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Autore: Meissa    10/07/2017    1 recensioni
Due giorni dopo presero tutte le sue cose dal 1136 di Monmouth, le caricarono sulla BMW e le portarono nella sua stanza affittata alla St. Agnes per la modica cifra di seicento dollari al mese, insieme a un materasso dell’ikea in sconto.
Dopo essere andato via di casa, Adam è scappato anche da Gansey. E Ronan lo ha aiutato.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adam Parrish, Ronan Lynch
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note Dovrei studiare invece sono qui a pubblicare ff dal mio cellulare. Sorry not sorry. Sono finita nel tunnel e sono piena di feels per questi qui, PER TUTTI . ADDIO.





Come Ronan trovò una casa ad Adam



Adam vedeva Henrietta a malapena fuori dal finestrino. Un po’ perché pensava non sarebbero arrivati vivi a destinazione e gli veniva da vomitare, ed era meglio non guardare; un po’ perché Ronan guidava così veloce che il di fuori era solo una massa confusa di colori nel rombo del motore. Avrebbe voluto dirgli di rallentare, ma sapeva non sarebbe servito.
“Quanto manca ancora?” chiese invece. E dove stiamo andando? Ma Ronan non avrebbe risposto nemmeno a questo.
Un’ora prima lo aveva tirato fuori dalla stanza di Noah, dove sedeva inquieto alla scrivania –era sempre inquieto da quando si era trasferito alla fabbrica- e gli aveva chiesto di accompagnarlo. Accompagnarlo era una parola grossa. E anche chiedere non era appropriato. Ronan non chiedeva le cose, Ronan te ne metteva al corrente. Non era Gansey, non ti trascinava nel suo mondo perché non vedeva l’ora di raccontartelo e ti ritrovavi a seguirlo contagiato dalla sua passione e dal suo entusiasmo. No, Ronan si faceva tendenzialmente i fatti suoi, e raramente coinvolgeva altri, quindi quando lo faceva era semplicemente naturale seguirlo, perché ti stava rendendo parte di qualcosa, di lui in effetti, ed essere parte di qualcosa di Ronan era qualcosa di straordinario. Così gli aveva detto semplicemente “Andiamo, devo vedere un posto”. Adam aveva rifiutato inizialmente, perché quella sera doveva lavorare, ma Ronan gli aveva promesso che sarebbe stato breve e sarebbe arrivato in tempo. E ora era lì, nella BMW di Ronan, sperando solo che quel viaggio finisse, perché non era sicuro il suo stomaco potesse reggere ancora per molto.
“Siamo quasi arrivati,” rispose Ronan tranquillo, e cominciò a scalare le marce mentre decelerava.
Adam mugugnò uno speriamo tra i denti, che Ronan ignorò.
Scesero dall’auto meno di cinque minuto dopo, Adam con un colorito verdognolo che lo faceva sembrare peggio del solito, e Ronan aspettò che lui si riprendesse un attimo, poggiato all’auto, in una posa strafottente con le mani in tasca, ma non disse nulla. Adam pensò che persino il parcheggio di Ronan fosse noncurante e strafottente. La BMW era parcheggiata di sbieco, occupava due posti auto, e come il proprietario sembrava fregarsene di tutto. Era un po' come se fossero la stessa cosa.
Adam si guardò brevemente attorno, e corrugò le sopracciglia. Quel posto sembrava...
“Signor Lynch. E’ in ritardo,” disse la voce severa di una donna appena uscita dal convento. Se solo Adam aveva avesse avuto qualche dubbio - e non ne aveva - su dove si trovava, la suora davanti a loro li avrebbe fugati tutti.
Ronan alzò le spalle. “Sorella,” si limitò a dire, stringendole la mano. “L’amico di cui lui le avevo parlato, il signor Parrish.”
La donna guardò Adam, nella sua maglietta sformata e lisa, l’aria stanca, le occhiaie, il colorito verdognolo che aggiungeva un tocco di classe all’insieme, annuì brevemente e allungò la mano nella sua direzione. Adam la prese, di riflesso, mentre guardava confuso sia Ronan che la suora.
