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Autore: Machaira    11/07/2017    0 recensioni
Dal secondo capitolo.
Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
[…] “Che cosa volete?” chiese secco.
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
(sempre) dal secondo capitolo.
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno, uno qualunque di voi, facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. […] Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Michonne, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16 - Epilogo
 
Quando quel mattino si svegliò, si ritrovò sola; pigramente, allungò un braccio per esplorare l'altra metà del letto ma niente, lui non c'era. Le lenzuola sotto il piumone però erano ancora tiepide, segno che non doveva essersi alzato da molto. Pensò che avrebbe potuto controllare se fosse ancora in casa ma, non appena scostò le coperte, un rivolo di aria fredda le lambì le caviglie facendole venire la pelle d'oca. A pensarci bene sarebbe potuta rimanere benissimo a letto; chi glielo faceva fare di abbandonare il tepore di quel giaciglio? Tutti i suoi propositi furono spazzati via quando sentì sbattere la porta del bagno. Valeva la pena alzarsi.
 
Ricorrendo a tutta la sua forza di volontà si sollevò con un colpo di reni e dopo un sospiro ancora assonnato scese dal letto, trascinando lentamente i piedi sulle piastrelle fredde. Arrivata davanti alla porta scorrevole vi poggiò pesantemente una mano e la aprì; socchiuse gli occhi, abbagliata dalla luce fredda di quel mattino che entrava dalla porta finestra, e restò lì in mezzo al soggiorno con una mano a coprirle il viso.
 
Come sempre non capì da che direzione provenisse, ma ad un certo punto sentì la sua mano posarsi sul suo fianco e le sue labbra contornate dalla barba sfiorarle una tempia. Fu un contatto rapido e leggero, come tutte le mattine addietro, ma Beth non avrebbe potuto immaginarsi un risveglio migliore. Le prime volte l'aveva presa in contropiede ed era stato tutto talmente veloce che temeva di esserselo sognato; col senno di poi, si era resa conto che probabilmente lui approfittava proprio dei momenti in cui non era ancora del tutto vigile per compiere quei piccoli gesti a cui normalmente non era avvezzo. Ormai si era abituata, ma anche quando era ben sveglia si fingeva annebbiata dal sonno solo per farsi dare quel bacio che ancora le faceva tremare le gambe.
 
“Buongiorno.” mormorò con voce morbida. “Che ore sono?”
 
“Le nove.” le rispose lui dopo qualche istante.
 
“Abbiamo ancora tempo.” disse più a sé stessa. Guidata dal rumore gli si avvicinò pian piano con gli occhi semichiusi e gli cinse la vita con le braccia, mentre lui era impiegato a chiudere la moka del caffè. Appena l'aveva sentita sfiorarlo, aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani, come se ancora si sorprendesse. Accese il fornello e vi posò la caffettiera, poi finalmente si girò verso di lei. Beth non gli diede il tempo di fare nulla che già si era sollevata sulle punte per dargli un bacio a fior di labbra. Quando finalmente aprì gli occhi, lo guardò stranita e si scostò leggermente confusa.
 
“Ma cos'hai fatto?” chiese osservandolo attentamente.
 
“Devo ricordati la scommessa di ieri sera?” borbottò.
 
 
 
Il pomeriggio precedente Daryl era andato a prendere Judith all'asilo; Carl era in gita e sia Rick che Beth erano immersi fino al collo in un caso importante, così era rimasto solo lui. Quando era entrato nella classe della bambina aveva visto un suo compagno avvicinarsi e passarle un foglio. La cosa l'aveva un po' infastidito ma non aveva detto niente; si era limitato a chiamarla e a quel punto Judith aveva voltato la testa di scatto sorridendo. Come un fulmine si era alzata dal suo posto, aveva spinto la seggiolina sotto il tavolo e poi gli era corsa incontro abbracciandolo stretto all'altezza delle ginocchia. Il resto del pomeriggio era passato tranquillamente come tanti altri: dopo aver fatto merenda erano andati al parco e dopo un paio d'ore Beth li aveva raggiunti.
 
“Allora, che c'è che non va?” gli aveva chiesto dopo qualche minuto. Niente da fare, ormai capiva subito quando qualcosa non andava.
 
“Mmm…” aveva mormorato poco convinto, lanciando uno sguardo fugace a Judith che si dondolava avanti e indietro sull'altalena. “Oggi, quando sono andato a prenderla all'asilo, ho visto una cosa che non mi è piaciuta.” Beth lo guardò attenta, invitandolo a proseguire. “Un bambino le si è avvicinato e l'ha infastidita.” concluse secco.
 
“Che cosa le ha fatto?” chiese preoccupata lei.
 
Daryl la guardò per qualche istante e poi prese lo zainetto rosa che la piccola gli aveva lasciato, cominciando a frugare alla ricerca di qualcosa. “Le ha dato questo.” disse serio, passando un foglietto alla ragazza.
 
Beth aprì la prova incriminata e l'osservò attentamente. Il disegno raffigurava due bambini - piuttosto sproporzionati a dire il vero - che passeggiavano su un prato fiorito e si tenevano la mano sotto il Sole sorridente. Nell'angolo in basso a destra il bambino aveva fatto scrivere alla maestra "ti voglio bene". Sorrise e sollevò lo sguardo sull'uomo accanto a sé. “Le ha fatto un disegno, e quindi?”
 
“Come "quindi"? Non vedi che c'è scritto? E quel cuore?” domandò su di giri come se avesse appena scoperto la base di una cella terroristica.
 
“Ma che vuoi che sia, sarà il suo amichetto.” minimizzò. “Lei cosa ti ha detto?”
 
“Perché dai per scontato che le abbia chiesto qualcosa?” rispose lui sulla difensiva. Beth incrociò le braccia al petto divertita e lo guardò trattenendo a stento un sorriso. Per tutta risposta Daryl sbuffò. “ "È il mio amico". Ecco cosa mi ha risposto.”
 
“Visto? Non c'è di che preoccuparsi, è normale.” lo liquidò lei, pensando che il discorso fosse infine giunto a una conclusione. Eppure sapeva che non era così, perché sentiva che lui doveva dire ancora qualcosa.
 
“Ma Judith non è mai tornata a casa con un disegno del genere.” insistette infatti poco dopo.
 
“Be' se è il suo amichetto…” lasciò la frase in sospeso, sperando che finalmente lui capisse.
 
“In che senso?” si avvicinò lui, sussurrando come se stessero cospirando chissà cosa.
 
“Su Daryl! È evidente che è il suo fidanzatino!” rise lei. “Tutti ce l'hanno all'asilo, anche io ce l'avevo.”
 
Lui era rimasto pietrificato per un minuto buono e poi era esploso: “Cosa?! Ma lei ha solo quattro anni!”
 
“Anche lui.” ribatté lei, sempre più divertita dalla situazione.
 
“Non c'entra niente; i maschi pensano sempre a una cosa sola.” aveva borbottato nervoso.
 
“Ah sì?” gli aveva chiesto lei con tono falsamente offeso, rifilandogli un'occhiata ambigua.
 
“Smettila di prendermi per il culo.” Le aveva rifilato un'occhiataccia e poi aveva fatto leva sulle ginocchia per alzarsi. “Forza, si torna a casa!” aveva dato voce alla bambina.
 
