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Autore: Hippiespirit    02/07/2017    2 recensioni
Anni 3000.
Con il nuovo millennio inizia anche una nuova guerra mondiale. Alcuni ribelli di varie parti del mondo sono stati catturati
e messi sotto sorveglianza nelle prigioni di massima sicurezza Canadesi. Da questa prigionia nasceranno veri sentimenti, e piani per sconfiggere i Canadesi e tornare in pace.
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Scott, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale
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Ci fu un attimo di silenzio tombale. Duncan era disarmato, mentre Scott e McLean mi fissavano increduli. Io continuavo a puntare il fucile contro di loro, anche se il mio corpo stava lentamente cedendo. Ero sfinita, distrutta.
 Ma avevo una gran fame. Una fame di vendetta, sangue. La testa mi girava per le troppe emozioni. Ma ora basta con le emozioni. Sono solo una trappola, una grande trappola mortale, che ti benda gli occhi e il cervello. Pensare con il cuore non ti porta da nessuna parte. L’ho imparato sulla mia pelle. Se vuoi vivere in questo mondo, un cuore non lo devi avere.
Ero così infuriata, che cominciai a colpire con rabbia e decisamente poca attenzione e mira i miei tre nemici. Non puntavo più nemmeno ad uno di loro in particolare, volevo solamente che crepassero il più velocemente possibile. Ma loro non stavano di certo fermi a farsi colpire da me, quindi dovevo anche stare attenta a non essere presa. Duncan era totalmente privo di difese, allora puntai verso di lui e lo presi vicino allo stomaco, e dopo un urlo strozzato cadde a terra, immobile. Non mi curai se fosse vivo o morto, avevo altri due stronzi a cui badare.
McLean colpiva con una ferocia inaudita, e io che pensavo che senza la sua scorta non sarebbe stato nemmeno in grado di lanciare una pietra, e non capivo perché Scott, il traditore, si fosse messo da parte, sparando qualche colpo a caso ogni tanto, lasciando totalmente spazio al dittatore.
Mi riparai dietro una macchina elettronica e continuavo a sparare, senza mai beccare uno di loro. Ero riuscita a ferirli si, ma non demordevano. Anch’io avevo solamente graffi, alcuni più profondi e fastidiosi di altri, ma non ero di certo messa poi così male. Puntavo a quel bastardo di McLean, Scott non era più una mia priorità. Se fossi riuscita ad uccidere il dittatore, l’intero Canada sarebbe caduto in rovina, del resto i suoi seguaci non erano di certo fedeli come sembravano…
Ma di certo non potevo ucciderlo in una stanza. Ovviamente no. Dovevo farlo in luogo affollato. Ma non sapevo nemmeno dove mi trovavo. E le porte erano blindate. D’improvviso m’illuminai: c’era una finestrella, posta in alto alla parete davanti a me. Era parecchio in alto, ma se fossi riuscita a saltare sopra tutti quei macchinari l’avrei raggiunta sicuramente. Ma non potevo di certo farmi inseguire, o non sarei mai riuscita ad uscire in tempo. E fu così che, presa dall’ansia di morire e dalla furia di essere stata usata, il mio cervello elaborò il piano più macabro che mai avrei pensato fossi in grado di pensare.
Mi alzai, e, con una rabbia incontrollata, corsi veloce come non mai, sparando all’impazzata in direzione di McLean. L’uomo era sbalordito nel vedere la mia mossa, ma non si scompose minimamente e continuava a sparare. Scott invece assunse uno sguardo allibito e smise di sparare. Nell’attimo in cui McLean si girò verso di lui, urlando rabbioso: “Razza di idiota, perché hai smesso di sparar…”
Quella frase non venne mai completata. Uno dei miei colpi raggiunse la fronte di McLean, trafiggendogliela. Il corpo cadde a terra con un tonfo pesante. Per un attimo mi fermai. Le mie braccia tremavano, il respiro accelerava, il cuore era impazzito. L’avevo ucciso. Era morto. Christopher McLean, il peggior dittatore conosciuto dall’uomo, era morto, e l’avevo ucciso io, Courtney Barlow. Dopo aver realizzato, spostai lo sguardo su Scott. Fissava il cadavere con sguardo perso, incredulo, ma allo stesso tempo apatico. Mi aspettavo un attacco, ma restava immobile senza di una parola. Allora, incurante di ciò che avrebbe potuto fare in seguito, scattai come un felino sul corpo del dittatore e gli sfilai il coltello laser multiuso che teneva attaccato alla cintura. Appena la lama virtuale, ma incredibilmente letale, uscì fuori dallo strumento, la abbattei sul collo dell’uomo, staccandogli la testa.
