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Autore: Amy_Streghetta    07/07/2017    2 recensioni
Dalla storia:
"Adesso sono fuori, finalmente. [...] Questa libertà è solo mia. Questa vittoria è solo mia. Questo fuoco che mi divora dentro, questa bruciante voglia di vivere che mi pulsa nelle tempie, mi appartengono di diritto, perché le ho pagate in anni di vita, perché non le ho conquistate con l'amore, ma col sangue."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rapunzel
(and she lived happily ever after)





"I keep going to the river to pray
'Cause I need something that can wash all the pain and
At most I'm sleeping all these demons away
But your ghost The ghost of you, it keeps me awake."

{Ella Henderson, Ghost}
***

Questa è la parte in cui la principessa fugge dal castello della strega, scappa e si lascia la prigionia alle spalle. Questo è il momento che ho aspettato tutta la vita, affacciata alla finestra di una torre di pietra, mentre guardavo il tempo passare, i bambini diventare adulti, gli amici andare via. Lasciavo crescere i capelli e sognavo ad occhi aperti, mentre calava la sera, nel silenzio, da sola nella mia stanzetta dalle pareti rosa, guardando Venere luminosa nella luce del tramonto, mentre il sole moriva davanti ai miei occhi, e vedevo più reale della realtà stessa arrivare qualcuno a salvarmi, qualcuno, finalmente, che avesse capito che tutto ciò che io chiedevo da quassù, dall’alto di tutto lo splendore e di tutta la ricchezza di questa prigione dorata, circondata dall’oro e dalle pietre preziose, era di sporcarmi le mani di fango e affondare fino alle caviglie nell’erba alta e nel terreno umido.
Non ho mai voluto essere protetta, non ho mai dubitato che il dolore sia un prezzo più che giusto per assaggiare la felicità. Ho sempre voluto solo solo vivere, solo essere come tutti gli altri, un volto come tanti fra mille altri, una bambina e una moglie e una mamma tra milioni di altre. Per diciotto interminabili anni ho lasciato crescere i miei capelli dorati, affacciata a questa fredda finestra di pietra, col viso rivolto verso l’orizzonte. Ogni centimetro era come una preghiera. Pensavo, aggrappandomi a quest'idea come un naufrago ad un salvagente di fortuna, con la stessa tenacia e la stessa disperazione, pensavo che le bambine belle e le principesse delle favole e le ragazze che piacevano nel regno avevano tutte dei capelli lunghi e bellissimi. I capelli lunghi erano delle reali, erano delle donne che avevano bisogno di essere salvate. E io ne avevo bisogno più di tutti. E allora avevo pensato, e pensavo, che se fossi riuscita a farmi crescere i capelli più belli e più lunghi del reame, forse sarei sembrata la più bella fra le regine, e allora qualcuno avrebbe alzato lo sguardo verso questa torre in un mattino di primavera e avrebbe deciso che quassù c’era qualcosa per cui valeva la pena tentare la scalata.
Questo è il momento che ho atteso una vita intera, che ho sognato ad occhi aperti, che ho vissuto mille volte con la fantasia. Vedevo con chiarezza quanto quel giorno il sole avrebbe brillato alto nel cielo sgombro di nubi. Sentivo il nitrito del cavallo con cui Will si sarebbe presentato sotto la mia finestra e mi avrebbe gridato di sciogliere i miei capelli per venirmi a prendere e portarmi via. Riuscivo a guardarlo dritto negli occhi e riuscivo a sentirlo ridere di quella risata limpida che ride il fiume di montagna quando scorre tra i ciottoli e la neve. E ci sarebbe stato un suono nell’aria che avrebbe ricordato il volo degli uccelli a primavera, l’arrivo delle rondini e lo sbocciare dei fiori sugli alberi.
*****

Mi sono seduta davanti allo specchio, quello d’oro e d’argento della sala grande, quello che mi è stato detto sia appartenuto a mia madre. Mi sono guardata a lungo. Il mio viso sottile, ancora da bambina. I miei occhi color dell’ambra, pieni di pagliuzze e riflessi dorati. Il neo a sinistra delle labbra rosse. La cicatrice sulla tempia. I capelli lunghissimi, come fili d’oro. Ho sciolto tutte le elaboratissime trecce in cui li avevo raccolti con tanta cura, una ad una, con calma, con dolcezza. Le ho guardate a lungo e ho pensato a tutti i sogni intessuti lì in mezzo, insieme alle forcine nere, e alle mie mani di bambina che affidavano a quelle trecce la mia fiducia nel futuro e tutti i miei progetti e le speranze, e che in questo modo scrivevano tutta la mia vita.
Ho stretto nella mano destra il coltello più grande e più affilato che sono riuscita a trovare nella torre, ma con delicatezza, come se fosse stato la mano di un bambino. Aveva un manico bellissimo, di osso e perle. Ci ho passato più volte le dita sopra, respirando profondamente. E poi, impassibile, ho cominciato.

