Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: TimeFlies    28/06/2017    2 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Under a paper moon- capitolo 41


                                                    

                                                 Image and video
hosting by TinyPic

 




41. Scarlett

Non mi ero mai resa conto di quanto fosse forte l’odore del sangue prima di allora. O meglio, avevo sentito quello del mio quando i cacciatori mi avevano sparato, ma quello di un’altra persona era del tutto diverso, era caldo, pungente, vagamente amaro.
L’aria era elettrica per via del temporale che stava per scoppiare, il sentore dell’asfalto umido aleggiava intorno a noi. Per un attimo, il tempo si era fermato dopo lo sparo.
Mi ci era voluto un po’ per capire cosa fosse successo, l’avevo scambiato per un tuono piuttosto forte, per una porta che veniva sbattuta, per tutto tranne che per quello che era realmente. Perché quella possibilità era così spaventosa da non essermi neanche venuta in mente.
Tornai in modo brusco alla realtà quando sentii il ringhio basso e sofferente di un lupo. No, non di un lupo qualsiasi. Del mio Alfa.
Sbattei le palpebre e vidi Sean stringersi il braccio, le dita macchiate di un rosso così vivo da sembrare innaturale. C’era qualcosa di strano nella posizione del suo corpo, era teso, ma allo stesso tempo piegato dal dolore, una lotta tra orgoglio e sofferenza. E poi c’era Adam, furioso e protettivo insieme, con un braccio intorno alla schiena dell’Alfa, le spalle dritte e lo sguardo di fuoco puntato su qualcosa di lontano. Me ne resi conto solo in quel momento: Sean era aggrappato a lui con la forza testarda di chi non vuole lasciarsi andare al dolore, le sue iridi baluginavano d’oro mentre il suo lupo lottava per limitare i danni.
Sollevando ancora di più gli occhi vidi Tristan, davanti al quartier generale dei cacciatori, la pistola ancora stretta in mano e puntata su di lui. La sua espressione era calma in modo spaventoso, del tutto vuota, gelida. I cacciatori dietro e intorno a lui lo fissavano, sconvolti quanto me.
Nathan gli si avvicinò a grandi passi, ma prima che potesse fare qualunque cosa, lui gli puntò l’arma contro. Aveva dimostrato di non aver paura di premere il grilletto, però c’era una bella differenza tra lo sparare a quello che credevi essere un mostro e sparare a chi era stato un compagno, un amico.
Senza pensarci, mi spostai per fare da scudo a Sean insieme ad Adam. Il mio lupo scoprì le zanne con fare minaccioso facendomi nascere una rabbia bollente nel petto. Non gli avrei permesso di portarmi via nessuno, né il mio Alfa né chiunque altro del branco. Non sarei stata di nuovo una vittima.
Un ringhio rabbioso e cupo nacque da qualche parte dietro di noi. Un attimo dopo, Dawn marciò verso i cacciatori con una forza tale che avrebbe potuto demolire un muro, forse addirittura un intero edificio. Aveva gli occhi accesi d’oro, le zanne in mostra in un sorriso sinistro e tagliente. Aveva abbandonato il fucile per assecondare il proprio istinto rivelando la sua vera natura. Toby si affrettò a raggiungerla e l’afferrò per un polso prima che potesse raggiungere il suo scopo. Dawn scattò come un serpente, tirando indietro la testa per guardarlo con aria di sfida, le iridi velate di rabbia.
Nello stesso momento, Nathan aveva cercato di disarmare Tristan dimostrando un coraggio che non credevo avesse. Lui però aveva perso ogni briciolo di umanità e non esitò a reagire: lo colpì con violenza al viso con il calcio della pistola facendolo cadere in ginocchio. Prima che potesse andare oltre, Brian gli comparve alle spalle e, veloce e silenzioso, gli passò un braccio intorno alla gola. Tristan tentò di dimenarsi, ma la stretta dell’uomo era ferrea.
Lo costrinse ad accasciarsi lentamente a terra, la pistola che gli scivolava di mano, le dita che si muovevano frenetiche mentre annaspava. Alla fine, smise di muoversi e si abbandonò come un burattino a cui hanno tagliato i fili. Con gesti che denotavano una certa esperienza, Brian lo fece sdraiare a terra senza troppe cerimonie.
Nessun’altro aveva osato muoversi o fiatare, era stato tutto troppo sconvolgente, troppo inaspettato per essere assimilato, per poter scatenare una reazione. Nel giro di un minuto erano successe tante cose che avevano bisogno di tempo per trovare il loro posto e incastrarsi tra loro per ricreare una sorta di sequenza logica, dare un senso a quegli ultimi sessanta secondi. La minaccia rappresentata da Tristan era stata eliminata, adesso tutta la mia attenzione si concentrava su Sean.
