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Autore: TotalEclipseOfTheHeart    03/07/2017    3 recensioni
Unico Erede al Trono di Shukai - Shi, Ryujin appartiene a alla specie dei Naga, Dragoni millenari votati a difendere la razza umana dalla minaccia dei demoni.
Ormai raggiunto il suo 777° Anno di Vita, per lui è arrivato il momento di entrare ufficialmente nel mondo degli adulti, abbandonando le sue fattezze umane per diventare, finalmente, un Naga a tutti gli effetti.
Per farlo, però, deve, innanzitutto, ottenere il proprio Karisuma, l'essenza stessa del potere di un Naga.
E solo sconfiggendo 100 Oni, all'interno del Naraka, la Dimensione Demoniaca, potrà riuscirvi.
Con lui, vi sarà Hitomi, sua ancella e amica d'infanzia.
Tuttavia, Ryujin non desidera affatto prendere il suo posto tra i Naga. Ed è fermamente convinto che la guerra che vede la sua specie opporsi, per proteggere gli umani, agli Oni da migliaia di anni non possa appartenergli.
Durante questo viaggio alla ricerca di sè stesso, si troverà ad affrontare quelle paure che mai è riuscito a sconfiggere prima ... e, forse, anche qualcosa di più.
Storia partecipante al contest "Stelle d’Oriente” Indetto da Dollarbaby sul forum di EFP
Storia partecipante allo "Yin e Yang Contest" Indetto da Jadis_ sul forum di EFP
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO IV – IL KARISUMA




Non avrei mai immaginato che il Passaggio avrebbe potuto essere tanto doloroso.
Gemetti, stramazzando al suolo, mentre un dolore atroce, quale non avevo mai provato prima, mi invadeva le membra, impedendomi di vedere, si sentire … o anche solo di pensare. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, mentre un’energia gelida e ardente al tempo stesso mi attraversava le membra, inebriandomi i sensi e tormentandomi la mente.
Sentii, lente, le mie parvenze umane svanire, le carni lacerarsi, i muscoli piegarsi e modellarsi a nuova forma. Le ossa schioccarono, dolorose, mentre la fragile pelle mortale lasciava lentamente spazio a un’armatura rossa come il tramonto, spessa e lucente, di squame dal profilo tagliente e seghettato. Sentii, con una chiarezza quasi sconcertante, il mio corpo mutare, i capelli color dell’oro trasformarsi in una possente criniera, che andò ad avvolgermi il collo per poi scendere giù, lungo quella spina dorsale sempre più affusolata e dai tratti sempre meno umani e più rettilinei.
I muscoli schioccarono, lasciando spazio a una creatura persino più possente e immensa di ciò che ricordavo essere mio padre, mentre le membra scattanti da rettile si muovevano sinuose e le corna si torcevano, fino a trasformarsi in un’imponente corona a dodici palchi, in oro, così come la criniera e il resto del corpo.
Così come gli occhi che, quando li riaprii, si soffermarono silenziosi su quella stanza improvvisamente piccola e stretta, e sullo sguardo stupito e ammaliato di Hitomi.
Abbassai lo sguardo, a osservare quel corpo non più mortale, assaggiando quelle membra così cariche di potere che, lo sentivo, avrebbero potuto facilmente radere al suolo l’intera Orochi se solo lo avessi desiderato. Ma, soprattutto, di soffermarono su quella gemma, tonda e lucente che brillava elusiva sul mio petto, intrisa di un potere più profondo, di una nuova consapevolezza di me stesso, che aveva cambiato per sempre.
Il mio Karisuma.
Ne osservai, quasi commosso, quasi incerto, quelle sfumature color acquamarina, così simili agli occhi di lei che, per la prima volta, mi resi realmente conto di come se non fosse stato per il suo aiuto probabilmente non avrei nemmeno potuto essere lì in quel momento.
Sorrisi, tra me e me, ripensando alle parole che mi aveva rivolto Makoto, al ritorno dal suo, di Passaggio.
Ryu, i 100 Oni della leggenda non sono ciò che realmente consente a un Naga di entrare tra i Mille. Essi, sono solo un pretesto, un misero rituale, che non ha nulla a che vedere con ciò che, realmente, permette a noi Naga di raggiungere quella nuova consapevolezza di noi stessi che solo il Karisuma ci concede. Il viaggio che compiamo per ottenerlo, i dubbi e le incertezze, le continue sfide e le notti insonni, ci mettono di fronte a una sfida con noi stessi, e solo dopo averla superata possiamo dire di essere, veramente,dei Naga. Solo superando le nostre paure e accettando i nostri difetti senza “ma” e senza “se”, possiamo finalmente ottenere quella forma perfetta che tutti ci invidiano. E allora … nessun demone, nessun potere e nessuna forza potrà mai essere paragonata alla soddisfazione di aver, finalmente, compreso quale sia il nostro posto nel mondo.
E aveva perfettamente ragione.
Grazie a Hitomi, ero finalmente riuscito ad aprire gli occhi, a comprendere ciò che realmente avrei dovuto fare di tale potere. A vedere, per la prima volta dopo anni, quando fossi stato sciocco nell’isolarmi da tutto e da tutti, temendo quei legami che, invece, le avevano permesso di starmi accanto nonostante le sfide del destino.
Lei, più di ogni altro, mi aveva dimostrato come, in quel mondo in cui eravamo destinati a vivere, non ci fosse solo odio e rancore. Col suo amore, sempre dedito e fedele, mi aveva permesso di comprendere che ognuno aveva il diritto di essere amato e che, alla fin fine, l’immortalità di noi Naga non ci rendeva, per questo, migliori degli umani, anzi.
Proprio in virtù della loro vita breve, quelle creature apparentemente così deboli e indifese cercavano sempre di vivere la propria esistenza al meglio. Alzandosi sempre e comunque, facendo dei legami e del numero la loro forza, appoggiandosi gli uni agli altri, così da superare anche i momenti più bui. Consapevoli che, insieme, nessuna sfida sarebbe mai parsa troppo difficile.
