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Autore: gattina04    05/07/2017    3 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Epilogo
 
POV Emma
Tentare di tenere a freno il mio nervosismo era un’impresa più che ardua, titanica. Non mi ero mai sentita così agitata, nel senso buono del termine intendiamoci; sapevo che quella trepidante attesa e i minuti che sarebbero seguiti dopo avrebbero cambiato radicalmente ogni aspetto della mia vita e, a pensarci bene, era proprio quello che desideravo. Chi l’avrebbe mai pensato! Se me l’avessero detto qualche anno prima probabilmente sarei scoppiata a ridere. 
Non ero mai stata il tipo di donna capace di aspettare a casa il proprio uomo in palpitante attesa, ma quella sera era un’evidente eccezione. Era ovvio che ci fosse sempre una prima volta e quella era sicuramente la mia: io Emma Swan – forse avrei fatto meglio a dire Emma Jones – mi stavo comportando da mogliettina dolce e premurosa. Altro che parità dei sessi, le femministe di tutto il mondo avrebbero sicuramente avuto da ridire per quel mio comportamento.
Avevo lasciato Charlie, il mio nuovo e affidabile vice, nonostante quanto ne dicesse mio marito, ad occuparsi di Storybrooke e mi ero presa un pomeriggio di riposo. Sorrisi pensando che probabilmente molto presto quell’eccezione non sarebbe diventata poi più così rara. Avere mezza giornata libera mi era servita per riuscire a organizzare la serata che avevo accuratamente programmato; avevo cucinato, avevo apparecchiato la tavola a lume di candela, avevo mandato Henry a dormire da Regina e mi ero fatta bella per Killian. In pratica avevo fatto ciò che ritenevo da sempre un rituale assurdo.
Ed ora eccomi lì in attesa dell’arrivo del mio pirata. Potevo solo sperare che Hook si degnasse di tornare a casa alla svelta in modo da evitare di rovinare in modo irreparabile la mia manicure, visto che avevo iniziato a mangiucchiarmi le unghie in preda all’ansia. Gli avevo anche mandato un messaggio e aspettavo il suo ritorno da un momento all’altro, solo che il tempo sembrava scorrere al rallentatore e i secondi parevano non passare mai.
All’improvviso mentre mi agitavo seduta al tavolo elegantemente apparecchiato, sentii la chiave girare nella toppa. Mi alzai di scatto e sul volto mi si dipinse un sorriso a trentadue denti.
«Ciao!», mormorai sentendomi come una ragazzina alle prese con il suo primo appuntamento «Ben tornato».
Killian appoggiò le chiavi sul mobilino accanto alla porta e solo dopo alzò la testa per guardarmi. La sua bocca si aprì leggermente e i suoi occhi si spalancarono per lo stupore. «Oh!». Era raro vederlo a corto di parole ma era esattamente l’effetto che avevo sperato.
«Sorpresa!», dichiarai sorridendo ancora di più.
«Per mille velieri…». Cercò le parole più adatte per esprimersi ma evidentemente non sapeva da che parte cominciare. «Dio sei bellissima… è tutto bellissimo».
Mi morsi il labbro inferiore trattenendo un ulteriore sorriso e mi avvicinai a lui per prenderlo per mano. «Vieni». Lo trascinai al tavolo, in modo che potesse ammirare meglio tutto il mio lavoro ed strinsi ancora più forte le sue dita, come a non volerlo più lasciare andare.
«Hai fatto tutto tu?», mi domandò ammirando la tavola apparecchiata e sentendo l’invitante profumino della cena. Quando mi ci mettevo ero una cuoca provetta, peccato che non avessi mai né il tempo né la voglia di cucinare.
Annuii e lasciai che lui si sedesse, per poi prendere posto proprio davanti a lui.
«Amore a cosa devo tutto questo?», mi domandò ancora perplesso. «Mi sono forse dimenticato qualcosa?». Si portò l’uncino sotto il mento cercando di trovare una spiegazione plausibile a tutta quella scena; ma non poteva, o almeno non ancora.
«Non ti sei dimenticato di nulla», lo tranquillizzai, stringendo forte le sue dita da sotto il tavolo.
«Sono sempre stato bravo con le date», continuò senza prestarmi ascolto. «Non è il nostro anniversario, non è il mio compleanno, né il tuo e non penso che sia un giorno particolare da ricordare. Non è neanche quella strana festa che in questo mondo chiamate San Valentino, quella è a febbraio…».