Mi voltai verso di lui, che nonostante la ferita si reggeva in piedi e sembrava più che determinato a continuare a farlo. Aveva il volto pallido e contratto, l’unico segno di sofferenza che si era concesso era il sorreggersi contro Adam. Con un ringhio soffocato, si staccò da lui raddrizzandosi.
Si liberò del giubbotto per poi lanciarlo a terra, lo sguardo fisso sui cacciatori. Colsi sorpresa e timore serpeggiare tra le loro fila. Nathan, che nel frattempo si era rialzato, si teneva una mano sul viso, lì dove Tristan l’aveva colpito. I suoi occhi incontrarono i miei, erano spaesati, ma non spaventati come credevo.
Sean avanzò, i passi sicuri che sembravano far tremare la terra. Rivoli scarlatti gli scendevano lungo il braccio dandogli un’aria più letale che sofferente. Come per un ordine implicito, noi lupi lo seguimmo sfoderando le zanne. Percepivo il dolore del mio Alfa propagarsi in ondate gelide dal suo corpo. I ricordi di quando io stessa ero stata colpita da un proiettile d’argento mi invasero la mente soffocando la lucidità.
Mi ritrovai in balia del mio lupo, smaniosa di combattere e agire. Quella stessa energia selvaggia crepitava in tutto il branco e il suo centro era Sean. L’Alfa si fermò a qualche metro dai cacciatori, i muscoli della schiena in tensione, contratti, per mascherare la sofferenza. Gocce di sangue scuro cadevano dalle sue dita e si infrangevano contro l’asfalto, potevo quasi sentirne il suono.
«Noi… Mi dispiace, non…» balbettò Colin, la voce rotta dalla paura.
Me ne resi conto solo in quel momento, Sean aveva rivelato la sua natura più primordiale: il suo lupo affiorava alla superficie con le zanne scoperte e una furia devastante a incupirgli le iridi; quelle dell’Alfa, invece, erano di un oro così puro e intenso da pietrificare chiunque lo guardasse negli occhi. Gli artigli scuri apparivano affilati come rasoi, quasi impazienti di affondare nella carne.
Sean Leblanc era un fulmine, pura energia dalla portata micidiale concentrata in un’unica persona, in un unico lupo. Le nuvole cupe sopra di noi erano il suo palcoscenico. Rabbia, rancore e dolore si trasformarono in un cocente desiderio di vendetta. L’aria crepitava di elettricità, quasi si vedevano scintille brillare nel vento freddo.
«Silenzio» tuonò Sean e fu un ringhio e un ruggito insieme. «Avete fino a mezzanotte per andarvene, o giuro che verrò a cercarvi uno a uno e non avrò nessuna pietà.» Un sorriso sinistro, minaccioso gli incurvò le labbra. «Vi farò pentire di non aver avuto una mira migliore.»
Colin era sbiancato, aveva gli occhi spalancati in un’espressione di puro terrore. Gli altri cacciatori sussultarono tremando come foglie. Non avevo mai pensato a quanto potesse effettivamente far paura un licantropo, né tantomeno un Alfa seguito dal suo branco. Adesso avevo la risposta davanti ai miei occhi e dovevo ammettere che non avrei mai voluto essere dall’altra parte.
Senza quella strana forza indomita che sentivo scorrermi nelle vene, senza Sean e il resto dei lupi a guardarmi le spalle, mi sarei sentita annientata dalla paura, come un cerbiatto messo all’angolo da un predatore.
«Abbiamo capito» riuscì a dire Colin. «Domani a Seattle saranno rimasti solo Brian e Nathan.»
«Oh, lo spero davvero» commentò Sean in tono vagamente divertito. «Non vorrei dover venire a stanarvi.»
Colin deglutì annuendo con enfasi. Era così strano vedere un cacciatore di licantropi che, solo poche settimane prima, mi aveva minacciata e rinchiusa in una cella tremare di fronte a quelle che erano state le sue prede, tremare di fronte a me. Quella consapevolezza mi inebriava come alcol, mi faceva sentire forte e potente, pericolosa. Erano sentimenti oscuri emersi dalle profondità più recondite del mio animo, desideri che neanche credevo di avere. Io non ero così, però.
Una piccola parte di me lo sapeva e lo stava urlando perché le prestassi attenzione: Scarlett Dawson non era un mostro violento, non lo era mai stata. Così, mentre i cacciatori si affrettavano a sparire di nuovo dentro l’edificio che usavano come quartier generale, portando con loro anche il corpo svenuto di Tristan, ripresi il controllo di me stessa e del mio lupo. Fu come lavarsi il viso con acqua gelida, all’improvviso ero del tutto sveglia e consapevole di quello che succedeva intorno a me, non avevo più la mente annebbiata da quella furia cupa e malata.
D’istinto, mi lanciai un’occhiata alle spalle: Adam era rimasto qualche passo dietro di noi, l’espressione preoccupata e le labbra piegate in una linea severa. Anche se non era un licantropo, doveva aver percepito quel turbinio di emozioni oscure e malvagie, non in modo assoluto e inebriante come me, ma non poteva averle ignorate.
