Anime & Manga > Gundam Iron-Blooded Orphans
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Autore: GiuliaOngaku    03/07/2017    3 recensioni
Il cielo del tramonto. Un bouquet di fiori colorati. Una tomba. Yamagi, trascorsi tre anni dall'ultima battaglia, vede il mondo intorno a sé cambiare, ma lui è ancorato al passato, i cui ricordi riaffiorano come lame appuntite. E infine una sensazione. La sensazione di qualcosa che non torna, di qualcosa che non è ancora ancora "definitivo".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! ^_^ Sono Giulia e questa è la prima storia che pubblico qui su Efp (siate clementi con me XD)! Sono presente su questo sito da alcuni anni solo come lettrice, ma ho voluto esordire come autrice con questa storia. Non è la prima fanfiction che scrivo, però sono ancora una principiante, quindi spero che possa piacervi malgrado la scarsa esperienza!

Prima di lasciarvi alla lettura, devo ringraziare di cuore alcune persone, che hanno reso possibile questa mia prima pubblicazione: Releuse, mia maestra di scrittura e cara amica, che ha migliorato la mia tecnica con le sue beta e mi ha fatto conoscere il mondo di Gundam Iron-Blooded Orphans, e a Seele, la quale, oltre al grande affetto che mi regala ogni giorno e alle infinite chiacchierate di cui ormai sono dipendente, mi ha ispirato con le sue bellissime storie, risvegliando la vena creativa che si era assopita da qualche tempo. Grazie a entrambe!

L’ultimo ringraziamento non verrà udito, tuttavia ci tengo a farlo: grazie a Suga, cantante del gruppo musicale BTS, perché senza la sua canzone “First Love” non avrei realizzato questo racconto, non avrei scavato in me stessa, trovato le parole giuste e sentito i medesimi sentimenti dei personaggi.

Buona lettura! ^^




初恋

Hatsukoi

Primo amore



Era già tardo pomeriggio e le nuvole si erano tinte di rosa chiaro, come quello della divisa che stava indossando. La brezza leggera gli stava accarezzando con dolcezza i capelli ormai lunghi, che teneva in una coda di cavallo. Il volto del tutto scoperto per lavorare più comodamente, per non nascondersi, per osservare meglio il mondo.

Anche il cielo che accompagna il sole nel suo tramonto mi ricorda te”. Quando tornava a casa dal lavoro, Yamagi faceva sempre quella strada. In realtà ne esisteva una più veloce, ma alla fine della giornata desiderava farsi un piccolo regalo e percorrere quindi quel tratto circondato dal verde, così raro in passato, fiancheggiato da uno stretto fiumiciattolo artificiale che fungeva anche da canale per i campi circostanti. Su Marte la vita era cambiata anche in questo: adesso poteva udire il cinguettio di alcune specie di uccelli, veder saltare dall’acqua piccoli pesci, che nemmeno sulla Terra, il giorno in cui aveva scoperto l’immensa superficie marina, aveva potuto ammirare. Poteva assaporare gusti nuovi, odorare il profumo dei fiori piantati in giro per le città, a decorare ciò che un tempo era stato macchiato di sangue. Ma i suoi occhi puntavano sempre in alto, verso le nuvole, verso le stelle, verso lo spazio cosmico. E si perdeva. Si smarriva senza più trovare via d’uscita, in labirinti di ricordi, pensieri, rancori.

Girò la chiave manuale nella serratura e varcò la soglia di casa. Solo di recente si era abituato a quel modo antiquato di aprire le porte, privo di tessera magnetica. Ma quella a cui ancora non si era abituato era la sua stessa abitazione. Piccola e arredata con l’essenziale, per quanto la riempisse di oggetti colorati, gli appariva sempre e comunque vuota. Per quanto aprisse le tende bianche, spalancasse le finestre al mattino, spendesse una piccola parte dello stipendio alla Kassapa Factory per tenere le luci accese di sera, era sempre e comunque buia. Nonostante questo, non ne voleva una nuova. Gli piaceva il posto in cui stava: era vicino all’attività di Kassapa e al verde che poteva percorrere tutti i giorni. Lì regnava la tranquillità. Una calma di cui aveva sentito il bisogno fin da quando ci si era trasferito.

Yamagi entrò nella doccia e si rilassò sotto lo scroscio d’acqua calda, toccasana per i muscoli intorpiditi di fine giornata. Dopo aver terminato, passò davanti allo specchio e mantenne il suo stesso sguardo qualche istante. “Fai un bel sorriso, Yamagi! Stasera devi uscire in compagnia!”, si disse, mentre con indice e pollice di entrambi le mani verificò che gli orecchini a rombo non si fossero allentati.

Yamagi aveva appena passato una serata piacevole e tranquilla con i suoi amici. Quel giorno si era unito a lui, Chad e Dante anche Eugene, ormai sempre più occupato a fianco della Signorina Kudelia.

Almeno tu puoi farti un bicchierino ogni fine settimana, non lamentarti! – aveva sbuffato Eugene rivolgendosi a Chadan, quando questi si era azzardato a dire che si sentiva “un po’ spossato”.

