Un bacio
Kara parò il colpo, ruotò su se stessa e si
rimise in guardia, il suo avversario la guardava con aria concentrata, fin dai
primi affondi aveva perso il sorriso spavaldo. Ora avanzò, deciso a far valere
la sua maggiore altezza, Kara alzò lo scudo che risuonò ricevendo il potente
colpo. Il braccio le dolse, ma lei strinse i denti piegandosi appena e
allungando la spada fino a raggiungere il fianco del cavaliere che dovette fare
un balzo indietro per sottrarsi alla sua lama.
Come era finita in una simile situazione?
“Un bacio!” Urlò l’uomo, gli occhi lucidi a causa dell’alcool.
Tirò indietro la spada e si rimise in
posizione di attesa. Il sudore le imperlava la fronte sotto l’elmo e l’usbergo
sembrava ora un fardello tremendo più che una protezione. Il suo braccio
sinistro doleva per il peso dello scudo e per le decine di colpi che aveva
dovuto parare, mentre quello destro bruciava a causa dei colpi che aveva
inferto brandendo la spada.
Camminò lentamente seguendo con gli occhi,
attraverso la stretta fessura dell’elmo, i movimenti del grosso cavaliere
davanti a lei. Fece ancora un passo verso sinistra e l’uomo attaccò,
probabilmente istigato dalle urla della folla che lo schermiva, così come aveva
schermito gli altri cavalieri, la lunga lista di uomini che aveva battuto alla
lizza quel giorno.
“Vi batterete nella lizza, fino a quando non rimarrà che un cavaliere
e allora costui avrà il suo premio.” Gli occhi dell’uomo si voltarono verso la
sorella, malvagi, sfidandola a protestare, sfidandola a ribellarsi. Ma lei non
poteva, il suo ruolo, il suo genere, il suo orgoglio glielo impedivano.
“Avanti, buttala giù! Fagli vedere come
combatte un famiglio dei Luthor!” Urlò Lex alzandosi in piedi infastidito dallo stallo tra i due
cavalieri.
Il suo avversario fece un passo a destra, per
poi gettarsi su di lei, non poteva esimersi davanti a quell’incitamento del suo
signore. Eppure sapeva che doveva fare attenzione, che, lei, aveva battuto un
bel numero di cavalieri prima di lui.
Kara lasciò la spada dell’avversario sfilare
lungo il suo fianco sinistro, sentendo lo stridio della lama contro le maglie
di ferro del suo usbergo, poi abbassò lo scudo stringendolo contro il proprio
corpo, urtando la spada con fragore. L’istante successivo il suo avversario,
ormai disarmato, si bloccò a metà movimento, la spada di Kara che gli
accarezzava il collo, letale se si fosse mosso ancora. Vide gli occhi del
cavaliere sgranarsi, occhi verdi, belli, ma non quanto quelli di lei.
Kara entrò nella stanza dei banchetti con un sorriso sulle labbra,
sorriso che non sparì quando entrarono i padroni di casa: i Luthor.
Era di passaggio e, essendo lei nelle vesti di un cavaliere del re, era stata
accolta tra le mura del castello per quella notte. Era contenta di poter
dormire all’asciutto e al caldo, dopo i giorni di viaggio, era contenta
all’idea di mangiare tra altri cavalieri e poter chiacchierare con qualcun
altro oltre il suo cavallo ed era contenta di poter ascoltare i trovatori
cantare qualche canzone in occasione della festa che si teneva al castello: il
compleanno dell’erede.
Era contenta, ma quando i suoi occhi incontrarono quelli di lei il suo
cuore ebbe un sussulto sorpreso.
“Vi arrendete?” Chiese, il tono fermo,
malgrado il suo respiro fosse un poco affannato a causa dello scontro. Il suo
avversario strinse i denti, poi ruotò lo sguardo verso il podio dove Lex Luthor fissava la scena con
evidente disgusto.
“Mi arrendo.” Affermò, alla fine.
Kara ritirò la spada e si voltò a sua volta
verso il podio. I suoi occhi corsero a lei, cercando in essi quel calore,
quella dolce morbidezza che vi aveva visto la prima volta.
