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Autore: _NimRod_    12/07/2017    0 recensioni
In piedi nello stretto corridoio centrale del treno, il ragazzo guardò il sedile accanto a sé. La tizia con il taglio alla Semola e gli anfibi si esaminava le unghie smaltate di rosso scuro. Era quasi certo ci fosse un girone speciale dell’Inferno riservato unicamente a coloro che nell’ora di punta occupavano la seduta di fianco alla propria con giacca e borsa, costretti per l’eternità a rimanere scalzi, in piedi su braci ardenti, impossibilitati a sedersi per via delle giacche e delle borse inamovibili che ricoprivano ogni superficie rialzata del girone. Aveva un quarto d’ora scarso di treno davanti, era mattina presto e si moriva di caldo: non aveva per niente voglia di mettersi a sindacare e probabilmente dover discutere per uno stupido sedile per una questione di principio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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“Mia mamma è incinta”, disse Valentino.

Michele impiegò qualche istante a elaborare l’informazione.

“Di chi?” chiese continuando a premere i tasti sul controller.

Valentino proseguì facendo lo stesso: “Di mio papà, pare.”

“Sono tornati insieme?”

“Lui ritornerà a stare a casa in settimana, quindi penso di sì.”

“Dovrò dire a mia mamma di mettere il materassino qui in camera.”

Valentino appoggiò il controller sul materasso del letto del Michele, senza essere minimamente infastidito dal K.O. appena subito a Tekken. “Stavolta sembra diverso. Sono andati dal dottore insieme e balle varie, l’hanno presa bene tutti e due. Pensa che è stato lui a chiamarmi, me l’ha detto piangendo. Era felice. Magari è un nuovo inizio e potremmo riuscire a essere una famiglia normale.”

“Sarebbe carino. Quanti anni ha l’Irene?”

“Quarantuno. Perché?” chiese aggiustandosi gli occhiali sul naso.

“Da quello che so non è il massimo avere un bambino così tardi. Possono esserci dei problemi gravi.”

Valentino si strinse nelle spalle: “Vedremo come va.”

“Ho scaricato la nuova di Lost, la guardiamo?”

“Devo beccarmi con la Benny tra un quarto d’ora.”

“Allora la guardo da solo e poi te la racconto.”

“Vai a cagare.”

Il ventilatore ronzava sommessamente alla sinistra dei due ragazzini. L’attenzione di Valentino venne catalizzata dal livido viola-rossastro sul collo dell’amico, spuntato dal colletto della t-shirt nel momento in cui si era chinato per collegare lo schermo del televisore al portatile. Da quando si era invasato con la pallavolo l’anno prima, Michele aveva messo su due spalle impressionanti. Se solo ne avesse avuto voglia avrebbe potuto farla pagare con gli interessi a tutti i bambini che l’avevano infastidito fin dalla scuola materna.

“Cos’hai sul collo?”

“Un succhiotto.”

Valentino ridacchiò: “E chi te l’ha fatto?”

“Gatto grande.” Brutalmente sincero, classico di Michele.

“Il fratello di Davide? Ma a Settembre va in quinta.” Aveva tre anni in più di loro, era maggiorenne, aveva la patente e la macchina. Era troppo grande.

“Infatti se magari potessi non dirlo in giro sarebbe fantastico. Specialmente a Gatto piccolo.”

“I tuoi lo sanno?”

Michele si avvicinò alla finestra e la aprì: l’aria umida e bollente dell’estate cominciò a irradiarsi per la camera. Si accese una sigaretta e lanciò il pacchetto in direzione di Valentino. “Sapere cosa?”

“Che esci con i ragazzi.”

“Mi stai chiedendo se gliel’ho detto o vuoi sapere se l’hanno capito?”

“Non lo so, è uguale.” Valentino prese una sigaretta.

“Come non lo so?” sorrise Michele. “Lo sai, non è uguale.”

“Mi puoi rispondere e basta?”

L’altro sospirò: “Dal momento in cui lo accetti credo non ci sia bisogno di cercare approvazione da esterni. Non mi piace nemmeno troppo il termine accettare, più che altro prendere coscienza. Che l’abbiano capito o meno non mi cambia nulla.”