- Tu, però, hai molte meno scartoffie di me da riempire! – gli aveva risposto l’altro di rimando, facendo ridere tutti i presenti. In realtà a Yamagi non piaceva molto l’alcool, infatti non beveva mai più di due bicchieri, buttati peraltro giù a forza. Ciononostante, sentiva di doverlo fare e con il tempo si era abituato al gusto amaro e aggressivo dei liquori che gli amici gli mettevano davanti. Anzi, il sapore dell’alcool era diventato un mezzo catartico, qualcosa di esorcizzante. “Non sei un gran bevitore, eh?”, lo prendeva in giro Eugene, che più volte gli aveva chiesto perché continuasse a bere per forza, dato che se voleva uscire con loro avrebbe benissimo potuto farne a meno. Ma Yamagi sentiva di volerlo fare.

Ormai, andare in quel piccolo locale il fine settimana era diventata una consuetudine, anzi, un rito. Divertirsi anche per chi non c’era più rimaneva uno dei compiti degli ex membri di Tekkadan. Non separarsi e non chiudere i rapporti tra di loro era importante in quanto membri di un’unica famiglia. Una famiglia stravolta, certo, segnata da troppe tragedie. Una famiglia che aveva perso la sua guida e tanti fratelli. Ma bisognava andare avanti lo stesso, anche se non tutti i sopravvissuti avevano avuto la forza di ricominciare una nuova vita, senza odio e rancore nei confronti di chi li aveva fatti soffrire.

- Ancora nessuna notizia di Ride? – chiese Yamagi non appena rimase solo con Eugene, dopo aver salutato gli altri. Erano fuori dal locale.

- Niente di nuovo - rispose Sevenstark sospirando. Poi riprese, con un tono più concitato: – Quello stupido… ma cosa diavolo combina?! Non capisce che così ci fa morire dall’ansia? –

Strinse i pugni fino a far diventare le nocche bianche.

- Sai, Eugene, io però un po’ lo capisco. – Yamagi alzò gli occhi al cielo, con il peso dello sguardo sorpreso dell’amico.

- Troppe persone sono rimaste impunite.

Eugene ebbe una stretta al cuore. Nella sua mente si disegnarono i ricordi delle persone a cui aveva voluto più bene: Orga, Mika, Akihiro, Shino… morti in battaglia, in nome di Tekkadan, per proteggere i loro compagni, e senza ricevere un degno addio. Era stato difficile mandare giù tutte le ingiustizie subite. E poi… era ancora più gravoso sentirsi dire quelle parole da Yamagi, che aveva amato con tutto se stesso proprio uno di loro. Anche lui capiva i sentimenti di Ride, ma la sua vita restava più importante della vendetta che agognava tanto compiere.

- Questo non significa che deve rischiare di farsi prendere o ancora peggio… - non riuscì a finire la frase, tuttavia il suo amico capì il senso dell’interruzione.

- È vero – asserì questi – Nessuno vuole ancora perdite.

Arrivati all’incrocio si separarono e Yamagi percorse il vialetto di casa illuminato dai lampioni. Stesosi a letto, Morfeo lo avvolse tra le sue braccia quasi subito, smanioso di farlo addormentare e sognare.


Il giorno dopo la casa non venne inondata dai raggi mattutini che lo avevano svegliato nelle ultime settimane.

- Piove – sussurrò Yamagi, scostando un poco la tenda della sua camera – In effetti, la terra iniziava a essere troppo arida.

Quella notte aveva fatto un sogno. Un sogno bellissimo… e triste. Triste perché non era mai accaduto nella realtà, perché i suoi compagni se n’erano andati prima che potesse avverarsi.

Schiocchi di boccali di birra che si scontravano per brindare, trombe e violini vivaci che riempivano la stanza di una musica esuberante, e poi le voci di entusiasmo dei ragazzi, che chiacchieravano, ridevano, scherzavano, come non avevano mai fatto in vita loro. Anche Mika si era lasciato andare a qualche goccio di vino e ora barcollava la testa a fianco di Orga, che al contrario non faceva che ridere a voce alta con Eugene, sotto lo sguardo perplesso ma sorridente di Akihiro. Non mancavano alcuni membri delle Turbines: Lafter, Azee ed Eco si erano unite ai festeggiamenti, anche loro bevendo e ridendo accanto agli amici di Tekkadan. Naze e Amida, invece, osservavano allegri la scena come dei genitori fieri dei propri figli. “Avete fatto un buon lavoro, ragazzi”, dicevano i loro occhi. Poi una mano grande e calda aveva trascinato Yamagi al centro della sala, tra i fischi di approvazione dei compagni. “Forza, Yamagi!”, aveva gridato Shino accompagnandolo in una pseudo-danza con le mani intrecciate alle sue. E a quel punto lui, ancora ragazzino, ancora con i capelli sugli occhi, ancora estremamente timido, si era lasciato trasportare dall’atmosfera di festa e dall’impeto raggiante di Shino. “Oggi è l’inizio che abbiamo tanto atteso e per cui abbiamo lottato tanto!”, aveva strascicato poi Orga inciampando sulle sue stesse parole, alticcio, “Brindate, divertitevi, ballate, oggi è il giorno della vittoria!”. Un grido di approvazione da parte di tutti i presenti, e la serata era continuata fino all’alba.