Lena Luthor. Doveva essere lei, sapeva che
era bella, lo sapeva perché alla corte del re molti parlavano della sua
avvenenza e del modo in cui aveva rifiutato numerosi pretendenti alla sua mano,
ma non immaginava che fosse… così tanto bella! Perché nessun cavaliere aveva
mai parlato dei suoi occhi? Aveva sentito parlare della sua pelle perlacea,
delle sue labbra vermiglie e dei suoi capelli corvini, ma mai, nessuno, le
aveva detto che i suoi occhi erano belli e limpidi come un cielo in primavera,
schiaritosi poco dopo un rovescio.
“Molto bene, il cavaliere del re vince
ancora.” L’erede dei Luthor mantenne un tono di voce
neutro, nascondendo il suo evidente disappunto. Ad un suo gesto uno scudiero
corse al muro degli sfidanti, staccò lo stendardo blu con righe verdi del
cavaliere che aveva appena battuto e spostò il suo accanto all’ultimo rimasto.
Ora il nero e rosso della casata dei Danvers garriva
il vento accanto a quello verde e argento dell’ultimo sfidante ancora
imbattuto.
Kara non distolse lo sguardo dal palco, ma non
incontrò gli occhi di lei. Perché?
Passò la serata seduta ad un tavolo con altri cavalieri, ma la
compagnia, la musica, il cibo, il fuoco scoppiettante non avevano più molta
importanza, non ora che aveva visto lei e che lei l’aveva vista. I loro occhi
si incontravano e si scontravano ancora, cercandosi senza fuggire, facendo
sorridere le loro labbra e sussultare il loro cuore. Vi erano così tante cose
in quello sguardo verde-azzurro: curiosità, divertimento, calore, intelligenza,
malizia, dolcezza. Kara ne era disorientata, ma non poteva smettere di cercarlo
ancora, ogni volta che i suoi interlocutori la lasciavano in pace o lasciavano
in pace lei.
L’ultimo cavaliere si fece avanti,
affiancandola. Era alto una buona testa più di lei, massiccio, ma non per questo
meno veloce, lo aveva visto lottare, era letale e intelligente. Ora estrasse la
spada e la puntò verso il palco, verso Lena.
L’atmosfera del banchetto si era riscaldata e lei non se n’era neppure
accorta fino a quando non vide i primi cavalieri sfidarsi prima in sfide
giocose, come chi vuotava più in fretta un otre di vino o chi riusciva a
piantare il coltello in una mela lontana quindici piedi, poi in vere e proprie
baruffe. Kara vide la ragazza piegarsi verso il fratello posando la mano su
quella di lui che teneva una coppa tra le mani, l’ennesima quella sera,
probabilmente intenzionata a farlo smettere e a fargli calmare gli animi, come
un buon padrone di casa avrebbe dovuto fare.
“Ti fai comandare da una donna?” Lo provocò un cavaliere notando il
gesto.
Quella frase aveva dato fuoco alla festa.
Lena alzò il mento, fiera, gli occhi di
ghiaccio.
“Io, Ser William Gouffrey,
mi prenderò quel bacio. Le vostre labbra, per cui lo sciocco Ser Jack Spheer è morto, saranno mie.” L’aria si congelò a quelle
parole, il pubblico aspettava la risposta del padrone di casa a quella violenta
offesa alla sorella. Kara strinse il pugno, perché non aveva distolto lo
sguardo da Lena e aveva visto gli occhi di ghiaccio della donna bruciare per un
istante. Conosceva vagamente la storia, ma di certo sapeva che il cavaliere
nominato era stato il promesso sposo di Lena ed era morto.
Il gelo durò un istante, poi Lex Luthor scoppiò a ridere e fu
seguito dalla folla. La mano di Kara si strinse con ancora maggiore violenza
attorno all’elsa della propria spada.
