victor si erano fatte rosse per il freddo pungente e per la danza. E a un certo punto Yuri scoprì di essere di nuovo alla spiaggia, che Victor lo aveva fatto ballare per metà della costa, scendendo dal lato meno accidentato della scogliera senza che Yuri se ne accorgesse o inciampasse anche solo una volta. Ruotò la testa sopra la spalla. Poteva vedere il davanti del faro.
“Cosa guardi, Yuri?” si incuriosì Victor, prendendogli con delicatezza il mento fra le dita. Yuri si sporse per sfiorare le sue labbra con le proprie.
“La nostra vita.”
Victor lo strinse con tanto slancio da sollevarlo da terra.
“Yuri, il mio Yuri” prese a esclamare forte per gridarlo al mondo, tempestandogli di baci ogni centimetro di volto scoperto.
 
5 APRILE 1978
29°2’13.058” N, 133°1’48.05” E
AL LARGO DEL KYUSHU
 
Yuri era tornato a fare il pescatore, perché era il suo lavoro e la sua passione, anche se non si era più spinto tanto a nord per lavoro. C’era un nuovo equipaggio, visi nuovi che Yuri avrebbe imparato a conoscere se fossero rimasti a bordo abbastanza a lungo.​
Oggi il cielo era limpido, era giorno di bonaccia. In piedi sul ponte Yuri contò le stelle. L’Ai, questo il nome del nuovo peschereccio, era solo in mezzo alle onde, ma il giovane non se ne crucciava. Sapeva, infatti, che miglia a sud si trovava la Terra Incognita di Phichit o la Inferno di Guang Hong. ​
Soprattutto sapeva che da qualche parte, da qualche parte sott’acqua, il Vydra pattugliava l’Oceano. E sapeva che a bordo si trovava un giovane Capitano che di certo sarebbe entrato negli annali e che gli faceva palpitare il cuore.
 
Quando aveva rimesso piede a Hasetsu Yuri era stato accolto come di solito si accolgono i dispersi: con stupore, tanta gioia, e soprattutto tante domande. ​
Nell’ordine sua sorella Mari aveva strillato come se avesse visto un fantasma e trascorso i successivi giorni a fingere indifferenza per non perdere la propria reputazione; i suoi genitori e la maestra Minako avevano cercato di coinvolgere l’intera comunità in una gigantesca festa di bentornato; i Nishigori lo avevano interrogato fino a sapere i dettagli; e le gemelle avevano subito cominciato a contattare sponsor per traslare il tutto in un best-seller.
Con Nishigori Yuri intendeva Yuko e Takeshi. Come scoprì presto, il giorno del naufragio, non appena la tempesta aveva iniziato a farsi seria, il Capitano dell’Eros aveva lanciato un SOS, ricevuto da una nave della marina britannica che aveva provveduto a recuperare il peschereccio e il suo equipaggio. Minami era stato ripescato in tutta fretta, ma stando alle parole di Takeshi era parso più preoccupato per la sorte di Yuri che per se stesso. Avevano dovuto metterlo sotto sedativi per tenerlo tranquillo. “A momenti si rituffava.”
 
A quanto pareva non erano stati Takeshi e Minami, ma Yuri ad essere dichiarato disperso in mare.
“Ora mi devi spiegare dove cavolo eri finito? Ti credevamo morto, inghiottito dall’Oceano!” lo rimproverò Takeshi. Era serio come tutte le altre volte in cui Yuri aveva messo la propria vita in pericolo, ma era chiaro quanto a stento stesse trattenendo la propria gioia.​
Yuri gli aveva raccontato tutto, omettendo solo di specificare l’esatta missione del Vydra per ragioni di sicurezza, per quanto fosse più semplice che la maestra Minako abbandonasse la bottiglia che Takeshi si desse allo spionaggio.
“Fammi capire” ricapitolò l’amico dopo che Yuri ebbe ripetuto la storia per la terza volta “sei stato recuperato da un sottomarino sovietico, sei rimasto a bordo per tre mesi prima perché non potevano farti sbarcare prima e in questo periodo ti sei innamorato, ricambiato e sottolineo ricambiato, del Capitano?”
Yuri si era stretto nelle spalle. “A quanto pare.”​
Se aveva sperato di lasciar cadere l’argomento aveva dovuto presto ricredersi. Non tanto per colpa di Takeshi, che alla fine si era accontentato della prima timida e sommaria spiegazione di Yuri, pur commentando sulla complessità della faccenda, ma delle figlie. Le gemelle avevano voluto sapere ogni singolo dettaglio delle avventure di Yuri, come le avevano chiamate.
 
