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Autore: serClizia    04/07/2017    3 recensioni
Raccolta di Drabble che poi diventano sempre Flashfic
1 - Castiel ha problemi a capire l'utilità del preservativo.
2 - Nel bunker c'è uno spazzolino per Cas, anche se gli angeli non hanno cose come spazzolini.
3 - Book Club AU
4 - Samantha non ne può più di trovare caramelle nei suoi reggiseni.
5 - un bacio sulla strada di casa
6 - Gabriel adora dormire con la testa sul petto di Sam perché gli piace sentire il battito del suo cuore.
7 - Dean/Sam/human!Impala/human!Laptop foursome - vero amore
8 - “This is… a book about us?”
9 - Insonnia
10 - Twitter!AU
11 - AU in cui Cas è un pizzaiolo. E Dean comincia inspiegabilmente a preferire la pizza ai cheeseburger.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prompt: Dean si trova catapultato nel corpo di Jensen. Jensen che ha una relazione molto spinta con uno che sembra Cas, ma non è Cas.
Titolo: Amiss.
Parole: 3.131
Note: non proprio catapultato nel corpo di Jensen, ma la mia mente è ferma là al finale di stagione, quindi this happened.


 
Era tutta colpa di quella dannata spaccatura.
Ci era entrato senza pensarci, senza considerare dove sarebbe andato a finire. Il figlio di Lucifero era sparito, non riuscivano a trovarlo, e Sam si ostinava a dirgli di chiamarlo Jack come se la cosa gli importasse. Come se non avesse dovuto lasciare il corpo di Cas, scomposto sul terreno, per ore. Ore.
E quando non erano riusciti a trovare la dannata progenie del demonio, Dean era tornato sui suoi passi ed era rimasto lì, a guardarlo, le gambe piegate, i segni delle ali bruciate, il vuoto ad abitargli la cassa toracica.
Così, quando quella cosa era riapparsa, brillante e frastagliata, non aveva speso molti pensieri alle conseguenze, a Sam, era entrato e basta, perché ogni cosa sarebbe stata meglio di quello.
Quando aveva riaperto gli occhi, dall’altra parte della spaccatura, era in una camera d’albergo. Si guardò intorno brevemente, non riconoscendo niente, senza capire come fosse riuscito a finire in una di quelle stanze lussuose che lui e Sam non si sarebbero mai potuti permettere. La spaccatura, intanto, era scomparsa.
La televisione era accesa su di un tizio con i dei buffi capelli arancioni – e una faccia da coglione orribile – che parlava agitando delle piccole mani, e Dean rimase a fissarlo per un po’, stupito di vedere il simbolo presidenziale alle sue spalle. Quello era il Presidente degli Stati Uniti in quell’universo? Wow. Quei tizi erano fottuti, più di loro che avevano avuto Satana in persona.
La porta del bagno si aprì, ridestandolo, e mentre il rumore di uno sciacquone avanzava dallo spiraglio, Dean non ebbe per nulla il tempo per prepararsi ad accogliere la persona che ne uscì, con il capo chino su di un asciugamano che poi gettò dentro il bagno con un gesto secco.
“Oh,” disse Cas, quando finalmente alzò i suoi occhi – i suoi occhi vivi – su Dean. Sorrise in un modo che Dean non gli aveva mai visto fare prima, e certo che no, questo era un altro Cas, non il suo Cas. Il suo era…
“Sei venuto fin qui direttamente dal set?”
Anche la voce era tutta sbagliata. Non era profonda e roca, non era inflessibile e rigida.
“Ehi,” disse, avvicinandosi, probabilmente perché aveva notato come Dean non riuscisse a muoversi, a fare niente di più che non fosse battere le palpebre e respirare. “Tutto bene?”
Dean riuscì a racimolare le forze per accennare un movimento del capo in assenso, e Cas, che poi non era Cas, non con quella voce strana e la postura sicura, sospirò. “Un bel bagno caldo? Che ne dici?”
Un bagno caldo? Da quanto tempo non ne faceva uno? E se anche lo avesse fatto il giorno prima, non gli importava. Non importava nemmeno che non fosse Cas, perché ci andava vicino abbastanza, e Dean voleva poter continuare a guardarlo. Almeno per ancora un altro po’.
“Comincia pure a spogliarti, intanto riempio la vasca.”