«Killian», lo fermai, trascinando la sua mano intrecciata alla mia sopra il tavolo. «Non ti sei dimenticato niente, tranquillo. Volevo solo farti una sorpresa».
«Beh per quanto mi faccia piacere tutto questo…», e indico con l’uncino la stanza che ci circondava, «tu non sei propriamente un tipo romantico. Non è da te fare questo genere di cose». Era vero, ma c’era un motivo più che logico dietro a quel mio assurdo e insolito comportamento.
«Forse hai ragione, ma per una volta mi andava di farlo. Adesso perché non mangiamo? Ho passato la serata a cucinare».
Mi alzai per poter così servire la cena ma lui mi trattenne per la mano. «Swan?». Il suo sguardo mi trafisse e come al solito mi lesse come un libro aperto. Non aveva bisogno di chiedermelo, aveva già capito che sotto c’era dell’altro anche se avevo tentato in qualche modo di tergiversare.
«Beh volevo aspettare dopo cena», sospirai sentendo il cuore accelerare.
«Non mangerei tranquillo non sapendo cosa mi stai nascondendo». In quanto a testardaggine avevo trovato un degno rivale, ma per una volta non volevo insistere. In fondo non avevo aspettato altro che quel momento da quando l’avevo saputo.
«D’accordo». Questa volta riuscii a liberare le mie dita dalle sue per poter andare a prendere la scatolina che avevo diligentemente confezionato.
«Questa è per te», mormorai porgendogliela. «Perché non la apri?». Lui mi lanciò uno sguardo confuso per poi afferrare il piccolo pacchettino rettangolare che avevo tra le mani. Lo studiò con espressione guardinga per poi decidersi finalmente ad aprire la confezione. Trattenni il fiato mentre lo faceva, sentendo i battiti prepotenti del mio cuore fin dentro le orecchie.
«Che cos’è?», mi chiese più confuso di prima guardando il suo contenuto. Dovevo intuire che un pirata con più di duecento anni non avrebbe potuto comprendere il significato di quel sottile bastoncino che si ritrovava davanti. Forse avrei dovuto optare per qualcosa di più esplicito, ma volevo che lui ci arrivasse con calma; volevo che si prendesse il suo tempo per realizzare l’idea e per comprenderla a pieno.
«È un test di gravidanza». La sua testa si alzò di scatto udendo l’ultima mia parola, passando dal fissare interdetto ciò che aveva tra le mani all’intrecciare i suoi occhi ai miei. Vidi la consapevolezza farsi strada nel suo sguardo iniziando a capire ciò che stavo per dirgli.
«Guardalo», continuai arricciandomi una ciocca di capelli su un dito. «Funziona così: con una linea non sono incinta, con due lo sono». I suoi occhi si abbassarono di nuovo, mentre con mano tremante sollevava il test e lo avvicinava alle candele per poterlo vedere meglio. Il silenzio che calò in quei pochi secondi in cui Killian giungeva alla ovvia conclusione non poteva essere più carico di emozione.
«Sei incinta?», mormorò riportando il suo sguardo nel mio.
«Sì». Non ebbi il tempo di aggiungere altro perché mi ritrovai catapultata sul suo petto, le sue labbra premute contro le mie. Sentii tutta la tensione sparire mentre gli cingevo il collo con le braccia e mi lasciavo andare al bacio.
Non avevo mai davvero temuto la sua reazione; sapevo che ne sarebbe stato felice, ormai lo avevo intuito da tempo. Tuttavia volevo dirglielo nel modo giusto e per una volta c’ero riuscita; almeno in quella occasione ero riuscita a concedere a Killian un gesto romantico che avrebbe ricordato per sempre.
«Dio quanto ti amo», sussurrò ad un centimetro dalla mia bocca.
«Ti amo anch’io». Appoggiai la fronte contro la sua e mi specchiai nei suoi meravigliosi occhi. Dipinto sul suo viso c’era un sorriso che andava da un orecchio all’altro, del tutto identico a quello che dovevo avere io. Non avrei mai potuto immaginare di poter essere così felice, soprattutto dopo l’esperienza della mia prima gravidanza.
«Da quanto lo sai?», sussurrò, accarezzandomi la guancia con l’uncino.