Con un sospiro, avanzò verso Sean, potevo quasi vedere le parole prendere forma nella sua mente, pronte per essere pronunciate in quel tono appena saccente che in realtà nascondeva la sua apprensione. L’Alfa si voltò verso di lui, l’oro che ancora gli baluginava nelle iridi, e di colpo apparve esausto, completamente stremato.
Adam dovette accorgersene, perché si sbrigò a raggiungerlo giusto in tempo per afferrarlo e impedirgli di cadere in ginocchio. Il sangue sul braccio del lupo sembrava essersi scurito, adesso era nero e denso come catrame. Grazie all’udito più sviluppato dalla licantropia, fui in grado di ascoltare Adam che borbottava insulti contro l’irresponsabilità di Sean. Riuscii a cogliere una nota di sincera preoccupazione nella sua voce.
«Matt!» chiamai avvertendo un’ondata di dolore più intensa delle precedenti propagarsi dal mio Alfa.
Matthew comparve al mio fianco ansimando piano. «Ah, non va bene, non va per niente bene» mormorò stringendo le labbra.
Gli altri lupi si raccolsero dietro Sean e Adam con fare protettivo, lanciavano di continuo occhiate sospettose all’edificio dove si erano rintanati i cacciatori.
Matthew e io ci affrettammo a raggiungere l’Alfa. Di colpo, la consapevolezza che fosse ferito mi piombò addosso stringendomi il petto in una morsa d’ansia. Si era mostrato così forte e invincibile davanti ai cacciatori che non avevo dato troppo peso al sangue che gli macchiava la pelle chiara, adesso però era l’unica cosa che riuscivo a vedere. Raccolsi la sua giacca da terra mentre mi avvicinavo.
Matthew si sfilò la camicia, rimanendo con indosso solo una maglietta, e ne strappò una lunga striscia. Quando si trattava di curare qualcuno diventava preciso ed efficiente come un vero e proprio chirurgo, perdeva tutta la sua goffaggine come per magia. Senza dire una parola, passò la striscia di stoffa dietro il braccio di Sean, sopra il foro d’entrata del proiettile, e la legò come avrebbe fatto con un laccio emostatico. Il lupo si lasciò sfuggire un ringhio soffocato, Adam aumentò la stretta su di lui quasi senza rendersene conto.
«Devo estrarre la pallottola in fretta, o l’argento arriverà al cuore» disse Matthew con fare sbrigativo. «Ho i miei strumenti nella Camaro, posso farlo qui e adesso.»
Infilai una mano in una delle tasche della giacca di Sean, quella che sentivo più pesante, e ne trassi le chiavi dell’auto. Le passai a Matthew che corse verso la macchina senza fiatare.
«Puoi camminare?» mormorò Adam cercando di incrociare lo sguardo di Sean. «Se no, possiamo…»
L’Alfa sollevò il mento con orgoglio testardo. «Posso camminare.»
Gli occhi di Adam incontrarono i miei e c’era una domanda muta in quelle iridi: stai bene? Annuii e lo vidi rilassarsi appena.
Insieme, raggiungemmo la Camaro e lui fece sedere Sean su uno dei sedili prestando attenzione a non fargli male. Adam non si allontanò di lì, mentre Matthew frugava nella sua borsa di pelle cercando gli strumenti che gli servivano, rimase accanto a Sean, fiero nonostante l’apprensione che pesava sulle sue spalle così come sulle mie. Avevo quasi l’impressione di essere fuori posto lì, stringevo la giacca come se avesse potuto darmi conforto, rassicurarmi.
Sentivo Dawn parlare in tono concitato con Toby poco dietro di noi; la presenza degli altri lupi, preoccupati per il loro Alfa, era un filo di energia che ci circondava, sottile, ma innegabile.
Matthew ripulì la pelle intorno alla ferita sul braccio di Sean e gli lanciò un’occhiata. «Farà male, molto. Purtroppo non ho antidolorifici qui, ma…»
«Fallo e basta» sbottò Sean, il petto che si alzava e si abbassava secondo il ritmo frenetico e discontinuo dettato dal dolore.
Matthew annuì, l’espressione cupa. Si rivolse ad Adam, la voce ferma, controllata: «Ho bisogno che tu lo tenga fermo, pensi di poterlo fare?»
Lui annuì senza esitare, le sue mani scivolarono sulle spalle dell’Alfa e le strinsero con decisione. Percepivo il battito accelerato del suo cuore, eppure al di fuori non mostrava neanche un briciolo di quel tumulto di emozioni.
Sean mi guardò e la sua espressione si addolcì. «Non devi rimanere se non vuoi. Non sarà un bello spettacolo, non sarebbe da codardi non guardare.»
