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Autore: Cecile Balandier    12/07/2017    26 recensioni
Due voci per narrare un momento che avrei voluto vedere nell'episodio 35 "Accusa di tradimento". 
"Mi sono chiesta tante volte cosa prova una rosa nel momento in cui sboccia... "
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PETALI DI LUNA

Due ombre lunghe scivolano sul pavimento dell'atrio, si addossano alla parete, tremano vicine, come se agitassero l'ambiente, come se seguissero i suoni fitti e ripetuti della pioggia che pulisce dalle tracce di follia e di terrore questa notte balzana e irripetibile, che segnerà per sempre la mia vita e che sembra non avere mai fine. 
Il Signore ha creato tutti gli uomini uguali...
È vero, siamo tutti uguali... ma ancora adesso che mi ritrovo senza fiato e senza forze, se devo cercare lo specchio dell'umanità in me stesso, sono consapevole che l'unica metà perfetta della mia anima non può che essere lei.
Eppure, nonostante questa verità abbia tuonato grazie alla mia voce, fiera come mai ha osato essere, mi sono infine arreso.
Sì... mi sono arreso.
Mi sono rimesso alla volontà del Generale di punire me e la donna che amo da quando ho memoria. 
Non avrei mai potuto sparare, porre fine alla sua vita. 
Forse, avrei potuto combattere di più, fuggire davvero con lei.
Fuggire, portarla lontano, senza perdere tempo.
E poi sposarla... sposarla davvero?
In fondo, io ero pronto... pronto a ritornare polvere per non vedere davvero più niente. Perché il niente mi avrebbe salvato e protetto dal dolore più atroce che possa esistere.
Un dolore che conosco per i fili dei ricordi che ancora legano i miei pensieri. La morte di mia madre... lo strazio in gola, l'impotenza, le tempie che pulsano e tagliano...
E questo dolore stavolta mi avrebbe direttamente strappato il cuore dal petto. 
La morte della mia Oscar per mano dell'uomo che mi ha cresciuto.
No... sarei andato io per primo.
Avrei agito da pazzo... avrei gioito della mia morte. 
Il generale ha pianto, per la prima volta in vita mia l'ho visto versare lacrime calde su quel viso ingrigito dall'età e dalla severità.
Ha pianto per il sollievo inaspettato, per la gioia di non aver sparso quel sangue prezioso che avrebbe macchiato la sua anima per l'eternità.
Ha salito con gentilezza febbrile i gradini dello scalone, con gli occhi fissi su di noi e la fronte ispessita dalla commozione e dall'incredulità. Al suo passaggio ha posato una mano sulla mia spalla, solo per pochi istanti, e un po' del suo peso, forse quello più faticoso da portare, è rimasto con me. 
Gli ho impedito di usare quella lama arroventata dall'orgoglio, ferito in modo imperdonabile da un'onta, un disonore che la regina ha voluto immediatamente dimenticare. 
Per amicizia, per cieca fiducia in lei. 
Lei... a poca distanza da me, assorta e in silenzioso ritegno. 
Mia nonna ha lasciato su un mobile alle nostre spalle un candelabro, prima di ritirarsi nella sua stanza, asciugandosi gli occhi e gridando al miracolo, mentre il Generale si è allontanato da poco. 
L'ho visto trascinare i passi in silenzio, fermandosi alle spalle di sua figlia senza riuscire a lasciarle una parola o pretendere risposte da lei. Si è ritirato con i suoi affanni, lasciandola sola con me... l'uomo che voleva fuggire con lei e che tuttora vorrebbe sposarla.
L'uomo che se solo ci riuscisse, ora... vorrebbe avere la forza di lasciarla da sola a maciullarsi l'anima. 
~•~•~•~
Forse è in arrivo una tempesta... 
a questo ho pensato quando mio padre ha sollevato la sua spada, in quell'attimo eterno di vita che da estremo diventa il più distante, il primo vero inizio di tutto.
In quell'attimo in cui la vita scorre come un fiume in piena e ogni respiro viene trascinato via, disperso, sottratto, insieme ai ricordi, i volti, gli occhi, le voci...
Pensieri semplici e insieme confusi, dolorosi e irrisori, l'istante prima di morire, senza nemmeno poter dire addio... 
Addio?
E mentre la carne e l'anima erano invase dal senso di sconfitta per non aver tentato abbastanza, il rimpianto faceva gemere il cuore, perché non poteva... non poteva finire così.
Sono immobile, soltanto una leggera brezza soffia sul mio volto e muove qualche ciocca sottile di capelli, libera dal sudore che impregna la mia nuca. 
Qualcuno sta aprendo tutte le finestre, forse ha già smesso di piovere. Infilo l'indice nel colletto dell'uniforme, lo allento e inspiro con sollievo l'aria fresca che il temporale ha lasciato prima di portare con sé tutte le stelle, che sembrano scomparse o tenacemente nascoste. 