«Da stamattina con certezza, anche se avevo dei sospetti». Era una notizia fresca e lui era stata il primo a saperlo, come era giusto che fosse. «Ricordi un paio di giorni fa non mi sentivo molto bene? Avevo un po’ di nausea, beh non ero malata a quanto pare. Ieri mi sono accorta del ritardo e stamani ho fatto il test; ne ho fatti tre in realtà per esserne certa e…». Mi interruppi all’improvviso perché lui aveva posato la mano sulla mia pancia, esattamente là dove presto sarebbe cresciuto, e già stava crescendo, nostro figlio.
«Avremo un bambino», mormorò più a sé stesso che a me. Riuscivo a leggere nel suo sguardo, la miriade di sentimenti che stava provando, ed era davvero un miracolo il fatto che riuscissi a condividerli tutti.
«Avremo un bambino», ripetei, appoggiando la testa sulla sua spalla e lasciando che continuasse silenziosamente a massaggiarmi il ventre. Riuscivo a percepire il suo sorriso anche senza vederlo, stretta in quel modo tra le sue braccia.
«A cosa stai pensando esattamente?», sussurrai contro il suo collo, lasciando un bacio sulla sua giugulare.
«Beh sono felice ma anche un po’ spaventato all’idea di diventare padre», mi confessò. «Spaventato in senso buono». Quella sua precisazione mi fece sorridere, rammentandomi il suo assurdo sogno e il terrore che avevo letto nei suoi occhi il giorno del mio compleanno.
«Anche a me fa paura», dichiarai, «l’idea di diventare un genitore a tutti gli effetti. Henry aveva già dieci anni quando l’ho conosciuto, non è propriamente la stessa cosa».
«Tu sei e sarai una madre fantastica».
«E tu sarai un ottimo padre», replicai.
«Bah non saprei. Non credo di aver avuto degli ottimi modelli».
«Lo sarai», ribattei alzando la testa dalla sua spalla per poterlo fissare negli occhi. «Sono pronta a scommetterci». Ero certa che lo sarebbe stato, non avevo dubbi in proposito e non doveva averne neanche lui.
«Staremo a vedere», liquidò la cosa.
«Avremo i prossimi mesi per abituarci ad esserlo», mormorai posando le mie labbra sulle sue.
«Giusto», sussurrò ad un centimetro dalla mia bocca. «Adesso sarà meglio che ti sieda, non vorrei che ti stancassi».
Risi di cuore sentendo le sue parole, staccandomi poi leggermente da lui. «Potrai preoccuparti a sufficienza quando nascerà nostro figlio, credo che tu possa evitare di esserlo nei miei confronti già da adesso». Sarebbero stati mesi difficili considerando il fatto che eravamo entrambi testardi e avremo voluto entrambi avere ragione.
«Beh tesoro io mi preoccupo sempre per te», replicò prendendomi per mano e guidandomi verso la mia seggiola. «Adesso perché non ti siedi e non lasci che mi occupi io della cavalleria. Sarà un vero piacere stasera servirti la cena che hai amorevolmente preparato». Sì, sarebbero stati mesi davvero impegnativi.
Risi di nuovo, ma feci come mi aveva chiesto. In fondo potevo concedergli quella piccola vittoria, ero certa che sarei stata la vincitrice della maggior parte delle nostre future battaglie. Avevo io il coltello dalla parte del manico, come ogni donna incinta che si rispetti.
Non sarebbe stato facile ed anche se poteva sembrare che finalmente le nostre vite riprendessero un corso normale, non era in realtà cambiato molto. Stavamo di nuovo per affrontare una grande sfida e questa forse era quella più grande di tutte.
 
Qualche mese dopo…
Non sapevo se dovevo avercela di più con Regina per avermi costretta ad indossare quell’abito oppure per l’intera giornata che mi si prospettava davanti. Era un crimine contro natura chiedere ad una donna incinta di otto mesi e mezzo di presenziare ad un matrimonio, soprattutto quando alla donna in questione era stato chiesto di svolgere il ruolo di damigella d’onore. Per non parlare del fatto che mi sentivo una mongolfiera, e che il vestito, per quanto elegante e bello, aveva finito per fasciarmi troppo visto che la mia pancia aveva continuato a crescere in maniera esponenziale dall’ultima prova. E poi c’erano i tacchi: avevo i piedi gonfi e sentivo il bisogno di sedermi e soprattutto di levarmi quelle trappole mortali per indossare un paio di comode pantofole.
«Dovresti toglierti dalla faccia quell’espressione corrucciata», mi rimproverò la diretta responsabile. «Ricorda che è il mio matrimonio».