Mi ritrovai a scuotere la testa affondando le dita nella pelle morbida della sua giacca. «Resto. Siamo un branco, no? Dobbiamo sostenerci a vicenda.»
Un angolo della sua bocca si sollevò appena. «D’accordo, solo, non vomitare sulla mia macchina.»
Mi lasciai sfuggire una risata nervosa e allo stesso tempo liberatoria. «Farò del mio meglio.»
«Okay, fallo, Matt» fece Sean prima di trarre un respiro profondo. «In fretta.»
Un bagliore argenteo nella mano di Matthew rivelò un paio di pinze lunghe e sottili. Nonostante i miei buoni propositi di essere coraggiosa, serrai gli occhi quasi subito mordendomi con forza il labbro. Il mio lupo uggiolò piano nel sentire quello di Sean soffrire in quel modo.
Qualcuno dietro di me emise un verso molto simile a un conato, qualcun altro lo rassicurò invitandolo a voltarsi. Socchiusi appena le palpebre per sbirciare nel momento in cui Matthew estraeva con espressione vittoriosa il proiettile dall’avambraccio dell’Alfa. L’argento mandava bagliori sfumati di rosso, quasi minacciosi. Sean imprecò tra i denti e si accasciò contro il sedile, e di conseguenza contro Adam, mentre cercava di calmare il proprio respiro.
Il sollievo mi rese deboli le ginocchia, dovetti aggrapparmi alla carrozzeria della Camaro per non rovinare a terra.
Adam mi rivolse un’occhiata preoccupata. «Stai bene, Scar?»
Annuii facendomi cadere alcune ciocche castane davanti al viso. «Sì, sì sto bene. Sono solo… sollevata.» Mi scostai i capelli dal viso accennando un sorriso. «Siamo tutti interi, è una bella notizia.»
In quel momento, Dawn ci raggiunse e sembrava decisamente meno contenta di me riguardo l’esito della nostra missione. «Ti avevo detto che sarebbe stato pericoloso» sbottò fissando Sean con aria accusatoria. «Te l’avevo detto più di una volta e tu non hai voluto ascoltarmi.»
Sean si raddrizzò appena e la guardò dritto in viso. Era ancora pallido, ma il suo sguardo era tornato determinato come prima. «Ho fatto quello che dovevo. Abbiamo vinto, se ne andranno. Questo,» accennò al proprio braccio macchiato di sangue, «è solo un piccolo prezzo da pagare.»
Matthew si intromise tra loro per posare della garza imbevuta in un liquido violaceo dall’odore dolciastro sulla ferita dell’Alfa. «Tieni premuto… Sì, così, perfetto. Aiuterà a ripulire il tuo organismo dall’argento.»
Dawn afferrò con rabbia il proiettile sporco di rosso che Matt aveva lasciato da parte e lo tenne sollevato tra due dita. «Un piccolo prezzo? Saresti potuto morire. Sei stato fortunato, quel cacciatore biondo deve avere un debole per noi perché senza di lui adesso avresti una pallottola nel cervello, caro il mio Alfa.»
Mi scostai dall’auto. «Intendi Nathan?»
Lei mi lanciò un’occhiata veloce. «Sì, lui. Ha deviato il colpo spingendo l’altro cacciatore. È probabilmente l’unica ragione per cui sei ancora in vita.»
Sean si lasciò sfuggire una smorfia d’irritazione. Aveva ancora le mani di Adam sulle spalle, ma non sembrava farci caso. «Beh, a quanto pare era così che doveva andare. Il fatto che io sia stato graziato dalla sorte non vuol dire che ciò che abbiamo fatto non abbia significato. Abbiamo vinto comunque.»
Dawn strinse il proiettile nel pugno fissandolo negli occhi. Ora più che mai appariva come una regina guerriera sul punto di decidere le sorti di un prigioniero. Quando riaprì la mano, la pallottola era ridotta a una pallina informe. La pelle del suo palmo era arrossata per essere stata a contatto con l’argento, però lei non lo notò neanche. «Adesso hai un branco che conta su di te, Sean, non puoi dare così poco valore alla tua vita» disse con voce dura, gli occhi scuri e profondi.
Gettò ciò che rimaneva del proiettile a terra e si allontanò a grandi passi. Sollevando lo sguardo, notai come gli altri lupi si fossero allontanati di qualche metro per darci spazio, ma anche come seguirono i movimenti della lupa mentre raggiungeva il pick-up.
«Ha ragione» mormorò Adam dopo un po’. «Le sorti di questo branco dipendono da te, se muori sarà tutto inutile.»
Sean si irrigidì contraendo la mascella. «Quello che ho fatto…»
«Abbiamo vinto però, ed è questo che conta» concluse Adam, un angolo della bocca appena sollevato. Mi rivolse un’occhiata e c’erano fulmini nella tempesta delle sue iridi. «Seattle è nostra.»