Il discorso si era chiuso lì e non ne avevano più parlato; dopo aver riaccompagnato la piccola erano tornati a casa anche loro e avevano preparato la cena. Eppure Beth si era accorta che, nonostante tentasse di non darlo a vedere, lui ci stava ancora pensando. Non che fosse un gran chiacchierone, ma quella sera si era chiuso in un mutismo quasi totale, rispondendo solo con qualche mormorio distratto ai suoi discorsi.
 
Ad un certo punto sbuffò spazientita. “Basta, se continui così ti uscirà il fumo dalle orecchie. Adesso la chiamo e glielo chiedi.” gli disse mentre si alzava per raggiungere il cellulare.
 
“Non serve, lei non sta con quel… coso.” aveva ribattuto dandole finalmente una risposta diversa da "Sì.", "No." e "Mmm."
 
“Ci scommetti?” lo provocò lei, guardandolo con uno sguardo furbo.
 
Daryl l'aveva osservata in silenzio per qualche secondo. Non sapeva se era meglio saperlo e averne la certezza o non saperlo e rimanere col dubbio. Avrebbe voluto dirle semplicemente di no e chiudere quella storia, ma quando lo guardava così, quando toccava il suo punto debole, non poteva tirarsi indietro.
 
“Andata.” rispose, vincendo all'orgoglio.
 
Beth aveva chiamato casa Grimes e si era fatta passare Judith; con noncuranza le aveva detto che quel pomeriggio aveva visto il disegno che c'era nel suo zainetto e che lo trovava molto bello. Con allegria la bambina le aveva spiegato che gliel'aveva regalato un certo Pete. A quel punto la ragazza aveva lanciato un'occhiata soddisfatta a Daryl, che stava ascoltando la conversazione in vivavoce, e poi aveva chiesto chi fosse.
 
Con un candore disarmante la bambina aveva risposto: “Il mio fidanzato! Non è bello come il papà o zio Daryl, ma loro sono troppo grandi.” Dopo una breve pausa aveva aggiunto: “Se vuoi posso farti conoscere Jeremy, a lui piacciono tanto le bambine bionde come te!”
 
A quel punto Daryl le aveva rubato il cellulare di mano e aveva salutato Judith con un veloce “Vai a nanna spaccaculi.” chiudendole il telefono in faccia. Mentre si allontanava, Beth lo aveva sentito sputare innervosito un “Pete.
 
Divertita dal fatto di aver avuto ragione, e ancora di più dalla sua reazione, lo seguì in camera saltellando. “Ho vinto!”
 
La punizione per la scommessa che aveva scelto non era niente di che in effetti, ma era il gesto morale a contare: il tutto aveva consistito nel truccare niente popò di meno che l'inarrivabile Daryl Dixon. Lo aveva fatto sedere sul letto e sorda alle sue proteste gli aveva chiesto: “Qual è il tuo colore preferito?”
 
Senza pensarci le aveva risposto: “Verde.”
 
Lei aveva sorriso ancora più divertita e aveva gongolato “Ti starà benissimo.”
 
Nemmeno un'ora dopo l'uomo si stava ammirando sconvolto ad un piccolo specchio che era riuscito a trovare tra i trucchi, mentre lei si godeva la sua creazione: gli aveva fatto uno smokey eyes sui toni del verde e aveva completato il tutto con un rossetto aranciato.
 
“Saresti perfetto come protagonista di "Priscilla - La regina del deserto".” lo prese in giro.
 
“Cosa?” chiese confuso lui.
 
“Sai quel film che tento di farti vedere almeno una volta a settimana e puntualmente tu sparisci?” gli spiegò.
 
“Ah quello dei tre froci in Australia.” disse lui con tono ovvio “Be', conciato così cos'altro poteva essere?”
 
“Ma smettila! Guy Pearce è un gran bell'uomo…" mormorò lei mentre gli metteva il mascara. “Finito! Allora, come ti sembra?”
 
“È pesante, è normale?” disse solo, cominciando a sbattere le palpebre.
 
 
 
Come avrebbe potuto dimenticarsi della scommessa del giorno prima? Alla fine l'aveva convinto a rimanere così fino alla mattina dopo, ma quando erano a letto lui aveva strusciato apposta il viso sul suo per tentare di togliersi tutto quel trucco.
 
“Me la ricordo bene, ma perché sembri un panda?” gli domandò divertita.
 
“Perché sto cazzo di coso non va via!” esclamò con ovvietà.
 
“È impossibile, a me si toglie sempre senza problemi. Cos'hai usato?”
 
“Ho provato di tutto: il sapone, lo shampoo e persino il detersivo dei piatti. Non va via più di così e pesa ancora.” ribatté sicuro indicandosi le ciglia con un dito.
 
“Il detersivo dei piatti?! Ma sei matto! È già tanto che gli occhi non ti siano caduti!” esclamò incredula. “Perché non hai usato il mio struccante? È nell'armadietto.”
 
“E io cosa dovrei saperne?” chiese sulla difensiva, alzando le spalle.
 
Beth scosse la testa e gli sorrise. “Vieni, ci penso io.” disse prendendolo per mano e incamminandosi verso il bagno. “Tra poco dobbiamo andare e ci conviene far sparire questo mascherone dalla tua faccia se non vuoi che tutti ti vedano così.”
 
§§§
 
Rick aprì lentamente gli occhi e li fece correre per la camera ancora immersa nella penombra. Immediatamente notò che c'era qualcosa di strano, anche se non riuscì a capire subito cosa fosse. Dopo qualche minuto di contemplazione verso il soffitto, notò che il sole era troppo alto nel cielo rispetto al solito ma la casa era ancora silenziosa. Si voltò pigramente verso la sveglia e non appena vide l'ora sobbalzò sul materasso, trasalendo.
 
“Cazzo, è  tardissimo!” mormorò concitato.
 
Saltò giù dal letto come un povero pazzo con il diavolo alle calcagna e attraversò la stanza a grandi passi; durante il tragitto non mancò di inciampare in un paio di pantaloni appallottolati e di calpestare uno dei lego di Judith che gli fece vedere le stelle. Arrivato di fronte alla porta alla sua sinistra la spalancò e percorse il pianerottolo velocemente.
 
“Carl! Muoviti! È tardi, dobbiamo andare!” urlò al figlio dopo essere entrato in camera sua.
 
“Eh? Come?” chiese il ragazzo con la voce impastata, rigirandosi tra le coperte.
 
“Forza alzati! Tra mezz'ora dobbiamo andare! Sai che ci ammazza se non arriviamo puntuali!” continuò ad gridare in preda all'agitazione mentre apriva le tende con un colpo secco. “La mia sveglia non è suonata. Ma non l'avevi puntata anche tu?” chiese agitato.
 
“Ma cosa ne so…” disse Carl mugugnando e coprendosi gli occhi con un braccio per proteggerli dalla luce.
 
“Dai, scendi dal letto! Io vado a vestire tua sorella, entro le undici ti voglio giù!” esclamò uscendo e sbattendosi la porta alle spalle. Aprì in fretta anche la porta della camera della bambina ma vide che era vuota. Rimase un secondo stranito, guardandosi intorno per assicurarsi che non fosse lì e poi, ricordandosi che era già abbastanza in ritardo, si riprese velocemente e provò a vedere se non si trovasse in bagno. Niente anche lì.
 