Ma l’alba della nuova era per Tekkadan non era mai giunta. Quel mattino, Yamagi si sentì ancora più solo. “Che crudeltà sono i sogni. Ti mostrano ciò che avresti voluto vivere e poi ti catapultano di nuovo nel mondo reale senza alcun preavviso, nessun addio. Che fregatura.” Eppure, lui sentiva che qualcosa non andava, come se i fatti accaduti nella realtà nascondessero una verità sconvolgente. Ma Yamagi non sapeva spiegarlo, poiché era una sensazione, un presentimento ricorrente, e proprio per questo non ne aveva fatto parola con nessuno.

Inghiottito dall’abisso d’inerzia spirituale, capì che l’unico posto in cui voleva essere in quel momento era la rupe della tomba di Tekkadan. Allora preparò una borsa in cui mettere dell’acqua e qualche provvista di crackers secchi, dato che il luogo distava un’ora a piedi da casa sua. Durante il tragitto raccolse alcune specie diverse di fiori e, prima di arrivare nei dintorni della rupe scoscesa e spoglia, ne fece un grazioso bouquet. Il colore di quei fiori si scontrava con quel posto, che emanava aridità anche se il suolo era umido di pioggia, caduta poco prima. Ma non appena scorse la tomba, il verde della pianura che si stagliava di fronte alla collina catturò completamente il suo sguardo. “È un bel posto in cui riposare”, aveva pensato più volte Yamagi, “solo che qui sotto non giace nemmeno un corpo. Chissà se almeno la vostra anima ha raggiunto questa rupe?”. Poggiò il mazzetto sulla pietra scura e umida e ci si mise a sedere davanti a gambe incrociate, ignorando la possibilità di sporcarsi gli indumenti. “Siate più resistenti del ferro*”, pregò, rivolto ai delicati boccioli. I suoi occhi si soffermavano ogni volta sulle incisioni grezze fatte sulla superficie del marmo. Nei giorni piovosi come quello, goccioline di acqua la percorrevano come se fossero lacrime.

- Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che la pietra sarebbe stata riempita di così tanti nomi. E del tuo nome. - Yamagi voltò lo sguardo: a est, dietro di lui, il sole era sorto del tutto e i raggi filtravano tra le nuvole cariche di pioggia.

- Niente fiori di ghiaccio, alla fine! – esclamò con la voce tremante. Poi un breve silenzio.

- Costavano troppo. –

Prese la bottiglia riposta nella borsa e sorseggiò un poco d’acqua. “Forse dovevo portare un po’ di sake anche oggi…”, pensò.

- Scusa se il tuo nome non è scritto bene… a dire il vero sembra più lo scarabocchio di un bambino! – riprese - Ma Ride, quando li ha incisi, ha fatto del suo meglio con il coltellino che gli aveva regalato Orga. –

- In fondo non potevamo certo costruire due tombe in posti diversi. Un’unica tomba per tutti voi: era giusto così. - Yamagi posò poi gli occhi su un piccolo cumulo di terra alla sua destra. Sotterrarla lì era la prima cosa che aveva fatto tornato su Marte. Non poteva tenere quella benda, l’ultimo possesso di Shino che aveva stretto tra le mani, in casa: non c’era nessun altro posto in cui poteva rimanere. Almeno un suo oggetto concreto era vicino al luogo in cui la sua scomparsa veniva commemorata.

- Sai, Shino, stanotte ho fatto un sogno stupendo ma anche spietato – riprese, stringendo l’elastico della coda di cavallo - così sono partito per venire qui molto presto. –

- Adesso hai proprio il sole in faccia! – sbuffò e uno Shino con gli occhi socchiusi e le sopracciglia aggrottate per il fastidio apparve davanti a sé. Era un’immagine buffa, ma Yamagi sentì le lacrime salire agli occhi. Tirò su col naso e si passò una mano sul viso per non permettere a queste di scendere e prendere il sopravvento.

- Non so bene cosa sia, ma a volte sento qualcosa di strano. Mi sembra che la tua morte non sia mai diventata… definitiva. Eppure tu non ci sei, avverto benissimo la tua mancanza, fin troppo. Quindi… non sarò io che sono così patetico da non accettarla? – chiese infine rivolto alla tomba, come se stesse conversando con una persona in carne e ossa.

- Tu sei l’unico con cui ne sto parlando. – Poi riprese, sarcastico: - È da sciocchi, vero? Dovrei farlo con qualcuno che può rispondermi, almeno! Però, non saprei come reagirebbero gli altri. Forse mi direbbero che è un processo naturale causato dal dolore? O che mi succede perché non ti ho visto… - Yamagi si bloccò. Cercava sempre con tutto se stesso di pronunciare quella parola, ma ancora non ce la faceva: era come ampliare la sofferenza.

- …perché non ti ho visto andartene sotto i miei occhi?

Poi sospirò. Era inutile porsi tutte quelle domande. Non avrebbe cambiato le cose. Yamagi avrebbe continuato a vivere a modo suo. Mangiando, parlando, sorridendo, lavorando, bevendo alcool. Però c’era una cosa che ancora non aveva fatto: - Scusa, Shino, per ora non ci sono riuscito ad andare a letto con una donna. Trovare il coraggio e la forza è più difficile di quanto pensassi. Ma non preoccuparti, ce la farò! Farò anche questo per te.