1 settimana dopo

Il sole tiepido del primo pomeriggio mi accarezzava la pelle mentre me ne stavo seduta sullo schienale di una delle panchine dietro la scuola. Era stato strano rientrare in un’aula, seguire le lezioni, prendere appunti e rivedere Elisabeth, chiacchierare con lei come se niente fosse successo. Invece erano successe moltissime cose, e molte altre sarebbero accadute di lì a breve senza che nessun umano se ne rendesse conto.
Accanto a me, Nathan osservava con aria pensierosa il parcheggio che si svuotava, il colletto della giacca militare sollevato che gli sfiorava la mascella. La sua Jeep, di un rosso scolorito, passava inosservata, ferma nel suo angolo sotto l’ombra proiettata dalla palestra. Sul viso aveva ancora l’ombra del livido che il calcio della pistola di Tristan gli aveva lasciato, un alone violaceo che si allargava sul suo zigomo.
La prima volta che l’avevo visto era stato il giorno dopo lo scontro con i cacciatori, allora era ancora rosso e gonfio, mi aveva fatto salire la nausea mischiata ai sensi di colpa. Lui però aveva minimizzato con un alzata di spalle dichiarando che le ferite di guerra andavano portate con onore.
«È tutto così tranquillo ora» mormorò quasi sovrappensiero.
Mi voltai a guardarlo, incuriosita. «Che intendi?»
I suoi occhi castani incrociarono i miei. «Senza Colin e gli altri, senza la caccia… non abbiamo molto da fare. Non che sia una cosa negativa però, anzi. Insomma, adesso io e Brian possiamo concentrarci su quello che ci piace sul serio.»
«Per esempio? Che cosa vorrebbe fare Nathan Evans nella vita?» gli chiesi accennando un sorriso.
«Adoro i motori e le auto, settimana prossima farò una prova in un’officina: se andrà bene, mi assumeranno come aiutante» rivelò con una scintilla nuova nello sguardo. «Se ci fosse stato ancora il clan dei cacciatori non avrei potuto farlo.»
Mi scostai una ciocca di capelli dal viso. «Beh, wow. Non hai perso tempo.»
Lui lanciò un’occhiata alla Jeep. «Era da un po’ che volevo farlo, ho colto l’occasione al volo.»
Mi mordicchiai il labbro. «Cosa pensi che faranno gli altri? Ora che non possono più cacciare, intendo.»
Nathan scrollò le spalle scuotendo piano la testa. «Non lo so, i più giovani forse andranno al college, gli altri troveranno lavoro… Colin sarà impegnato con le pratiche per l’affidamento di Denise, probabilmente.»
«E Tristan?» mormorai sentendo un retrogusto amaro pizzicarmi la lingua nel pronunciare quel nome. Avevo ancora ben impresso in mente il dolore devastante che aveva provato Sean quando gli aveva sparato, i rivoli di sangue scuro che sembravano crepe sulla sua pelle chiara.
«Non so davvero cosa potrebbe fare lui» commentò Nathan prima di sospirare. «Ha così tanta rabbia dentro di sé… È imprevedibile, come un animale ferito.»
Corrugai la fronte. «Perché ce l’ha tanto con i licantropi? Cioè, so che tutti i cacciatori ci considerano mostri, ma per lui sembra una questione molto più…»
«Personale?» indovinò Nathan. «Lo è. Tristan è convinto che i lupi gli abbiano portato via tutto.»
«Non capisco, perché pensa una cosa del genere? Cosa gli abbiamo fatto?» domandai cercando di incrociare il suo sguardo. Lui si passò una mano tra i capelli, l’espressione che si incupiva. «Devi sapere che Tristan aveva un fratello maggiore, Gabriel. Era stato lui a istruirlo alla caccia, ad addestrarlo e renderlo il soldato che è. Erano molto legati. Quando cercavano e attaccavano licantropi insieme erano micidiali. Fino a che, due anni fa, non accadde un incidente.»
Mi accorsi solo in quel momento che mi ero sporta verso di lui, quasi temessi di perdermi qualche parola. Mi schiarii la gola ritraendomi. «Che successe?»
«Era la settimana prima del plenilunio, erano usciti con altri del gruppo per rintracciare un lupo che si era spinto nei boschi a nord della città per sfuggirci» continuò Nathan, la voce grave. «Si erano divisi per coprire un’area più vasta e… fu una pessima idea. Il lupo era ferito, esausto, disperato. Non appena vide Gabriel da solo non esitò ad attaccare. Tristan era lì vicino, così intervenne, ma era troppo tardi: il licantropo aveva morso suo fratello.»
Richiamai alla mente la lezione di Sean sui morsi e le trasformazioni e un brivido mi scese lungo la schiena quando mi ricordai che solo un piccolo numero di persone che venivano morse riuscivano a sopravvivere senza riportare danni irreparabili. Rimasi in silenzio, aspettando che fosse Nate a scegliere di continuare.
