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Autore: Le VAMP    11/07/2017    1 recensioni
[Storia scritta per il contest "Le Carte delle Streghe" proposto da
meryl watase]
Misa Amane perse la capacità di brillare di luce propria dal momento in cui si legò al proprio dio. Divenne uno specchio trascurato, che rifletteva il bagliore dell’odio che si accendeva nelle iridi del suo amato e li tingeva col sangue. 
La preghiera di una madre non riuscì ad impedire l’estremo atto che compì la giovane stella prima di spegnersi per sempre, privata ora di qualsiasi luce, anche quella dipinta dalla follia di Kira. Spegnendosi, quella luce, lasciò lo specchio abbandonato a se stesso. 
"Ci sono due modi di diffondere la luce: essere la candela oppure lo specchio che la riflette" - Edith Wharton
Genere: Angst, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Misa Amane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un tempo si rifletteva

la calda luce d’una candela

 

 

 

 

 

 

 




“Tele di rancore assorbono il bagliore per privarne all’orizzonte”

 
L’orgoglio e il risentimento si mescolavano nella giovane mente di una ragazza il cuore è stato privato della capacità di perdonare. Quella era una delle tante sere in cui si preparava al suo incontro col Mietitore misterioso, giustiziere dei criminali.

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Com’è rumorosa la spazzola che scorre sui tuoi capelli, tesoro mio. È così triste vederti tutta sola davanti quello specchio scheggiato. Non è dalla cornice dorata come quello della nostra casa, te lo ricordi? Sembri meno allegra a differenza del ricordo che ho di te da bambina, quanto mi dispiace essere scappata da te senza nemmeno aver provato a lottare contro la morte. Hai continuato a diventare sempre più bella, e più fiera delle tue capacità. Hai letto così tanti libri, come tempo fa ti avevo suggerito, ti sei presa cura del tuo ingegno, ma sei anche sprofondata nel rancore.
Cielo, come vorrei proteggerti dalla vendetta che vuole tentarti, che ti sta attirando con i suoi subdoli consigli verso l’intreccio ed il nodo delle morti. Cosa vuol dire quel quaderno nero che riposa sul tuo letto, “quaderno della morte”? Perché le tue piccole labbra sono schiacciate dal peso dell’angoscia, dalla paura che i piani progettati non vadano come previsto?
Hai sempre amato l’arte gotica, l’oscuro e il proibito, e tutte quelle storie d’amore impossibili tra umani e fantasmi, spettri e mostri, mostri che svelano di avere un cuore pulsare. Ti rinchiudevi nella tua stanza e consumavi i tuoi occhi affamati di quelle parole misteriose e allo stesso tempo dolci, riportate su quelle pagine ingiallite dei libri che ti prestavo. Ti è tornata in mente questa memoria quando ascoltavi le vicende che ti narrava la pallida shinigami?
Ho così paura che l’oscurità che tanto ti attraeva ti stia per inghiottire completamente. Il riflesso che vedo nello specchio, rischiarato dalle candele, è quello di una giovane meravigliosa cresciuta in solitudine, incompresa dal mondo che la circondava. È il riflesso di una donna triste, che sarebbe voluta rimanere piccina per conservare la capacità di credere alle fiabe.




 

“La cometa”

Erano i tempi in cui Misa non era stata ancora derubata della propria luce. Essa aveva appena cominciato a diffondersi per gli occhi di sua madre che la preparava al crudele mondo esterno.
Il termine “morte”, così scuro e terribile, non era presente nei loro innocenti pensieri. Si trattava solo di una sfida tra intelletto e vanità.

_______________

Era un caldo pomeriggio del 31 ottobre, quello che vivevano era un periodo felice. La donna stava aspettando in macchina l’arrivo di sua figlia che aveva appena concluso il suo primo contratto come modella. Il motore rimaneva acceso: ella sperava di riempire i propri pensieri con quel rumore.
Per quanto potesse essere felice per la sua bambina temeva il futuro che si stava costruendo. Il mondo dello spettacolo l’aveva sempre ritenuto folle, crudele, capace di gettare via gli scarti con estrema facilità, anche se quegli scarti una volta erano brillanti stelle. Sperava con tutto il cuore che la fortuna avrebbe assistito sua figlia.
Intanto la vide giungere a lei sorridente, raggiante com’era abituata a vederla. Appena entrò in auto esplose e distribuì ovunque il suo entusiasmo: «Questa sera dovrò già prepararmi!».
Sua madre abbozzò un leggero sorriso, contagiata da cotanta gioia, anche se quella piccola macchia che albergava nel suo animo continuava ad espandersi.


