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Autore: Ibuki Satsuki    03/07/2017    4 recensioni
«Non hai proprio niente da fare, di sabato pomeriggio? Ce l’avrai, qualcun altro da importunare?» Gli domandò, in un sibilo. Lo vide stringersi nelle spalle, con nonchalance.
«Sì» annuì. «Te» aggiunse poi, guardandola arrossire ancora di più. Quello spettacolo gli stava piacendo fin troppo. Se non avesse iniziato a fare qualsiasi altra cosa, l’avrebbe presto acchiappata per i fianchi per baciarla. Lì davanti a tutti.
«Prima o poi, ti metterò le mani addosso» mormorò la mora, con un perfetto timbro da serial killer e l’espressione omicida. Si chinò a raccogliere lo skate nuovo di zecca che Adrien avesse depositato in terra, sollevandolo e rigirandoselo fra le mani. Tuttavia, quella battuta non fece altro che aumentare il divertimento che il biondo stesse ricavando, dall’intera faccenda.
«Non vedo l’ora» commentò lui, giocherellando col piercing al labbro.
[bands!AU | university!AU | punk!Adrien | skater!Marinette | humans!Tikki/Plagg]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Black Flag





 
❚❚ Queen - Don't Stop Me Now

«I'm burnin' through the sky yeah
Two hundred degrees
That's why they call me Mister Fahrenheit
I'm trav'ling at the speed of light»



 



 