“Ti fa male sapere di essere diverso dagli altri?”

“Io non sono diverso da nessuno. Faccio quello che mi sento di fare, come più o meno tutti”, disse Michele. “E non fa male. Tutt’altro.”

Valentino i avvicinò alla finestra, accese la sigaretta e si voltò verso Michele, il quale lo stava fissando sornione. Le sopracciglia ad angolo molto marcate – che sarebbero risaltate ancora di più quando, da lì a poco, Michele avrebbe cominciato a ossigenarsi i capelli - gli conferivano costantemente un’aria tra il meditabondo e l’irritato. O tra il derisorio e il provocatore, quando sorrideva. Come in quel momento.

“Cosa c’è?”

“Dimmelo tu.”

“E’ che credo sia un po’ troppo grande per te.”

“Prendo atto del tuo pensiero.”

“Sei il mio migliore amico, è giusto dirtelo.”

“Apprezzo la tua sincerità.”

Valentino guardò l’orario sul cellulare, spense la sigaretta appena accesa e si schiarì la voce. “Devo andare.”

“Ok. Passa un buon pomeriggio, Ferri.” Michele si buttò sul letto e fece partire la puntata di Lost. Valentino pensò fosse un vero pezzo di merda.

 

La ragazzina si precipitò fuori dalle porte dell’autobus non appena si aprirono. Aveva la pelle del viso e delle spalle arrossata e sotto la canottiera azzurra non indossava né il pezzo sopra del costume né il reggiseno. Quando gli gettò le braccia al collo, Valentino poté sentire il leggero profumo di cloro che le permeava i capelli. Le accarezzò la schiena e la strinse piano contro di sé. Era magra e fragile. Troppo magra e fragile.

“Ti sei divertita in piscina?” le chiese.

“Sì!” disse Benedetta. “Ma mi mancavi tu.”

“Hai voglia di un gelato?”

La ragazzina annuì e gli diede un bacio sulla guancia.

Seduti sulla panchina davanti alla gelateria, la Benny smise di sgranocchiare la cucchiaiata di granita alla menta e prese un respiro: “Vale, ti posso dire una cosa?”

“Certo.”

“Oggi la Fabi e la Cate mi hanno chiesto se io e te stavamo insieme. Io gli ho detto di sì, spero non ti dispiaccia.”

“Hai fatto bene.”

“Davvero?”

“Sì.”

La ragazzina si strinse nelle spalle: “Però loro mi hanno detto che dato che non abbiamo ancora limonato è strano dire che stiamo insieme.”

“Questa mi sembra una vaccata”, rispose Valentino leccando la goccia di gelato sciolto che stava per raggiungere le dita con le quali reggeva il cono.

“Anche secondo me”, fece lei guardandosi le punte delle Converse. “Quante ragazze hai già baciato?”

“Qualcuna.”

“Ci stavi insieme?”

“Dipende.”

“Perché non hai ancora baciato me?”

“Non me l’hai mai chiesto.”

“Certe cose non bisogna farle perché vengono chieste. Devono succedere… così.”

Valentino sorrise e sentì il cuore iniziare a battere forte. Non era emozione, era ansia. Gli succedeva sempre. Le mise la mano libera dal cono sulla nuca, accarezzandole i riccioli biondi. Appoggiò le labbra su quelle di lei, fresche e dolci. La lingua della ragazzina era gelida e a Valentino venne in mente la “ghiaccio-lingua” di Scrubs nel peggiore dei momenti. Chiuse gli occhi con tutte le proprie forze per scacciare il pensiero e non scoppiare a ridere. Il gelato gli stava colando sulle dita e sicuramente se quel bacio fosse durato ancora a lungo gli sarebbe sgocciolato sui pantaloncini. Quando era ancora viva, la nonna gli aveva raccontato più di una volta di quanto fosse costantemente sclerata la mamma quando era in attesa di lui, magari si sarebbe infuriata nel vederlo tornare a casa con i pantaloncini freschi di bucato già macchiati di gelato. Avrebbe dovuto da quel momento in poi cercare di trovare un metodo più sgamato per i calzini che usava per pulirsi e che appallottolava per poi ficcarli tra le doghe e il materasso, in attesa di metterli all’ultimo nel mucchio della biancheria già separata appena prima che la mamma facesse la lavatrice. Non era mai stato ripreso per quell’uso improprio anche se di tanto in tanto si ritrovava il sotto del materasso sgombero da calzini, tuttavia era meglio non rischiare, considerando in più che alla mole dei suoi vestiti si sarebbero aggiunti quelli del padre. E anche quelli del fratellino, da lì a qualche mese.