Già, ancora una volta doveva combattere contro l’ansia e la paura. Forse anche più che in passato. Salire su un mobile suit e scendere sul campo di battaglia lo aveva sempre intimorito, anche se l’unica volta che lo aveva fatto era stato a fianco di Shino in sella al loro Ryusei-Go IV e in quell’occasione si era sentito protetto, più di quando lavorava nei cockpit delle macchine da riparare. Nonostante questo, la paura più grande l’aveva sempre provata sulla nave, aspettando il ritorno dei suoi compagni. E di Shino. Poi quel terrore era diventato realtà e dopo lo scioglimento di Tekkadan, si era tramutato in insicurezza e timore per tutto ciò che avrebbe riservato il futuro. Solo gradualmente, Yamagi era riuscito a scorgere raggi di speranza: la notava nelle risate dei bambini dell’orfanotrofio, nei sorrisi degli amici rimasti su Marte per iniziare una nuova vita, nell’affetto e nella premura che Merribit e Kassapa mostravano per i loro figli, nei cittadini marziani che scoprivano la luce e l’armonia, adoperandosi per cancellare le tracce di spari e sangue dai muri dei villaggi.

E la sua speranza? Dov’era quel sentimento che lo aveva portato a unirsi a Orga e agli altri per ribellarsi contro i capi della CGS? Cos’era rimasto a lui della sensazione che aveva provato stringendo la mano tesa di Shino che lo incoraggiava ad aver fiducia nel loro leader? Yamagi, fin dal riassestamento a seguito dell’ultima battaglia, aveva trovato l’energia di agire solo dedicandosi al suo lavoro alla Kassapa Factory. Ora non costruiva più armi e munizioni per uccidere, non faceva più la manutenzione ai mobile suit dei suoi amici: adesso creava macchine utili alle persone e meccanismi per incentivare lo sviluppo e il benessere del pianeta sul quale viveva. Amava il suo lavoro. Non poteva ringraziare adeguatamente Kassapa, che dopo lo disgregazione di Tekkadan gli aveva offerto un posto in cui lavorare e aiutato a cercarsi una casa tutta sua. L’unica maniera per farlo era impegnarsi con tutto se stesso in ciò che gli ricordava la sua vecchia occupazione, la medesima che gli aveva permesso di far parte fissa e attiva di Tekkadan e di stare a fianco della persona che amava.

E questo era anche il suo modo di ringraziare Shino stesso per aver lottato in nome di tutti. Adesso doveva vedere e assaporare il mondo anche per lui, vivere anche per lui.

- Senza di te, però, è un po’ difficile… - mormorò. Una folata di vento umido percorse tutta la rupe brulla. Si stava avvicinando un forte temporale, così si alzò per tornare indietro.

- È colpa tua se adesso non mi posso più innamorare di nessuno – disse, toccando la pietra fredda per un ultimo saluto. Dopodiché, sentì dei passi dietro di lui, che lo fecero sussultare dallo spavento. Non avrebbe mai immaginato che qualcun altro sarebbe potuto andare lì quella stessa mattina e così presto. I passi potevano appartenere a una sola persona. Si voltò di scatto e dalla discesa apparve la figura maschile di un ragazzo. Teneva parte del volto coperto da una sciarpa, che arrivava ad avvolgere anche la testa. Però riconobbe subito i ciuffi rossi e fiammeggianti che, ribelli, uscivano dalla stoffa porpora che tentava di nasconderli. Il verde smeraldo degli occhi, poi, fu un’ulteriore conferma.

- Ride! – esclamò stupito Yamagi. Ormai erano mesi che non lo vedeva o aveva sue notizie. Faceva uno strano effetto ritrovarlo proprio lì, alla tomba. Anche il verde degli occhi di Ride fu attraversato dallo stupore nel vedere un secondo ospite. Abbassò così il lembo della sciarpa che copriva la bocca e pronunciò: - Yamagi?!

- Dove accidenti sei stato per tutto questo tempo?! – gridò l’altro avvicinandosi a grandi passi verso l’amico fino ad afferrarlo per il colletto.

- Ho ucciso quel rifiuto umano di Nobliss Gordon – rispose dopo qualche istante di silenzio, scostando la mano dell’amico. Gilmerton lasciò cadere il braccio che aveva alzato, tanto era sconcertato: - Cosa? – sussurrò. Ride non disse altro e, ignorandolo, andò a posizionare un mazzo di dalie rosse sulla pietra tombale.

- Grazie* – sussurrò, unendo le mani come per dire una preghiera. Quando rialzò lo sguardo, Yamagi lo stava scrutando preoccupato.

- Tieni quella sciarpa perché ti hanno identificato, vero? – chiese.

- No, io e gli altri ragazzi siamo stati cauti. Abbiamo agito in fretta e non ci siamo fatti vedere mentre scappavamo. Me la sono messa solo per precauzione – disse, sciogliendola e abbassandola sulle spalle. Proprio come faceva il loro leader. Yamagi si sentì molto meglio dopo quella notizia. Tuttavia, mai avrebbe creduto che Ride avesse progettato di farlo davvero. “Le sue non erano parole al vento”, pensò.

- Scusa, ma non starò qui a sentire la predica. L’ho fatto perché era giusto così e non ho intenzione di cambiare idea – sentenziò il ragazzo. Yamagi provava sempre un enorme dispiacere quando sentiva parlare così colui che era stato il piccolo e giocoso Ride. Era da troppo tempo che non lo vedeva sorridere. Tutta la sua spensieratezza, la sua loquacità, le sue risate schiamazzanti, erano sparite quel giorno di sangue, tra le braccia di Orga e di fronte ai suoi occhi smeraldo di bambino sbarrati dal terrore.