“Mia sorella obbedisce a me, senza fiatare, vero Lena?” Aveva chiesto Lex con un sogghigno, gli occhi pieni di malvagio
divertimento. Kara sapeva che era una strada senza uscita, come poteva, Lena,
obiettare? Era una donna senza cavalierato e dipendeva dal fratello che, con
una sola parola, avrebbe potuto spedirla in un convento per sempre o farla
sposare al primo che lo avesse voluto.
“Sì, fratello.” Aveva risposto lei, obbligata dalle convenzioni. Ma
lui non era soddisfatto, l’alcool lo aveva incattivito, immaginò Kara.
“Al torneo, domani.” Decretò, con gli occhi fissi su Lena. “Il premio
per il vincitore sarà un vostro bacio.”
“Lex!” Sbottò lei e Kara capì che era stato
un errore.
“Un bacio!” Urlò l’uomo, gli occhi lucidi a causa dell’alcool.
“Prima dovrete battere me.” Proclamò e la
folla scoppiò in sghignazzi e motteggi. Lui era il loro campione, poco
importava quanti cavalieri lei avesse sconfitto.
“Giusto.” L’uomo si voltò ad osservarla, poi
sputò per terra e tornò a guardare Lena. “Preparatevi, non ci metterò molto,
strapperò da lei, con questa spada, il bacio che mi dovrete voi.” Kara guardò a
sua volta la donna e in lei vide solo glaciale freddezza, perché non la sceglieva
come campione? Perché non le mostrava il suo favore?
Kara incontrò gli occhi di Lena aspettandosi di vedere in essi
spavento, timore forse, orrore per quella messa in vendita, ma vide solo freddo
e imperscrutabile ghiaccio. Questo la colpì quasi fisicamente, non poteva
permettere che quello sguardo dolce, intrigante, pieno di mille sfumature fosse
cancellato via. Non poteva, così come non poteva permettere che un simile atto
volgare e inappropriato si compisse sotto i suoi occhi: forse non era il cavaliere
del re che impersonava e di cui portava i colori e le armi, ma, anche lei, nel
suo cuore, aveva fatto giuramento di proteggere sempre gli innocenti.
Mentre il tavolo principale si riempiva dei pugnali dei duellanti, lei
si fece avanti.
Esitò un istante, ma poi strinse i denti e gettò il proprio pugnale
sul tavolo: ora era tra gli sfidanti del torneo.
Ecco com’era successo.
Il signore del castello aveva dato un’ora ai
due duellanti per prepararsi, ma ora erano lì, uno di fronte all’altro in
attesa di scontrarsi.
“No.” L’uomo davanti a lei abbassò la spada e
guardò verso il pubblico, poi si tolse l’elmo gettandolo lontano.
Kara fece una smorfia, l’onore le imponeva di
togliere a sua volta l’elmo con tutto ciò che comportava. Piantò la lama nel
terreno della lizza e poi tolse l’elmo, lasciando che i suoi biondi capelli
cadessero sul brillante usbergo di ferro.
“Molto meglio, no?” Le disse l’uomo con tono
canzonatorio. “Desideravo tanto lasciarvi un ricordo di me…” Si portò il dito
alla guancia e tracciò su di essa una lunga linea: una promessa. Kara riprese
la spada e strinse meglio lo scudo. Non aveva intenzione di farsi intimidire.
Prima che potesse pensare l’uomo scattò in
avanti, violento e preciso ogni colpo si abbatté sul suo scudo spingendola a retrocedere
e mettendola nell’assoluta incapacità di replicare. Incassò fino a quando
comprese che così sarebbe arrivata al bordo della lizza e non avrebbe più avuto
margine di manovra. Strinse i denti e si chinò, passando sotto il braccio del
cavaliere e sottraendosi al suo impeto. Sentì la lama passare sopra la sua
testa, un sibilo violento che l’avrebbe fatta rabbrividire se ne avesse avuto
il tempo. Ruotò su se stessa e parò la spada del suo avversario. Era forte.
L’impatto riverberò lungo il suo braccio strappandole un ansimo.
Vide gli occhi dell’uomo brillare di
divertimento e poi il suo braccio colpì ancora, questa volta sul suo scudo che,
sotto l’ennesimo tremendo colpo, si spezzò.