«Ed io sono tanto felice per te», replicai, faticando per sedermi su una poltroncina lì nella stanza. «Ma dovevi sposarti proprio oggi? Non potevi aspettare un altro mesetto? Sarei stata più che lieta di presenziare alla cerimonia senza la pagnotta nel forno».
«Avresti avuto comunque da ridire, dato che la tua pagnotta attirerà tutta la tua attenzione d’ora in poi», replicò Regina. «E poi sei stata tu che ti sei lasciata infornare dal pirata».
«Potete per favore smetterla di parlare del mio futuro nipote come se fosse un pezzo di pane?», intervenne mia madre con tono contrariato. «Sembra che a voi due non sia rimasto nemmeno un briciolo di istinto materno, dovreste vergognarvi».
«Oh me n’è rimasto eccome», replicai, «lo sto conservando tutto per dopo. In questo momento mi sento solo grossa quanto una mongolfiera e pesante come una palla da bowling. Non è facile trascinarsi tutto questo ben di Dio dietro». Mi indicai il pancione come se fosse ovvio.
Mia madre scosse la testa e tornò a sistemare il vestito di Regina. Aveva scelto un abito color avorio che la fasciava in maniera unica, mettendo in risalto le sue forme; era davvero perfetta ed io non potevo che essere estremamente felice per lei anche se non stavo facendo altro che lamentarmi.
«Sei bellissima», ammisi accarezzandomi la pancia, proprio là dove il piccolo o la piccola – non avevamo voluto sapere il sesso – aveva appena scalciato.
«Elogiarmi non servirà a farti saltare la cerimonia. Anzi è anche questo il compito di una damigella».
«Uffa», mi lagnai. «Non lamentarti se poi mi alzerò a metà funzione per andare in bagno».
«Tu non ti alzerai a metà funzione». Mi lanciò uno sguardo capace di incenerirmi.
«Beh dillo alla mia povera vescica».
Regina alzò un dito e spalancò la bocca per ribattere, ma, per mia fortuna, fu interrotta dall’improvviso aprirsi della porta. Come si suol dire “salvata in extremis”.
«Signore siete pronte?». La testa del mio pirata fece capolino dallo spiraglio per poi essere seguita dal suo bellissimo corpo fasciato dallo smoking.
«Io lo sarei se non fosse per tua moglie che continua a lamentarsi», rispose Regina con una scrollata di spalle.
Gli occhi di Killian furono subito su di me e sul suo volto comparve un dolce sorriso. Lasciò perdere la futura sposa e mi si avvicinò abbassandosi per darmi un bacio sulla guancia.
«Come stai?», mi domandò posando la mano sul mio pancione.
«Gonfia», risposi sospirando.
«E anche parecchio lamentosa», aggiunse Regina, mentre io da donna matura che ero le rivolsi una linguaccia.
«Smettetela voi due», intervenne mia madre. «So che è faticoso ma pensa che lo stai facendo per Regina. Ha il suo lieto fine anche lei adesso, non è per questo che tutte e due avete lottato così duramente in questi anni?».
«Sì è per questo». Mi accarezzai di nuovo la pancia e afferrai il braccio di Killian per tirarmi su. «Forza andiamo, di là deve c’è un uomo in trepidante attesa della sua sposa». Regina mi sorrise e nonostante avesse mascherato fino a quel momento i suoi reali sentimenti, riuscii a leggere nei suoi occhi la profonda emozione che stava provando. Sapevo benissimo di cosa si trattava, c’ero passata anch’io con Killian anche se in modo molto più veloce.
La vidi prendere un profondo respiro e lisciarsi il vestito con le mani. Tutta la sua sicurezza che di solito traspariva all’esterno fu per un attimo messa da parte con quel piccolo gesto. Non era più la donna sicura, fiera di sé e autoritaria; era semplicemente Regina che stava ottenendo un po’ di felicità per una volta nella vita.
«Andrà tutto bene», dichiarai prendendo la sua mano. «Robin ed Henry e tutti gli altri sono di là che stanno aspettando solo te; sarà tutto perfetto vedrai ed io farò la brava, te lo prometto».
«Grazie», mimò con le labbra, prima di lasciare che la precedessi fuori dalla stanza.
“Non c’è di che”. In fondo avevamo lottato solo per questo: un lieto fine… un lieto inizio.
 
La cerimonia per mia fortuna, e per quella della mia vescica, non durò a lungo. Ci furono le promesse, lo scambio degli anelli ed io mi ritrovai con le lacrime agli occhi mentre Killian mi guardava sorridendo ed io pronunciavo tra i denti un «maledetti ormoni».