“Posso?” lo raggiunse poco dopo la voce del figlio, che lo guardava appoggiato allo stipite della porta. Rick uscì dal bagno e lui si chiuse dentro. Poco dopo partì il getto di acqua calda.
 
Scese fino a metà scala e poi chiamò la bambina: “Judith? Dove sei?”
 
“Sono in collasso sul divano.” gli rispose pimpante. L'uomo rimase basito, immobilizzandosi, di fronte al linguaggio usato dalla piccola; di certo non poteva averlo imparato all'asilo. Solo una persona aveva potuto insegnarglielo.
 
“CARL!” urlò a pieni polmoni, rivolto al piano di sopra.
 
“Eh?” gli giunse lontano l'eco della voce del ragazzo.
 
“Sì, fai finta di non sentire…” mormorò a voce nemmeno troppo bassa, tornando in camera della piccola. Grazie a Dio aveva già preparato i vestiti.
 
In realtà la cosa andava avanti da un po' di tempo; una volta si erano svegliati in ritardo e le aveva fatto indossare le prime cose che aveva trovato. Quella sera la bambina si era seduta sul suo letto a gambe incrociate e gli aveva chiesto se non la trovasse strana. Lui aveva risposto semplicemente di no e lei si era infervorata tutta dicendo che gonnellina fucsia, maglietta rossa e calze a righe verdi e blu erano bruttissimi insieme. Da quel momento aveva cominciato a scegliersi i vestiti da sola. Prese l'abitino blu che c'era sulla seggiolina ai piedi del letto e scese al piano di sotto trovandola, come gli aveva già annunciato, sdraiata sul sofà.
 
“Vieni tesoro, dobbiamo vestirci.” disse avvicinandosi.
 
“No, non voglio!” rispose lei alzandosi in piedi sul divano e cominciando a saltellare sui cuscini morbidi.
 
“Dai, vieni qui.” disse continuando ad andare verso di lei.
 
“No, no, nooo! Prendimiii!” aveva esclamato saltando giù dal divano e cominciando a correre, urlando divertita. Rick pregò solo che non stesse andando di sopra o non l'avrebbe presa mai più se si fosse nascosta da qualche parte. Tentò in cucina - sperando che la fortuna lo assistesse - ma niente, lì non c'era. Sbuffò innervosito, pensando che il tempo intanto passava e doveva anche trovare il tempo di rinfrescarsi prima di uscire di casa.
 
“Judy! Dove sei?” chiese una volta tornato nel mezzo del pianerottolo del primo piano. “Sei in camera?”
 
“No!” sentì che gli rispondeva, scoppiando a ridere.
 
“Ah, se ti prendo piccola peste!” non riuscì a trattenere un sorriso e scosse la testa mentre entrava nella stanza di fronte a sé. Le tende erano state tirate e la fredda luce autunnale entrava dai vetri delle finestre di fronte a lui, illuminando tutt'intorno.
 
“Ah! Tana, tana!” disse la bimba quando lo vide, agitandosi tra le braccia della donna.
 
“Ma cosa sta succedendo qui?” domandò Michonne divertita mentre alternava lo sguardo tra i due.
 
“Papà mi vuole prendereee!” rispose la piccola con un gridolino.
 
“Papà! E perché vorresti prenderla?” stette al gioco, squadrando l'uomo di fronte a sé con un cipiglio fintamente guardingo.
 
“Perché la signorina deve vestirsi, ma ha deciso che è meglio giocare a guardie e ladri.” spiegò guardando di sottecchi la piccola, come per evidenziare ancora di più quanto avesse ragione.
 
“Dai Judith, sai che dobbiamo andare. Cosa ne dici principessa? Andiamo a farci belle?” chiese la donna alla bambina.
 
“Certo, quello è il mio vestito preferito!” rispose regalandole un gran sorriso.
 
“Due contro uno non vale..!” esclamò Rick avvilito, abbassando le spalle. Mentre gli passava accanto con Judith tra le braccia, Michonne gli strizzò l'occhio e gli posò un bacio leggero sulle labbra.
 
“Ci penso io, tu vai a prepararti.” lo rassicurò uscendo dalla stanza.
 
Non gli sembrava vero; anche se era passato già qualche mese da quando era andata a stare da loro (per la gioia di Judith, soprattutto), ogni tanto si riscopriva stupito che gesti tanto semplici fossero tornati a far parte della sua quotidianità. In piedi in mezzo alla stanza con un sorriso leggero sulle labbra e i vestiti puliti tra le mani, non si accorse che era libero finché la voce arrochita di Carl lo raggiunse.
 
“Papà, ho finito!”
 
Si svestì in fretta mentre andava verso il bagno, lasciando i vestiti un po' dove capitava. Appena dentro guardò l'ora sul display del telefono: 10.45. Aveva un quarto d'ora scarso. Fece la doccia (gelata) in tutta fretta, insaponandosi velocemente sia il corpo che i capelli con il bagnoschiuma, mentre contava a mezza voce i secondi che passavano. Se non fosse stato preso dall'urgenza del momento, probabilmente avrebbe trovato la scena piuttosto comica; quasi gli sembrava di sentire in sottofondo la classica canzoncina che mettevano nei circhi durante le scene dei pagliacci.
 
Era appena arrivato a trecento quando spense l'acqua e si fiondò davanti allo specchio, nudo come un verme e scosso dai brividi di freddo causati dalla bassa temperatura nella stanza e dal contatto con le mattonelle gelate sotto i suoi piedi. Si sfregò le mani sulle braccia per scaldarsi, mentre piccole goccioline d'acqua scendevano dai ricci appiccicati alla sua fronte. Si guardò intorno alla ricerca di un asciugamano e ne trovò uno tra il lavandino e la tazza del water; senza indagare troppo lo prese e cominciò ad asciugarsi velocemente.
 
Quando si guardò allo specchio quasi si maledisse; dannazione, perché non si era fatto la barba la sera prima?
 
Con la salvietta avvolta in vita si abbassò sul cassetto dell'armadietto alla ricerca di un rasoio e della schiuma da barba. Cercò per un paio di minuti buoni ma non trovò nulla.
 
“Carl! Dove sono le cose per radersi?!” urlò rivolto verso la porta.
 
“Non lo so papà!” gli rispose quello dal salotto.
 
“Chi vuoi che usi il rasoio a parte te e me?! Sputa il rospo, non posso uscire con questa faccia! ” ribatté innervosito, mentre il tempo passava.
 
“Chiedi a Michonne!” Il ragazzo liquidò l'argomento continuando ad allacciarsi le scarpe.
 
“Michonne?” si domandò stranito tra sé e sé. “MI STAI PRENDENDO IN GIRO?!”
 
Poco dopo la porta si aprì piano e proprio il viso della donna fece capolino. “Scusa.” esordì con un sorriso furbo porgendogli proprio quello di cui aveva bisogno.
 
“Ma che cosa...?” le chiese basito.
 
“Il tuo rade molto meglio del mio, poco ma sicuro.” gli spiegò. “E non mi sembra ti dispiaccia.” aggiunse abbassando la voce.
 