Cas spense il televisore e si dileguò con quel sorriso così peculiare, che però Dean doveva ammettere vestisse bene sul suo viso, illuminandolo di una luce tutta particolare. Forse quel Cas era felice, nei suoi vestiti umani e nei modi fluidi sebbene ancora un po’ impacciati con cui si muoveva. Forse quel Cas era di un universo in cui non esistevano i mostri. Aspetta, non gli aveva parlato di un set…?
“Sei ancora vestito.”
Dean si era perso nei suoi pensieri, e la testa di Cas che faceva capolino dal bagno aveva un cipiglio che quasi gli ricordava quello di- quello che non avrebbe più…
Cominciò a sfilarsi la giacca e la camicia con gesti meccanici, concentrandosi sul rumore dell’acqua che scorreva, distante, nell’altra stanza.
Cas non lo aveva mai visto nudo, ma importava davvero qualcosa, ormai? Rimase comunque in boxer, incerto su quali fossero i confini su cui ballavano quel Dean e quel Cas di quell’universo. Lui e il suo Cas ci avevano ballato abbastanza, sul dannato confine, questo era certo.
Entrò nella stanza, grande, bianchissima, che la vasca era ormai quasi ricolma, piena di schiuma, invitante e profumata, con una stupida paperella di gomma a galleggiare sull’acqua fumante.
“È di Maison,” disse Cas, come se dovesse spiegare tutto, un sorriso diverso a colorargli le labbra. Quel tipo di sorriso che riservi alle cose belle. “Ovviamente. Ho pensato potesse tirarti su di morale.”
Dean non rispose, e Cas piegò leggermente le labbra all’ingiù, sospirando un’altra volta.
“Entra,” aggiunse, e Dean fece scivolare i boxer alle caviglia solo perché sarebbe stato stupido tenerli addosso oltre.
Non aveva mai avuto vergogna del proprio corpo. Lo aveva mostrato, con un certo orgoglio, a un discreto numero di ragazze, con un ghigno soddisfatto e nessun rimpianto per la leggera morbidezza del ventre segno di troppi burger e di troppe birre. Alla fine, era un cacciatore, e si meritava quei premi. Non che avrebbe smesso, se non li avesse meritati.
Adesso, però, era diverso. Non riuscì ad evitare di stringersi l’avambraccio in pugno, i piedi freddi sulle mattonelle, il disagio a strisciargli addosso. Era nudo. Era nudo davvero, di fronte a Cas.
Tenne lo sguardo basso mentre appoggiava i piedi sul fondo della vasca, e anche mentre si sedeva, finendo per appoggiare il mento sulle ginocchia. Non era più freddo, ma non era possibile rilassarsi in quella bolla di calore e profumo, non quando c’erano troppe dannate implicazioni.
Forse se lo avesse lasciato solo, forse se avesse solo potuto piangere…
L’acqua si mosse sul corpo di Cas che entrava a sua volta, prendendo posto di fronte a lui. Dean non si era nemmeno accorto che si fosse tolto i vestiti.
Gli istanti si dilatarono nel tempo, in un silenzio riempito solo di sguardi, e di acqua che non voleva smettere di gocciolare sul pavimento a intervalli regolari.
“Ehi,” Cas si avvicinò, posandogli le mani sulle ginocchia. “Mi stai spaventando. Vuoi dirmi che cos’è successo?”
Cos’era successo? Da dove poteva cominciare? E soprattutto, come? E forse avrebbe anche potuto rispondere, se Cas non avesse fatto salire la mano dal ginocchio per circondargli il viso con il palmo.
“Ehi…”, disse ancora, mentre Dean premeva la testa contro quel contatto, ad occhi chiusi.
Perché? Perché era stato così stupido? Perché non aveva mai allungato le dita a quello stesso modo?
Cas doveva aver capito che la sua anima si stava nutrendo di quel tocco rubato, nonostante non sapesse che Dean stesse barando, che non fossero quelle le mani, le dita, le labbra, la voce. Gli occhi. Doveva averlo capito perché prese a massaggiargli la pelle, lento e delicato, come se Dean dovesse esplodere in mille pezzi. Se fosse successo, non si sarebbe nemmeno stupito granché.

Finì a sedersi sul materasso, un accappatoio troppo morbido addosso, i capelli che gli bagnavano il collo e il colletto, mentre Cas finiva di sistemare il bagno e svuotava la vasca, piegato in avanti oltre il bordo in un capo bianco gemello al suo.