Kara fece alcuni rapidi passi indietro e
l’uomo non la rincorse, aspettando, con aria divertita. Sapeva, bene quanto
lei, che vi era solo una cosa da fare. Kara gettò lontano lo scudo e strinse la
spada con due mani. Obbedendo al codice cavalleresco il suo avversario fece lo
stesso. Erano di nuovo ad armi pari, ma Kara sapeva che senza scudo aveva i
minuti contati, non era forte quanto lui, non era neppure rapida quanto lui.
Il cavaliere si fece di nuovo sotto, la spada
tenuta alta sopra la testa. Kara parò, una, due, tre volte. Il dolore
infiammava le sue braccia, ma lei non abbassò la spada parando ancora e ancora.
Il suo avversario sembrava instancabile, sempre veloce, sempre potente.
Kara strinse i denti, non avrebbe ceduto, lei
era un’El, la figlia dei re. Quel pensiero fu seguito
da due occhi verde-azzurri che non avevano nulla a che fare con il re. Parò e,
per la prima volta, tentò un assalto, così sorprese il suo avversario che
dovette fare un passo indietro.
La folla scoppiò a ridere e Kara vide l’odio
brillare negli occhi del Ser. Abbassò il mento pronta all’assalto dell’uomo che
prontamente eseguì, caricando a testa bassa. Kara parò la prima sferzante
spadata, senza capire che era una finta, il cavaliere reggeva la spada con una
sola mano e fu la seconda a ferire.
L’uomo la colpì al viso con un violento pugno.
Il tempo rallentò.
Kara sentì la guancia bruciare, mentre il
labbro si spaccava e la sua testa veniva spinta di lato. Ma i suoi occhi
colsero gli occhi di lei. Ed eccoli di nuovo: verde-azzurri, ma non freddi, no,
questa volta erano dominati da un lampo di paura, non per se stessa, ma per
lei. Lena Luthor aveva scelto il suo campione, che lo
ammettesse o no.
Il tempo tornò a correre e lei si ritrovò ad
impattare con il suolo, l’aria che usciva dai suoi polmoni tutta in un colpo,
il dolore che pulsava violento là dove il pugno guantato di ferro del cavaliere
aveva colpito. Un colpo brutale, un colpo disonesto, un colpo che lo avrebbe
portato alla vittoria e alle labbra di Lena.
Kara alzò lo sguardo e un’ombra scese su di
lei. Il cavaliere la guardava feroce mentre alzava la spada un’ultima volta,
pronto a mettere fine allo scontro. Alle sue spalle l’astro celeste per
eccellenza: il Sole.
La ragazza strinse la spada che non aveva mai
lasciato il suo pugno, e la fece ruotare. Non avrebbe potuto opporsi a lui, non
avrebbe potuto parare un altro colpo, eppure ruotò la spada lo stesso, attorno
a sé sentiva il silenzio della platea pronta a scoppiare nel boato della
vittoria.
Ruotò la spada di brillante acciaio e catturò
il Sole. Un solo raggio che rimbalzò sulla sua arma colpendo il viso del suo
avversario. L’uomo fu abbagliato, voltò la testa alzando la mano per
proteggersi e lei colpì, veloce come il suo maestro le aveva insegnato, letale
come la sua sorella d’armi, di cui indossava i colori, le aveva inculcato. Il
cavaliere cadde a terra e si ritrovò con la sua spada alla gola.
Il silenzio rimase perfetto per un lungo
istante e poi la folla esplose in un boato. Il popolo aveva una nuova
beniamina.
“Vi arrendete?” Chiese, il labbro bruciò, ma
lei non smise di sorridere la spada salda nel pugno, gli occhi fissi in quelli
di lui. Il cavaliere grugnì un secco assenso e lei tolse la spada dalla sua
delicata gola, poi, finalmente si voltò cercando altri occhi, occhi
meravigliosi.