Trasse un respiro profondo prima di riprendere a parlare: «Tristan e gli altri riportarono Gabriel nel quartier generale lasciando perdere il lupo. Le regole dei cacciatori sono molto severe, soprattutto quando uno di noi viene morso. Le applicarono anche quella volta, senza esitazioni. Gabriel fu chiuso in una cella, gli venne dato un pugnale d’argento e gli dissero di togliersi la vita per evitare che al mondo ci fosse un altro di quei mostri.»
Un moto di nausea mi strinse la gola. «Non è possibile… Gli hanno detto di uccidersi
Nathan chinò la testa torturandosi le mani in grembo. «Non potevano lasciarlo a piede libero, ed era suo dovere in quanto cacciatore eliminare quella minaccia. Sarebbe morto con onore piantandosi con le sue stesse mani un coltello nel cuore.»
«E l’ha fatto? O si è rifiutato?» chiesi con impazienza. L’urgenza di sapere era l’unica cosa che mi occupava la mente.
«Lo fece» mormorò Nate. «La mattina dopo lo trovarono riverso in una pozza del suo stesso sangue. Aveva mantenuto fede alla sua promessa di ripulire il mondo dai licantropi, fino alla fine. Da quel momento, Tristan non fu più lo stesso.»
Schiusi le labbra, incredula, prima di stringerle con rabbia. «E perché Tristan da la colpa ai lupi? Non siamo stati noi a mettere un coltello in mano a suo fratello e a dirgli di suicidarsi!»
«Quel licantropo l’aveva morso, però. Sia Tristan che Gabriel erano troppo coinvolti, troppo ossessionati dalla missione dei cacciatori per fermarsi a pensare se fosse giusto, sbagliato o anche solo sensato» commentò lui tirando fuori le chiavi della Jeep e rigirandosi l’anello del portachiavi attorno al dito. «Il clan era tutto quello che avevano. Dopo la morte dei loro genitori, Colin li aveva accolti e aveva dato loro un riparo. Sono l’unica famiglia che è rimasta a Tristan.»
Mi venne spontaneo pensare a Sean, Adam, Matthew e Dawn, ai clienti del Luna di Carta… Loro erano una sorta di famiglia per me, insieme a mia madre. Erano tutti diversi, ognuno con le sue complessità e i suoi difetti, eppure in qualche modo funzionava. Ci guardavamo le spalle a vicenda, cercavamo di rispettarci e di sostenerci il più possibile sotto lo sguardo vigile di Sean. Forse, adesso che io stessa avevo provato cosa significava avere una famiglia allargata che ti protegge, potevo capire la rabbia esplosiva di Tristan. Lo capivo, ma non lo perdonavo, non potevo farlo.
«È orribile» sussurrai fissando il parcheggio senza vederlo veramente. «Come si può chiedere a un ragazzo di uccidersi per via di una vecchia leggenda?»
«Sai, agli umani serve qualcosa in cui credere, uno scopo… il famoso “bene maggiore”. Per Gabriel e Tristan è stato unirsi alla caccia, credevano di fare la cosa giusta» fece Nathan. «Nessuno ha mai raccontato loro l’altra parte di verità. Io sono stato fortunato, ho avuto la possibilità di fare altro oltre a cacciare, di conoscere altre realtà e costruirmi una mia idea del mondo, lui no.»
Riuscii solo a scuotere la testa, avevo la lingua secca, inutilizzabile. Non c’era pietà nei clan di cacciatori, c’erano solo credenze cieche e assolute che non ammettevano dubbi o ripensamenti. O eri con loro, o eri contro di loro.
«Non sto cercando di giustificarlo, comunque» aggiunse Nate. «Quello che ha fatto è orribile e imperdonabile. Ci ha portati sull’orlo di una guerra… più di quanto non fossimo già. Se Sean non fosse stato clemente, saremmo tutti morti.»
Ricordavo la rabbia selvaggia che mi aveva scosso il petto quando Sean, ferito e sanguinante, aveva affrontato di petto i cacciatori. Il branco era stato al suo fianco, ma ero certa che lui l’avrebbe fatto anche da solo. Molti non avevano condiviso la sua scelta di risparmiare Colin e il suo gruppo, avrebbero voluto vederli morti una volta per tutte, ma lui era stato irremovibile. E quando l’aveva ribadito per l’ennesima volta di fronte a tutto il branco, riunito davanti a lui al Luna di Carta, avevo scorto una scintilla d’orgoglio nello sguardo di Adam.
«Lo so» mormorai. «So che non condividi il suo gesto. Non saresti rimasto altrimenti.»
I suoi occhi castani, sempre vivaci e affamati, indugiarono su di me per qualche secondo, prima di scivolare via. «Già.» Rimase in silenzio per un po’, come se stesse riflettendo sul senso della vita. «Credi… credi che potremmo rivederci ogni tanto? So che Sean non vede di buon’occhio me e Brian nonostante l’accordo, ma…»
«Sì, possiamo» mi sentii dire pur senza ricordare di aver deciso di farlo. «Insomma, sarebbe utile anche per il branco instaurare una buona relazione con te. E Brian.»
