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Autore: Erica K Lovett    03/07/2017    1 recensioni
La prigione può essere un luogo ospitale,quando ci fai l'abitudine. Ma se come me ci sei nato allora sei proprio messo bene, amico. Mia madre mi ha dato alla luce davanti agli occhi di unaffamato gruppo di bastardi. Mi chiamò Joe, proprio come Joe Dalton.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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la breve storia di Joe Rust
La prigione può essere un luogo ospitale, quando ci fai l'abitudine. Ma se come me ci sei nato allora sei proprio messo bene, amico.
Mia madre, Mary Jane Todd, mi ha dato alla luce proprio tra queste sbarre, davanti agli occhi di un affamato gruppo di bastardi. Mi chiamò Joe, proprio come Joe Dalton. Neanche il tempo di succhiare il capezzolo di mia madre che il secondino mi strappò dalle sue braccia come un lupo che lacera le carni di una carcassa.
Quello stronzo del direttore decretò mia madre non idonea al ruolo di genitrice e mi affidarono alle cure delle suore.
All'età di otto anni diedi accidentalmente fuoco alle vesti di una delle sorelle bianche, a dieci rubai tutti i risparmi per la ristrutturazione della chiesa e a dodici anni, durante la messa, il crocifisso appeso dietro l'altare venne capovolto e incendiato. Quello stesso giorno le suore insieme al parroco mi riportarono in carcere, ed il direttore, con un sorriso sornione in mezzo alla nube di fumo di sigaro, mi salutò senza troppo entusiasmo.
Evidentemente la Casa del Signore non era il luogo adatto a me.
Dopo ai religiosi toccò ad Earl, il baffuto ed alcolizzato direttore del saloon. Aveva due hobby: il fumo e l'alcool. Mentre le sue donnine alzavano le sottane per compiacere vecchi porci, lui si scolava mezzo bicchierino di tequila alla volta, e gli affari andavano a rotoli perché il vecchio alzava troppo il gomito, e tra una bevutina e l'altra non mancava di farmi avere qualche sorta di sbobba nel piatto. Credo se la prese molto quando un giorno trovò tutte le bottiglie distrutte.
I denti marci del direttore del carcere non mi erano proprio mancati.
La terza vittima, la signora Bridgett, venne desginata come tutrice più responsabile rispetto al precedente affidatario. La facoltosa zitella sessantenne viveva in una lussuosa villa insieme ai suoi "adorabili" gattoni ed aveva edificato la sua fortuna come direttrice di una scuola di buone maniere. Passava ore ed ore ad annoiarmi con i suoi discorsi, cercando di insegnarmi "l'arte del bel posare"...ci mancava solo che mi vestisse come una fottuta bambola. Dovevo pur trovare qualcosa da fare. E' un passatempo davvero interessante rincorrere una zitella sessantenne ed i suoi grassi gatti spelacchiati su un pavimento appena lucidato minacciandoli con una forchetta, sopratutto quando la vecchia dice di essersi rotta una gamba e tocca a te scappare dal luogo dell'accaduto.
Ancora una volta mi ritrovai dietro le sbarre . Nessuno sarebbe venuto a reclamare una carogna come me, nemmeno per sbaglio. Ma il destino mi diede un'altra possibilità.
Quella fredda prigione di metallo non mi aveva accolto sufficientemente per conoscere Carl Starson, spazzino baffuto e mal pagato. Era come una sorta di nonno arzillo per tutti gli avanzi di galera che giacevano a marcire in quel posto.
Un giorno il vecchio giunse davanti alla mia cella, ero seduto sul letto e fissare il pavimento era l'unico passatempo che mi era concesso. La sua ombra incombeva su di me, alzai lo sguardo. Era immobile e dopo avermi fissato per qualche secondo d'un tratto parlò
- Cosa fai lì dentro, ragazzo? Questo non é un posto adatto a te. Forza andiamo a casa- quelle parole erano talmente assurde che accettai. Il secondino aprì la cella ed ancora una volta mi trovavo a sfilare come una ragazzina in mezzo a quei bifolchi.