“Bene, bene, bene.” Mormorò Lex Luthor alzandosi in piedi e
chiamando il silenzio dalla folla che obbedì. “Abbiamo un vincitore.” Disse
soltanto, poi si voltò verso sua sorella, immobile e perfetta sul suo scranno e
tese la mano affinché lei la prendesse. La ragazza eseguì alzandosi in piedi,
il viso una maschera perfetta, gli occhi impenetrabili. “Venite a prendervi il
vostro premio.” Aggiunse soltanto il giovane signore.
Kara inguainò la spada, incapace di muoversi,
cercando negli occhi di lei qualcosa, ma trovandovi solo, di nuovo, quel muro
di ghiaccio, aveva forse visto male, prima? Il colpo le aveva annebbiato i
sensi? Dopo tutto, come aveva potuto vedere gli occhi della ragazza seduta nel
palco d’onore mentre lei cadeva a terra almeno trenta piedi più avanti?
La folla iniziò a battere contro i sedili di
legno, incitandola a prendersi quello che le spettava di diritto e Lena fece
qualche passo avanti, come a desiderare che quella storia finisse e in fretta.
Kara sbatté le palpebre e si mosse,
raggiungendo la giovane.
Un bacio. Un bacio. Un bacio. Mormorava nella
sua testa. Ma non lo aveva fatto per questo. Lo aveva fatto per il suo onore,
lo aveva fatto perché era la cosa giusta da fare, lo aveva fatto perché sapeva
che lei non meritava di essere umiliata in quel modo.
Eppure, quelle labbra promettevano di essere
morbide e dolci. L’aveva desiderato per tutto il tempo? Era forse quella la
ragione che l’aveva spinta a scendere nella lizza e misurarsi con i cavalieri e
i famigli dei Luthor, rompendo il sacro vincolo degli
El, che vietava loro i tornei e la lizza? Perché il
premio in palio meritava ogni colpo, ogni ferita, ogni dolore?
Potevano due occhi indescrivibilmente belli
averla stregata fino a quel punto?
“Perché parti da sola? Perché non mi permetti di venire con te?” Alex
la guardava, l’elmo sotto al braccio, l’aria seria e tesa.
“Devo capire chi sono, cosa sono.” Le disse per l’ennesima volta e la
vide scuotere la testa, come sempre insoddisfatta da quella risposta.
“Kara, sei un El! Figlia dei signori del regno,
non posso lasciarti partire da sola solo perché devi trovare te stessa!”
“Non mi basta un titolo e una casata.” Alex la guardò sorpresa e lei
scosse la testa. “Non puoi capire.”
“Spiegami, allora.” La esortò lei. Kara abbassò il capo, non aveva mai
tenuto un segreto con la sua sorella d’armi, la sua confidente e amica, eppure
quando aveva scoperto cosa le faceva quel piccolo gioiello blu aveva taciuto,
senza neppure sapere perché. Ma ora capiva: aveva bisogno di provare se stessa,
aveva bisogno di scoprirsi come persona ed essere qualcosa di più che solo una
principessa con poteri straordinari.
Infilò la mano nella bisaccia del suo cavallo e ne estrasse un
piccolo, ma pesante, scrigno, lo aprì e mostrò ad Alex il suo contenuto: una
collanina con un cristallo blu.
“Non capisco cosa…” Kara estrasse il pugnale dalla cintura e poi lo
premette sul palmo della mano. Alex fece una smorfia divertita, consapevole che
non si sarebbe ferita e sobbalzò quando vide il sangue fuoriuscire dal piccolo
taglio.
Ora, Lena, era lì, davanti a lei, algida e
immobile. Eppure lei aveva visto un’altra donna prima che tutto questo avesse
inizio e aveva deciso di lottare per lei, di provarsi come essere umano,
dimenticando la sua super forza, dimenticando la sua super velocità, dimenticando
ogni potere e persino il suo titolo, solo per lei, perché, per una volta,
voleva scoprire cosa si provasse ad avere paura di perdere, cosa si provasse a
rischiare davvero per qualcuno. Perché quando aveva incontrato quegli occhi
aveva capito che erano speciali.