La tensione che gli irrigidiva le spalle si sciolse e sulle sue labbra si aprì un sorriso. «Vero, la diplomazia è fondamentale quando si mette in atto un accordo.» Lanciò le chiavi in aria e le riprese al volo scoccandomi un’occhiata divertita.
Adesso appariva così giovane… pareva avere a malapena diciotto anni, tutta l’oscurità del suo passato era scomparsa, almeno per un po’. Nonostante avesse rinnegato i loro principi e si fosse allontanato da loro, Nathan aveva trascorso gran parte della sua vita con i cacciatori e questo l’aveva influenzato, l’aveva segnato: uccidere qualcuno, licantropo o meno, a sangue freddo era un’esperienza che ti rimaneva addosso, come una cicatrice.
Non eravamo poi così diversi alla fine, anche io portavo un segno fisico e tangibile del mio passato. Anzi, più di uno, perché alla luce della luna piena il segno del morso che mi aveva trasformato affiorava sulla mia pelle, traslucido e impalpabile.
Nathan infilò una mano nella tasca della giacca e ne trasse il cellulare. Diede uno sguardo allo schermo aggrottando la fronte prima di rimetterlo via. «Devo andare» mormorò rivolgendomi un sorriso di scuse. «Ci vediamo presto, mmh?» aggiunse poi, una scintilla di speranza nelle iridi castane.
Ricambiai il sorriso annuendo. «Sì, certo. Quando vuoi.»
Lui si mordicchiò il labbro, esitando per una manciata di secondi. Poi si alzò per incamminarsi verso la Jeep. A metà strada, si voltò continuando a camminare all’indietro e mi rivolse un saluto militare che mi strappò una risata. Rimasi a guardarlo mentre si allontanava, una piacevole sensazione di calore che mi nasceva nel petto. Era stato un cacciatore e questo era innegabile, ma Nathan Evans si stava impegnando sul serio per cambiare e questo gli andava riconosciuto.
«Scarlett.»
Trasalii rischiando di finire poco elegantemente a terra quando sentii una voce chiamarmi da dietro. Mi aggrappai alla panchina conficcando gli artigli mezzi allungati nel legno e mi voltai, il cuore in gola. Sean era a pochi passi da me, un sopracciglio biondo inarcato in un’espressione perplessa.
Indossava la stessa giacca di pelle che aveva durante lo scontro con i cacciatori, anche se aveva dovuto lavarla per togliere il sangue e Dawn aveva cucito una toppa a forma di impronta di lupo sul foro lasciato dal proiettile.
«Volevi uccidermi?» sbottai.
Lui si schiarì la gola, con ogni probabilità per nascondere una risata. «No. E poi, avresti dovuto sentirmi, non mi sono avvicinato di soppiatto.»
Scesi dalla panchina non reputandola più un luogo sicuro, e incrociai le braccia al petto guardandolo dritto in viso. «Sai, a volte le persone si perdono nei propri pensieri, quando lo fanno non sono del tutto consapevoli di cosa accade intorno a loro. Sarebbe carino non arrivare alle spalle o almeno annunciarsi.»
«Excusez-moi» replicò lui senza scomporsi, la voce addolcita da un accento che ricordava un po’ quello francese. «Comunque, sta’ attenta con quel cacciatore.»
Deglutii, all’improvviso nervosa. «Tu… hai sentito…?»
Scosse piano la testa. «No, grazie al cielo sono arrivato poco prima che se ne andasse e non ho sentito niente: non sopporto i drammi adolescenziali.»
«Sei stato un adolescente anche tu!» protestai. «E neanche tanto tempo fa.»
Alzò gli occhi al cielo. «Non me ne andavo in giro a incontrare gente che non dovrei però.»
Strinsi le labbra. «È il nostro tramite con i cacciatori, il loro rappresentante, dobbiamo comunicare con lui.»
Nei suoi occhi verdi passò un lampo. «Oh, quindi tu l’hai incontrato qui dopo scuola per puro altruismo verso il branco?»
«Sì» risposi senza esitare sollevando il mento. «So che non mi crederai, ma è proprio così.»
«Okay» fece lui, sorprendendomi. «Voglio stare il più lontano possibile da qualunque cosa coinvolga adolescenti e ormoni quindi non insisterò. E adesso andiamo, gli altri ci aspettano.»
Inarcai le sopracciglia, incuriosita. «Gli altri?»
«Abbiamo un incontro con il branco. Se hai altri progetti però…» cominciò Sean.
«No, vengo volentieri. Insomma, sei pure venuto a prendermi, un po’ come un autista privato» scherzai avviandomi verso il davanti della scuola.
Lui mi seguì corrugando la fronte. «Non farci l’abitudine però.»
