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Autore: M y r t u s    10/07/2017    7 recensioni
Fango, malattia, ribelli e bar, attimi sospesi di un ciclico fluire.
[Reincarnation AU]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Antica Roma, Germania Magna
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Il lezzo del sangue appestava le narici, lunghi rigagnoli di quello stesso liquido incollavano le ciglia, riempivano le labbra d'un ghigno scarlatto, d'un vino dal sapore ferreo ch'era latino e barbaro congiuntamente. E poi v'erano gli zoccoli dei cavalli che rivoltavano le zolle brune, e il sibilo e il clangore delle armi ogni volta che squarciavano l'etere e cozzavano con altro metallo. I latrati di battaglia restavano incastrate tra i rami e trovavano eco nel fitto della selva.
Tetoburgo, forgiata nei tronchi, città d'alberi e arbusti, necropoli a cielo aperto.
Uomini crollavano e parevano torri disfatte in quella natura selvaggia dal suolo antropofago, inghiottitore di spoglie, che s'abbeverava di linfa sanguigna dei trasgressori del Reno.
Delle salme germane nessuna traccia, che morivano come gatti e cani, distanti dalla turba e quelli vivi, indefessi e vigorosi, falciavano i nemici con le braccia e l'ira di Marte.
Claudio ne schiacciava la testa chiara di uno sotto la caliga, quasi facesse da piedistallo, e più affondava la suola nella guancia di quel tale, più si compiaceva della sua reazione da fiera indocile.
"Per uccidere una serpe occorre calpestarle la testa" e non poterono essere maggiormente mordaci quelle parole, corrodevano l'orgoglio tanto che il barbaro, come avendole colte, si contorse e spalancò le fauci quasi ne fosse rimasto punto.
Esercitò forte pressione, quel profano d'un latino, che altra poesia non lo infiammava se non quella violenta, scritta nel sangue. E quella cocuzza s'affossava, screziata di fango, anelava per avere una boccata d'aria. Era una delizia guardarlo sprofondare a capofitto nella terra limacciosa, almeno allora per saziarsi della più zuccherina delle vendette.
"Vile cane, che m'hai privato di mio figlio!" Sibilò a denti stretti, trattenendo l'astio nei muscoli della gamba robusta.
Il resto del mondo si ridusse a un brusio poco lontano mentre Claudio si faceva giustizia con le proprie mani, e giusto o errato passavano anch'essi in secondo piano. Non v'erano che rigurgiti d'odio per la creatura che stramazzava al suolo sempre più debolmente e da cui il legionario si staccò solo dopo aver intuito il mancato gonfiarsi e appiattirsi cadenzato del petto. La vita pian piano era defluita da quel sacco di carne inerte, dall'espressione ancora rigida e corrucciata.
Claudio si sarebbe allontanato, nulla lo tratteneva lì, non avrebbe voltato lo sguardo indietro per tornar su un viso che mai dimenticherebbe, neppure inavvedutamente.
Da quell'infausto giorno, in ognuno dei suoi sogni si sarebbe aggirato un lupo dal pelo bianco, irrequieto e minaccioso, con delle iridi di pietra straordinarie: un fantasma che mai avrebbe cessato di tormentarlo.

 

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Anno Domini 1349.
Capimmo che non v'era indulto neppure per l'alte terre imperiali quando il soffio purulento delle peste giunse alle porte di Colonia. Gli uomini di lì prendevano a ingrumar di bolle, a tossire petali vermigli e a raschiarsi la gola pel dolore, come indemoniati arsi dalle vampe infernali. E in quel straziante spettacolo di larve antropomorfe, né coloro che furono retti e timorati di Dio, né chi operò scelleratezze fu scongiurato dal flagello della morte nera, tale da meritarsi amaro appellativo tra i cronisti dell'estremo nord; i vivi non costituiscono che uno sparuto manipolo, solerte nello sgombro delle salme butterate e nel pianto indefesso. Nulla più che gente sterile, inaridita dalla carenza di prospettive.
Si professa la fine ultima della specie umana nei borghi, nelle cattedrali d'ogni dove e si tengon giunte le mani in supplica, a voler placare i furori dell'Altissimo. Altrove e molto vicino a noi, sono imputati ebrei e streghe d'aver inquinato i pozzi, rei del lor putridume spirituale, indi per cui si sono venute a formare delle corporazioni cosiddette dei "flagellatori", incaricate di sradicare le sedimentazioni di colpevoli. Taluni tra gli accusati preferisce stroncarsi colle proprie mani, piuttosto che consegnar la testa alle folle colleriche.
Poscia v'è da aggiungere che codesti flagellatori son svolgitori di riti grotteschi in nome divino, e per mezzo del lor sangue, estratto a colpi di sferzate, si suppone arrivi il perdono, mentre i normali abitanti usano irriguardevoli pratiche ascetiche per trenta giorni e trenta notti, stesso numero degli anni vissuti da Cristo.
La situazione è tale nei territori centrali dell'Impero, nonstante il disappunto papale, ma ho motivo di sospettare che in fenomeni avulsi risieda la causa del morbo: nel Regno orientale di Polonia, ove la popolazione d'Israele è copiosa similmente alle stelle del cielo, la pestilenza non ha sfiorato essere alcuno. E neppure sarebbe da attribuir cagione all'etere santo.
Come molti hanno l'ardore d'insinuare, la sozzura delle strade e delle masse potrebbe aver attirato la trista "punizione" e che circondare la casa di pire, argini la probabilità di contagio.
Iste sono le cronache del quarto mese. Se Iddio lo desidererà, scriverò ancora, tenendo metodicamente documentati i fatti di maggior rilievo.
Alarico di Amburgo
.