Rick abbassò la testa, tentando di nascondere un sorriso divertito che gli era sorto spontaneo. Dopo poco si sporse verso di lei e, tenendosi la salvietta con una mano, prese il rasoio e la bomboletta che gli stava porgendo.
 
“Se chiudi finisco prima.” le disse, osservandola dallo specchio mentre si spruzzava la schiuma da barba su un palmo.
 
“Non sono sicura di volere che tu finisca così in fretta.” rispose lei, guardandolo negli occhi. Dopo una manciata di secondi si convinse e richiuse la porta.
 
L'uomo sospirò, scuotendo la testa. L'avrebbe tirato matto, o forse c'era già riuscita. Guardò un'altra volta l'ora sul cellulare: segnava le 10. 53. Cazzo, doveva muoversi! Si spalmò la crema su tutto il viso, talmente veloce che un po' gli entrò nelle narici, facendogli mancare l'aria per un momento. Prese il rasoio e con gesti impazienti cominciò a radersi. Probabilmente non si era mai fatto così male la barba in vita sua e ne ebbe la conferma quando, mettendo il dopobarba, si sentì bruciare in più punti tanto che gli vennero le lacrime agli occhi.
 
Lanciando un'ultima occhiata al telefono capì che il tempo era finito. Si infilò velocemente i boxer, i calzini, i pantaloni e, mentre stava per indossare la camicia, Judith lo chiamò con voce squillante: “Papà! Sono le undici! Veloce, noi siamo tutti pronti!”
 
Sbuffando esasperato afferrò giacca, camicia, le scarpe e si precipitò giù per le scale. “Oggi guida Michonne.” disse a nessuno in particolare, aprendo la porta d'ingresso e dirigendosi verso l'auto ancora mezzo svestito.
 
§§§
 
Finalmente, dopo una decina di minuti di soli campi, riuscirono a vedere la Fattoria dei Greene. Il grano era stato raccolto tempo prima e in quel momento, fatta eccezione per il prato giallo che andava via via morendo e gli alberi sempreverdi che punteggiavano la strada battuta e il bosco, era rimasta solo la nuda terra.
 
Ciononostante, a Maggie la fattoria non era mai sembrata così bella. Era tanto che - per molti motivi, primo fra tutti il lavoro - non riusciva a prendersi un po' di tempo per staccare dalla città e rifugiarsi nel loro "angolo di paradiso". Ma finalmente erano arrivati. Con un sospiro che le strinse il cuore, la ragazza guardò la casa che si faceva sempre più vicina e poi spostò lo sguardo sull'uomo accanto a sé.
 
Glenn, sentendosi osservato, si girò verso di lei e le chiese con una certa apprensione: “Tutto bene?”
 
Annuì e gli sorrise, vedendolo rilassarsi un poco nel sedile e continuare a guidare - alla velocità da brivido di trentadue chilometri orari - con lo sguardo fisso sulla strada. In un paio di minuti arrivarono a destinazione. Annette, che era sotto il portico a sistemare i cuscini sulle sedie di vimini, fu la prima a vederli arrivare e gli sorrise.
 
Maggie si slacciò la cintura e, prendendo il cheesecake che aveva tenuto sulle ginocchia per tutto il viaggio, aprì la portiera. In meno di un secondo Glenn, che fino a un attimo prima era seduto accanto a lei, gli si parò davanti e con gli occhi spalancati le chiese “Che fai?!” in un sussurro basso e inquisitorio.
 
“Scendo?” rispose lei in tono ovvio.
 
“No! Dai a me la torta; non puoi fare come se niente fosse, devi stare attenta!” la rimbeccò prendendole il vassoio dalle mani e aiutandola ad uscire dall'auto.
 
Lei trattenne un sospiro e con un sorriso tenero si aggrappò al suo braccio, dirigendosi verso casa. Non le era mai piaciuto dare nell'occhio ed era sempre stata una che si prende i propri tempi, per ogni cosa. A maggior ragione, in questo particolare caso non voleva far preoccupare i suoi genitori. Ma non si era mai trovata in quella situazione e doveva ancora trovare il modo e il momento per parlare. Certo era che se Glenn avesse continuato con quell'atteggiamento non sarebbe riuscita a tacere ancora per molto.
 
A qualche passo di distanza, Annette si era accorta che qualcosa non andava ma prima che potesse anche solo chiedere se andasse tutto bene, la piccola Judith uscì di casa, sgambettando verso la coppia.
 
“Ciao, Meg!” rise abbracciandole le ginocchia. Glenn le scoccò uno sguardo di fuoco che la bambina non colse e la ragazza accanto a lui si premurò di rassicurarlo con un bacio sulla guancia.
 
“Tranquillo, sto bene.” gli sussurrò piano. Forse un po' più convinto rispetto a prima delle sue parole, si separò dal suo fianco, lasciandola in balìa delle attenzioni della piccola Grimes e si avviò su per le scale d'ingresso. Appena entrati in casa sentirono un chiacchiericcio provenire dal soggiorno e dopo aver posato i cappotti sull'appendiabiti raggiunsero gli altri.
 
Hershel era seduto sulla poltrona, come al solito, dalla quale osservava tutta la stanza. Su un divano c'erano Beth, Rick e Daryl, mentre quello di fronte era occupato da Michonne e Carl.
 
“Figlioli!” li accolse il Generale Greene con un sorriso. “Venite, venite!” li invitò alzandosi. “Ciao tesoro.” salutò sua figlia dandole un bacio sulla guancia e aspettando che lei ricambiasse. “Ragazzo mio!” disse afferrandogli le spalle con un braccio. “Allora? Tutto bene?” domandò guardandoli.
 
“Sì, papà. Voi come state?”
 
“Ah, io e tua madre siamo dei combattenti, lo sai.” le strizzò l'occhio orgoglioso. “Vieni,” si rivolse a Glenn ancora intrappolato nella sua presa d'acciaio. “Accompagnami a scegliere il vino.” disse tirandoselo dietro.
 
Maggie, sulla poltrona che aveva occupato suo padre fino a pochi minuti prima, sorrise. E pensare che la prima volta che l'aveva presentato ai suoi genitori era convinta che suo padre non l'avrebbe mai accettato del tutto. Non che lui avesse qualcosa che non andasse, anzi! Per lei era perfetto. Ma Hershel era sempre stato un tipo all'antica e la sua tempra di generale non aveva addolcito il suo lato tradizionalista. In più, sia lei che Beth si erano rese conto molto presto che il loro papà era piuttosto selettivo con le loro... amicizie.
 
Non appena i due erano usciti, Daryl aveva sbuffato leggermente, per scaricare la tensione. Beth senza dire nulla, posò una mano sulla sua, stretta sul ginocchio e la prese dolcemente. Si guardarono per qualche istante e, quando lei fu chiamata dalla madre, dovette alzarsi e raggiungerla in cucina.
 
“Allora? Come sta andando? Sei ancora tutto intero vedo.” cercò di sdrammatizzare l'amico, seduto accanto a lui.
 
Dopo un'occhiataccia, Daryl alzò le spalle e appoggiò la schiena contro il divano. “Non sopporto i militari e sono finito con uno di loro.”
 
“Non sopportavi neanche i poliziotti e poi ti è passata.” gli fece notare.
 
“Non li sopporto ancora Rick. Sopporto te, è diverso.*1” precisò, facendo ridere l'uomo accanto a lui.
 