- Non voglio farti nessuna paternale – affermò poi con tono grave – Sarei un ipocrita se lo facessi.

Ride si stupì di quelle ultime parole: a quanto pare anche Yamagi aveva sempre voluto che almeno Gordon, colui che aveva ordinato la morte di Orga, dovesse pagare con la propria vita. Riflettendo, però, si rese conto che anche lui aveva un motivo per chiedere giustizia: sapeva bene quanto avesse voluto bene a Shino Norba, un legame che superava di gran lunga l’affetto fraterno e di amicizia.

- Comunque… adesso cosa farai? – tornò a chiedere Yamagi. Un’altra ventata carica di umidità arrivò sulla collina e Ride si passò una mano tra i capelli prima di rispondere: - Farò delle ricerche. Anzi, a dire il vero ho già cominciato. – L’amico gli rivolse un altro sguardo allarmato.

- Voglio accertarmi di tutte le morti dei nostri compagni caduti in battaglia – continuò, grave – So che sembra una cosa impossibile, ma io e i ragazzi siamo già riusciti a infiltrarci in alcuni archivi governativi.

Yamagi non poteva credere alle proprie orecchie: - Hackerare i server del Governo Principale?! Sei impazzito?! Sai cosa potrebbe succedere se vi scoprissero e identificassero? –

Ride lo guardò dritto negli occhi: - Siamo pronti a vivere come ricercati.

- Tu non ti rendi conto di quello che dici! – sbottò infine Yamagi, perdendo il controllo del tono della voce – Accidenti, Ride, torna in te! Non è per questo che Orga si è sacrificato! –

Il ragazzo, al nome del loro leader, sentì il naso pizzicare e le labbra si curvarono con forza per impedirgli di scoppiare a piangere. Le lacrime, però, inondavano già le sue iridi verdi come i campi che si stagliavano di fronte alla pietra nera di Tekkadan.

- Non trascinare gli altri ragazzi in queste pazzie, non sprecare la tua e la loro vita! – Fu Yamagi che, vedendo la smorfia di dolore disegnata sul volto del compagno, si lasciò andare a un pianto sommesso. Odiava farsi vedere con le lacrime agli occhi, odiava più di ogni altra cosa mostrarsi così debole, ma in quel momento non poté fare a meno di venir trascinato, insieme a Ride, nell’angoscia della perdita, che premeva spietata ogni giorno nel suo petto. Era difficile ignorarla e a volte era inevitabile perdere la battaglia contro quel sentimento opprimente. Si avvicinò al ragazzo e lo avvolse in un abbraccio sincero, che venne accolto pienamente.

- Torna a sorridere, piccolo Ride. Dimentica la vendetta, dimentica il rancore e vivi la vita che il nostro leader ha protetto.

Ride strinse Yamagi ancora più saldamente, poggiando la fronte sulla sua maglietta. Forse era questo ciò che aveva sempre desiderato: una spalla su cui piangere, un caro amico con cui sfogare il proprio dolore.

Dopo qualche minuto, Ride si scostò da Gilmerton e questi gli porse un fazzoletto.

Allora Ride nascose il volto nel pezzo di carta che gli era stato dato e accennò un debole sorriso.

Yamagi ricambiò, ma sentiva il cuore colmo di commozione vedendo il suo vecchio amico acquisire pian piano un atteggiamento più sereno. Sarebbe servito molto tempo perché Ride ritrovasse il proprio carattere dopo le esperienze vissute, questo lo sapeva, però era sicuro che il peggio fosse passato. Ognuno elabora un trauma a modo suo e Ride aveva perso la retta via perché era stato costretto ad assistere alla morte violenta di un suo compagno; quindi, Yamagi non lo aveva mai biasimato per il suo cambiamento. Ciononostante… era stato doloroso vederlo vivere in quello stato.

- Insomma, mi prometti che non farai altre cavolate? – chiese poi, tornando serio – Abbandonerai questo progetto suicida, vero?

Ride ripose il fazzoletto nella tasca e portò gli occhi gonfi su quelli dell’amico: - Sì… proverò a parlarne anche con i ragazzi.

Poi si voltò un’altra volta verso la tomba.

- Non avrei mai creduto di trovare pace proprio in questo posto.

Yamagi si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla: - Nemmeno io, sai? Ogni volta che giungo qui mi dispero e basta. “Forse non è ciò che loro vogliono”, mi dico, ma è troppo difficile pensare a quello che ci è successo senza darsi tormento.

Ride tirò ancora su col naso, ricacciando indietro nuove lacrime.

- Questo non vuol dire che possiamo mettere in pericolo la nostra stessa vita – aggiunse poi Yamagi – Capito?! – e dette un colpetto in testa a Ride. Questi si ritirò, come un bambino che scappa dalla ramanzina della madre. Seguì il silenzio, durante il quale i due si persero nell’ammirare la distesa verde che sottostava la rupe. Quella tranquillità era terapeutica. Un tuono, però, li ridestò dal paesaggio e decisero di lasciare la collina: non sarebbe stato prudente viaggiare con la pioggia. Anche Ride l’aveva raggiunta a piedi, così fecero i primi passi insieme per proseguire in direzioni diverse.