All’ombra di un albero, la Camaro di Sean riposava come una pantera dopo la caccia. Appoggiati alla carrozzeria c’erano Matthew e Adam, intenti a chiacchierare. Erano del tutto rilassati, a loro agio, vederli così mi scaldava il cuore: avevo temuto per entrambi quando avevamo deciso di affrontare i cacciatori, in alcuni momenti ero stata addirittura certa che avrei perso uno dei due, ma alla fine avevamo vinto ed era anche per merito loro.
«Ehi Scar» mi salutò Adam rivolgendomi un sorriso, lo sguardo tempestoso e luminoso al tempo stesso.
Sollevai un angolo della bocca. «Ehilà.»
Accanto a me, Sean stava studiando il ragazzo con una strana espressione negli occhi, era come se si fosse trovato davanti a un rompicapo che lo affascinava, ma che non riusciva a risolvere.
Matthew mi fece un allegro cenno di saluto con la mano, che ricambiai. A volte era davvero difficile credere che avesse quasi trent’anni.
«Andiamo, non voglio arrivare in ritardo» borbottò Sean facendo il giro dell’auto. Prendemmo tutti posto, Adam di fianco all’Alfa, io e Matt sui sedili posteriori. Il motore della Camaro prese vita con un ruggito morbido, sentirlo rispondere così docilmente faceva venire voglia di mettersi al volante persino a me che neanche avevo la patente.
Quando ci immettemmo nella strada principale, Adam abbassò il finestrino e l’aria fresca del pomeriggio gli scompigliò i capelli. «Come stanno andando le cose secondo il tuo parere di Alfa?» chiese lanciando un’occhiata a Sean.
Lui rispose senza distogliere lo sguardo dalla striscia d’asfalto davanti a sé. «Per ora è tutto incerto, si sta stabilizzando però, il che è un buon segno. Ancora è presto per dire se il branco funzionerà.»
Adam aggrottò la fronte. «Li abbiamo salvati dai cacciatori, ancora non si fidano?»
«Quando sei stato cacciato per tutta la tua vita, non riesci a fidarti delle persone, non così facilmente. Vogliono mettere alla prova me e voi, capire con chi hanno a che fare» disse Sean con voce grave. «Abbiamo guadagnato punti e abbiamo Dawn e Toby dalla nostra, però ci vorrà ancora un po’ di tempo perché anche gli altri accettino tutte queste novità.»
«Anche io ci misi un sacco prima di fidarmi di te» mormorai, quasi sovrappensiero. E solo dopo aver parlato mi resi conto che quella frase si applicava sia ad Adam che a Sean.
«Ed è giusto così, la fiducia è una questione delicata, non deve e non può essere presa alla leggera» commentò Sean. «Ma funzionerà, noi lo faremo funzionare.»
Nello specchietto retrovisore incrociai lo sguardo di Adam, le tempesta delle sue iridi illuminata dalle pagliuzze dorate.
Non era facile convivere con un lupo dentro di sé, riuscire a condurre una vita normale e nello stesso tempo tenerlo nascosto a tutti sopportando pleniluni e sbalzi d’umore, eppure adesso sentivo di avere la schiena coperta, ma soprattutto di aver trovato il mio posto nel mondo.
Mentre la Camaro sfrecciava decisamente sopra il limite di velocità sulle strade di una Seattle spazzata da un vento fresco, mi ritrovai a pensare che essere un licantropo, alla fine, non era poi così male.





SPAZIO AUTRICE: Ehilà!
Siamo arrivati alla fine di Under a Paper Moon! Questo è l'ultimo capitolo della storia e sì, stento a crederci anche io. Ho cominciato a pubblicare UAPM ormai due anni fa, due anni in cui sono cresciuta e maturata e in cui mi sono resa conto che questa storia ha bisogno di una pesante revisione. Ho voluto concluderla prima, perché è giusto così: dovevo dare un finale al nostro nuovo branco e anche a voi che leggete.
Non solo del tutto convinta di questo ultimo capitolo (e quando mai lo sono stata? XD), ma eccolo qui. Spero che a voi piaccia più che a me!
UAPM mi ha fatta crescere come "scrittrice", mi ha fatto imparare tante cose e anche se non è assolutamente perfetta è una storia a cui sono molto affezionata, soprattutto ai suoi personaggi. Ognuno di loro ha dato il suo contributo alla storia, è anche grazie a loro se Under a Paper Moon funziona.
E un grazie molto sentito va anche a voi che avete letto le avventure di questo branco improvvisato, vi ringrazio dal profondo del cuore <3
Spero di avervi lasciato qualcosa con questa storia!

PS. Non escludo l'idea di un sequel, che, in ogni caso, comincerei tra diverso tempo. Adesso voglio dedicarmi ad altro, ma mai dire mai!

Un bacio,
TimeFlies
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: TimeFlies