“Andiamo. Vi faccio vedere la stanza.” Ed entrò spedita nell’edificio accanto, passando da una porticina bassa. Ronan aveva fatto passare avanti un Adam ancora stordito: i fili della matassa si sbrogliavano rapidamente e la questione gli diventava sempre più chiara mentre seguiva la suora – aveva detto come si chiamava, ma non se lo ricordava già più - e il suo passo ballonzolante, ondeggiava da un piede all’altro come se saltellasse leggermente, e il suo senso di nausea cresceva cresceva cresceva e la testa girava girava girava. Aveva bisogno di fermarsi, poggiarsi al muro e urlare. Non lo fece, la seguì diligentemente per due rampe di scale, Ronan dietro di lui, in trappola, chiuso tra loro, non poteva fare altro che continuare a camminare e andare avanti, l’odore di vecchio e marcio che impregnava le narici.
La suora si fermò davanti a una porta e la aprì. L’odore di vecchio e umido era in tutta la stanza. Non era piccola, o forse era l’essere totalmente vuota che la rendeva più grande. Era polverosa, dovevano essere anni che nessuno ci entrava. Il soffitto era storto, come se quando era stato costruito non sapessero ancora fare i muri perfettamente dritti, o non gli importasse – o forse era davvero così, quel posto doveva avere più di duecento anni. C’era una finestra sulla destra e il vetro era così sporco che si faticava a vedere fuori.
“E quella porta lì, è il bagno,” sentenziò la donna con la sua voce severa, indicandola.
Adam seguì il suo sguardo. La porta era dipinta di verde, ma la vernice era scrostata e si vedeva il legno sotto. La suora aveva parlato sino a quel momento ininterrottamente, ma Adam aveva sentito poco o nulla.
“L’affitto si paga ogni mese. Puntuale. Sono seicento dollari. Vi lascio un attimo guardarvi attorno.”
Adam prima pensava di dover vomitare. Ora ne era certo.
La suora se ne era andata, sotto lo sguardo di un Ronan stranamente pacifico e soddisfatto. Gli diede qualche secondo. Quando Adam continuò a restare in silenzio, si decise a parlare. “Allora?”
Adam sentì la nausea sparire, i giramenti di testa e la confusione andarsene mentre la rabbia montava, sempre più veloce, le orecchie pulsavano. Non bastava Gansey che lo portasse da lui, e poco importava che non ci fosse effettivamente altra soluzione, perché era senza una casa, si era lasciato indietro sua madre, suo padre, il campo caravan, non voleva che Gansey lo comprasse, non era una sua proprietà, e adesso Ronan gli stava proponendo la stessa cosa. Sarebbe stato lontano dalla Fabbrica, ma senza nessuna differenza. Non intendeva passare dall’uno all’altro, non era mai stato di Gansey, e non sarebbe stato di Ronan. Sapeva di essere ingiusto, e sapeva che loro non intendevano quello, ma era così che lo facevano sentire.
“Non voglio che te ne occupi,” sputò fuori, furioso, lo sguardo che andava ovunque in quella stanza sudicia prima di fermarsi su Ronan.
Ronan sembrò sorpreso, per un istante. Poi tornò il solito Ronan, incrociò le braccia mentre irrigidito si incassava nelle spalle, e lo fissò gelido. “Non ne ho alcuna intenzione. Hai tre lavori, no?”
Adam sentì la rabbia sgonfiarsi rapida come un palloncino, le orecchie smettere di pulsare, i muscoli sciogliersi e il sollievo invaderlo, prima piano piano, poi sempre più velocemente, insieme a un vago senso di stupidità. Ronan non era Gansey, e mai lo sarebbe stato. Sapeva che non avrebbe mai accettato che qualcuno pagasse per lui, e quanto gli stesse stretto stare alla Fabbrica, così aveva pensato a un’altra soluzione, una che lui potesse accettare: aveva trovato un posto che lui potesse effettivamente mantenere. Un posto che Ronan non si sarebbe mai sognato di pagare probabilmente, perché siamo onesti, quella stanza era veramente uno schifo. Ma uno schifo che lui poteva permettersi.
“Okay,” disse solamente, guardandolo negli occhi.
“Bene,” rispose Ronan, i muscoli della schiena che si distendevano.

Due giorni dopo presero tutte le sue cose dal 1136 di Monmouth, le caricarono sulla BMW e le portarono nella sua stanza affittata alla St. Agnes per la modica cifra di seicento dollari al mese, insieme a un materasso dell’ikea in sconto.
   
 
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