Sorrisi, alzando il capo verso il soffitto, silenzioso.
Sentii Hitomi avvicinarmisi, con un timore quasi reverenziale che, a dire il vero, per un istante mi fece stringere il cuore.
La osservai, triste, nel constatare come, ormai, dovessi apparirle troppo lontano e irraggiungibile per essere anche solo desiderato.
Forse, finché mi ostinavo a rimanere in forma umana, poteva anche esserci qualcosa nel nostro futuro, ma ormai sapeva bene quanto me come, una volta tornato a corte, avrei dovuto prendere in mano i miei doveri. E lasciarla indietro.
Mi sarei trovato una moglie, della mia specie, e allora lei sarebbe rimasta sempre a osservarmi, lontana, ma comunque fedele, e rimpiangere quella felicità che non le sarebbe mai appartenuta realmente.
Purtroppo, dubitavo che vi saremmo mai risaliti, in superficie.
Il Passaggio per il Naraka era stato sigillato, e non c’erano altre vie che permettessero di tornare in superficie.
Nessuna che sia mai stata tentata.
Osservai sorpreso la gemma, mentre quella voce, ormai parte di me, mi sussurrava suadente all’orecchio.
Scossi il capo, incerto.
È impossibile … sono solo leggende.
Pensai … eppure … eppure … se davvero ci fossi riuscito?
Questo è quello che direbbe Ryujin. Il vecchio,  Ryujin. Ora, però, lui è morto. E questo nuovo Ryujin ha una motivazione per continuare a vivere. O, quantomeno, per far vivere lei.
Osservai silenzioso Hitomi che, il capo chino e le gote arrossate d’imbarazzo, attendeva silenziosa una mia parola.
La amo.
Quella consapevolezza mi sconvolse.
Per la prima volta, me ne resi realmente conto.
Fino ad allora, non ero mai riuscito a pensare seriamente a quell’alternativa. Eppure, dopo ciò che aveva fatto, dopo i giorni trascorsi assieme, lentamente, la sua dolcezza era riuscita a fare breccia nel mio animo, a illuminare nuovamente quel buco vuoto e nero che era divenuto il mio cuore in quegli anni.
Sospirai … ormai, adesso che avevo realizzato i miei reali sentimenti per lei, era solo questione di tempo, prima che tutto tornasse come prima.
Avrei perso il mio Karisuma, e, con esso, anche la possibilità di trarla in salvo.
Annuii, tra me e me, poi, silenzioso, mi preparai …
Avrei aperto un Varco per la superficie.

 
“N-no … i-io … sai bene che non voglio lasciarti.”, gli occhi di Hitomi erano coperti di lacrime mentre, disperata, mi osservava tremante, dopo aver sentito la breve spiegazione di ciò che avrei voluto fare.
Tuttavia, ormai, niente avrebbe più potuto farmi tornare sui miei passi.
Ero perfettamente consapevole di quanto disperata fosse la nostra situazione, e, ormai, conoscevo troppo bene i miei limiti per poter anche solo sperare di portarci in salvo entrambi.
Confidavo nel mio Karisuma, e sentivo che, se lo avessi voluto, non avrei affatto faticato ad aprire un Varco Artificiale per la superficie. Purtroppo però, e ne ero perfettamente consapevole, non sarei mai stato in grado di tenerlo spalancato per il tempo sufficiente affinché ambedue potessimo trarci in salvo.
Solo uno sarebbe tornato a casa.
E, se dovevo scegliere, allora quel qualcuno doveva essere lei.
Non avrei mai potuto sopportare di perderla, e, ora che l’Imperatore Oni era stato sconfitto, non vi era più nessuna reale minaccia che potesse oscurare l’orizzonte luminoso che, speravo, gli esseri umani avrebbero potuto raggiungere anche senza di me.
Privi della loro guida, gli Oni, per natura particolarmente propensi al caos e al tradimento, avrebbero finito con lo sfaldarsi da sé, e anche se Shenlong fosse salito al trono, poco avrebbe importato cosa avrebbe deciso di fare.
Conoscendolo, ero sicuro che, senza più una guerra da combattere, avrebbe fatto esattamente ciò che aveva sempre sognato di fare: vivere la propria vita, senza preoccuparsi di combattere in nome d’altri, e senza, altresì, curarsi più di quella specie che, ormai, non vedeva altro che come una razza debole e inferiore.
Quindi, poco avrebbe importato se fossi rimasto chiuso, per il resto della mia eternità, nel sottosuolo.
Hitomi avrebbe continuato a vivere … certo, probabilmente, il suo amore le avrebbe impedito di dimenticarmi, perseguitandola per il resto dei suoi giorni.
Almeno, però, avrei saputo che lei era al sicuro, che poteva proseguire con la propria vita, che poteva ancora inseguire i propri sogni. E tanto bastava.
Sorrisi, tristemente: “Ormai ho deciso, ti farò tornare in superficie. E io resterò qui.”
Lei mi guardò, le lacrime agli occhi, singhiozzando disperata e cercando invano di sfiorarmi la zampa. Tuttavia, mi imposi di non guardarla, altrimenti tutta la mia determinazione sarebbe venuta meno, e non potevo assolutamente permettermelo.
Già così, la sola idea di perderla di nuovo mi stava letteralmente dilaniando il cuore. L’avevo appena ritrovata, e la consapevolezza che non l’avrei più rivista, che la nostra felicità non era stata che un miraggio provvisorio, mi faceva impazzire dal dolore. Ma non potevo indugiarvi troppo, non potevo fermarmi su certi pensieri, altrimenti avrei rischiato di perdere ogni determinazione, e allora sarebbe finita per sempre.