“Fa’ vedere se hai la lingua verde!” disse Benedetta quando il bacio si fu spento.

Valentino tirò fuori la lingua e la ragazzina fu delusa nel constatare che no, non era verde. Appoggiò la testa al petto del ragazzo che aveva la mano imbrattata di cioccolato e fior di latte ma i calzoni fortunatamente intonsi.

Benedetta sospirò: “A cosa pensavi prima?”

Era quasi certo che ai miei calzini sborrati non sarebbe stata la risposta corretta. Michele l’avrebbe detto, Michele non mentiva mai: nei casi peggiori si limitava a essere evasivo o rispondeva con altre domande. Se i suoi genitori gli avessero chiesto cos’aveva sul collo, gli avrebbe detto la verità. Risposta del tutto legittima, a conti fatti: era palese si trattasse di un succhiotto, la domanda posta in quel modo era solo un test per vedere se sarebbe stato così spavaldo da mentire spudoratamente oppure così coraggioso da dire la verità.

“Che sapevi di menta.”

Una bugia che faceva ridacchiare la ragazza che si sta abbracciando non può essere una bugia così grave.

“Sto bene con te, Vale.”

“Anch’io.”

 


 N. d. A.

Mi cospargo il capo di cenere, mi inginocchio a terra con a fronte appoggiata al pavimento e invoco perdono per questa pausa esageratamente prolungata, ma sono stati due mesi intensi. Più di quanto gradirei sopportare, ad essere sinceri. 
Ma parliamo di cose interessanti.
Ancora indietro nel tempo, ancora più o meno la stessa dinamica, ma il motivo di questa scelta è semplice: quali possono essere i problemi standard della vita intorno ai quindici anni se non le varie vicissitudini amorose? Ovviamente mi riferisco alla vita reale senza scossoni devastanti, qui non c'è nessuno che si trasferisce in America e se ne va a fare baldoria. Sto cercando di dare sempre più informazioni sulla psicologia dei ragazzi, scolpendoli pian piano in modo da dare davvero l'impressione che siano personaggi a trecentosessanta gradi. Ci tengo molto che soprattutto Valentino e Michele espongano i propri lati d'ombra e i propri versanti luminosi, a costo di apparire ripetitiva. Sarà piuttosto importante nel presente della narrazione.


Come sempre, gli strafalcioni, le espressioni fortemente localizzate (vedi "sgamato" che ha incredibilmente accezioni opposte tra loro a seconda del contesto) e le volgarità nei dialoghi e nella prosa contaminata dalla mente dei personaggi sono voluti. Mi scuso con i lettori di Reggio e Modena perché temo di avere spolverato con un po' troppo Parmigiano la portata. Sono assolutamente disponibile per qualsiasi consiglio di lessico.

In questo periodo di apparente inattività ho in realtà cominciato la revisione cartacea della storia fino ad ora. Rivedendo i vecchi capitolo mi sono resa conto che ci sarà probabilmente una sovrapposizione temporale non chiarissima per le età dei protagonisti rispetto al capitolo che si concentra sul rapporto di Valentino e Milena: per completezza segnalo che il presente capitolo racconta eventi avvenuti prima (quattordici-quindici anni), mentre in quello pubblicato precedentemente hanno tra i quindici e i sedici anni.
Come cartina di tornasole usate tranquillamente il colore di capelli di Michele, è il punto di riferimento fondamentale ed è impossibile sbagliare.

Grazie e a presto.

N.

 

   
 
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