Fiumi e fiumi di sangue uscirono dal collo e dalla testa, una visione talmente orribile che per un attimo mi sentì mancare. Spostai nuovamente lo sguardo verso Scott, ma il traditore si era solo spostato più in là di qualche centimetro, guardando disgustato la scena, senza parlare. Aveva lasciato cadere il fucile.
Mi sentivo terribilmente in difficoltà ora. Lo stesso soldato che prima aveva finto di essere mio alleato, mio amico, mio amante, ora assisteva impassibile alla morte del suo capo. Senza proferire parola. E se mi avesse sferrato un attacco a sorpresa? Se mi fosse saltato addosso all’improvviso, e ora cercava solo di confondermi?
La testa di McLean rotolò più lontano, e io scattai in avanti per prenderla. L’afferrai per i capelli e incominciai a correre, senza voltarmi indietro. Balzai su un macchinario e con una mano sola mi arrampicai fino in cima. Dovevo saltare su un altro più alto davanti a me per raggiungere la finestrella. Stavo per farlo, quando all’improvviso sentì una fitta allo stomaco. Pensai che Scott mi avesse sparato e mi girai verso di lui. Ma era ancora immobile, col fucile per terra. Guardai verso Duncan, ma era ancora immobile per terra. Pochi secondi dopo avevo la nausea. La testa mi girava. Caddi in avanti, ma mi alzai subito dopo. Dentro di me c’era qualcosa che mai avevo provato. Un mix di follia, rabbia, adrenalina, stanchezza, delusione, voglia di riscatto, consapevolezza di avercela fatta, ma che non era ancora finita, mi stravolgevano il corpo, il cervello e il cuore. Ero vicinissima alla finestrella, e correndo sempre più forte, ignorando quei dolori, con il gomito la distrussi e uscì fuori.
Sempre con una mano mi aggrappai al cornicione e vidi una cosa che mai avrei creduto di vedere: ero sulla cima di un’immensa struttura, ed ero circondata da un tetro paesaggio: non mi trovavo più nel mio vecchio carcere, ed intorno a me c’era un paese, quasi totalmente distrutto, case che cadevano a pezzi, edifici crollati, persone morte sulle strade, che urlavano, o, ancor più inquietante, vagavano come zombie, senza minimamente preoccuparsi del pericolo, con occhi vitrei e puntati verso il basso. Alcuni venivano fucilati, e cadevano con un sordo tonfo. Le urla erano causate da soldati che sparavano a destra e a manca, distruggevano, razziavano, uccidevano. I colori erano spenti, grigi, sembrava davvero di essere in un macabro quadro.
La vista di tutta quella violenza, di quella disumanità, del fatto che quel maledetto figlio di puttana di McLean avesse devastato mezzo paese per costruirci sopra un carcere, solo per il gusto di vedere altra sofferenza, privare nuovamente le persone della loro libertà, di credersi il padrone supremo. Fu questa la goccia che fece traboccare il vaso.
Guardai solo per un istante la testa del tiranno che tenevo tra le mani, ma distolsi subito lo sguardo, la visione era troppo orribile. Mi arrampicai con difficoltà sul tetto, e, non appena appoggiai entrambi i piedi sopra, ed ero sicura che chiunque sarebbe stato in grado di vedermi da quassù, respirai profondamente, una, due, tre, dieci volte circa, poi, con tutto il fiato che avevo in gola, urlai: “McLean è morto!”
   
 
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