"Uno.
La prima ciocca cade a terra, senza emettere suoni, più leggera di una foglia strappata alla vita dal vento dell'autunno.
Due.
Sento la mano tremare un pochino, come per esitare. Stringo più forte il manico del coltello. Ho imboccato una strada a senso unico e qualunque cosa accada, giuro che non tornerò indietro.
Tre, quattro.
Li ho tagliati.
Cinque, sei.
I miei capelli.
Sette, otto.
In una volta sola.
Nove.
Un solo gesto. Secco. Come falce che tronca gli steli di grano.
Dieci.
L'ultima ciocca cade a terra. La guardo giacere in cima al mucchio come se non mi appartenesse, come se quell'addio non fosse affar mio. Piango a lungo, ma sul mio viso non scorre nemmeno una lacrima. Rivolgo un ultimo sguardo alla figura riflessa nello specchio, la guardo un’ultima volta dritto negli occhi persi e confusi ma con dolcezza e rammarico, come a chiederle scusa, come per cercare di farle capire che per quanto dolorosa, in qualche modo oscuro a me incomprensibile, per qualche meccanismo inesplicabile della vita che mi sfugge, come il tempo che mi è sempre scivolato tra le mani senza lasciar traccia del suo passaggio, si è trattato di una scelta necessaria. E la guardo un’ultima volta come per prometterle che questo dolore è solo il prezzo che il mondo esige per la libertà. Per prometterle che per questa sola scommessa vale la pena di rinunciare a mille sogni."
***

Oggi sono andata via dalla torre, e insieme ad essa ho lasciato alle mie spalle tutti i sogni di bambina. Sono andata via come una ladra da casa mia, sono evasa verso la vita, verso il dolore, verso l’erba umida di questa notte tiepida d’estate.
Adesso sono fuori, finalmente. Ho le mani rotte, insanguinate, le unghia mezze distrutte perché scendere da lì su, lungo le pareti di pietra scivolose, con quella lunghissima ciocca di capelli a mo' di corda è stato estenuante. Ma sono salva. E se adesso sono qui, e posso scorgere il profilo della torre da lontano stagliarsi all'orizzonte, seduta sulla riva del fiume a gambe incrociate, con le mani nell'acqua limpida e fresca, è solo grazie a me stessa. Questa libertà è solo mia. Questa vittoria è solo mia. Questo fuoco che mi divora dentro, questa bruciante voglia di vivere che mi pulsa nelle tempie, mi appartengono di diritto, perché le ho pagate in anni di vita, perché non le ho conquistate con l'amore, ma col sangue.
Guardo la luna che si riflette nelle acque placide e mentre ascolto il canto delle cicale, vicino come mai prima d’ora, sento con certezza che più di tutto io continuerò a vedere il tuo sorriso, Will. Continuerò a sentire la tue voce, in certe sere di primavera, quando ti fermavi, al ritorno dal lavoro, per cinque minuti, sfinito e distrutto, sotto alla mia finestra solo per parlare o cantarmi tre note di una canzone improvvisata. Continuerò a sognare di abbracciarti, un giorno, e di sentire il tuo profumo sulla pelle. Continuerò ad andare al fiume a pregare, tutti i giorni, perché avrò sempre bisogno di qualcosa che sappia lavare via tutto il dolore. E allontanerò questi demoni che porto come sassi pensanti delle tasche, un po’ dormendoci su, un po’ alzando lo sguardo verso il cielo, un po’ guardando alla torre di pietra da lontano, che nella luce del tramonto, nelle sere di solitudine, nelle notti buie, nei giorni di tempesta, sarà sempre lì, ad ardere come il primo giorno tra le fiamme dell’addio.
  
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