Quello era un giorno di festa, ma Yamagi si preparò la solita colazione: due fette di pane tostato farcite con della marmellata e accompagnate da una tazza di latte caldo. Dato che non doveva andare al lavoro, si era concesso di svegliarsi più tardi del solito. Mentre buttava giù l’ultimo sorso, pensò a come passare la giornata. Magari avrebbe fatto visita all’orfanotrofio in cui lavoravano Dante e Derma. D’altronde, per gli ex membri di Tekkadan il “Giorno della Rinascita”* non era motivo di celebrazione, perché segnava la fine definitiva della loro brigata.

Il suono del campanello catturò la sua attenzione mentre stava pulendo in cucina, così andò ad aprire chiedendosi chi potesse essere.

- Ride! – esclamò, sorpreso.

Incuriosito e un po’ preoccupato dal perché fosse venuto a trovarlo, gli disse di accomodarsi, non prima di aver controllato se fuori ci fosse qualche presenza sospetta: in fondo aveva davanti l’assassino di un politico importante!

- Ti faccio un caffè, ti va? – propose, cercando di non far trasparire troppo l’ansia. Anche Ride aveva un’espressione davvero seria e dopo un attimo d’incertezza rispose distrattamente: - Mh… sì, grazie –

Che avesse già cambiato idea sulla promessa fatta pochi giorni prima? O forse non aveva trovato l’appoggio dei compagni, che al contrario desideravano portare avanti le ricerche?

- Ride, cosa c’è? – Yamagi andò dritto al punto. Il ragazzo rispose prima con uno sguardo indecifrabile, poi fece un lungo respiro e disse: - Senti, Yamagi… c’è una cosa di cui devo parlarti e… - si grattò la testa - …e credo che interessi anche a te. Quindi… almeno questo lasciamelo fare.

Gilmerton aspettò che continuasse, posando tutti gli arnesi da cucina. Il caffè poteva aspettare.

- Mi è giunta notizia che oggi, proprio nel Giorno della Rinascita, verranno rilasciati alcuni prigionieri politici di Gjallarhorn.

Yamagi avvertì un tuffo al cuore. Un boccone amaro che scese nello stomaco senza aver scelto di inghiottirlo.

- Hanno optato per il 2 maggio in modo da approfittare della folla che si creerà nelle città, così, per non destare troppa attenzione. Rilasceranno in gran segreto i detenuti considerati “non più a rischio”, quelli che secondo i capi del nuovo governo non sono più pericolosi. –

Mentre Ride continuava a parlare, per Yamagi era sempre più difficile seguire la logica del suo discorso. Pensieri e domande si accavallarono nella mente, prepotenti e spietati come lame di vetro che scuoiavano la pelle. Anche Ride si accorse dello stato confusionale dell’amico; allora si alzò e diresse gli occhi smeraldo, ormai privi di ogni incertezza, sui suoi:

- So che andrai anche tu – Yamagi lo guardò sconvolto.

- Non voglio illuderti, però… come potevo non dirtelo? – concluse abbozzando un sorriso velato di tristezza. Yamagi tremò. Ma era giusto essere così speranzoso? Non si sarebbe fatto male con le proprie mani? Eppure… una minima possibilità esisteva, no? Un mero raggio di speranza in quella vita incompleta: era così sbagliato crederci? Ride pensò che a rimanere sarebbe stato solo d’impiccio, quindi appoggiò la mano sulla maniglia e si rivolse un’ultima volta a Yamagi: - Tra mezz’ora, proprio di fronte al carcere principale.

Chiuse la porta e fece i primi passi per tornare nel centro città, con nel cuore la stessa speranza che aveva il suo amico. Sapeva che una notizia del genere lo avrebbe destabilizzato, lo avrebbe fatto soffrire. Ma anche solo con l’1% di probabilità, doveva farglielo sapere. Se davvero Shino era ancora vivo, Yamagi doveva essere il primo a scoprirlo.




Cos’era quella sensazione? Era la stessa che aveva provato altre volte negli ultimi tre anni? Forse ne era figlia, una versione più forte, più vivida, più presente, più soffocante. Yamagi portò indice e medio al colletto della maglia per allentarlo: la stanza si stava riempiendo di sole, tornato a riscaldare quella zona di Marte dopo alcuni giorni di pioggia. Provò ad aprire le finestre, ma il cuore gli batteva ancora troppo forte e l’ossigeno entrava irregolarmente nei polmoni bisognosi. Si accasciò a terra prendendosi la testa fra le mani.

- Cazzo! – esclamò, mantenendo un tono di voce basso. Poi, in un angolo della memoria, si formulò un pensiero, che lo pietrificò come di fronte a un’epifania. “Quel presentimento… che fosse…?” Aveva sempre sentito qualcosa di storto, qualcosa di incompiuto. Una sensazione che nasceva sempre quando pensava a Shino. E una corrente di ricordi germogliò, come i fiori nati su Marte che aveva sempre voluto far mostrare alla persona amata e che amava tuttora: una mano grande che lo tirava a sé per farlo uscire dal cockpit, il rossore sulle guance dopo un piccolo contatto, la gelosia della sua voglia di compagnia femminile, l’ammirazione per quel carattere positivo, il desiderio spudorato di stringersi a lui. Tutte scene che la sua mente gli aveva mostrato accompagnandole ad angoscia, tristezza, solitudine.