Ben presto, comunque, arrivò la parte più attesa della giornata: il buffet e poi la cena. E non era solo dovuto alla mia voracità; in quelle condizioni anche fare le più normali cose mi richiedeva il doppio dello sforzo: era naturale che mi fosse venuta fame.
«Ti vado a prendere qualcosa da mangiare», mi sussurrò Killian nell’orecchio dopo avermi osservato sedermi al nostro tavolo. Osservato soltanto, dato che sapeva esattamente che non volevo in nessun modo essere aiutata.
«Prendi qualcosa col formaggio ti prego. Al bambino va qualcosa col formaggio».
«Al bambino o alla mamma?», mi domandò alzando un sopracciglio.
«È lo stesso», lo liquidai. «Vai, forza e scegli bene». Lo osservai avvicinarsi al buffet e pensai che probabilmente avrei dovuto lamentarmi anche di quello con Regina. Non bastava una cena seduti, doveva fare anche un buffet prima? Visto che stare in piedi sui tacchi era un suicidio dovevo considerarlo un ulteriore modo per uccidermi?
Non feci a tempo a concentrarmi su quel pensiero che una voce attirò la mia attenzione. «Emma!». Lizzy arrivò di corsa vestita tutta elegante nella sua uniforme da cameriera. Non riuscivo ancora a credere che Regina l’avesse assoldata per il suo matrimonio; non che non mi fidassi delle sue capacità, ma a volte aveva un modo un po’ prorompente di approcciarsi alle persone. Inoltre forse sarebbe dovuta essere parte integrante degli invitati e non della manodopera; ma era evidente che lei fosse più che felice di trovarsi là in quella sua particolare veste.
«Lizzy», la salutai rivolgendole un sorriso. «Stai benissimo nella tua uniforme».
«Ti piace?», sorrise facendo una piccola piroetta. «E tu sei gigantesca!».
«Lizzy!». Charlie arrivò alle sue spalle, rimproverandola con il sorriso sulle labbra. «Ti avevo detto di non dirglielo».
«Non fa niente», ridacchiai. «Ha ragione, sono enorme. Tu invece stai benissimo; non sapevo che Regina ti avesse invitato». Indossava uno smoking immacolato ed era più affascinante del solito.
«In realtà è stato Robin», ammise grattandosi la testa con la mano. «E poi sono qui anche per svolgere il mio ruolo di tutore della legge. Adesso la sicurezza di Storybrooke è nelle mie mani».
«Ancora non per molto», ribattei. «Tornerò presto ad essere lo sceriffo, ricordatelo».
«Beh puoi anche goderti la maternità», rispose, «adesso io e il tuo pirata stiamo cominciando ad andare d’accordo». Alzai un sopracciglio assumendo un’espressione scettica, quando il diretto interessato tornò con il mio adorato bottino.
«Ecco a te, amore». Me lo porse lasciandomi un bacio sulla guancia. «Lizzy! Charlie». Era solo una mia impressione o il modo in cui aveva pronunciato i due nomi era completamente diverso? Altro che andare d’accordo!
«Oh ti devo far provare una cosa», esclamò Lizzy catturando di nuovo tutta la mia attenzione. Corse via e tornò poco dopo con un vassoio tra le mani.
«Prova questi», mi disse abbassandolo in modo tale che potessi prendere uno dei crostini che c’erano sopra. «Li ho fatti con Granny. Mi sta insegnando a cucinare».
Senza farmelo ripetere due volte ne afferrai uno e lo misi in bocca. Era assolutamente paradisiaco!
«Non credo che avresti potuto prendere e portare via il vassoio», la rimproverò Charlie.
«Lasciala stare», la difesi afferrandone un altro. «Lizzy sei appena diventata la mia cameriera personale o anche cuoca personale se lo desideri». Killian scoppiò a ridere, seguito a ruota da Charlie, mentre la mia piccola ragazzina sorrideva soddisfatta.
 
Il resto della cena si svolse come al solito, nonostante il costante battibecco di Charlie e Hook che si erano ritrovati seduti vicini. Per fortuna il tavolo era grande e con noi c’erano anche i miei, Henry e Zelena.
Senza neanche accorgermene, mi ritrovai ad osservare Robin e Regina aprire le danze e presto finii col picchiettare il tempo sul tavolo con le dita, guardando invidiosa il resto delle altre coppie.
«Vuoi ballare?», mi sussurrò Killian all’orecchio.