Così, mi costrinsi a fare quell’unica cosa che, forse, avrebbe potuto spingerla ad andarsene.
Probabilmente, avrebbe passato il resto della sua esistenza a odiarmi.
Se però questo era il prezzo per salvarla, allora sarei stato ben felice di pagarlo. Anche se farlo mi sarebbe costato uno sforzo enorme e, probabilmente, avrebbe finito con lo spezzarmi il cuore una volta per tutte.
Scostai la zampa, imprimendo nelle mie iridi l’espressione più fredda e glaciale che potessi elaborare. Per un’ultima volta, richiamai a me tutta forza e la disperazione che mi avevano portato a erigere quel muro tra me e il mondo, ricorrendovi, questa volta, non per difendere il mio cuore ma per salvaguardare lei.
Sbuffai, mentre i miei occhi la perforavano, più crudeli che mai, e quelle parole che, ne ero certo, non avrebbe mai scordato mi uscivano di bocca, precise e letali: “Hitomi, io non ti sto CHIEDENDO di andare, te lo sto ORDINANDO.
Come tuo signore e padrone, tu farai ciò che ti ho chiesto. Quando partimmo, dicesti che mi avresti protetto, che mi saresti sempre rimasta accanto, e così hai fatto. Mi hai protetto e incoraggiato anche quando io stesso non avrei avuto la forza di rialzarmi, da solo, e sei stata disposta persino a sacrificare la tua innocenza, senza alcuna garanzia di essere ricambiata, pur di farmi sopravvivere. Ora, però, le cose sono cambiate. Grazie a te, ho finalmente aperto gli occhi, e proprio per questo, mi rifiuto di prendere anche solo in considerazione l’idea di perderti di nuovo!!!”, esclamai, mentre, silenzioso, radunavo tutta quell’energia millenaria che, lo sentivo, ormai era parte di me.
Osservai determinato il soffitto, pronto a sfidare ogni legge della natura, a bruciare tutta la mia forza vitale se fosse stato necessario, pur di portarla in salvo.
Sentii quel corpo nuovo scattare, repentino e possente, mentre un’energia mai provava prima, un potere illimitato e incommensurabile mi incendiava il petto e le vene. Sentii il mio Karisuma rifulgere, di una luce tale da invadere non solo quella sala, ma la capitale intera, facendo indietreggiare terrorizzati gli Oni che, in preda al terrore di fronte a tutto quel potere dalla natura tanto differente dal loro, iniziarono a sparpagliarsi terrorizzati in cerca di riparo. Quasi come se l’ira degli dei si stesse apprestando a cadere impietosa sul loro capo.
I miei occhi brillarono, illuminati da una scintilla di determinazione che mai avevo provato prima, mentre spalancavo le fauci e, con un ruggito che per poco fece tremare il terreno stesso, una vampa di fiamme incandescenti si scagliò rapida e potente verso il soffitto.
Il soffio scarlatto fuse completamente il tetto, per poi avanzare, letale e impietoso, per miglia e miglia sopra il nostro capo, lasciandosi dietro una scia di scintille incandescenti, fino a quando, con un rombo assordante, non sentimmo quella realtà dimensionale tremare, scossa da quell’onda di potere mai combattuta prima.
Un live silenzio, poi, con un tremolio lieve, l’intero Naraka venne scosso da un fremito inatteso, mentre un ponte di luce, Luce Terrestre, si formava ai nostri piedi, congiungendo la Sala del Trono al mondo esterno.
Annaspai, sfinito, le membra scosse dallo sforzo e il capo imperlato di sudore.
I miei occhi si spostarono nuovamente su Hitomi, che osservava tentennante quell’unica via di fuga.
Sospirai, stringendo i denti, nello sforzo di mantenere aperto quel portale e, prima ancora che lei potesse voltarsi per rispondere alle mie parole, le spinsi deciso col muso nel mezzo del fascio di luce.
Lei mi guardò, disperata, cercando invano di raggiungermi mentre, poco a poco, il passaggio la sollevava da terra, pronto a ricondurla in quel luogo a cui era sempre appartenuta. Ma che, inevitabilmente, l’avrebbe separata da me per sempre.
La osservai, sorridendo tristemente.
“Ti prego …”, dissi, mentre il cuore mi si stringeva, nel vedere le lacrime disperate di lei, “… non odiarmi per questo. Mi hai salvato da una vita che, altrimenti, non avrebbe nemmeno avuto realmente la pena di essere vissuta. Mi hai guarito dalla sfiducia che mi aveva sempre spinto a diffidare degli altri, pensando sempre e solo a me stesso. Ma, soprattutto, mi hai insegnato ad amare. E proprio per questo non posso permettermi di privarti della possibilità di continuare la tua esistenza.”, per la prima volta, sentii che erano i miei occhi a imperlarsi di calde lacrime mentre, sorridendo appena, ammettevo, il capo chino, “Perché si … Hitomi. Io mi sono innamorato di te. E sono stato uno sciocco a non comprendere prima i tuoi sentimenti nei miei confronti. Tuttavia, se solo potessi perdonarmi, allora, potrei anche morire in pace, sapendo che, almeno, nel tuo cuore ci sarà sempre uno spazio per me. Anche se, dopo questa confessione, dovessi perdere per sempre il mio Karisuma. Non me ne pento, se è questo il prezzo del poter finalmente realizzare quali siano i miei sentimenti per te, sarò ben felice di pagarlo.”
La osservai, e mentre, ancora con le lacrime agli occhi, la sua figura si allontanava sempre di più, sentii qualcosa spezzarsi.
Il mio sguardo si abbassò, triste, verso quella gemma che possedevo da così poco.
E fu mentre osservavo le crepe iniziare a invaderne la superficie perfetta che, in un rombo di grida e urla furiose, un plotone di guardie oni fece irruzione nella stanza, circondandomi su ogni lato.