E se davvero…

Invece, adesso, quelle immagini erano più luminose, gli facevano sì tremare le mani, battere il cuore e boccheggiare, ma di impazienza, di aspettativa…

Yamagi spalancò la porta, la richiuse sbattendola rumorosamente e iniziò a correre per il sentiero sterrato. Le gambe si muovevano più forte che potevano, aiutate dalle braccia piegate per darsi la spinta giusta. Poco dopo, Ride se lo vide passare accanto e senza trattenere qualche lacrima, gridò: - Forza, Yamagi!

I primi giorni dopo la ribellione alla CGS, Yamagi non aveva ancora idea di quanto Shino fosse già importante per lui. “A quel tempo ero felice solo guardandoti. Mi bastava lavorare ai tuoi mobile suit… lavorare a quelle macchine significava proteggere la tua vita con le mie mani”. Curvò, mantenendo la stessa velocità: altri pochi metri e si sarebbe trovato nella piazza principale.

Però… non mi è bastato. Ricordi, Shino? Quella volta mi hai invitato a bere.” Ormai lacrime calde rigavano il suo volto, arrossato per lo sforzo. “Non credevo che sarebbe stata l’ultima volta. O forse… non volevo ammettere che già lo sapevo”. Svoltò l’ultimo angolo e si ritrovò finalmente nella piazza, ghermita di gente uscita in strada per celebrare la liberazione dai ribelli del colpo di stato. “Avrei voluto dirtelo, sai: non andartene così, non lasciarmi. Ma tu, facendo parlare il tuo viso sorridente, era come se mi dicessi: non preoccuparti, anche se vado via te la caverai da solo. Volevi dirmi che mi avresti incontrato di nuovo? E come, Shino? Come?!”


E intanto corro, e corro e ti penso. Mi immagino abbracciarti di nuovo, mentre assaporo ancora il tuo sorriso sghembo e luminoso, mentre osservo la forma dei tuoi occhi all’ingiù. Eugene mi ha detto che avevi capito, Shino… avevi capito più di quanto io stesso avrei voluto. Ma non mi hai dato la tua risposta. Se dovessimo rincontrarci, mi rifiuteresti? Mi parleresti come fanno i vecchi amici? Non importa, Shino. Sai, in realtà non vorrei che tu mi abbracciassi, che mi dicessi “ti amo” o che sono la persona a cui vuoi più bene: a me basterebbe vederti sorridere, anche solo da lontano… Io, intanto corro, corro a più non posso, con il cuore in gola, i polmoni distrutti e le gambe che fanno un male cane, come se un pericolo mi stesse inseguendo. E forse è davvero così: se non corro rischio di venire inghiottito un’altra volta dall’abisso nero. Quindi non mi fermerò fino a quando non ti avrò scorto tra tutta questa folla. Mi divincolo tra la gente, la urto, faccio cadere qualcosa a una signora, urlo “scusa”, ma non posso trattenermi ad aiutarla, anche se volessi: le gambe sono talmente stravolte che non ce la farei a stare in piedi fermo. Però sento di doverti dire almeno una cosa, Shino. Chiaro e tondo. Avrei dovuto farlo prima di salutarti l’ultima volta. Senza di te non c’è nulla. Quindi, anche se non mi volessi al tuo fianco, ti prego, Shino, non andartene più, mai e poi mai. Non lasciarmi mai più. Me lo avevi promesso, no? Mi avevi detto che saresti tornato! E allora io avrò fiducia in te, crederò alle tue parole. Anzi, l’ho sempre fatto. Quella sensazione… sapevo che non te n’eri andato sul serio. Stai tornando da me, vero? Sai, credevo di aver fatto male a darti ascolto. Credevo che quel giorno non avrei mai dovuto lasciar andare la tua mano. Ma, forse, oggi scoprirò di non averlo fatto inutilmente. E per colpa tua piango, piango mentre respiro a malapena. Però ti ringrazio, Shino, per essere stato al mio fianco anche quando sono rimasto da solo. Ti ho sentito tante volte gridare: maledetto, ce la puoi fare! Non arrenderti così! E intanto mi odiavo, perché senza il tuo ricordo non riuscivo ad andare avanti. Quando ero stanco, smarrito e cadevo in quell’abisso di disperazione, io pensavo a te e alle tue ultime parole. Veglia su di me. Almeno da lassù, dallo spazio aperto in cui ho dovuto lasciarti, stammi vicino, ti chiedevo. Ma adesso è diverso. Corro per vederti ancora una volta, corro per sentire la tua risata, corro per dirti finalmente ti amo, che sei la prima cosa che ho amato in questo universo.


Yamagi aveva quasi raggiunto l’altra estremità della piazza. Gli ultimi passi, le ultime persone da scansare. Poi si bloccò di colpo, con le gambe inchiodate al suolo, incapaci di muovere un singolo muscolo. I suoi occhi spalancati si inondarono di altre lacrime, che gli annebbiarono la vista. Li asciugò, pensando di aver appena sognato. Di aver visto un miraggio.

No. Shino era davvero davanti a lui, a pochi metri di distanza, e lo guardava con la sua stessa espressione sbalordita. Una sacca di cotone in spalla, una divisa anonima, una cicatrice sul volto. Yamagi non poté sentirlo, ma vide la sua bocca scandire tre sillabe: Ya-ma-gi. Questi sorrise, un groppo in gola di sfinimento e commozione. Voleva raggiungerlo, ma le sue gambe non si muovevano ancora. Allora le colpì con i pugni, scossoni che gli avrebbero permesso di fare gli ultimi passi. Non appena il suo piede avanzò, anche Shino iniziò a correre, gettando lo zaino a terra, con le labbra già inarcate nel sorriso che Yamagi aveva sognato tante, troppe notti.