Le si avvicinò ancora, poteva sentirne il
respiro, leggero, sfiorare la sua pelle. Si tese, chiedendosi cosa avrebbe
significato baciare quelle labbra, immaginandone la morbidezza, la dolcezza.
La folla la incitava, ma Kara guardava solo gli
occhi di Lena. Percepì un piccolo cambiamento in lei, la sua respirazione, ora,
era leggermente accelerata, il suo cuore batteva un po’ più veloce.
Aveva paura? Lo desiderava o lo abborriva? Non
lo sapeva. Si tese e chiuse gli occhi, ad un soffio da lei, mai così vicina
eppure irrimediabilmente lontana.
Con un passo indietro si sottrasse.
Abbassò il capo, le guance rosse, poi lo
rialzò e la guardò.
“Che cos'è un bacio?” Chiese, notando la
sorpresa negli occhi della ragazza.
L’intero pubblico ascoltava, le orecchie tese,
i cuori in fermento, così ripeté.
“Che cos'è un bacio?
Un giuramento fatto
poco più da presso,
un più preciso
patto, una confessione che sigillar si vuole,
un apostrofo rosa
messo tra le parole t’amo;
Un segreto detto
sulla bocca, un istante d’infinito che ha il fruscio d’un’ape tra le piante,
una comunione che ha
gusto di fiore,
un mezzo di potersi
respirare un po’ il cuore e assaporarsi l’anima a fior di labbra.”
Scosse la testa, dopo aver recitato quella
poesia dei trovatori che sono ora comprendeva appieno.
“Un bacio ha valore solo se dato con il cuore
e la volontà. Un bacio rubato è degno solo di ribrezzo e io non vorrò mai
provare ribrezzo pensando a voi.” Con eleganza chinò il capo, poi sorrise, il
rossore che non spariva dalle sue gote.
Vide gli occhi di Lena cambiare, un calore
nuovo aveva spazzato via il ghiaccio, la donna inclinò la testa di lato mentre
la analizzava, un sorriso che faceva capolino sulle sue labbra. Kara sollevò le
braccia e se le portò al collo, qui sciolse il nodo di una catenina e se ne
separò. Un gioiello blu brillava alla luce del sole.
“Un dono, se vorrete accettarlo, per colei che
mi ha reso possibile capire chi fossi e cosa cercassi.” Mormorò tendendo il
braccio verso di lei, nel pugno aperto il gioiello.
Lena non disse nulla, ma sfiorò le sue dita e
prese la collanina stringendola nella mano. Kara sentì subito il suo corpo
rinvigorirsi. Sotto il Sole e lontana dall’influsso del gioiello le braccia
iniziarono a fare meno male e così la ferita al volto.
Sorrise alla donna e poi si voltò, mentre la
folla rumoreggiava insoddisfatta, Kara attraversò la lizza dirigendosi verso il
castello, ora doveva tornare a casa.
Mormorò qualche parola dolce al suo destriero,
mentre lo accompagnava fuori dalle stalle. Presto avrebbero chiuso le porte del
borgo per la notte, ma lei doveva andarsene. Aveva visto gli occhi del signore
del castello e non voleva rimanere invischiata in un sciocco tentativo di
vendetta.
“Vedo che siete saggia, questa volta, Ser
Alexandra Danvers.” La voce la raggiunse dalle ombre
e lei arrossì nel riconoscerne la fonte, malgrado non avesse mai parlato
direttamente con lei. Kara si voltò e osservò la giovane dama farsi avanti.
“La mia sorella d’armi direbbe che non lo sono
mai.” Affermò, chinando il capo in un gesto di rispettoso saluto. “Ma, anche io
comprendo quando è ora di abbandonare un luogo potenzialmente ostile.”
Gli occhi della ragazza brillarono.
“Mio fratello rispetta con difficoltà le leggi
del re che voi servite, oggi lo avete provocato, andarvene prima di notte è
l’unica mossa auspicabile.” Confermò Lena Luthor,
alzando la mano e aspettando che il destriero si abituasse a lei prima di
accarezzarne il muso. Kara la osservò nella luce del giorno morente, era
possibile che con i capelli sciolti sulle spalle e quel sorriso indulgente
sulle labbra, mentre accarezzava il cavallo, fosse ancora più bella?