Adrien Agreste era sempre in ritardo. Sembrava che il tempo fosse un'unità di misura completamente al di fuori della sua dimensione di realtà. Gli orologi, in camera sua, erano orpelli privi di significato. I quali, una volta fermatasi la batteria, avrebbero potuto giacere anche settimane, in quell'asettica stasi. Limitandosi a segnare l'orario esatto per sole due volte al giorno. Ma a lui non importava. L'unica unità di tempo che pareva contare, per il ragazzo, era la durata media di una canzone. Egli impiegava la musica come strumento per prendere coscienza dei minuti che scorrevano. Riusciva a ragionare solo in termini di brani. Si riteneva in perfetto orario, quando impiegava un'unica traccia per giungere in università, o almeno tre per arrivare al garage di casa Kwami, dove provava con la sua band tre volte a settimana.
Al di là della sua bizzarra scansione temporale, Adrien Agreste era la personificazione speculare di ciò che si potesse trovare nel suo iPod. Indossava abiti rigorosamente neri e dal gusto elegante o maltrattato, a seconda dell'umore del momento. Le sue unghie erano spesso mangiucchiate, dipinte dello stesso colore delle piume di corvo; con qualche scheggia color carne qui e lì, a causa della velocità con cui pizzicasse le corde del basso o della foga con cui usasse picchiare le bacchette sui tamburi della batteria, di quando in quando. Gli occhi, grandi, dal taglio felino e le iridi smeraldine; erano, quando si esibiva, cerchiati da una spessa linea di eyeliner. Facendoli risaltare ancor di più, soprattutto quando il cosmetico tendeva a scendere lievemente al di sotto della palpebra, donandogli un'aria sfatta e vissuta, di lancinante ed immortale bellezza. I suoi amici non riuscivano a ricordare quale fosse stata, l'ultima volta che lo avessero visto con abiti in sfumature differenti da quelle dell'ebano. Non ne era in grado egli stesso, di ricostruire quell'immagine così lontana dal suo essere attuale.
Sapeva solo che, a dodici anni, suo cugino Andrew gli avesse fatto ascoltare per la prima volta un brano dei Queen. Si chiamava "Headlong". L'aveva sparato a tutto volume in camera sua, nel pieno della sua fase rock di ribellione adolescenziale, attirandosi il piccolo ed affascinato ragazzino sulla soglia della porta. Che lo guardava strabiliato, mentre lui si contorceva sul letto a riprodurre l'assolo di chitarra, sentendosi una vera celebrità. A Adrien era parso, in quel momento, di udire l'essenza stessa della musica, negli accordi di Freddie Mercury. Ebbe la stessa epifania che sperimentavano solitamente le persone, nel sentire i componimenti classici per la prima volta. Era rimasto fermo, in piedi, con gli occhioni spalancati e le labbra dischiuse, in completa fascinazione. Nel momento in cui il lettore musicale aveva slittato a "The Show Must Go On", il bambino era quasi scoppiato in lacrime, per quanto bella ed eterna gli fosse parsa, quella canzone.
Da quel momento in poi, la sua vita aveva ricevuto un'unica e decisiva impronta: quella della musica. Il giovane aveva continuato ad ascoltare quei brani di classica gloria, ampliando i propri orizzonti e scoprendo, a sedici anni, il mondo del metalcore. Lì, sentì di essere finalmente a casa. E con quel sentimento, compì una metamorfosi definitiva. Si costruì una sorta di alter ego, dietro il quale confezionare tutti i lati più sensibili del proprio carattere, celandoli al di là dell’ombra di una maschera; una sicurezza per certi versi fittizia, ma che gli permise di crescere. I colori degli abiti nel suo guardaroba iniziarono a digradare inevitabilmente verso il nero; la frangia sulla fronte si fece più piena e delineata, gli occhi cominciarono a vestirsi di una sottile linea scura, lungo tutto il contorno della palpebra inferiore. I lobi delle orecchie vennero lentamente forati in più punti, fino a contare ben otto piercings ciascuno. Ne aggiunse anche uno sulla nuca, un anellino al lato destro del labbro inferiore e un'ultima, subdola sferetta sulla lingua. I suoi amici presero a chiamarlo “Chat Noir”, gatto nero. E quel nomignolo divenne anche la propria firma distintiva, quando si avventurava nelle banlieues, per riempire muri fatiscenti con i brillanti colori delle sue bombolette. Suo padre aveva a lungo combattuto contro quella tendenza di riottosità adolescenziale così pronunciata, arrendendosi finalmente quando il giovane ebbe compiuto la maggiore età. Notando, con sommo dispiacere, che i suoi adorati amichetti di titanio o metallo fossero ancora lì. E che lui non avesse alcuna intenzione di separarsene.
Lentamente, impararò ad accettare quell'ombra silenziosa che si muoveva per casa, sopportando la sua musica potente a qualsiasi ora del giorno e della notte; abituandosi a sentirlo imprecare quando ingoiava accidentalmente una pallina del piercing sulla lingua, o nei momenti in cui le sferette sulla nuca s'impigliavano nei maglioni. Fece il callo ai quantitativi sempre minori di epidermide eburnea priva d'inchiostro sul corpo del suo unico figlio, provando invece a lasciarsi coinvolgere da quell'interiorità così vasta e, in qualche modo tormentata. Si fece spiegare il significato del termine giapponese "yuugen", che lui avesse tatuato sul polso sinistro in eleganti ideogrammi d'ebano. Sollevò un sopracciglio, sentendolo spiegare che "la coscienza stessa dell'universo è in grado di generare delle risposte, nell'animo umano, di una vastità tale da non essere in grado di trovare rappresentazione alcuna nelle parole". Accettò la propensione che quel ragazzo vestito di tenebra avesse, per la musica e per il canto. Finì per volergli bene anche più di prima, a causa di tutte le piccole caratteristiche che, vivendo in una società come quella in cui loro fossero calati, avrebbero finito per precludergli molte strade. Ma, ancora, a lui sembrava non importare. Metteva le cuffiette nelle orecchie, lasciava partire i Queen e il mondo ricominciava a girare nel verso giusto.
Seduto alla fermata dell'autobus, tenendo il ritmo della batteria battendosi le palme sulle cosce, non sembrava minimamente infastidito dall'idea che la sua lezione di letteratura inglese sarebbe cominciata in meno di dieci minuti, e del mezzo pubblico non si scorgesse neanche l'ombra. Nella sua mente, lui era Freddie Mercury e stava stringendo un microfono, saltando da un tavolo all'altro di un salotto anni '90, urlando "don't stop me now". Poco ci mancava che non iniziasse a cantare a squarciagola, afferrando il palo della luce poco lontano dalla pensilina, gridando "call me mr. Farenheit" al vento, lanciandosi in un virtuosistico acuto alle due del pomeriggio d'inizio marzo.
Le occhiatine di biasimo che una coppia di signore piuttosto anziane gli riservarono, scivolarono sul suo scuro giubbotto di pelle come le lievi gocce di pioggia primaverile. Perché, in perfetto contrasto con il suo aspetto dark ed intimidatorio, nel profondo lui era pur sempre un comunissimo ragazzo di vent'anni. Adorava i film comici, giocare ai video games e suonare con i suoi amici. Quella parte più oscura e sensibile di lui, emergeva solamente quando componeva o si ritrovava a passeggiare per le viuzze di Parigi alle quattro del mattino, raccogliendo materiale per i suoi testi, partendo dalle emozioni che la strada e i suoi abitanti fossero in grado di suscitargli. Era una persona complessa, Adrien Agreste. Articolata e dalle migliaia di sfaccettature proprio come un brano dei Queen, la sua band preferita di tutti i tempi. Grazie all'abitudine di appiccicarsi tutto quel nero indosso, era riuscito a diluirlo dalla sua stessa anima.
Quando si rese conto che l'autobus fosse finalmente giunto alla fermata, si sollevò dalla pensilina, recuperando il suo zaino scuro ed issandoselo sulle ampie spalle, lasciandolo pendere solo dalla destra. Si accomodò ad uno dei posti in fondo, incollando lo sguardo al finestrino, mentre nel suo iPod Vic Fuentes si succedeva a Freddie Mercury. Sentendosi trasportato in una dimensione più tagliente e sicuramente meno lontana nel tempo. Osservò il traffico pomeridiano scorrergli sotto lo sguardo, mentre i pendolari riempivano i loro tempi morti con chiacchiere vuote, discutendo delle condizioni meteo o delle abitudini dei propri familiari. Adrien teneva il tempo con il piede, battendolo ritmicamente sul pavimento dell'automezzo, senza perdere un colpo. Attese che l'autobus svoltasse e s'immettesse in una stradina secondaria, costeggiando un centro abitato. E, come d'abitudine, scorse sempre la stessa ragazza sfrecciare in skateboard, muovendosi in linea parallela al mezzo pubblico.
Quella scena, era la medesima che si ripeteva ogni settimana. Tanto, che il biondo avesse perfino dato un soprannome a quella figura, per certi versi anche comica, che gli capitasse di scorgere. L'aveva chiamata "Coccinella" senza un motivo apparente. Forse perché gl’indumenti che le vedeva addosso, avevano sempre a che fare con il rosso ed il nero. E poi, gli suonava bene. Trvoava che le si addicesse. Così, aveva deciso di tenerlo. Tutti i mercoledì pomeriggio, Coccinella sfrecciava sulla sua tavoletta, condividendo il tragitto con l'autobus per quasi cinquanta metri, prima di svoltare in una traversa. E, nonostante quella familiarità quasi quotidiana che li legasse, Adrien non era mai riuscito a vedere il volto di quella ragazza.
La giovane aveva dei lisci capelli d’ebano, che le ricadevano sulla fronte e la schiena stretta in maniera disordinata, scomposti dal vento nonostante i due codini bassi in cui tentasse, senza successo, di disciplinarli. Portava sempre delle enormi cuffie Beats alle orecchie e vestiva in maniera sgangherata; con largo dispendio di camice a pois, top attillati, jeans rattoppati e Vans bucate. Il perfetto stereotipo della skater da rampa al parco di periferia. Sicuramente, nello zainetto nascondeva anche qualche bomboletta spray. Il biondo era divertito, da quella singolare figuretta in equilibrio sulla tavoletta. La sentiva così distante da se stesso, da essere convinto che non si sarebbero mai e poi mai parlati. O che, se mai avessero dovuto farlo, il contrasto sarebbe stato talmente stridente, da indurli a detestarsi reciprocamente in tronco.
Lanciò un'ultima occhiata a Coccinella, osservandola piegarsi leggermente sullo skate e prendere la solita curva, sparendo nel vicolo, mentre il suo autobus procedeva dritto. Allora, distolse lo sguardo, riportandolo sulle sue ampie mani nodose, smanettando con l'iPod per cambiare canzone. Chiedendosi distrattamente che aspetto potesse mai avere, quella giovane. E cos'altro facesse, nella vita. A parte condividere alcuni secondi con la sua esistenza, senza neanche saperlo.