«Anche se volessi, non credo che ci riuscirei». Anche se avevo sostituito i tacchi con un paio di ballerine, rimaneva il fatto che avessi i piedi gonfi e che era già faticoso rimanere in piedi a lungo, figuriamoci ballare.
«Possiamo anche limitarci a molleggiare solo per un po’». Mi scostò una ciocca di capelli che era sfuggita alla mia acconciatura e me la sistemò dietro l’orecchio. «Quando sarai stanca ci rimetteremo a sedere».
Gli sorrisi grata per quella dolce proposta e reggendomi la schiena mi sollevai. Fu proprio quel movimento, dopo un prolungato periodo di immobilità, che mi fece percepire qualcosa di diverso. Accadde in un istante e sebbene l’avessi già sentito una volta mi occorse qualche secondo per comprendere esattamente di cosa si trattasse.
Sbattei le palpebre sentendo il cuore accelerare – probabilmente avrei presto sentito ben altro – ma non feci a tempo ad aprire bocca che fui interrotta dai neosposini in persona.
«Emma, Killian», ci chiamò Regina, arrivando al braccio di Robin. «Dove credete di andare? Non penserete di svignarvela?».
«Veramente stavamo solo andando a ballare», rispose Killian per me. Probabilmente se il momento fosse stato diverso, avrei notato come Regina fosse radiosa, come sia lei che Robin avessero un’aria felice e soddisfatta e come tutto alla fine fosse perfetto. Avrei potuto notare lo sguardo pieno di amore che Robin stava rivolgendo alla mia amica e forse avrei potuto anche pensare che in parte quella giornata era merito mio. Tuttavia non era proprio quello il caso: era appena accaduta una cosa che richiedeva tutta la mia attenzione.
«Bene», continuò Regina completamente all’oscuro dei miei pensieri, «perché tra poco la damigella dovrà fare un discorso, insieme al testimone naturalmente. Henry è già pronto».
«Non credo di poter fare un discorso», sussurrai cercando di mantenere il mio respiro ad un ritmo regolare.
«Certo che puoi! Non ricomincerai a lamentarti proprio adesso?».
«Non credo che potrò», ripetei di nuovo.
«Certo che sì», ribatté seccamente. «Potrai stare seduta e non dovrai fare altro che dire alcune cose carine su di me».
«Non è questo», mormorai. «Lo farei credimi… è che mi si sono appena rotte le acque». Solo allora le tre persone intorno a me notarono la pozza bagnata sotto i miei piedi. Regina fece un passo indietro per non sporcarsi il vestito, Robin mi guardò stupito e Killian mi rivolse un’occhiata più terrorizzata che preoccupata.
Beh sicuramente avremo ricordato quel matrimonio per molto tempo; sarebbe stato certamente un aneddoto interessante da raccontare ai nipoti. E se non altro quella era un’ulteriore riprova del fatto che stavamo celebrando non tanto un lieto fine quanto un lieto inizio. C’era qualcosa che potesse essere considerato più inizio di quello?


 
Angolo dell’autrice:
Non posso crederci! Eccomi qui: ce l’ho fatta!
Ho tante, troppe, cose da dire riguardo a questo epilogo e a questa storia. Non posso credere di stare mettendo la parola FINE anche a questa avventura.
“The wish of a lost soul” è partita come semplice voglia di scrivere ancora qualcosa su i Capitain Swan; non avevo una vera e propria idea di cosa sarebbe venuto fuori, non avevo neanche un filo conduttore. La storia è cresciuta settimana dopo settimana; via via che scrivevo, che leggevo i commenti, mi venivano in mente scene e avvenimenti che alla fine sono andati a costituire parte integrante di questa fanfiction. Non avrei mai pensato di poter creare personaggi dal nulla come Charlie e Lizzy di cui adesso sentirò davvero la mancanza. È stata un’avventura inaspettata.
E principalmente devo ringraziare voi: chi mi ha sempre letto, anche silenziosamente, e soprattutto chi ha recensito anche solo con poche parole. GRAZIE MILLE, davvero! Sappiate che siete voi lo spinta che mi ha fatto trovare la forza di scrivere anche quando non avevo tempo o voglia. Grazie, grazie, grazie.
A questo punto non posso darvi appuntamento alla prossima settimana, ma spero di potervelo dare per una prossima storia. Spero davvero di trovare nuove idee e nuove avventure da farvi leggere.
Un bacione
Sara  
 
 
  
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