La donna si voltò a guardarla, sorprendendola,
il suo sorriso si ampliò e Kara arrossì.
“Dove andrete?” Chiese la ragazza, gli occhi
ora fissi su di lei.
“A casa.” Riuscì a dire.
“Tornerete alla corte del nostro sovrano?”
Lena la osservava con occhi intrigati.
“Sì, mia signora.”
“Dunque questo è un addio.” Dichiarò dopo un
istante di pausa e Kara ebbe un piccolo sussulto nel cuore a quell’idea. Una
parte di lei sperava che si sarebbero riviste, un giorno.
“Forse le nostre strade si intrecceranno
ancora…” Obiettò e la donna sorrise.
“Forse.” Concesse. “Pensavo che foste
speciale, poi ho creduto che foste esattamente come gli altri cavalieri: a
caccia di sfide ed emozioni. Mi avete provato di essere diversa… unica.”
Sorrise, avvicinandosi a lei. “Dovete sapere una cosa dei Luthor:
detestiamo avere dei debiti.”
“Non avete debiti con me, mia signora.”
Assicurò lei, ma l’aria le mancava dai polmoni a quell’improvvisa vicinanza.
“Un debito.” La contraddisse Lena, alzando un
dito. Poi le mani della ragazza si aggrapparono alla sua casacca, attirandola
verso di lei. “Un bacio.” Mormorò, prima di chiudere la distanza tra di loro e
baciarla.
Il cuore accelerò ancora nel suo petto, ma,
Kara, chiuse gli occhi e strinse la giovane tra le braccia, lasciando che il
desiderio che aveva provato, fin dal primo istante in cui aveva incrociato lo
sguardo di Lena, esplodesse dentro di lei e si condensasse in quel singolo
istante, in quel bacio.
La giovane Luthor si
separò da lei con gli occhi che brillavano, il respiro un poco corto e il cuore
che batteva veloce.
“Non dimenticherò il vostro duello, non
dimenticherò le vostre parole e, di certo, non dimenticherò questo bacio.”
Mormorò ad un soffio dalle sue labbra. Kara fu tentata di baciarla ancora, ma
si trattenne.
Un bacio, uno soltanto.
Lena le guardò la bocca, si morse il labbro e
poi rialzò lo sguardo ai suoi occhi e sorrise.
“Fate buon viaggio, cavaliere del re, chissà,
un giorno, forse, le nostre strade si incontreranno ancora.”
“Lo spero.” Mormorò. “Lo spero davvero.”
Lena annuì, si separò da lei e fece qualche
passo indietro, poi sorrise e chinò il capo.
“Buon ritorno a casa, principessa.”
Kara aprì la bocca e poi la rischiuse,
chiedendosi, come e quando la giovane Luthor avesse
scoperto la sua identità, non Alex Danvers, cavaliere
del re, ma Kara Zor-El figlia del sovrano del regno.
Il sorriso di Lena si ampliò, si portò un dito
alle labbra, in una chiara promessa di silenzio e poi si voltò scomparendo tra
le ombre sempre più lunghe del tramonto.
Ormai nel bosco, Kara, si voltò sulla sella e
osservò tra gli alberi il castello dei Luthor
attorniato dal borgo, sapeva che la donna se la sarebbe cavata e sapeva che, di
certo, non aveva bisogno di lei, ma sperò, che, un giorno, avrebbe rincontrato
quella dama e chissà, forse, avrebbe avuto il coraggio di baciare di nuovo
quelle meravigliose labbra.
Note: Prima la vera nota, la poesia che recita Kara, è tratta dal “Cyrano de Bergerac” di Rostand.
Passando alle cose meno serie, a quanto pare è destino che nelle mia AU fantasy medievali le SuperCorp abbiano diritto ad un solo bacio… XD
Spero che questa classica medievale vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa ne pensate!
Ciao ciao