Con l’inizio della stagione di pesca prevista per fine marzo, Yuri aveva trascorso gennaio ad Hasetsu e febbraio a cominciare a rimettere in sesto il faro. Takeshi e Minami si erano offerti di dargli una mano e non avevano voluto sentire ragioni. A inizio marzo la casa aveva cominciato ad avere un aspetto accogliente, giusto in tempo perché Yuri potesse trascorrere le successive due settimane sull’isola con Victor. Solo allora Takeshi e Minami avevano cortesemente tolto il disturbo. Takeshi non aveva tuttavia mancato di fare qualche battutina, per di più in presenza di Victor. Yuri avrebbe voluto sotterrarsi. Victor lo aveva persino preso in braccio come una coppia di sposini novelli. Oh, la sua faccia era stata impagabile quando Yuri aveva restituito il favore, sollevandolo senza sforzo.
“Serve forza per spostare le casse piene di pesce” era stata la sua semplice spiegazione.
Anche il faro era tornato a funzionare e quando né Yuri né Victor potevano occuparsene, pagavano un ragazzo perché si assicurasse che rimasse acceso.​
Yuri era conscio delle difficoltà della vita che si era scelto, di quanto fossero fragili le basi della loro relazione. Ma poi vedeva le scintille negli occhi di Victor ogni volta che riuscivano a passare del tempo insieme e si scopriva disposto a rischiare. Come aveva detto Victor la prima volta che lo aveva portato sull’isola, era meglio pentirsi di un rischio corso che di uno non corso.
“Matto Ivan” aveva replicato Yuri “ogni tanto bisogna cambiare traiettoria.”
A volte ci si scontrava. E a volte scontrarsi era un bene.
Al suo anulare destro scintillava la sottile fede d’oro che in uno slancio di coraggio aveva comprato in coppia a una gemella destinata a Victor, come ringraziamento, porta fortuna, promessa.
 
D’un tratto la superficie d’olio dell’Oceano venne rotta. Yuri sollevò la lanterna che portava appresso, giusto per illuminare le acque scure venire divise da tonnellate di acciaio e ghisa. Duecento tonnellate di sottomarino stavano giusto a pelo d’acqua a poche miglia dall’Ai, il periscopio ben alto.
Yuri attese. Non dovette aspettare molto e presto il sottomarino cominciò ad inviare impulsi sonar. Yuri tradusse simultaneamente​.
 
S-T-A-M-M-I V-I-C-I-N-O
 
Yuri sorrise, pensando a Victor sveglio dietro al periscopio, mentre metà del Vydra dormiva e metà era in piena attività. Pensò a Victor che ora era davvero il Capitano di prima classe del Vydra, con tutte le responsabilità, gli oneri e gli onori che ne conseguivano. Sorrise immaginandolo chino sulle solite scartoffie, con le mani tra i capelli argentei che aveva tanto paura di perdere per colpa dello stress e delle radiazioni.
Quello che avevano era poco, gli causava una forte malinconia, per questo motivo cercava di assaporarne ogni secondo
N-O-N T-E N-E A-N-D-A-R-E 
   
Parlarono per tutta la notte.
 
Note:
Questa One-shot è andata, diciamo, fuori controllo. Aveva le potenzialità di essere lunga e come si dice “go big or go home”.
Volevo che fosse abbastanza precisa dal punto di vista tecnico, ma che allo stesso tempo fosse leggibile anche da chi non ha particolari conoscenze di nautica o interesse in materia. Quindi il 50% delle informazioni sono basate su ricerche che ho fatto, mentre il rimanente 50% è di fantasia. Per esempio il sottomarino su cui ho basato il Vydra era attivo nella flotta settentrionale e non in quella pacifica.
Stessa cosa per le isole Curili, dove l’arcipelago esiste, ma ho inventato l’isola col faro. O il sottomarino nucleare usato per missioni di spionaggio. Ma nucleare facevo figo.
Maslov in compenso è un personaggio storico.
I sottomarini sovietici post-WW2 venivano nominati di solito con numeri, ma a volte con nomi di pesci e altri animali marini. Vydra perciò significa “otaria”. Aveva un bel suono.
La stanza sonar e la plancia sarebbero separate, ma ho ritenuto “noioso” specificare a ogni riga il passaggio da un punto all’altro, anche perché spesso i due ambienti sono adiacenti. 
Victor elude le regole della logica dei comuni mortali.
Le coordinate sono prese da Google maps, se volete cercarle.
Potrebbero esserci dei minori errori di battitura, ma ho scritto quasi 40 pagine per più di 20.000 parole. Passatemi che un paio di cose mi siano sfuggite.
Detto questo, enjoy.
   
 
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