Intanto, nello scantinato, i due uomini al centro dei pensieri di Maggie parlottavano tra loro.
 
“A proposito”, esordì Hershel allacciandosi a un argomento che non aveva niente a che fare con quello precedente. “Che cosa sai di questo Daryl? Tu lo conosci?”
 
Glenn quasi si immobilizzò sul posto. Cosa avrebbe potuto rispondergli? “Certo, ho passato tutto l'anno scorso a consegnargli pizze sei giorni su sette, ventiquattrore su ventiquattro.” Proprio a lui doveva essere coinvolto in quella conversazione?
 
“Sì, è un ragazzo a posto, lo conosco da tanto.” cercò di non esporsi troppo. Non sapeva che cosa Beth avesse raccontato a suo padre e di sicuro non voleva "tradirla". D'altra parte quell'uomo era un vero segugio; sentiva la puzza di bruciato a chilometri di distanza. “Lei che ne pensa?” gli chiese allora.
 
“So solo che è amico di mia figlia. Anzi, non osano dirmelo ma io penso che flirtino un po'.” disse quasi in tono complice.
 
“È più che normale alla loro età...” rispose con nonchalance, in un modo accondiscendente che lo fece sentire più vecchio di quanto non fosse in realtà. Come se Daryl non fosse più grande di lui.
 
“È ovvio.*2” concordò. “Torniamo su, forza.” troncò il discorso piazzandogli tra le mani due bottiglie di vino rosso.
 
§§§
 
Quando Annette li aveva chiamati per il pranzo Beth aveva temuto che potessero capitare abbinamenti di posto spiacevoli - ad esempio il fatto che casualmente Hershel si tirasse Daryl il più vicino possibile per tenerlo sotto tiro - ma alla fine non poté lamentarsi. Uno dei capotavola era ovviamente occupato da sua madre, mentre l'altro da suo padre. Accanto ad Annette c'erano Rick, alla sua sinistra, e Carl, alla sua destra. Judith aveva insistito per sedersi a tutti i costi tra Rick e Daryl, così Michonne si era seduta accanto a Carl e Beth accanto a lei, in modo da essere di fronte al suo ragazzo in caso di bisogno. Vicino a lei c'era Glenn e alla destra di suo padre c'era Maggie. Meglio di quanto sperasse.
 
Si erano accomodati attorno al tavolo di noce già da una buona mezz'ora, eppure erano ancora agli antipasti; come al solito sua madre aveva esagerato. La tavolata era imbandita di ogni cosa: verdure cotte, insalata, due vassoi ricolmi di vari affettati (orgoglio del Generale), tartine, salmone affumicato in ogni dove, sottaceti, olive, fagiolini eccetera, ma il profumo che faceva da padrone era l'aroma fragrante del pane fresco, appositamente preparato dalla padrona di casa.
 
Roba da leccarsi i baffi, e infatti per alcuni minuti erano rimasti quasi in religioso silenzio, finché - dopo i complimenti rivolti alla cuoca - avevano ricominciato a chiacchierare, pizzicando qua e là qualcosa dal piatto.
 
“Allora.” cominciò il capo famiglia guardando il ragazzo alla propria sinistra. “Come va il lavoro, ragazzo?”
 
Glenn sollevò la testa dal piatto e si voltò verso di lui, per poi spostare lentamente lo sguardo sulla sua fidanzata, che gli stava proprio di fronte. Lei rimase immobile, ma lo ammonì con lo sguardo.
 
“Be'…” tentennò.
 
 
 
“Ti giuro che ripagheremo i danni.” gli disse Rick mentre osservavano Daryl e Beth allontanarsi sull'auto di servizio della pizzeria. Era davvero ridotta male: la vernice era abbondantemente scrostata in più punti, uno specchietto era stato tranciato di netto, l'insegna luminosa al led era tutta storta e - eccetto per qualche debole sprazzo - la luce era fuori uso. Inoltre la fiancata destra aveva parecchie ammaccature più o meno grandi, che comunque non passavano inosservate e contribuivano a dare all'insieme un non so che di degradato e fatiscente.
 
“E sono sicuro che quando parleremo con il tuo capo, lui capirà la situazione e non perderai il lavoro.” aggiunse il vicecapitano nel sedile accanto al suo prima di mettere in moto.
 
“Oh...” mormorò ancora indeciso se comunicargli la sua decisione o meno. Dopo qualche minuto passato in silenzio e interrotto solo dagli sbuffi di Nico (che continuava a lamentarsi di come le manette fossero troppo strette), si convinse a parlargliene. “Sai, penso che il vecchio Totò si meriti una macchina nuova.”
 
Rick gli lanciò uno sguardo veloce con la coda dell'occhio, intuendo che presto sarebbe arrivato un "ma".
 
“Però credo che non ci sarà bisogno di parlare con lui. Era già un po' che avevo la mezza idea di lasciare il lavoro come fattorino.” disse in un tono neutro, tentando di mascherare l'incertezza. E se gli avesse riso in faccia per la sua idea?
 
“Cosa pensi di fare allora?” gli domandò l'altro discretamente.
 
“Dopo le scuole medie mi sono trasferito qui dalla Corea per venire a stare dai miei zii; ero uno studente nella norma, ma quello che mi appassionava mi riusciva piuttosto bene. Una volta finito il liceo mi sono iscritto all'Accademia e per non pesare sulle spalle dei miei genitori - o tantomeno su quelle dei miei zii - ho cominciato a lavorare part-time da Totò per pagare la retta da solo. Dopo un paio d'anni sfortunatamente mio zio morì; mia zia non lavorava e la sua pensione non bastava per lei e i miei due cuginetti, così ho cominciato a frequentare sempre meno e a lavorare sempre di più, fino a quando non mi sono ritirato. Ho continuato a pagare la retta per non perdere gli esami dati, ma mi manca l'ultimo anno.” concluse leggermente sulla difensiva.
 
“E pensavo di ricominciare.” aggiunse, specificando l'ovvio.
 
“È fantastico! Niente paura, ce la farai.” gli sorrise l'altro per rassicurarlo, mentre parcheggiava e spegneva l'auto. Entrati in centrale, Rick portò il ragazzo ammanettato in una delle celle al piano di sotto, e quando tornò di sopra trovò Glenn seduto su una delle seggioline d'attesa.
 
“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?” domandò, mettendogli una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione.
 
Lui non rispose e si limitò a guardare qualche passo più in là una ragazza magra dal caschetto castano che parlava con la centralinista appoggiata al bancone.
 
“Ah...” mormorò Rick con l'aria di chi la sapeva lunga. “Sono sicuro che sia la scelta giusta.” gli sorrise.
 
 
 
Riemergendo dal flusso di ricordi, tornò a guardare l'anziano signore accanto a lui e cominciò: “Mi manca solo qual-” soffocò con un finto colpo di tosse la frase che stava per dire e riprese: “Mi mancano solo due esami, compresa la tesi, e finalmente potrò cominciare." si corresse in fretta.
 
“Bene, bene.” annuì orgoglioso il Generale. “Tesoro, ti senti bene?” domandò poi spostando lo sguardo sulla maggiore delle sue figlie, alla sua destra.
 