 

Stavano tornando a casa, i mille colori delle foglie illuminate dal sole sfuggivano agli occhi di Misa, il sottile vetro del finestrino la separava dagli alberi.

«Hai iniziato il libro che ti ho prestato? Edith Wharton è piuttosto in gamba» sua madre era una professoressa di letteratura presso l’Università Imperiale, era molto orgogliosa del suo lavoro. Aveva prestato alla figlia “L'età dell'innocenza” da qualche mese, tuttavia non le aveva fatto sapere più nulla. “Dovresti leggere di più” le consigliava spesso la donna, ma Misa Amane aveva troppi impegni per riprendere un libro tra le mani. Quando era ancora una spensierata giovincella di dodici anni divorava una libro dopo l’altro, erano tutte storie su antiche leggende oscure e misteriose, fatte di spiriti ansiosi di salire al Cielo e dei riti compiuti dalle streghe di Salem. Quei testi ora riposavano sugli scaffali, ormai dimenticati da tempo.


 

Tuonava, faceva freddo. Le due donne scorsero un lampo comparire dai vetri della finestra e dissolversi subito dopo nel buio.
Quella stessa sera si ritrovarono davanti allo specchio dalla cornice dorata, sarebbe stata una delle ultime volte che sua madre le avrebbe pettinato i capelli, le avrebbe sorriso senza che se ne rendesse conto, le avrebbe donato la propria luce per farla risplendere nell’oscurità. Mentre si occupava di decorare la chioma dorata di sua figlia con dei nastri le tornarono improvvisamente in mente le immagini di quando era una bambina, allora le stava intrecciando i capelli mettendo in risalto il suo viso paffutello. Non pianse commossa, non desiderava tornare al passato, perché era fiera di lei. Misa Amane avrebbe continuato a risplendere, non debolmente come la luce delle candele che le illuminavano, nemmeno come la luce artificiale delle lampade fulminate dalla tempesta, ma come una stella. Avrebbe illuminato il cammino di chiunque avesse incrociato la sua strada.
Quando la sua attenzione tornò al riflesso dello specchio vide sua figlia ricambiare festosamente il sorriso.



 

“Spegnendosi, la luce, lascia lo specchio solo e inutile”

Misa Amane perse la capacità di brillare di luce propria dal momento in cui si legò al proprio dio. Divenne uno specchio trascurato, che rifletteva il bagliore dell’odio che si accendeva nelle iridi del suo amato e li tingeva col sangue.
La preghiera di una madre non riuscì ad impedire l’estremo atto che compì la giovane stella prima di spegnersi per sempre, privata ora di qualsiasi luce, anche quella dipinta dalla follia di Kira. Spegnendosi, quella luce, lasciò numerosi frammenti abbandonati.
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Davanti a quello specchio ti vedo di nuovo da sola. Perché, bambina mia? Perché ti affliggi in questo modo? Ti scongiuro figlia mia, non seguirlo anche nella morte. Quel dannato ti ha usata, maltrattata, privato della tua luce e tu gliel’hai permesso, vinta dall’amore per lui e dal risentimento verso il nostro assassino. Ti stai continuando a pettinare incessantemente da ormai un’ora, illuminata dalla sola luce di una candela. La sua luce è fragile, potrebbe spegnersi da un momento all’altro e nemmeno lo specchio, ora impolverato, riesce a riflettere nulla.
Non percepisco alcuna emozione in te, con quell’abbigliamento mi ricordi la bambola di porcellana che ti regalai a cinque anni. Cosa può fare una madre se non riesce a farsi udire? Apri quelle finestre, Misa! Lascia che il Sole irradi questa stanza. Togliti quei vestiti che ti fanno sembrare una bambola, figlia mia, perché tu vivi! Riprendi ad amare come facevi una volta. Riprendi a gioire. Lascia che le lacrime scorrano sulla tua pelle per purificarti da tutto il dolore che hai provato, poi riprendi a vivere.
Perché ti sei lasciata vincere dalla malinconia?
Dannata me, la mia inesistenza, le mie parole che non riescono a raggiungerti mentre spegni con le tue fragili dita l’unica candela che ti illuminava. Ora la tua camera è completamente succube alle tenebre, come lo è il tuo cuore, distrutto dall’ultimo evento che è venuto a capitare. La luce a cui ti affidavi si è spenta, e adesso non riesci a riflettere più nulla.
A te, figlia mia, non è mai servita la luce di qualcun altro.
Infine, sento la porta aprirsi, finalmente il tuo viso si mostra a me, ma non è traboccante di sogni come me lo ricordavo. Dalle tue labbra rosse vedo un movimento fugace, cosa volevi dirmi tesoro? “Mi dispiace”? Non farlo piccola mia, non farlo

 

Misa!


   
 
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