Una mano tatuata da dietro le sbarre afferrò la mia tuta e una voce non certo amichevole mi sputò in faccia- Vedi di trattarlo con rispetto, hai capito?- il tizio mi lasciò andare ma non senza riservarmi uno sguardo incarognito.
Carl abitava in una landa desolata tra i fottutissimi coyote e un sacco di campi. Mi insegnò a sparare, a badare a me stesso, nemmeno leggere e scrivere fu più un problema. Era nato orfano ma aveva avuto la fortuna di crescere insieme a suo zio, ed ora viveva lontano dal mondo, fumando il sigaro in veranda, sparando a qualche coyote di tanto in tanto e suonando il banjo.
Ricordo ancora la prima volta che vidi quello strumento.
Lo guardavo incuriosito e Carl, con la coda dell'occhio, notò la mia espressione. Mi porse il banjo e da quella sera la veranda divenne la mia sala prove sotto le stelle.
Rimasi con lui fino ai trent'anni.
Trovai un lavoro come cassiere in un negozio di alimentari giù in città e Carl, ormai troppo vecchio per continuare a ramazzare merda, abbandonò il lavoro di spazzino e mi diede una mano in negozio.
Sembrava che la mia vita fosse riemersa dal buco in cui era cominciata, e pensare che quei maledetti secondini mi vedevano amarcire in quella fogna o morto in qualche sparatoria.
La salute di Carl si affievoliva ed io non potevo fare nulla per farlo stare meglio, se non affidandolo alle cure di un dottore e nel giro di pochi giorni Carl Starson era in viaggio verso il paese più vicino. Mi pregò di non abbandonare la baracca per lui e di tenere lontani i coyote dalla casa.
I giorni trascorrevano tranquilli e nessuna lettera o novità da parte di Carl, quello che rimaneva di lui era il cappello che metteva per andare a caccia. Era passata appena una settimana dalla partenza, un altro giorno e sarei andato a cercarlo.
Quella sera volevo chiudere prima e prepararmi al viaggio della mattina seguente ma un tizio mi si avvicinò.
Aveva il volto coperto e potevo scorgere solo gli occhi
- Sai dove posso trovare dei sigari?-mi chiese.
- Mi dispiace amico ma il negozio sta chiudendo-.
Il tizio tirò fuori una pistola e me la puntò dritta al petto fissandomi- Non ci siamo capiti, ho detto dove posso trovare dei sigari?- lo guardai per qualche secondo senza fargli capire le mie intenzioni
- Forse dovrei averne qualcuno nella tasca dei pantaloni..- tirai fuori la pistola e sparai.
Un proiettile dritto in fronte, quel bastardo non avrebbe esitato.
Ero sicuro che qualcuno avesse sentito il colpo. Mi precipitai a casa per raccogliere il necessario e partire quella stessa notte.
Fissai per qualche secondo il banjo, indeciso se portarlo con me, ma era troppo tardi. Ad attendermi alla porta c'era il direttore della prigione in persona insieme alla cavalleria- Joe sapevo che ci saremmo rivisti prima o poi-.
Ed ora eccomi qui, ancora una volta dentro questa gabbia, in attesa di essere giustiziato.
Almeno mi hanno permesso di portare il banjo come ultimo desiderio.
Oggi il mio corpo sarà polvere e nessuno verrà a reclamare questo strumento, visto che probabilmente Carl ha esalato l'ultimo respiro lontano da qui per non darmi altri dispiaceri.
Ad ogni modo ho vissuto la mia vita e questo banjo é tutto ciò che ne rimarrà.
Lo chiamerò Rust, perché alla fine la mia esistenza é stata come ruggine sul ferro.
Ora lasciatemi suonare un po'.
***
Improvvisamente il boato di uno sparo riempì l'aria. Un uomo camminava lentamente verso la cella di Joe. Imbracciava un fucile e indossava un cappello di paglia che gli copriva il volto. Il tizio alzò lo sguardo e due vecchi occhi fecero capolino.
-Cosa fai lì dentro,ragazzo? Questo non é un posto adatto a te. Forza andiamo a casa-.
fine
   
 
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