“Certo, perché me lo chiedi?” domandò Maggie stranita. Sperava che suo padre non se ne accorgesse, ma d'altra parte non credeva davvero di poterla fare ad Hershel Greene.
 
“Perché ho affettato apposta il prosciutto che ti piace tanto, ma vedo che non ne hai presa nemmeno una fetta.” insistette.
 
“In effetti hai ragione.” ammise lei per sviarlo: non sarebbe servito a niente dire che stava bene. E poi era vero: quello era sempre stato il suo preferito, ed era da tutto il pranzo che si stava facendo violenza psicologica per non allungare la forchetta e prenderne un po'. “Stanotte sono stata poco bene, temo sia stata colpa del salmone mangiato ieri sera, non doveva essere fresco come il pescivendolo mi aveva assicurato.” mentì, accampando una scusa.
 
“Ah... Non ci sono più le persone di una volta. Non c'è più l'eticità e il rispetto che ci si portava reciprocamente.” borbottò suo padre contrariato. “Mi spiace.” ammorbidì il tono, rivolgendosi di nuovo alla ragazza, che gli sorrise.
 
Il discorso non era sfuggito allo sguardo attento di mamma Annette che, non appena Hershel aveva nominato il malessere della figlia, aveva aguzzato l'udito. C'era qualcosa di strano nel suo comportamento; il modo in cui Glenn le stava attorno, come non la perdeva mai d'occhio, come scattava ogni volta che c'era un rumore strano. Quando li aveva visti scendere dall'auto le era sorto un dubbio, ma solo nel momento in cui - non vista agli occhi degli altri - Maggie si era accarezzata leggermente il basso ventre, aveva avuto la conferma. Sorrise cercando di trattenere le lacrime di gioia che minacciavano di sfuggirle, e continuò a seguire la conversazione.
 
“E lei?” lo chiamò Hershel, puntando lo sguardo su Daryl. “Mi hanno parlato tanto di lei, ma praticamente non so nulla; cosa fa per vivere?” chiese indagatore, osservandolo.
 
“Mmm...” mormorò incerto su cosa rispondere. “Io gestisc-” fu immediatamente interrotto da un calcio ben assestato della sua ragazza, che in quel momento gli stava di fronte con gli occhi leggermente spalancati e cercava di comunicargli nel modo più discreto possibile di non nominare il negozio. Che fosse maledetto quel negozio.
 
 
 
“Cosa farai adesso?” gli chiese Beth qualche giorno dopo la chiusura del caso. Nonostante il suo lavoro fosse finito, lui aveva mantenuto l'abitudine di andare in centrale e - anche se poteva rimanere in ufficio meno di quanto avrebbe voluto - la aspettava per la pausa e spesso e volentieri non tornava nemmeno a casa, fermandosi a parlare con Juliet o dando fastidio a Abe e  Jesus. Senza mettersi d'accordo una mattina si erano trovati davanti all'entrata del distretto ed erano andati a fare colazione insieme.
 
“Non lo so.” alzò le spalle lui, dando un morso al croissant. Anche quella mattina erano seduti al solito tavolino del bar - pasticceria, davanti a un caffè caldo.
 
“Però hai già qualche idea.” rispose lei, in un modo che era più un'affermazione che una domanda. Ma come diavolo faceva a saperlo? O aveva sviluppato capacità cognitive alla velocità della luce oppure lui non si era mai reso conto di quanto lei fosse attenta. Propendeva per la seconda.
 
“Stavo pensando di aprire un negozio mio.” sganciò la bomba, non osando alzare lo sguardo su di lei.
 
“Wow! Fantastico!” esclamò Beth, attirando lo sguardo divertito di qualche cliente vicino a loro. “E a cosa pensavi? Meccanico? Ferramenta? Magari un bar!” provò ad indovinare.
 
“Fiori.” biascicò mentre ancora masticava.
 
“Cosa?” chiese piuttosto sorpresa.
 
“Pensavo di aprire un negozio di fiori.” ripeté a quel punto, cercando di mostrarsi più spavaldo di quanto non fosse.
 
“Un negozio di fiori?!” domandò basita.
 
“Sì, cosa c'è di male?” chiese sulla difensiva, quasi offeso.
 
“Nulla ma... Dopo tutto quello che è successo proprio un negozio di fiori?” sottolineò con un sorrisino derisorio. Se fosse stato chiunque altro le avrebbe mollato un pugno, più o meno amichevole, per levarle dalla faccia quel ghigno, ma vedendo i suoi occhi vivi non riuscì a fare nient'altro che sbuffare leggermente e inarcare l'angolo della bocca in un sorriso sghembo.
 
 
“Fratellino!” lo salutò una voce canzonatoria che ben conosceva, entrando in negozio.
 
“"Fratellino" un cazzo, ti aspettavo due ore fa.” gli rispose Daryl emergendo da dietro il bancone, circondato da una montagna di pellicola per imballaggi. “Si può sapere perché sei sempre in ritardo?”
 
“Non è saggio contrariare una donna.” ammiccò l'altro con un sorriso pieno di sottintesi; ma suo fratello sapeva benissimo che non era per una donna che aveva fatto ritardo, non quella volta. “E poi è domenica.” Ecco, appunto. Daryl lo osservò con le braccia incrociate, sollevando un sopracciglio scettico. “Ma la biondina te la dà? Perché mi sembri un po' stressato ultimamente.” lo prese in giro ancora.
 
“Se vuoi lavorare qui devi essere puntuale. Non abbiamo ancora aperto e non ti ho mai visto una volta in orario.” rispose tralasciando volutamente il discorso.
 
“Adesso sono qui, cosa c'è da fare?” chiese, sfregandosi le mani.
 
“Quasi nulla ormai, devo solo appendere l'insegna.” rispose, indicando un pannello appoggiato al muro con un cenno del capo.
 
“Allora, come si chiamerà questo posto?” chiese Merle a nessuno in particolare, dirigendosi verso la lastra di compensato, scostandola dal muro. Fece correre rapidamente gli occhi e poi li piantò di nuovo in quelli dell'uomo di fronte a lui.
 
“"Dixon Flowers."?” sputò schifato. “Cos'è, una band degli anni Settanta? Dixon Flowers.” ripeté “Io non ce lo voglio il mio cognome su un'insegna così! Sembra che da un momento all'altro dobbiamo partire in tour con gli ABBA e i Village Peolpe!” esclamò.
 
“Ma poi si può sapere chi cazzo ha deciso questo nome da froci?” sbottò dopo qualche istante di silenzio.
 
“Ehi!” dal retro giunse la voce offesa di Beth, che era stata chiaramente punta sul vivo.
 
“Ah! La biondina.” disse il maggiore dei Dixon in tono ovvio. “Ti tiene proprio per le palle, eh fratellino?” domandò con un ghigno malizioso. “Eh...” sospirò. “Dovresti essere tu quello che porta i pantaloni, sei un uomo, fatti valere!”
 
“Come, prego?” li interruppe una ragazza, appoggiata a braccia incrociate allo stipite della porta d'ingresso.
 
“Tesoro!” esclamò Merle andando verso di lei. “Non sapevo fossi qui.” si sporse per darle un bacio, ma Juliet si scostò con noncuranza, sorpassandolo.
 
“Dove volevi che fossi? Sono passata ad aiutare, dato che a quanto pare qualcuno pecca nelle sue mansioni.” gli lanciò una frecciatina nemmeno tanto sottile.
 