I palmi delle mani premono sul parapetto di marmo dello scalone, altrimenti non smetterebbero di tremare.
Ho il volto accaldato, ma il resto del corpo è freddo, rigido, teso come la corda di un arco. 
Sono una donna fredda.
Così dicono... senza sapere quanta sofferenza provoca ogni volta in me questa parola.
Con la punta della lingua separo le labbra, attiro respiro. Allontano lo sguardo da due ombre sottili e palpitanti che hanno catturato la mia attenzione da un tempo indefinito e imploro me stessa di iniziare a muovermi, di respingere quella forza sorda e aguzzina che mi ha soggiogata impedendomi di parlare, di agire, di gridare ciò che l'anima ha invece iniziato a sanguinare.
Abbasso il capo, le ciglia hanno un fremito... è stato tutto così veloce, così vorace. Il mio respiro si è fermato quando ho udito il ghigno doloroso di mio padre nell'attimo in cui avrebbe dovuto colpirmi.
Povero padre... 
La lama riluceva, ne sono certa, in quel buio illuminato esclusivamente da lampi assordanti.
E il cuore che batteva ingordo e battito dopo battito... una strada per l'inferno.
Ho sfiorato la morte, la distruzione della mia famiglia, della mia casata... per un istante avrei potuto giurare di essere davvero morta... e invece sono ancora qui, nella mia uniforme, con lo strano turbamento che il tradimento lascia addosso, anche se perdonato. 
Improvvisamente torno a percepire il peso delle armi legate alla mia cintura, la calura estiva mitigata in parte dal temporale, lo stomaco contratto, le bocca asciutta.
Provo a lasciare andare le immagini tremende che scaturiscono da pensieri altrettanto devastanti. Stacco le mani dal parapetto, il busto però si sbilancia, mi accorgo della debolezza improvvisa che agisce sui miei movimenti. 
Ma devo muovermi da qui... devo ritrovare la forza e la lucidità. 
Devo farlo in fretta, non c'è tempo da perdere, ci sono le vite dei miei soldati in gioco. 
Sono dodici.
Dodici anime a cui ho dedicato tanto duro lavoro e a cui devo lealtà, fino alla fine. 
Devo liberarli, l'ho giurato e devo... devo trovare il modo di riuscirci.
Ma c'è dell'altro...
C'è chi ha deciso che è giunto il momento di prendersi ogni mio ragionevole pensiero, ogni giorno di vita che mi rimane, senza sapere che il mio cuore già gli appartiene completamente. 
Un sospiro spezza il silenzio che dopo il violento e fisso scrosciare della pioggia sembra diventato densità trasparente, e quando sollevo lo sguardo mi accorgo che la persona che sto cercando tra le ombre della casa si sta allontanando a passi stanchi da me.
Le sue parole continuano a riecheggiare nella mia testa e scopro ancora più vita nello scorrere di ogni singolo passo del tempo e in ogni ricordo, volto, occhi, voce... Perché senza neppure guardarmi o addirittura saperlo, continua a divorarmi l'anima ed insieme a renderla più libera. 
Cosa gli devo dire?
Che non ho mai avuto così tanta paura in vita mia? 
Che non sarò mai pronta a dirgli addio?
Sento pungere gli occhi, ma non sono lacrime di sollievo quelle che tentano di scivolare via al mio volere.
Davanti all'immensità del suo gesto io... non so rispondere... 
Lo seguo silenziosamente, come se non esistesse altro posto dove stare, se non a un passo da lui e da quella libertà che mi ha dolcemente insegnato ad inseguire, adagiando pensieri di uguaglianza e speranza sul mio cuore, con la dolcezza del rispetto e la tenacia dell'amore. 
Amore... 
Come vorrei rispondere al suo coraggio con altrettanto coraggio.
~•~•~•~
Sono rientrato nello studio del Generale, non so nemmeno per quale motivo mi ritrovo qui. 
È tremendamente buio, ma la luna sparge macchie chiare e crea sentieri e spazi azzurri ed accoglienti. 
Varco la soglia dopo un respiro profondo e raccolgo una sedia rovesciata a terra durante la colluttazione che ho avuto con lui.
Da un tavolino è caduto persino un vaso di fiori. Piego un ginocchio e cerco di raccogliere i pezzi di vetro dal tappeto e qualche petalo bianco di rose bellissime, ormai rovinate.
Lascio tutto sul tavolino, mi guardo attorno. 
Se ripenso a ciò che è accaduto mi sembra di poter ancora annusare la paura che impregna pesantemente l'aria di questa stanza. 
Apro una finestra, il vento ha spinto via il temporale estivo, solo qualche riga di nuvole scure dai contorni argentati si muove in fretta, svelando spicchi di cielo stellato. 