Si scontrarono con violenza, buttando le braccia al collo l’uno dell’altro, tra gli sguardi perplessi dei passanti e sotto il cielo terso. Yamagi pronunciò infinite volte il nome della persona che amava. Shino carezzò la nuca di lui, travolto anch’egli dalle lacrime che aveva ricacciato indietro infinite volte, dietro le sbarre, nei momenti in cui il desiderio di libertà era stato tremendamente forte. Yamagi cedette, gli arti non riuscivano più a reggerlo, tuttavia Shino lo prese in braccio, come una principessa. Tra altri sguardi dubbiosi e quello incredulo di Yamagi, cominciò a correre.

- Shino, cosa-? – iniziò.

- Devo risponderti, Yamagi! Ma non posso farlo davanti a tutta quella gente – disse Shino tra un affanno e l’altro. In poco tempo, arrivarono sul ponte del fiume che percorreva la città ricostruita. Non c’era nessuno, poiché tutti gli abitanti avevano riempito il centro urbano. Shino fece sedere Yamagi sul bordo del ponte, sorreggendolo con le braccia che, seppur in quei tre anni non avevano svolto molto esercizio, erano ancora molto robuste. Entrambi avevano il fiato corto, i muscoli doloranti, gli occhi gonfi e umidi. Shino portò una mano al volto di Yamagi, che sussultò, mentre con l’altro braccio gli avvolse la vita. Yamagi si sentiva stordito. Quante cose incredibili dovevano succedere ancora quel 2 maggio? E poi: era davvero reale ciò che stava vivendo? O era un altro dei sogni spietati che si ostinavano a farlo soffrire?

Sogno o realtà, Shino si stava avvicinando al suo volto, abbassando le palpebre, e le loro labbra si unirono in un bacio disperato, come a voler recuperare il tempo trascorso lontani l’uno dall’altro. Tre anni. Erano cambiati molto nel frattempo: entrambi erano cresciuti in altezza, i capelli si erano fatti più lunghi, gli animi più forti. Si abbracciarono ancora, per poi guardarsi dritti negli occhi.

- Allora è questa la tua risposta? – chiese Yamagi, con voce tremante. Shino sorrise: - Sì! Ti amo, Yamagi.

Questi sentì l’ennesimo tuffo al cuore e gridò con tutta la voce che aveva in corpo: - Anch’io ti amo, Shino! Più di ogni altra cosa al mondo.

Poi aggiunse: - Rimarremo insieme, adesso?

Shino allargò un sorriso sghembo e gli dette un bacio scherzoso, prima di rispondere: - Certo! E stavolta sarà per sempre!


Suga (BTS) - “First Love”

Ricordo quel momento.

Ti guardavo con ammirazione, ti desideravo.

Non avevo idea di quanto per me valessi a quel tempo.

Allora ero felice solo guardandoti.

Non importava dove mi trovassi, hai sempre difeso quel posto.

Ma non sapevo che sarebbe stata l’ultima volta.

Mi dici: “Non andartene così”.

Non preoccuparti anche se vado via.”

Te la caverai da solo.”

Mi ricordo di quando ti ho incontrato per la prima volta.

Prima che me ne rendessi conto, sei cresciuto.”

Non dispiacerti mai per me.”

Ti incontrerò di nuovo, non importa sotto quale forma sarà.”

Quel giorno, salutami con gioia.”

Anche se ero stato via per tanto tempo, tu mi accettasti senza repulsione.

Senza di te non c’è nulla.

Dopo l’alba, noi due abbiamo accolto il mattino insieme.

Non lasciare la mia mano, e che sia per sempre.

Neanche io ti lascerò di nuovo andare.

Abbiamo riso, abbiamo pianto.

Quei giorni con te, quei momenti sono ora nei miei ricordi.

Afferrando le mie spalle distrutte, dissi:

Non ce la faccio più, davvero”.

Ogni volta che volevo arrendermi, tu al mio fianco mi dicevi:

Maledetto, puoi farcela! Davvero!”

Sì, sì, mi ricordo di quella volta, quando ero stanco e smarrito.

Quando caddi in un abisso di disperazione.

Anche quando ti allontanai, quando rimpiansi di averti conosciuto.

Tu eri saldamente al mio fianco, non avevi bisogno di dire niente.

Però non lasciare mai la mia mano, neanche io ti lascerò una seconda volta.

Tu sarai lì a vegliare su di me.




Testo riadattato dalla traduzione del sito: BangtanItalianChannel2





*Tekkadan, il nome del gruppo ribelle capitanato da Orga Itsuka, significa letteralmente “brigata del fiore/petalo di ferro”. Quindi Yamagi fa riferimento proprio al nome della Brigata di cui faceva parte.

*Ho scelto le dalie rosse proprio perché stanno a simboleggiare gratitudine e riconoscenza.

*Giorno della Rinascita: una festività che, nella mia immaginazione, è stata ideata da Rustal Elion dopo la vittoria contro McGillis e Tekkadan. Si celebra il 2 maggio.

   
 
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