“Ti preoccupi troppo.” disse in tono più spavaldo di prima.
 
“Sei tu quello che prende tutto sotto gamba.” lo stuzzicò lei, non riuscendo a trattenere un sorrisino.
 
“Non tutto.” ribatté sporgendosi verso di lei con un sorriso sghembo. Juliet lo guardò negli occhi con decisione, stendendo un po' di più le labbra.
 
“Forza, al lavoro!” lo spronò poi, andando a prendere la scala da portare all'esterno, mentre lui le correva dietro per darle una mano.
 
Daryl li seguì con lo sguardo; ancora non ci credeva che stessero insieme. Non li aveva mai visti scambiarsi nemmeno un bacio a stampo in pubblico, ma era chiaro che tra loro ci fosse qualcosa. Dopo la chiusura del caso di Chacòn la centrale aveva organizzato una cena alla quale Merle si era imbucato e dove - con non poche difficoltà - era riuscito a procurarsi il numero di Juliet. A quanto pare lei all'inizio non aveva risposto né alle chiamate né ai messaggi finché un giorno lui si era presentato in centrale e, non sapeva bene come, aveva finito per accompagnarla a casa. Da lì avevano iniziato a sentirsi e a vedersi sempre più spesso finché, dopo mesi, erano arrivati a quel punto.
 
Ma la cosa davvero surreale era che quel poco che sapeva glielo aveva raccontato Beth. Al riguardo, Merle non aveva speso nemmeno una parola. Daryl probabilmente non l'avrebbe nemmeno saputo se non li avesse visti insieme. Era evidente che quando si guardavano non potevano fare a meno di fare quella cosa strana, ma alla fine non mostravano mai nulla davanti agli altri.
 
All'inizio l'aveva trovato piuttosto strano; gli sembrava paradossale che Merle non parlasse di una donna, tanto più di una che era riuscito a conquistare dopo tanta fatica. Suo fratello era l'indiscrezione fatta persona e continuava a comportarsi come la più grande testa di cazzo esistente al mondo, ma su Juliet non diceva neanche una parola. Non che servissero per capire cosa gli passava per la mente.
 
“Quei due si sposeranno entro l'anno.” gli sussurrò Beth, allontanandolo dai suoi pensieri.
 
“Scherzi? Non succederà mai.” negò, voltandosi verso di lei. “Riconosco che Juliet abbia un forte ascendente su di lui, ma piuttosto che sposarsi si farebbe monaco.” la derise.
 
“Scommettiamo?” gli chiese porgendogli la mano.
 
“Certo.” disse deciso, stringendola con la sua.
 
 
Una mattina di tre mesi dopo Merle era entrato in negozio stranamente in orario, e gli aveva allungato una busta bianco panna di carta piuttosto spessa e dall'aria piuttosto eloquente. Era indirizzata a lui e Beth. L'aveva aperta perplesso, strappando la carta in modo impreciso finché non era riuscito a prendere il cartoncino sottile che era riposto con cura all'interno.
 
Appena lesse le poche righe scritte in una grafia sottile e delicata, spalancò gli occhi. Aveva perso di nuovo.
 
 
Quella sera erano solo pochi intimi; Michonne, Rick con i suoi figli, Daryl e Beth, Glenn e Maggie, Jesus, Abe, il capitano Porter e altri colleghi della centrale con rispettivi partner, qualche ex compagno di Accademia di Juliet, le sue tre migliori amiche e ovviamente i suoi genitori e la sua sorellina. Non dovevano essere più di una trentina.
 
Come luogo per la festa di fidanzamento era stata scelta casa Grimes, che i padroni di casa non avevano avuto problemi a mettere a disposizione. Per l'occasione il giardino sul retro era stato addobbato con fili di luminarie colorate, che parevano piccole lucciole svolazzanti nell'aria tiepida di settembre. Lungo il perimetro erano state poste delle torce che con la loro fiamma calda illuminavano tutto intorno, eccetto nell'angolo a sinistra, proprio di fronte al grande albero a cui era appesa l'altalena della piccola Judith, dove era stato allestito un gazebo bianco. Dall'altra parte del giardino, su un lungo tavolo erano stati posati stuzzichini, qualche succo per i bambini e ovviamente champagne per festeggiare.
 
Merle era stranamente elegante nella sua camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, i pantaloni scuri e la barba curata. Non appena Daryl lo aveva visto era rimasto basito e, nonostante Beth gli avesse dato un leggero pizzicotto, non si era potuto trattenere dal fare un sorrisino ironico all'indirizzo del fratello. Questo per tutta risposta si era guardato velocemente intorno e poi gli aveva allungato il dito medio, sorridendogli di rimando.
 
Juliet invece indossava un lungo vestito bianco molto leggero, con un intreccio sulla schiena e le spalline sottili. I capelli castano chiari erano stati attorcigliati in una treccia raccolta alla base della nuca, ma la cosa che colpiva di più era il sorriso luminoso che le splendeva sul volto in ogni momento.
 
Improvvisamente, dalle casse poste ai lati del gazebo partì un sibilo acuto che fece storcere il naso a tutti, e quando gli invitati si voltarono videro i neo-fidanzati vicini, che cercavano di attirare l'attenzione. Lasciarono perdere le chiacchiere a cui si erano lasciati andare fino a quel momento e prestarono attenzione alla ragazza.
 
“Ciao a tutti!” salutò raggiante. “Benvenuti alla nostra festa di fidanzamento! Non parlerò molto perché sapete che siamo tipi di poche parole. Noi vorremmo sposarci ma-” non riuscì a proseguire perché Merle le rubò il microfono di mano.
 
“Ma i matrimoni fanno schifo.” disse senza mezzi termini. E forse avrebbe continuato se lei non se lo fosse ripresa.
 
“Sì! Però solo perché quelli a cui siamo stati invitati sono noiosi!” si spiegò ridendo elettrizzata. “E-” fu di nuovo bloccata dall'uomo accanto a lei.
 
“Non ci piacciono i fidanzamenti lunghi quindi-”
 
“Smettila di interrompermi! ” urlò lei, senza mai spegnere il sorriso mentre nascondeva il microfono dietro la schiena, producendo di nuovo quel fischio fastidioso che avevano sentito poco prima. “Ops... scusate. ” si rivolse di nuovo agli ospiti.
 
“Comunque-” provò ad attaccare lui.
 
“Ci sposiamo stasera! Adesso!*3” esclamò lei, di fronte allo sguardo attonito degli ospiti che subito dopo esplosero in ovazioni gioiose. “Rick celebrerà il matrimonio, mia sorella Katy sarà la damigella!”
 
“E se il mio fratellino muove il culo, lui sarà il mio testimone.” aggiunse Merle, cercando Daryl tra la folla che lo guardava sconvolto. “Forza gente, tra mezz'ora torniamo!” esclamò lui, prendendo per mano Juliet e correndo in casa, seguiti dall'applauso degli ospiti.
 
Daryl si voltò pensando di trovarsi Beth al fianco ma non vide nessuno. Accanto a lui però c'era il vicecapitano che lo guardava divertito. Solo in quel momento, realizzò.
 
“Tu lo sapevi!” esclamò.
 