Chiusi gli occhi, pronto ad accettare il mio destino a braccia aperte.

 
Era finita.
Ormai, la mia fine non poteva essere più vicina.
Gemetti, rialzandomi, nonostante tutto e nonostante tutti, ancora una volta.
Era bastato che ammettessi il mio amore, a me stesso e a lei, che nemmeno pochi istanti dopo avevo sentito il mio Karisuma iniziare a sgretolarsi.
Lentamente ma progressivamente, vidi la gemma color acquamarina, unico ricordo ancora vivo di quella donna che mai avrei potuto rivedere, andare in pezzi, sgretolandosi come neve al sole sotto i miei occhi angustiati ma carichi di rassegnazione.
Come se non vi fossero mai state, le squame che ricoprivano il mio corpo, prima ardenti di purpureo fulgore, vennero spazzate via dal mio corpo, abbandonandomi in un turbinio vago e indistinto di sfumature color tramonto, e lasciandomi così come ero sempre stato.
Eppure, quando mi sentii circondare da tutte quelle guardie, sapevo fin troppo bene come, nonostante tutto, avrei continuato a combattere. Anche se, in quella forma ormai mortale, non avrei potuto sopravvivere che per pochi istanti, anche se, ormai, avevo perso qualsiasi potere che prima potesse permettermi di tenere loro testa con estrema facilità.
Quando mi furono addosso, gridando in preda all’ira nel vedere il corpo sconfitto e martoriato del loro sovrano ai miei piedi, fu con sguardo di fiamma che li accolsi a me. Raccogliendo, ancora una volta, la mia Yoosenmaru.
E apprestandomi allo scontro.
Combattei … non so per quanto tempo con esattezza.
La sola cosa che so era che, in quel momento, la mia tristezza, la mia disperazione e la mia rabbia erano tali da impedirmi anche solo di pensare.
Il vuoto lasciato dalla partenza di Hitomi mi corrodeva il petto, rendendomi impossibile riflettere lucidamente. Ma, d’altra parte, non era che me ne potesse mai importare moltissimo … finché avessi potuto affogare il mio dolore nel combattimento, poco avrebbe importato.
Gridai, alternando colpi su colpi senza fermarmi nemmeno per un istante, facendo susseguire affondi a rapide ritirate, per poi partire nuovamente alla carica.
Inaspettatamente, potei constatare, le mie capacità con la spada rimanevano, nonostante la forza ormai umana, quelle di un tempo. E l’esperienza mi permise, quantomeno, di ucciderne una dozzina buona prima di trovarmi con le spalle al muro.
Annaspai, mentre l’asta di una naginata nemica mi spingeva contro una delle pareti della sala, e la vista mi si annebbiava per un secondo.
Ormai, il corpo era costellato di tagli e ferite, lividi e graffi. La veste era ormai completamente rovinata, l’oro della seta imbrattato dal vermiglio del sangue, mentre un gocciolio sommesso mi accompagna a ogni passo.
Alzai nuovamente lo sguardo, osservando, irato, i miei nemici, mentre stringevo compulsivamente la mia Yoosenmaru.
La osservai … anche nel furore dello scontro, conservava la sua bellezza. Perfetta e sublime, unico ricordo di quell’amore che mi avrebbe permesso, sempre e comunque, di rialzarmi e brandirla con onore, senza più vergognarmi dei sentimenti che ormai sapevo di provare verso colei che me l’aveva donata. Il mio sguardo si spostò, istintivo, poco più in là, dove i frammenti del mio Karisuma giacevano, spenti e polverizzati, a terra.
Tuttavia, strinsi i denti. Non importava che non fossi più un Naga, non importava che non possedessi più quella dannati sima gemma, o che non potessi più scuotere il mondo con la sola forza del mio ruggito.
Dopotutto, se possedere un Karisuma significava solo accedere a una forma superiore, e rincretinirsi a causa del potere che dava, come d’altronde era accaduto a mio zio, ne potevo anche fare a meno. E ben volentieri.
Makoto aveva ragione, il Carisma è qualcosa di diverso che del semplice potere. E, anche quando si viene banditi, lo si conserva per sempre.
Il viaggio che avevo compiuto, assieme a Hitomi e dentro me stesso, mi aveva fatto aprire gli occhi su ciò che realmente valeva la pena di proteggere. Ora che lo sapevo, non mi sarei mai tirato indietro, nemmeno di fronte a nemici cento, mille o un miliardo di volte più potenti di me.
Avevo qualcuno per cui valeva la pena vivere, e se il Karisuma non era semplice potere, ma risiedeva nel cuore delle persone, allora non lo avrei mai perso realmente.
Lo pensi davvero?
Alzai il capo, perplesso, senza comprendere cosa stesse accadendo.
Ormai, doveva essere spezzato quindi, perché sentivo ancora quella voce?
Potresti abbandonare tutto. Nessuno ti garantisce che una volta tornato in superficie tu possa essere in grado di proteggerla, e prendere quel posto che ti spetta di diritto. Sarebbe moto più semplice fermarsi qui, non credi?
Un luccichio.
Il mio sguardo si posò nuovamente sulla gemma, i cui frammenti mi osservavano silenziosi da lontano.
Corrugai le sopracciglia, tetro, poi sorrisi, come, d’altronde, mi ero abituato a fare anche di fronte alle situazioni più disperate e assurde.
Io? Mollare qui? Per chi mi hai preso? Dovessi pure perdere sia le braccia che le gambe, continuerò a combattere … c’è gente che vuole rivedermi, non posso nemmeno PENSARE di mollare!
Silenzio.
Ebbene, in questo caso, ti accompagnerò ancora una volta.
Un boato sconvolse la stanza, propagandosi fino nelle profondità più remote del Naraka, mentre un turbine impetuoso mi piegava a terra e l’intera città veniva spazzata via, come se non fosse mai esistita. Tra le grida disperate degli Oni, sentii quell’energia che credevo svanita tornare, diversa, mutata, più consapevole ma, anche, in un certo tempo più fragile.