Claudio impresse con lieve insistenza un punto di denso inchiostro con la punta della penna. Fissò per qualche attimo il foglio riverso sul piano di legno, irradiato dal bagliore liquido della candela, e ispezionò con le dita il testo appena tradotto. Nessuna virgola fuori posto.
Soddisfatto, prese a stropicciarsi gli occhi e ad aggiungere nero su bianco la data di stesura coincidente, per assurdo, a quella lasciata dal cronista nel manoscritto ben due secoli addietro, infine tratteggiò il proprio nominativo.
"Dolce notte a voi, messer Alarico. Adesso verrete ricordato." un soffio poderoso soffocò la fiammella, compagna nelle notti di studio, e fece tramontare sulla stanza l'oscurità impetuosa che tutto avvolge.

 

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Lunghi crini lo ornavano quella prima volta, tra le anime spezzate a Tetoburgo, folta chioma di foglie ingiallite era rimasta.
Lo rimembrava! Poteva essere la sbavatura d'un sogno antico, eppur eccolo innanzi ai cancelli, a calpestarli, qual vile segno, di calci e spallate, che gioventù abbondava in tale rozzezza dal muso acerbo.
Mosse un passo d'avanzamento, ostacolato dal turbinio dello sciame umano -è la rivoluzione! Urli, strepiti chi ha sete di libertà!"- no, non v'era alcuno a lui affine, nordico di contorni, col gelo nelle tempie e se tutti apparivano ebbri di rabbia, quello era bestiale senza sembrarlo, il bel grugno inalterato.
Diede gran voce al suo nome, Claudio, seppellito sul fondo della gola, lo raschiò fuori, azzerando il fiorire incerto d'interrogativi, ma nessuno diede risposta.
Il cielo era grumoso di sangue e polvere da sparo.

 

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"Lupus in fabula" serpe di neon intrecciati a sormontare l'uscio di una di quelle tane d'intrattenimento notturno, dall'accoglienza in lumi soffusi e calici ricolmi. Non gli si addiceva posto del genere, che spettava a ingordi e scommettitori, e solerte ne occupava un tavolo a sera, piano momentaneo di convulso studio artistico.
Il soggetto restava identico ogni volta- Vargas, borioso sino al disgusto!- coi denti sempre in mostra, voce calda, sagomato dai riflettori, che lo affannava di crucci ed estro al contempo.
Alarico consumò ore a tratteggiarne i confini su carta, ammorbidire il tratto in boccoli, ore intere curvato su un esercito di schizzi. Insoddisfatto era dir poco, ma d'altronde, esisteva maniera di tradurre melodie in arabeschi? Disappunto, straziante disappunto! Cercar sistemazione contigua, tirar sforzo di vista e allungare di volta in volta il collo, tentare e fallire ciclicamente, che era un tentativo di svuotarsene la testa e non doverselo figurare più tra le coltri delle lenzuola.
Il tempo scivolava dentro i bicchieri, seguiva il pulpito della batteria, i lustrini della mora danzante, coi muscoli da pantera, di giorno in giorno lo consumava.
"Sarei io quello?" Calò una bolla ad abbracciare lo spazio circoscritto del bancone. La vicinanza pompava ruvidezza in Alarico, un tumulto senza capo né coda di venire alle mani.
"Ti ho già visto da qualche parte, ne sono sicuro" gomito contro gomito -scansati!- Vargas ordinò una birra ad entrambi, gli occhi e il fiato gonfi di alcool, prese a vomitare un fiume corposo di parole.
"La ragazza che balla con me, Cleo...forse diventerò padre".
"Come?".
Un sorriso diagonale di lama lunare gli adornò il volto, un bubbolio penetrante eccheggiò in aria. Vargas intonò gioviale un versetto, inarcando l'accento sulle vocali dure:"Love is a drug!".
















Noticine, noticine
Appena finiti gli esami mi sono subito gettata in questo mini progetto (che, attenzione gente, avrà un sequel o forse anche due eheh). Non si nota che amo le Reincarnation AU, eh?
Siccome ho poco tempo non lascerò approfondimenti adesso, ma se qualcuno chiede i recensione avrà le risposte agognate mllml. Vi dirò solo che d'ora in poi adotterò un nuovo nome per Germania Magna ovvero quello che copare in questa fic: Alarico, Cleo non è niente popo di meno che Antico Egitto e Love id the drug è la canzone che ha ispirato l'intera storia, ecco il likke link: https://www.youtube.com/watch?v=7sgMCIT4pvw
Ringrazio tutti e tutti quanti, recensite in numerosih mi raccomando.
Alla prossima,
M y r t u s

  
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