Respiro l'aria pulita mentre odo dei passi alle mie spalle. 
Sono certo... si tratta di lei.
Lo capisco dalla leggerezza dei suoi movimenti. Lo capisco perché conosco ogni cosa che la riguarda, e di ogni cosa che la riguarda io sono perdutamente innamorato. 
"Devo parlarti, André."
Una richiesta fatta con la secca immediatezza che mi aspettavo e il velo di disappunto nel mio sospiro è l'unica risposta che le posso concedere.
Vuole forse portarmi allo stremo? 
Non capisce che ora vorrei che lei fosse altrove?
O forse essere io altrove, essere lontano e recuperare la compostezza in completa solitudine.
Gli occhi bruciano come se vi fosse stata gettata della polvere, strofino le dita sulle palpebre, sento sciogliersi la tensione nervosa. 
Lei è viva. 
Soltanto questo conta, ma non mi sento un eroe. 
Non mi sento niente...
Si avvicina e forse calpesta qualche pezzo di vetro rimasto sul tappeto. 
"Ho... ho bisogno di sapere dove trovare Bernard. Prima dell'alba voglio recarmi da lui e chiedergli di aiutarmi. Mi hai detto di averlo incontrato e... "
Se ne avessi la forza, proverei a sorriderle e a parlarle di come sono certo che lei riuscirà nel suo intento e di come Bernard la aiuterà senza dubbio a trovare un'idea per salvare i miei poveri compagni. 
Rimango di spalle, in realtà non ho voglia di parlarle, perché non ho parole oltre quelle che hanno infiammato le mie labbra soltanto poche ore fa, esattamente davanti a questa finestra, ora spalancata su un cielo nero dove troneggia una luna quasi piena, che sembra possedere occhi e bocca... una bocca che sorride di noi.
Abbasso lo sguardo dal cielo.
"Ci sono due posti dove puoi trovare Bernard. A casa sua e di Rosalie e al nascondiglio... la tana... dei suoi seguaci. Ti scriverò tutto in un biglietto. Non avrai alcuna difficoltà a trovarlo."
Non avverto alcun rumore adesso, sembra sia rimasta ferma al centro della stanza. 
"Bene. Devo assolutamente tirarli fuori da quelle carceri."
Un sospiro stanco e attendo che se ne vada, ma il suono dei suoi passi si avvicina invece che allontanarsi, non mi posso sbagliare. 
"Cos'altro c'è, Oscar? Mi devi credere, sono molto stanco..."
~•~•~•~
È difficile essere altro, essere diversi, cambiare se stessi.
Abbasso lo sguardo, ripenso a tutto ciò che non sono stata in grado di dire e di fare. Ripenso a ciò che ha detto...
Era davvero pronto a farlo?
Fuggire con me, per salvarmi...
E io sarei stata sua, la sua donna. 
La stessa che ora lo vorrebbe supplicare di voltarsi e guardarmi, perché sembra che il mio corpo non abbia più sostegno senza la forza del suo abbraccio. 
È come se camminassimo insieme sul filo di una lama, costantemente in attesa di cadere. 
Voglio solo la sua mano, per continuare a restare in bilico e perché non lo farei mai cadere da solo. 
Ma come dirlo?
Sento le parole bruciare in gola ma non ho modo di renderle acqua fresca che scivola sulle ferite. L'amore nutrito in segreto rende così nudi e fragili... ed è simile al fine cristallo, basta una carezza troppo ardita e si infrange. È tutto ciò che so dell'amore, in fondo.
Dicono che sono una donna fredda, una donna altera, che non sa provare emozioni. 
Quanto si sbagliano...
Io posso amare fino a sentire il fuoco ardere al centro perfetto del mio cuore! 
Il fiato si spezza e si frappone alle parole che vorrei pronunciare... perché la voglia di gridare la verità sta facendo ancora sanguinare la mia anima.
Non dovrebbe... non dovrebbe amarmi così tanto...
Mi avvicino alla finestra, mi metto al suo fianco e osservo il suo profilo mentre guarda la luna. Gli porgo la mano con il palmo rivolto verso l'alto.
".... ti devo la vita."
Lo sussurro con un sorriso a fior di labbra, senza incertezza e con il cuore in gola. E mentre attendo la sua mano, quella che ha osato minacciare e forzare mio padre, rimaniamo in silenzio e in attesa per infiniti attimi in cui il respiro, mio e suo, si assottiglia fino quasi a sparire o a diventare filo che si annoda su se stesso, così stretto da provocare quasi dolore. 
Quanto avrei voluto rispondere al suo coraggio con altrettanto coraggio...
Il sorriso mi muore sulle labbra e prego che prenda questa mano nella sua... e che perdoni i miei silenzi e la mia debolezza.