Vedi i frammenti della gemma fondersi con quell’oggetto che, ormai, era divenuto l’emblema stessa del mio legame con Hitomi, con quella strada che mi ero scelto e che ero disposto a percorrere al suo fianco.
Le mie fattezza rimasero quelle di un mortale, ma il mio Karisuma si fuse una volta per tutte con la mia spada, e mi bastò anche solo sollevarla per sentire il Naraka fremere e contorcersi dal dolore. Fino a collassare su sé stesso.

 
Ancora oggi, mi chiedo cosa dovessero avere pensato quei poveretti quando, quel mattino ormai lontano, mi videro emergere, sporco e sputacchiante rimasugli informi di terra, dal suolo.
Effettivamente, di cose, allora, ne accaddero veramente parecchie.
L’ondata di potere causata dal ritorno del mio Karisuma, che seppure si era fuso con Yoosenmaru, non per questo mi aveva concesso nuovamente la mia precedente forma, o l’antica immortalità, rase completamente al suolo il Naraka.
Nemmeno un istante, e tutti gli Oni ivi presenti furono letteralmente spazzati via, con una facilità che, per essere sincero, forse in altre occasioni mi avrebbe fatto andare in brodo di giuggiole, ma allora mi inquietò non poco. Comunque, bastò un mio solo cenno, perché un’intera specie giungesse alla sua fine … e va bene che, come avrete capito, non amo certo essere modesto, ma posso assicurarvi che è proprio tutto vero.
Booom.
E tutti caddero per terra.
Privata delle creature per cui era stata eretta, la Dimensione Demoniaca stessa non potè che collassare su sé stessa, crollandomi letteralmente addosso e costringendomi a stringere i denti e raccogliere le ultime energie per scavarmi a mano un varco per la superficie.
Sopra di me, ovviamente, anche gli umani si accorsero che qualcosa non andava.
La distruzione del Naraka aveva scosso nelle fondamenta l’equilibrio naturale di Ayumu stessa, e quando anch’essi compresero cosa fosse accaduto, fu con immenso stupore che, nel cratere creato dall’apertura del portale che aveva condotto in salvo Hitomi, poterono vedere emergere anche me. Certo … forse con un po’ meno stile.
Visto che riemersi, sputacchiante e imprecando in tutti i modi possibili e immaginabili, proprio nei pressi della dimora di Makoto ove, a seguito del fascio di luce causato dal ritorno di Hitomi, sia lui che tutti gli abitanti del villaggio vicino si erano radunati per vedere cosa stesse accadendo.
Alzai il capo, mentre, ancora attoniti e incapaci di proferire parola, i presenti mi fissavano a bocca aperta.
Tra tutti, la mia attenzione, però, era incentrata solo su loro tre.
Potei vedere Hitomi singhiozzare, disperata, tra le braccia di Makoto.
Evidentemente, doveva avergli raccontato cosa fosse successo in sua assenza, e ora mio fratello la osservava, tristemente rammaricato, mentre Aiko cercava invano di accarezzarle dolcemente la schiena, per consolarla.
Quando mi videro emergere, arrossii, senza sapere bene cosa dire. Insomma, in una sola settimana, io e lei eravamo andati a letto assieme, le avevo detto di amarla (quando, per tutto quel tempo, non aveva mai realmente sperato di poter essere ricambiata allo stesso modo) e poi l’avevo costretta a mettersi in salvo, abbandonandomi nel Naraka.
Il tutto senza fare una piega.
Visto che però ero miracolosamente sopravvissuto (lei successivamente sostenne che era perché “L’erba cattiva non muore proprio mai”), mi aspettavo, per lo meno, un bell’abbraccio.
O un bacio.
Sorrisi, quasi come se, in realtà, non fossi appena emerso da una dimensione mezza distrutta, con i vestiti lacerati e tutta l’aria di uno che ha appena tirato su un casino incredibile.
Poi, arrivò lo schiaffo.
Voltai la testa di lato, massaggiandomi sorpreso la guancia arrossata, mentre gli occhi ricolmi di lacrime di lei mi fissavano, furiosi.
Cercai di dire qualcosa, ma, alla fine, non riuscii proprio a trovare di che parlare.
Quindi abbassai il capo, colpevole, in attesa della sfuriata.
Che non tardò certo ad arrivare.
“TU!”, eccola, lanciai un’occhiataccia a Makoto, che sorrideva divertito alla scena, poco lontano, “SEI UN’IMMENSO DEFICIENTE, RYUJIN! Si può sapere che diamine ti è passato per la mente? Hai idea di come mi sia sentita? Spero per te che tu abbia delle OTTIME  scuse, altrimenti, Ser Ti-amo-ma-te-lo-dico-solo-ora-che-sto-per-schiattare, posso assicurarti che, amore o non amore, col cavolo che diventerò tua moglie! Anzi … puoi scordarti pure di venire a letto con me, per quel che mi riguarda, io sciopero!”
La osservai, scandalizzato, mentre Makoto mi osservava, con l’aria compassionevole di chi ci è già passato, e sa bene cosa significhi.
“Aspetta un attimo!”, risposi, per poi riprendere, “E che cavolo … sono appena riemerso da un viaggio di miglia e miglia di terra, vermi e cose che non starò a descrivere. Ho fatto fuori una razza intera e raso al suolo una dimensione, e tutto perché volevo rivederti, ed è così che mi accogli? Grazie tante, eh!”
“La prima lite di coppia, crescono così in fretta.”, altra occhiataccia verso Makoto.
I miei occhi si spostarono nuovamente su di lei, in attesa.
Inaspettatamente, però, non disse altro.
