Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: nuvolArcobaleno    11/07/2017    0 recensioni
«Io… mi chiamo Axel. Axel Carpenter» Provò a tenderle la mano, ma la ritirò subito. Che stupido.
Quella situazione era assurda.
Forse avrebbe soltanto dovuto porre fine a tutto.
«Scusami» sentenziò sinceramente dispiaciuto. Sperò che lei capisse quanto gli dispiacesse. Si avvicinò alla porta. Alzò il pugno per dare due colpi. Momento di esitazione.
«Garla»
Axel si bloccò di colpo.
«Come?»
«Garla. E’... è il mio nome»
«... Garla?» Garla annuì.
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Guardie

Quando la guardia andò a controllare che al collega filasse tutto liscio, rimase non poco perplessa alla scena.

Il suo lavoro non gli era mai piaciuto, e non solo quella parte riguardante quell’assurdo Programma, ma tutto in generale. Gli sembrava che la maggior parte dei detenuti fosse finita lì per sbaglio; una buona metà acquisiva l’aria di un morto vivente man mano che passava il tempo in cella; probabilmente nessuno si sarebbe reintegrato a pieno nella società civile, neanche partecipando al “programma”.

Erano passate due ore, e siccome era ancora il suo turno, toccò a lui andare a fare il giro di controllo. Se odiava tutto del suo lavoro, quello lo odiava in particolare. Arrivava lì; chiedeva se andava tutto bene; si sentiva rispondere con una qualche battutaccia; proseguiva verso il blocco successivo, seguendo la lista. I turni del Programma iniziavano tutti insieme anche per semplificare quel processo. Ogni guardia segnalava quando chiudeva il prigioniero nella cella e ancora quando lo faceva riuscire, se dopo due ore ancora non aveva fatto rapporto, il nome della guardia e del prigioniero a lui assegnato venivano segnati sulla lista di controllo.

Quel giorno la sua lista conteneva soltanto tre nomi. Li scorse velocemente: lo odio, lo odio, accidenti questo quanto lo odio. Iniziò quella noiosa routine.

Tutto bene? Sì, sì, ci stanno ancora dando dentro quei due eh eh. Odio.

Tutto bene? Seee, la cagna ha fatto un po’ di zuffa, tu sentissi come urlava ah ah. Molto odio.

Guardò ancora l’ultimo nome sulla lista. Di tutti i suoi colleghi, pochi gli stavano simpatici, e non è che gli stessero proprio simpatici, semplicemente li sopportava volentieri. Tutti gli altri li considerava come ignoranti cani da guardia: buoni solo ad abbaiare, potenti solo con chi non poteva reagire, addestrati a ricevere un croccantino se facevano i bravi. Ogni tanto sentiva che anche lui faceva in qualche modo parte di questa categoria e un senso di disgusto gli attraversava la spina dorsale. L’ultimo del giro di oggi era uno come gli altri, rozzo e  stupido, ma gli stava particolarmente antipatico perché se lo ritrovava sempre nei paraggi, a mensa, in fila per il bagno, nel giro della sera. Una di quelle persone che anche se non ti rivolgeva la parola lo disprezzi, e sfortunatamente era anche un gran chiacchierone.

Prima di arrivare all’ultima svolta e ritrovarselo davanti guardò l’orologio: 12.15. Cavoli, ci aveva messo un quarto d’ora per levarsi di dosso quei due balordi. Speriamo che non abbia voglia di parlare, finito qui posso andare a casa.

Girò l’angolo con la triste certezza che quello lo avrebbe apostrofato già dall’inizio del corridoio. Ma quando svoltò non vide nessuno.

 

Si bloccò un attimo e provò a chiamare. Ma non ci fu risposta.

Aspettò ancora qualche secondo, dopodiché prese la pistola, tolse la sicura e si avvicinò lentamente alla cella.

Arrivato davanti alla porta si fermò. Provò a chiamare ancora, in un sussurro. Posta silenziosamente la lista a terra, prese la torcia con l’altra mano. Con il piede aprì il portone socchiuso e illuminò l’interno stando sullo stipite. Per terra, accasciato vicino al muro davanti alla porta, stava un corpo a pancia sotto, il volto rivolto al muro. Si sentì raggelare, intorno alla testa c’era una pozza di sangue.

Illuminando passo passo l’interno della cella si avvicinò cautamente al cadavere. Era la guardia di turno alla cella. Lo girò, aveva il volto tumefatto. Con la torcia controllò il resto del corpo: sembrava aver riportato ferite soltanto alla testa; l’uniforme era stata lasciata intatta; soltanto la cintura era sparita, ma avevano avuto cura di lasciare la radio lì.