~•~•~•~
Sembrano petali di luna queste dita bianche e sottili che sfiorano il mio petto, che tremano come quelle di una bambina che non ricorda la strada di casa.
Perché deve tremare così? Non c'è più motivo di avere paura.
È salva... 
Cosa devo dirle ancora?
Che nonostante abbia combattuto come un leone mi vergogno? Che avrei dovuto provare a trascinarla via per davvero da questo posto?
Non vorrei nemmeno toccarla questa mano tesa, ma faccio ciò che non posso evitare. La prendo nella mia e la stringo piano, come se fosse un semplice saluto. Un lieve sfiorarsi e non una stretta in cui misurare l'intensità di un sentimento. 
O almeno provo... provo a pensare che sia così.
Mi volto completamente a guardarla, e per una volta la vista dimezzata è integra, veritiera, persino sotto la luce debole della luna. 
Sta osservando le nostre mani, ancora giunte perché lei ha stretto con forza. 
Lei è forte, lo è sempre stata.... nonostante questa notte fosse pronta a perire per volere di suo padre. 
"La pietà di Maria Antonietta mi ha risparmiato una punizione. Ma tu... tu André..."
Abbassa lo sguardo, sembra in difficoltà.
"Avrei soltanto ritardato la tua morte, Oscar."
Il sapore della sincerità è amaro per quanto pulito e terso il suo riflesso, il suo anelito. 
"No... se sono qui... è perché tu mi hai salvata dalla lama di mio padre."
~•~•~•~
Vorrebbe sottrarre la mano alla mia, ma lo trattengo, insieme allo sguardo, allacciato, penetrato ormai senza limiti nella sua anima nobile e disarmante. 
"Soltanto... grazie..."
Lo dico malgrado le labbra siano improvvisamente diventate pesanti. 
"Non c'è alcun debito."
È fermo, irremovibile. 
Ha ragione, non c'è debito e nemmeno riconoscenza, non c'è altro che amore... e forse potrei tentare di parlargli di tutto questo amore, ma lui si vuole allontanare da me e mentre le nostre dita si stanno per separare, lentamente volge il capo altrove.
Ma io non lo lascio andare e mi avvicino fino a sentire la punta dei suoi stivali incontrare i miei. 
"L'avrei fermato."
Stringo più forte la sua mano, cercando di controllare la voce, che si fa profonda quando finalmente incrociamo i nostri sguardi, e le lacrime silenziose che bagnano gli angoli dei miei occhi assottigliati.
Mi avvicino al suo viso perché capisca che dico la verità.
".... l'avrei fermato in tempo, André."
Non l'avrei mai lasciato morire. Quella lama non sarebbe mai calata sull'uomo che amo.
Sono abbastanza vicina da vedere le sue labbra schiudersi, solcare il desiderio di parlare, di dire qualcosa, e poi tenerlo dentro perché in fondo ha già detto tutto, e molto di più.
Porto la sua mano alle labbra, chiudo gli occhi e la bacio sul dorso. Annuso l'odore della sua pelle, frammista a quello della stoffa del polsino della divisa. Polvere da sparo... sole cocente che bacia i soldati mentre marciano sotto il cielo più lucente... e un lieve sentore di rose ferite.
Le lacrime rigano le mie guance quando capisco che non desidero allontanare le mie labbra dalla sua pelle... e fingo di non udire il sospiro che sfugge al suo controllo.
Non è nemmeno un bacio, il mio... così leggero, così inconsistente. 
Una debolezza bagnata di sale e di follia. Una follia che domani fingeremo di non ricordare.
Riapro gli occhi, con un movimento incerto sollevo il volto, potrei dire che ci stiamo allontanando di nuovo, ma le nostre mani sono rimaste unite.
E avverto il calore del suo respiro adesso... e spero che le sue labbra mi concederanno altri sorrisi. 
Sento la sua stretta farsi più forte attorno alle mie dita... e so... sono certa... che il suo amore mi segue come una luce che non teme nascondigli. 
Lo studio di mio padre è calmo ora, in questo silenzio sospeso... e le rose che André ha raccolto dal pavimento emanano un profumo delicato e avvolgente come la bellezza e il fascino dell'argento. 
Sento il cuore che impazza e deflagra al centro di me stessa e la mente che divora ogni altro pensiero che non sia di libertà, di giustizia per i miei soldati e per ogni singolo individuo.
Mi sono chiesta tante volte cosa prova una rosa nel momento in cui sboccia... 
Forse qualcosa che ricorda il dolore, la nascita. Forse una scia di piacere puro e intenso come il profumo che libera. Silenziosamente, in un curato giardino nobiliare, tra le ricche fioriture, risplendente sotto i raggi del sole.
Oppure, disperatamente... segretamente, di notte... in un bosco solitario, accarezzata per la prima volta dalla stanca e calma luce della luna. 

   
 
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