Riemerse poco dopo, il volto teso ma deciso a continuare a sorridergli, e scivolò a sdraiarsi di fianco sul letto, battendo due volte la mano vicino a sé. Dean si lasciò andare lentamente all’indietro, specchiandolo nella posa, il braccio ripiegato sotto la testa.
Aveva la testa confusa e calda dal massaggio, da come era stato lavato e coccolato. Non gli era mai capitato prima, e farlo fare a Cas era stato così assurdo e ipnotico insieme. Si sentiva purificato, come se un nuovo Dean fosse emerso, uno un po’ più nudo d’anima, più giusto. O forse solo uno a cui non importava che stesse barando.
Cas allungò le braccia per attirarlo a sé, e Dean strusciò in avanti come mosso da un magnete. Era lì, che doveva andare. Che sarebbe sempre dovuto andare.
Si lasciò massaggiare ancora, dalle braccia giù fino al fianco, rilasciando solo un sospiro quando Cas gli fece scivolare l’accappatoio sul bordo della spalla per lasciare baci sulla pelle bagnata.
Risalì sul collo di Dean, sulla mascella, costellandola di baci leggeri per poi coprirla col palmo ed esitare di fronte alle sue labbra. Dean riaprì gli occhi, non voleva perdersi nulla di quello spettacolo di occhi blu come mare in tempesta. Come se non fosse poi così spaventoso buttarsi. Come se non contasse essere stato tanto stupido da non farlo prima. Cas esitò ancora un altro istante, uno di troppo, e Dean prese il coraggio a due mani e si tuffò. Atterrò sulle labbra di Cas come la nave che si schianta sulle rocce sulle onde della tempesta, muovendosi avidamente, prendendosi tutto perché tutto era esattamente quello che voleva. Voleva la pelle di Cas sotto le dita e lo spinse a disfarsi dell’accappatoio, scacciando poi il proprio come meglio riusciva.
Voleva toccarlo ovunque riuscisse ad arrivare, conoscere i contorni di quel corpo che custodiva un cuore battente, voleva esplorarne i confini e le sue unicità, come quel neo sul petto, la cicatrice sulla coscia, figlia di chissà quale cosa quel Cas avesse fatto in quell’universo che non gli apparteneva.
Ecco, eccola lì la risposta. Voleva appartenergli. Voleva appartenere almeno a questo Cas.
Si fermò su quella realizzazione, fissando Cas in affanno, che si distrasse solo un attimo a guardargli il tatuaggio con uno strano cipiglio confuso, prima di avvicinarsi per riprendere a baciarlo, ma Dean lo fermò prendendogli il viso tra entrambe le mani, e lo guardò.
Lo guardò a lungo, con devozione inesprimibile a parole. Si leccò le labbra, continuando imperterrito, mentre Cas faceva passare gli occhi da una pupilla all’altra, boccheggiando appena. Anche il Dean di questo universo doveva essere un coglione. Doveva darlo per scontato, o doveva averlo tenuto lontano, perché solo così si poteva spiegare lo sguardo stupito di Cas, di quello stupore che poi passava all’emozione. Lasciò passare i secondi, attendendo che Cas gli aprisse il cuore, e lo inglobasse là dentro, facendolo suo.
“Dio,” mormorò Cas, gli occhi lucidi, prima che loro bocche si scontrassero di nuovo. “Dio,” disse ancora, quando i baci presero uno strano contorno di disperazione. “Sei così-“, provo a dire, ma Dean lo zittì con un altro bacio, perché non voleva parole che erano per l’altro Dean. Se le avesse volute, se le sarebbe dovute meritare.
Lasciò che i loro corpi sfregassero, manifestando il bisogno di sentirsi più vicini, ma senza osare abbassare le mani a toccare Cas. Intuì che i movimenti di bacino sarebbero stati sufficienti, e infatti Cas lo spinse contro il materasso fino a farlo combaciare con la sua schiena. Si alzò sulle ginocchia, i capelli bagnati spettinati e schiacciati in modo scomposto sulla testa, un’espressione di seria determinazione. Come Cas che si preparava ad una missione. Il suo Cas. Finalmente.
Che si abbassava tra le sue gambe e si faceva strada tra la pelle morbida con la lingua, strappandogli esclamazioni agitate che non sapeva essere capace di produrre.