 





 


✿ Ibuki's little letter:  eccomi anche qui! Ultimamente salto da un fandom all'altro come se fosse una disciplina olimpionica...! Dunque, vi consegno questa storia, alla quale sono molto legata per tutta una serie di motivi, facendo i dovuti disclaimers: i protagonisti sono tutti maggiorenni ed hanno età diverse. Per esempio, Nino è più grande di Adrien e anche Nathaniel. Inoltre, il nostro Chat Noir è qui presentato in una versione molto particolare, pieno di piercings e tatuaggi! I Kwami sono umani, da come noterete nei capitoli successivi. Inoltre, il linguaggio sarà sempre abbastanza esplicito (ecco anche perché il rating arancione, oltre alle differenti tematiche trattate). Essendo la prima volta che scrivo su Miraculous, è probabile che i personaggi vadano un po' OOC... in caso, vi prego, fatemelo notare!! La storia sarà narrata in terza persona, ma il focus rimarrà sempre su Adrien e Marinette. I capitoli sono divisi secondo questa sequenza: artisti glam rock/metal/emo-hardcore per Adrien, alternativi/rap/indie per Marinette! I disegni all'inizio, sono tutte stampe dell'artista Banksy.
Penso di avervi detto tutto, credo... come di consuetudine, ringrazio in anticipo chiunque passerà a dare un minuto del proprio tempo a questa long! Sappiate che i vostri pareri sono sempre ben accetti, anche per rendermi conto di come procedere, o nel caso ci fossero accorgimenti da correggere! Alla prossima (?)


 



 
   
 
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