Un istante dopo, era tra le mie braccia, ancora in lacrime, certo, ma, almeno, da come le sue labbra cercarono, quasi istintivamente, le mie, dovetti per lo meno credere che mi avesse perdonato. Sorrisi, assaporando in silenzio quell’aroma di pesche e ciliegia, gustandomi quel momento perfetto prima che, seppure a  malavoglia, mi staccassi da lei con un sospiro.
Osservai Yoosenmaru, ferma al mio fianco, poi il mio sguardo si spostò nuovamente su Makoto, che annuì.
C’era ancora una cosa che dovevo fare.
“Il tuo tappeto è già pronto … gli abbiamo apportato alcune modifiche, sarai alla Città Celeste in meno di pochi minuti.”, disse, inespressivo.
Sentii Hitomi sfiorarmi la mano, apprensiva, tuttavia le sorrisi, rassicurandola.
Poi, tornai a fissare mio fratello.
Non sapevo bene cosa dire, per cui tentai: “Senti … per quello che è successo …”
“Non importa.”, alzai lo sguardo, sorpreso, incontrando le iridi color lapislazzuli di lui, “Va bene. Hitomi mi ha raccontato tutto, sappiamo cosa hai fatto nel Naraka. Ora, però, devi partire. È giunta voce che Tianlong è morto … a quest’ora, nostro zio avrà già preso il trono. E tu devi assolutamente impedirglielo.”
Annuii, quindi, con un lieve bacio sulle labbra di lei, balzai agile sul tappeto, diretto, finalmente, a casa.

 
Attraversai il Palazzo di Giada con passo di marcia, del tutto incurante degli sguardi sorpresi di coloro che, vedendomi, constatavano, non senza una punta di biasimo, come non fossi minimamente cambiato.
Quasi potevo sentirli, a ridere di come, alla fine, non fossi nemmeno riuscito a ottenere il mio Karisuma. Sorrisi, tra me e me, immaginandomi che faccia avrebbero patto se fossero venuti a conoscenza della verità dei fatti.
Tuttavia, ormai, non m’importava più cosa pensassero le persone.
Avevo una faccenda da portare a termine, e che dicessero pure quello che preferivano.
Io avrei parlato con mio zio, e l’avrei fatto pentire molto amaramente di essersi spinto così oltre.
Quando raggiunsi l’ingresso della Stanza degli Specchi, feci un rapido cenno alle guardie che vi erano di fronte di ritirarsi.
Mi osservarono, perplesse, ma qualcosa (probabilmente il luccichio sinistro che Yoosenmaru, grazie al mio Karisuma, aveva prodotto nel percepire la loro reazione), li convinse che sarebbe stato molto meglio non discutere e farsi da parte.
Quindi, entrai, avvicinandomi a passi pesanti verso il lato opposto della sala, dove un Shenlong visibilmente sconvolto leggeva in silenzio quello che pareva essere una specie di missiva.
“No … non ci credo, è totalmente assurdo. Il Naraka …”, mormorava, al che sorrisi, interrompendolo.
“Eh, già … che disgrazia, non trovi? Pare proprio che sia collassato su sé stesso. Una grandissima perdita, senza ombra di dubbio. Specialmente per chi, come te, contava sull’appoggio dei demoni per liberarsi di un fastidioso terzo incomodo. Nevvero, zietto?”
Gli occhi argentei di lui si alzarono, fissandosi, glaciali, su di me.
Sorrisi, con tutta la strafottenza di cui ero capace, senza nascondere nemmeno un briciolo della soddisfazione che provavo nel vederlo tanto sorpreso di notare come fossi (disgraziatamente per lui) ancora vivo e vegeto.
Sorrise, letale, e giuro … in quel momento avrei sul serio desiderato staccargli quel brutto muso e suon di randellate: “Ryujin … che è successo? Credevo fossi partito per ottenere il tuo Karisuma.”
Lo osservai, irritato: “Non fare il finto tonto, sappiamo entrambi che sei stato tu a chiedere all’Imperatore Oni di farmi fuori. Purtroppo per te, è stato lui a rimetterci le penne. Che peccato, ora non potrai portare a termine il tuo piano.”
Quello alzò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere: “Tu, uccidere Seimei? Non farmi ridere! Innanzitutto, se così fosse ora non avresti certo quelle deplorevoli sembianze mortali. E poi, anche fosse, dubito che un fallito, un nullafacente e una delusione pubblica come te possa mai possedere una Karisuma che si definisca tale.”
Scoppiai a ridere, divertito: “Seimei? Quindi è così che si chiamava, quell’ermafrodito dal culo di donna? Effettivamente, non ne sono nemmeno così sorpreso. Comunque, posso assicurarti che è tutto vero … e se, grazie al cielo, ho abbandonato le fattezze di Naga, è solo perché sono riuscito in un impresa che nemmeno tra un milione di anni tu potresti raggiungere. Visto il cuore nero e freddo che ti ritrovi.”
Quello si fermò, sorridendo, carico di biasimo: “Non mi dire, quindi, alla fine, ti sei realmente innamorato di lei? Patetico … avresti potuto perseguire un futuro grandioso, e invece hai gettato tutto all’aria per una futile umana.
Dimmi, che hanno mai fatto loro, per noi? Mentre i nostri soldati continuavano a morire, sul Fronte Occidentale, che cosa facevano gli umani per ripagarci? Se ne stavano nelle loro case, quei codardi! A farsi parare le spalle da altri! E noi avremmo dovuto seriamente combattere per difenderli, noi, che avremmo potuto dominare il mondo intero, inchinarci di fronte a essere così deboli e miserabili? Non farmi ridere! Non mi pento affatto di quello che ho fatto per ottenere il trono.