Si asciugò il sudore con una mano, era un vero macello.

 

Tornò nel corridoio, indeciso sul da farsi. La testa gli pulsava; le mani gli tremavano; sentiva che le gambe avrebbero ceduto da un momento all’altro. Rimise la pistola e la torcia a posto e con grandi passi si mise a misurare l’ampiezza del corridoio; la testa, rivolta al pavimento, fissava il vuoto e sembrava persa in un’altra dimensione.

Sicuramente c’erano delle direttive anche per casi del genere. Cosa poteva essere successo? Il prigioniero probabilmente aveva convinto l’altra sventurata a collaborare nella fuga, poi aveva ingannato la guardia per farsi aprire, lo aveva attirato dentro e lo aveva messo fuori gioco, poi erano fuggiti. Si guardò intorno. E’ improbabile che siano passati dal corridoio, la via è più volte bloccata da porte sbarrate e controlli armati. Allora vide la grata del condotto di ventilazione. Si avvicinò e constatò che era soltanto appoggiata al muro.

Con un simile quadro della situazione, prese la radio e chiamò la Centrale di Controllo della prigione.

«Centrale mi sentite?Passo»

«Forte e chiaro, che succede? Passo»

«Parla la guardia carceraria Norto Northop, settore 3, dal settore 3. Mi trovo davanti alle cella cinque della zona adibita al Progetto RR. La cella è aperta e la guardia Gil Menphis del settore 3 è morta all’interno. Sembra sia stata colpita alla testa. Nessuna traccia dei prigionieri Axel Carpenter numero 007472 e Garla Bron numero 007483. Credo stiano tentando la fuga tramite i condotti dell’aria. Chiedo istruzioni. Passo»

Si sentono rumori confusi sullo sfondo dall’altra parte, qualcuno sembra stia imprecando.

«Ne sei sicuro? Qui sembra una faccenda seria. Passo»

«Affermativo signore. Passo»

«Da quanto tempo potrebbero essere spariti? Passo»

«Non lo so… credo massimo un’ora e mezza. Passo»

Pausa. «Va bene. Faremo partire immediatamente l’allarme. Tu vai direttamente dal capo a fare rapporto. Manderemo degli ispettori al tuo posto al più presto. Passo e chiudo»

«Ricevuto- » ma aveva già staccato. Immediatamente si sentì partire la sirena d’allarme, l’unico suono che riusciva ad attraversare tutte le pareti in quel luogo.

Norto indugiò un attimo. Non capiva perché c’era qualcosa che non gli tornava e ciò lo rendeva frustrato. Si girò verso la cella buia dove ancora giaceva riverso il cadavere del suo collega. E d’improvviso capì cosa c’era di sbagliato: come aveva fatto il prigioniero a far aprire la porta alla guardia? Perfino un fesso come Gil non l’avrebbe mai aperta; non solo era contro il regolamento, ma Gil era uno che non perdeva l’occasione per veder soffrire qualcuno, e questo lo diceva anche spesso in giro, quindi avrebbe preferito far morire i prigionieri, che aprire. Si mise a tastare il portone. Non gli venivano in mente possibili scenari per cui quel sadico avrebbe aperto la porta, ma non sembrava neanche che fosse stata forzata dall’interno. Gocce di sudore freddo gli scendevano lungo il volto mentre realizzava che non riusciva a trovare una spiegazione logica e razionale alla situazione.

Si allontanò lentamente dalla porta, senza staccare lo sguardo dall’oscurità della cella, come se da un momento all’altro si aspettasse di vedere Gil che gli veniva incontro col volto tumefatto e gli occhi vuoti. La sirena gli rimbombava nelle orecchie.  Lo risvegliò da questo delirio ad occhi aperti lo scontro con la grata, che cadde fragorosamente a terra.

Tirò un sospiro di sollievo. Quindi si chinò a raccogliere la grata. E allora si ribloccò.

La grata ferma tra le mani iniziò a tremare insieme alle braccia che la stringevano.

Sul suo viso si dipinse un’espressione di puro terrore.

No, non è possibile.

Avvicinò il volto allo sportello quasi a volerci entrare dentro. Ma quella scritta glielo impediva. Non sarebbe mai entrato di proposito in un suo incubo.

Davanti ai suoi occhi cominciarono a balenare immagini di mulini a vento, pistole , corpi riversi a terra, flash bianchi e quella parola che si ripeteva all’infinito, a intervalli irregolari, sussurrata al suo orecchio da voci sconosciute. CRIPTO.

Fece cadere fragorosamente la grata a terra e corse via.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: nuvolArcobaleno