Era meticoloso, Cas, come sempre quando si trovava di fronte ad un compito importante, e gli si dedicò con attenzione, con una strana calma, tradita solo dal modo in cui le sue dita affondavano sempre più forte nella carne della coscia, e dal fiato sempre più corto.
Dean riaprì gli occhi quando il calore lo abbandonò e sentì la presenza di Cas a sovrastarlo, trovandoselo davanti al viso, quell’espressione seria ancora dipinta in volto. Dean si sporse a baciarlo, anche solo perché non dicesse niente, anche solo perché il farlo lo aiutasse a districare le dita dalle sbarre del letto – dita che Cas distese sul cuscino e strinse tra le proprie, mentre si aiutava con l’altro palmo ad allinearsi e spingersi piano in Dean.
Strinse i denti, gli occhi, e la testa di Cas contro la spalla. Faceva male, eppure faceva così bene.
Faceva male di carne che si adattava ad altra carne, faceva male di parole che non aveva mai detto, di momenti che non aveva mai colto. Faceva bene di punizione e di benedizione allo stesso tempo.
Cas non lasciò la presa dalle sua dita, infilando l’altra mano sotto il braccio e la spalla e stringendo forte. Solo quando Dean rispose alla stretta premendolo ancora di più contro di sé, sul collo, Cas cominciò a muoversi, piano. Riemerse per baciarlo, ancora e ancora, scendendo dentro Dean con una calma surreale, mentre la stanza si riempiva dei loro sospiri.
Dean cercò di sperimentare, provando a muovere il bacino, accompagnandosi a Cas, andando con lui e poi contro di lui, portandoli ad aderire completamente, tanto che un identico roco verso di piacere lasciò le loro labbra. Ma ben presto non fu più abbastanza.
Quel ritmo lento non era più sufficiente, non bastava a fargli smettere di- di pensare.
Mugolò piano, stringendo il fianco di Cas, che come obbedendo a un comando istantaneo si scostò e lo fece girare di scatto sulla pancia. Sorrise nel cuscino al pensiero dell’altro Dean, a cui evidentemente piaceva essere preso così. Aspettò che Cas ritornasse a scaldarlo da quel freddo improvviso, chiedendosi se sarebbe piaciuto anche a lui. Sperando di sì, o avrebbe dovuto aprire la bocca e parlare, e non voleva proprio.
Con una seria di baci sulla nuca, Cas lo ricoprì completamente come una coperta calda, e Dean poteva sentire il cuore che gli batteva forte contro la schiena. Strinse immediatamente le dita contro le sbarre del letto. Non doveva piangere, non lo avrebbe fatto. Era solo un cuore, un cuore qualunque, di una persona viva qualunque, un battito nato da un’emozione qualunque.
Solo che non lo era, perché era Cas, con la sua pelle appiccicata addosso che tornava di nuovo dentro di lui, fermandogli nuovamente i pensieri, grazie al cielo.
“Sei… fantastico,” gli disse quel Cas con la voce tutta sbagliata, e Dean non poteva fermarlo da quella posizione, quindi si limitò ad artigliargli la nuca. “Non so cosa sia successo oggi,” continuò, e Dean strinse più forte, mentre Cas aveva ripreso a muoversi a quella lentezza esasperante. “Non devi dirmelo,” ansimava. “Voglio solo che tu lo sappia. Che- che sei importante, per me.”
Sei troppo importante per me, gli aveva detto il Cas con la voce giusta, una volta, di notte, dopo aver ucciso un Mietitore per salvargli la vita.
“Sei importante,” ripeté, come se dovesse fare arrivare a modo il messaggio, e come se le sue parole non avessero il sapore di qualcosa di detto a metà.
Dean strinse tanto da sentire male alle nocche. Riprese a muoversi quando lo fece anche Cas, mettendo a tacere quella conversazione, e scoprì che sì, anche a lui, come all’altro Dean, piaceva.
Cas aumentò il ritmo sui suoni volgari che lasciavano la sua bocca, e aveva ricoperto la sua mano sulla sbarra del letto Dean non sapeva quando, l’altra ferma sul fianco di Dean.
Si lasciò andare ad altri versi inarticolati, e non gli importava nemmeno, perché Cas gli stava annullando i pensieri, e il calore bruciava e bruciava e dalle gambe saliva sempre di più, facendogli spalancare la bocca, e annaspare, rincorrendo a palpebre strette quel piacere contro le anche di Cas, che esplose con lui, insieme a lui, dentro di lui.