Quando partisti, capii subito che, con la tua indole sciocca e impudente, non avresti mai perso tempo ad attraversare lo Shirosa Baku. Quindi, ho contattato l’Imperatore Oni, chiedendogli di sigillare il Portale, e toglierti di mezzo … in cambio, io gli avrei permesso di fare quello che preferiva di Ayumu, e avrei ottenuto quel trono che tu, al mio posto, mai saresti stato in grado di gestire. Grazie a me, finalmente i Naga avrebbero ottenuto ciò che era loro di diritto, e sarebbero stati liberi! Alla fine, poco importa cosa facciano i nostri uomini, quando si narrerà delle mie gesta, sarò stato io ad aver fermato questa guerra”, lo osservai, incredulo, mentre proseguiva, “E’ sempre stato così, e così sarà sempre. Sono i re a vincere le guerre, nipote, non i soldati!”, esclamò, per poi sospirare, calmandosi.
Osservò la mia spada, socchiudendo appena gli occhi: “Solo una domanda mi sorge. Come mai, se il Naraka è andato distrutto, tu sei ancora qui? Come umano, non avresti potuto avere il potere per trarti in salvo.”
Sorrisi, sfoderando la mia Yoosenmaru.
Vidi i suoi occhi raggelarsi, nel notare la gemma color acquamarina, che brillava ostile sulla lama nera della mia katana. Feci spallucce, come se nulla fosse: “Beh, sai … non è che m’importi molto di essere una lucertolone grande e grosso. Non sarà certo perché non posso mostrare le zanne che il mio Karisuma svanirà. Ormai, dovresti saperlo … il Carisma non è solo potere.”
Quello scoppiò a ridere, dicendo: “Davvero credi a quello che dici? Non sarai così sicuro di te, quando ti avrò ucciso!”
Lo guardai, incredulo, poi scossi il capo, tristemente: “Io mi fidavo di voi. Per me, eravate come un mentore, ma ora che vi osservo, non vedo altro che un essere spregevole e senza cuore, immeritevole di ogni genere di stima o affetto.
Io, mio padre, i membri della corte. Tenevamo a voi, siete stato, per lungo tempo, stimato a apprezzato da tutti, anche quando lasciaste la carriera militare e iniziaste a viaggiare, tutti erano pronti a giurare senza esitazione sulla vostra buona fede. Certo, conoscevo bene come, come me, anche voi sopportaste male la situazione della nostra specie, e per questo vi sentivo più vicino di quanto facessi con molti altri. Ma arrivare persino a ordire alle spalle del proprio fratello, della propria famiglia e della propria specie. Mi avete deluso, zio. Avete deluso tutti noi.”
Quello mi osservò, gelido, poi sbuffò, ridendo divertito: “E pensi davvero che m’importi qualcosa del vostro biasimo? Nessuno verrà mai a sapere cosa sia successo, perché tu morirai qui, e con te, anche quella sciocca della tua amata!”
Mi irrigidii, osservandolo ostile, poi, sorrisi.
Se credeva realmente che gli avrei dato vita facile, si sbagliava di grosso.

 
Quando, dopo soli pochi minuti di lotta affiatata, finalmente riuscì a comprendere come, a dispetto delle fattezze mortali, potessi comunque tenergli testa, mio zio perse completamente il senno.
Fino ad allora, era stato sempre convinto che, senza quella forma di cui andavamo tanto orgogliosi, noi Naga non valessimo che niente. Ed ora, invece, si trovava ad affrontare un avversario che non solo aveva perso tale fattezze, ma non era che un ragazzo, un umano, un mortale, di quelli che aveva sempre odiato a disprezzato.
Eppure, per quanto, tra ruggiti furiosi e fiammate verdi e incandescenti, cercasse invano di colpirmi, Yoosenmaru era sempre lì, pronta a difendermi, creando un muro impenetrabile che mi proteggesse dalle fiamme, per poi sgretolarsi sotto la mia avanzata implacabile.
I miei colpi si susseguivano, precisi e letali, uno dopo l’altro, senza lasciargli margine di manovra che non fosse continuare a indietreggiare, sempre più con le spalle al muro.
Fu con un ultimo, deciso colpo che, infine, immersi la lama nella gemma color argento incastonata sul suo petto.
Mi osservò, tremante, e per la prima volta da quando l’ebbi conosciuto potei vedere nei suoi occhi una scintilla di autentico terrore.
“T-ti prego … non puoi … i-io … sono tuo zio.”, lo osservai, freddo e indifferente.
Poi sospirai: “E’ vero, siete pur sempre un mio consanguineo. E per questo non vi ucciderò … tuttavia, rimuoverò per sempre questo Karisuma, di cui non siete minimamente degno, dal vostro corpo. Vivrete una vita da mortale, così come avrebbe sempre dovuto essere … e forse, allora, potrete comprendere ciò che realmente avete perso, tradendo per sempre la fiducia mia e di tutti coloro che vi amavano.”
Affermai. Quello tremò, incapace di credere alle mie parole, mentre la gemma incastonata sul suo petto si sgretolava, e in un turbinio di squame color dello smeraldo quelle fattezze da rettile svanivano nel nulla, lasciandosi alle spalle niente di meno che un uomo spaurito e indifeso.
Osservai, inespressivo, gli occhi coperti di lacrime di lui, che, in preda alla follia, gridò: “No … tu, non mi farai questo! Mi rifiuto di vivere un’esistenza simile … piuttosto, preferisco morire!”
Non feci in tempo a fermarlo, un istante dopo, si era gettato sulla mia katana.
Spirando.

 
Quando, pochi istanti dopo, i membri del Consiglio fecero irruzione nella Sala del Trono, e mi trovarono in quello stato, fu in silenzio che, sebbene a malavoglia, mi feci condurre docilmente nelle segrete.
Dopotutto, non potevo certo biasimarli.
Loro non sapevano nulla del tradimento di Shenlong, né della sua cospirazione con l’Imperatore Oni, o di come avessi sconfitto quest’ultimo e fatto collassare il Naraka.