“Certo che lo sapevo! Non posso mica celebrare un matrimonio così su due piedi.” lo canzonò. “Però se sei geloso chiedo a Merle di cederti il posto, testimone.” calcò sull'ultima parola, lanciandogli un'occhiata piena di sottintesi.
 
“Già quando ho letto l'invito non potevo crederci, immagina ora che si fidanzano e si sposano nel giro di una sera!” si giustificò in qualche modo. “Credevo che Merle non si sarebbe mai sposato. Anzi, non l'ho neanche mai pensato sposato a dirla tutta!”
 
Rick scosse il capo ridacchiando e gli mise in mano un bicchiere di vino. “Magari toccherà anche a te prima o poi.” azzardò.
 
“Contaci.” ribatté sarcastico, guardandolo in tralice.
 
 
La funzione era stata molto breve e, dopo che Jesus aveva sgomitato pretendendo che tutti rimanessero indietro per fare almeno qualche foto decente, i due sposini erano stati letteralmente presi d'assalto dagli invitati, che non li mollavano un secondo e continuavano a congratularsi.
 
Daryl era rimasto in disparte, finché Merle e Juliet erano riusciti a raggiungerlo, quasi un'ora dopo. Dopo aver fatto gli auguri alla ragazza, lei se n'era andata, capendo che i due fratelli Dixon avevano bisogno di un momento da soli.
 
Rimasero fianco a fianco, appoggiati al muro di mattoni della casa, guardando dritto davanti a loro gli invitati che festeggiavano. Solo dopo qualche minuto, il silenzio fu spezzato.
 
“Siamo i figli di puttana più fortunati del mondo, lo sai?*4
 
 
 
Daryl si voltò di nuovo verso il Generale Greene che lo osservava con sguardo indagatore e, dall'alto del suo posto a capotavola, aspettava una risposta.
 
“Da qualche tempo sono consulente della polizia di Atlanta.” rispose. Il che non era una bugia; quando in centrale c'era bisogno del suo aiuto, era più che felice di dare una mano. Ormai lì era di casa. Era Merle che per lo più si occupava del negozio, lui ci andava nel tempo libero o quando non era richiesto altrove. Si sentiva stranamente a suo agio in quel posto.
 
“Ah, bene! Un consulente!” approvò. “E prima di cosa ti occupavi?” chiese interessato.
 
Daryl si sentì addosso gli sguardi di tutti, soprattutto quello di Beth che lo guardava incerta, come per ricordargli di ponderare le parole. Deglutì cercando di prendere tempo, e quando aprì la bocca per rispondere (nemmeno lui sapeva realmente cosa, probabilmente avrebbe improvvisato), la voce di Ronnie Dawson esplose per la sala da pranzo.
 
Tutti si guardarono intorno spaesati, finché non individuarono la fonte di rumore.
 
“Scusatemi, era la centrale.” disse Rick a disagio, attaccando e rimettendosi il telefono in tasca. “Gli avevo detto di non disturbarmi.”
 
“Oh, non c'è problema. Sicuro che non fosse urgente?” chiese Hershel dall'altra parte del tavolo.
 
“No, no possiamo cont-” cercò di minimizzare, quando il cellulare squillò di nuovo. Daryl non era mai stato così contento di sentire quella voce spacca - timpani e quella melodia fastidiosa che normalmente non avrebbe esitato due volte a spegnere subito.
 
“Rispondi pure; la divisa è come una seconda pelle, non ci lascia mai!” disse orgoglioso il generale.
 
“Che ansia... Di sicuro non farò mai il vostro lavoro.” sussurrò Carl avvicinandosi a Michonne e lanciando un'occhiata a suo padre, che gli stava di fronte. La donna ridacchiò sommessamente e tornò a guardare il compagno che intanto aveva risposto.
 
“Pronto? Non vi avevo detto che ero occupato oggi? Neanche per il Ringraziamento mi date tregua.” si lamentò. Quando sentì il tono della ragazza dall'altra parte del telefono, si fece serio di colpo. “Juliet, che è successo? … Sì. Sì. … Ma stiamo scherzando?!” urlò in preda alla frustrazione. “Oh no.” mormorò infine avvilito.
 
Si voltò verso Michonne, seduta alla destra di Carl e la trovò già con gli occhi fissi nei suoi. Bastò loro uno sguardo per capire. “Oh no.” ripeté lei.
 
Il resto poi avvenne rapidamente, ad effetto domino.
 
Michonne si girò verso Daryl che, aveva notato con la coda dell'occhio, non aveva perso un attimo dello scambio silenzioso avvenuto tra lei e Rick.
 
“Mai un attimo di pace.” sbuffò lui dopo qualche istante, accomodandosi meglio nella sedia. La piccola spaccaculi, seduta tra i due uomini, fece scorrere lo sguardo da lui al suo papà, non capendo cosa stesse succedendo.
 
Daryl guardò di fronte a sé Beth che, quando ebbe quella conferma silenziosa di cui non aveva realmente bisogno, sussurrò solo “Oh no...”
 
A sua volta, guardò Maggie, seduta accanto a Daryl e le fece un cenno con il capo. Anche sua sorella riuscì a dire solamente “Oh no.” esattamente come tutti gli altri.
 
La ragazza, infine, scambiò una rapida occhiata con il suo fidanzato seduto di fronte a lei, per poi tornare a guardare Rick.
 
“La mia macchina...!” mormorò leggermente in panico Glenn.
 
Hershel ed Annette intanto si guardavano dalle due estremità del tavolo, con sguardo piuttosto confuso.
 
“Ma si può sapere che sta succedendo?” chiese il padrone di casa sul chi va là - e piuttosto impaziente - quando Rick chiuse la chiamata. Lo guardarono tutti quanti, pur sapendo che la realtà non sarebbe cambiata e anzi, si sarebbe fatta solo più concreta una volta che avrebbe risposto.
 
“Chacòn è evaso.”




Angolo autrice:
 
*1 Taxxi 2, 2000. Daniel ed Émilien.
*2 Taxxi 2, 2000. Edmond Bertinau e il Ministro francese.
*3 What if, 2013. Allan e Nicole.
*4 Titanic, 1997. Jack Dawson.
 
Siamo davvero arrivati alla fine e non mi sembra vero! Le prime due citazioni sono entrambe tratte da dialoghi presenti in Taxxi, che non potevo non inserire perché è proprio da questo film che è saltata fuori l'ispirazione per la storia, spero solo che Luc Besson non me ne voglia :P Il discorso di Merle e Juliet è preso dal film What If (che non credo sia stato distribuito in Italia, ma vale la pena vederlo perché è molto carino!) e ho trovato che una cosa così insolita e stupefacente calzasse abbastanza per i personaggi. Per quanto riguarda l'OOC, rileggendo mi sono resa conto che in questo capitolo è un po' più marcato rispetto agli altri, dove avevo sempre cercato di rimanere entro certi margini, ma per una volta volevo dargli il "vissero per sempre felici e contenti" e mi sono fatta prendere dal fluff più puro. Spero che la cosa non stoni troppo e che la lettura sia comunque piacevole.
Credo che sia proprio arrivato il momento dei saluti. Come sempre ringrazio chiunque abbia recensito o messo tra le seguite/preferite/ricordate. Alla prossima :) E buone vacanze!
·Machaira·
   
 
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