Come una cicatrice a forma di palmo sulla spalla, Dean era di nuovo stato reclamato.
Cas continuava a baciargli la nuca, la testa, il respiro affannato.                    
Doveva essersi assentato dalla realtà per qualche istante, preda degli eventi. Adesso che Cas si era sfilato da lui, e lo coccolava, i pensieri erano tornati, e Dean poteva rendersi conto di quello che aveva appena fatto. Con Cas. Con il Cas che non era davvero Cas.
Districò lentamente le dita dal collo di Cas e dalla sbarra, sentendole indolenzite, ignorando il freddo quando il corpo di Cas scomparve, cercando di capire dal rumore stridulo delle molle materasso dove stesse andando. “Girati.”
Obbedì e si lasciò pulire con uno dei loro accappatoi, intontito.
Il silenzio calò di nuovo su di loro, dilatando il tempo. Avrebbe potuto cominciare a misurarlo con gli sguardi, stabilendo come metro di misura le emozioni che vi leggeva dentro. Passò uno sguardo confuso ma appagato e un quarto. Due sguardi preoccupati e mezzo.
“Ti prego, dimmi cosa sta succedendo. Non hai ancora detto una parola.”
Lo accarezzava, quel Cas preoccupato, cercava di rimetterlo insieme raccogliendo i pezzi, ma Dean non aveva nulla da dire, perché non c’era nulla da raccogliere. Non più. Aveva già raccolto quello che poteva, uno scampolo di vita rubato a qualcun altro. In tipico stile Winchester.
“Jensen-“
Come se avesse sentito il suono di qualcosa spezzarsi dentro Dean, la spaccatura si riaprì, illuminando la stanza della sua luce pulsante.
Cas che non era Cas e che non era l’altro Cas, perché aveva un altro nome che Dean nemmeno ricordava, saltò in piedi di scatto, gli occhi spalancati e un urlo stretto dietro il palmo della mano.
Dean si rassegnò a raccogliere semplicemente le proprie cose, aggiustandole in un fagotto sotto il braccio.
Vieni direttamente dal set?
Dannazione, avrebbe dovuto pensarci. Avrebbe dovuto capirlo che in nessun universo un Dean sarebbe stato tanto coraggioso da tuffarsi, aggrapparsi alla nave e osare sfidare le acque in tempesta. In nessun universo Dean Winchester era abbastanza intelligente da farlo prima che fosse troppo tardi.
Si avvicinò alla spaccatura, pronto a passare oltre, a tornare a casa, ma qualcosa lo trattenne per la spalla. Cas o come ormai diavolo si chiamava era lì, preda di un’emozione contenuta a malapena negli occhi. Diverse emozioni, a dire il vero, ma la più profonda era di una compassione senza fine che minacciava di ingoiarlo vivo.
“Dean?”, sussurrò.
Un fulmine dritto in testa, a dividerlo in due sul posto, avrebbe fatto meno male. Meno male di essere stato visto nudo fuori e dentro, di essere stato riconosciuto da qualcuno che non esisteva nemmeno, di essere stato chiamato da una voce che non era quella che voleva sentire. Eppure era stato all’inferno, ma cos’è la tortura fisica rispetto a questo.
Rilasciò il sospiro stretto nelle spalle e si voltò di nuovo verso la spaccatura. La mano gli scivolò via dalla spalla.
Forse era un nome con qualcosa simile al russo? Avrebbe chiesto a Sam, Sam si ricordava sempre tutto.
“Misha,” disse la voce sbagliata alle sue spalle, e Dean perse la lotta contro se stesso per non tornare a guardarlo un’altra volta.
Misha – ma certo, cosa c’è di sbagliato nei nomi da queste parti? - sorrideva e piangeva, il mento che gli tremava in modo quasi incontrollato mentre gli occhi si gonfiavano sotto il peso delle lacrime, che cercava di scacciare con pesanti movimenti delle mani.
Chissà se Misha e quel Jensen erano mai stati come lui e Cas. Chissà se erano destinati a trovarsi ma non aversi, non davvero, in ogni universo esistente.
Dean lo salutò con un cenno, dopo aver retto le emozioni di entrambi per tre sguardi di cuore spezzato e mezzo, e finalmente entrò nella luce.
  
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