Quindi, ai loro occhi, quando, entrando nella stanza, mi avevano visto reggere il corpo ormai privo di vita di mio zio, non avevano potuto che fare uno più uno.
Tuttavia, quando, alcuni giorni dopo, venni condotto presso il Tribunale, accompagnato da Hitomi e Makoto, e furono costretti ad ascoltare, sorpresi, la mia spiegazione, non poterono che credermi.
D’altronde, la voce sul collasso della Dimensione Demoniaca si era sparsa fin troppo in fretta, facendo sopraggiungere Naga da ogni lato del mondo, per verificare come, quando e perché ciò fosse accaduto. Con la distruzione del Naraka, tutti i demoni, sia quelli che vi abitavano che quelli sul Fronte, erano svaniti nel nulla, quasi come non vi fossero mai stati, e le voci su quel giovane emerso dalla terra proprio laddove era avvenuto il tutto di erano presto parse per tutta Ayumu.
La guerra era finita, e tutto a causa mia.
Per esserne sincero, io stesso stentavo a crederci.
Quindi, alla fine, non restò loro che decidere cosa fare di me.
Riconoscendo come, comunque, avessi dimostrato di essere degno del mio nome, alla fine il Consiglio dei Mille convenne che non necessitavo di alcuna punizione.
Dopotutto, era già tanto che avessi perso per sempre la possibilità di tornare a vivere presso Shukai – Shi, divenendo un mortale a tutti gli effetti e rinunciando definitivamente tanto alle mie pretese al trono quando a un posto tra i Naga.
Per quel che li riguardava, era una punizione più che sufficiente per bilanciare ciò che avevo fatto.
Così, io a Hitomi tornammo ad Ayumu.
E non solo.
Ormai privi dello scopo che li aveva condotti fino a quella dimensione mortale, anche i Naga poterono, alla fine, fare ritorno alla loro terra natia.
Ricordo ancora come, quel giorno, i cieli si aprirono, mentre un fascio di luce calda annunciava come, finalmente, le porte del Nirvana, la loro terra natale, si fossero nuovamente aperte per accoglierli.
Finalmente, dopo secoli e secoli d’attesa, i Naga avrebbero potuto fare ritorno in quella casa che, per tutto quel tempo, avevano sempre agognato di rivedere. Quella dimora senza tempo né spazio, a cui i loro cuori erano sempre rimasti legati, ora apriva le sue porte a loro e, ora, potevano farvi ritorno.

 
Fu da quel giorno che, ad Ayumu, le cose cambiarono per sempre.
Ormai liberi dai vincoli e dai timori, vidi gli esseri umani rialzarsi dalle proprie polveri, e procedere, finalmente, verso quel futuro glorioso di cui, per tutto quel tempo, non avevo mai dubitato potessero far parte.
Ed è con mio immenso piacere, e onore, che posso affermare con convinzione del ruolo che ebbi nel guidarli e accompagnarli.
Una volta scomparsi i Naga, fu a me che si rivolsero.
Riconoscendomi come colui che li aveva salvati, mi chiesero di divenire il loro sovrano, e accompagnarli quindi per quel percorso che, assieme, ci avrebbe condotti fin dove siamo ora.
Lentamente, gli esseri umani si rialzarono.
Uniti, impararono a costruire nuove città, sempre più grandi ed evolute. Crearono uffici e scuole, costruendo una cultura che si potesse finalmente definire tale, erigendo palazzi e luoghi di culto, finalmente liberi da ogni costrizione e capaci di afferrare il proprio destino con mano propria.
Confidenti sul fatto che, assieme, nessun traguardo sarebbe mai parso troppo lontano.
E io fui lì, ogni volta, a osservare sorridente i loro progressi, accompagnato da quella donna che mi aveva aperto gli occhi che, solo pochi mesi dopo gli eventi qui narrati, divenne finalmente mia moglie (il che, quando non era nei suoi “periodi” fu per me motivo d’immensa gioia).

 
Quindi, eccola qui.
La mia storia. Anzi, la NOSTRA storia.
Immagino che, a questo punto, vi starete chiedendo cosa successe poi a me e Hitomi.
Beh, ovviamente (come avrete dedotto nel sentirmi raccontare delle mie incredibili doti di esemplare maschio etero e sessualmente attivo) avemmo tanti piccoli pargoletti.
Assieme, governammo per molti anni, poi, raggiunta una certa età, lasciammo il trono ai nostri figli.
Ormai, sono passati quasi settant’anni da quei giorni.
Eppure, a volte, mi sembra ancora come se fosse ieri …




Note dell'Autrice:
Eccoci infine arrivati al capolinea.
So che è stato un viaggio breve, ma, nonostante questo, ormai vi confesso che Ryujin, così come Hitomi, Makoto e gli altri, erano diventati un po' come una parte di me.
Spero che questo racconto abbia potuto, seppure per poche ore, trasportarvi ad Ayumu, fianco a fianco con quei personaggi per i quali ho faticato tanto ma che, alla fine, mi hanno pienamente soddisfatta. E chissà ... magari, un giorno, potrei anche dedicare un piccolo spazio per un bello spin-off ... chi lo sa.
A voi piacerebbe?
Comunque, per ora inserirò, come promesso, anche il glossario finale. Tutti i termini col segno "*" sulla cima sono lì ripresi con la dovuta spiegazione, e troverete anche qualche piccola chicca di cultura orientale, che spieghi il perchè ho scelto proprio alcuni nomi o riferimenti piuttosto che altri. Certo, sono delle minuziosità, ma spero possiate comunque apprezzarle.
Termino questa nota ringraziando, ancora, le due giudice per i quali contest questo racconto è stato scritto. EragonForever per le sue recensioni e KakashiNoSharingan per gli assidui consigli.
Detto questo, spero di sentire presto i vostri commenti, per qualsiasi cosa, sono sempre a disposizione!!!

Teoth

 
   
 
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