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Autore: Kodamy    14/06/2009    3 recensioni
ovvero, [rovine : città = ricordi : persone]
Il problema di Lenalee è che, quando commette l'errore di cominciare a sperare, spesso dimentica di non vivere in una favola.
Ma l'opinione di Kanda, alla fine, non interessa proprio a nessuno.
[LenaleexAllen] [Lenalee&Kanda, amicizia] [Future!fic]
Genere: Romantico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Rabi/Lavi, Yu Kanda
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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La nuova Sede dell’Ordine Oscuro ha un giardino interno: a Lenalee piace stare lì, in quel piccolo cortile dalle panchine di l

A volte a Lenalee viene voglia di distruggere le rovine del mondo.

Non lo fa mai.

D’altronde, si giustifica, a tutti capita di conservare una o due bambole rotte in cantina.

 

 

{ Le rovine del mondo }
( => rovine : città = ricordi : persone)

 

Act 0.
Prologo

ovvero

di come la vita (non) va avanti,

e di come i fantasmi finiscono comunque per rovinartela

 

 

La nuova Sede dell’Ordine Oscuro ha un giardino interno: a Kanda piace stare lì.
Da solo.

E’ una delle piccole costanti dell’Ordine: lo si può vedere lì seduto in qualunque stagione, in qualunque momento. E’ lì con il sole, con il vento, con la pioggia e con la neve – e di solito ci rimane finchè la signorina che ha sostituito la matrona, esasperata, non viene a pregarlo ‘signor Kanda, per favore, non fa bene alla sua salute!’.  
Marie la accompagna sempre, e quello è l’unico motivo per cui Kanda si ritrova, ogni tanto, a rientrare all’asciutto.

Eppure è un luogo così perfetto per meditare. Il suo qi è terribilmente turbato, da un anno a questa parte, e sedersi alle radici della grande quercia al centro del cortile lo aiuta, in qualche modo, a ritrovare il suo baricentro.
Effettivamente è proprio in momenti come questo, che si sente la mancanza del vecchio Bookman: il Panda – oh, Lavi – sarebbe riuscito perfettamente a dargli una mano con questo problema di innegabile squilibrio di energia interno.

Ma il vecchio Bookman non c’è.
E oggi fa freddo, e Kanda si ritrova a contare i minuti prima che la signorina infermiera non si fiondi alla sua ricerca, perché-ha-saltato-la-visita-delle-cinque.

Sospira. Poi, inspira ed espira. Piano.
Quattro cicli di respirazione completa, e riesce persino a smettere di pensare.

Ne è grato, perché ha proprio bisogno di abbandonare il mondo per un po’.

“Siamo proprio come insetti, ne,” trilla una voce alla sua destra, e il miraggio del Nirvana sembra inspiegabilmente lontano. E’ una voce che sorride, e sa di donna che gioca ancora ad essere bambina.

Lenalee.
Il quinto respiro abbandona le labbra più frettolosamente dei primi quattro, e Kanda non può fare a meno di esserne vagamente indispettito.

Non apre gli occhi, ma si limita a chinare appena il capo d’un lato.
Vaga rassegnazione, i capelli gli solleticano lo zigomo.

“Chiusi in una scatola. Non ti sembra di essere chiuso in una scatola, con questo cielo grigio…?”

Ma i raggi di sole filtrano anche quella coltre di nubi, e poi quello che Lenalee dice quando sono da soli non ha più senso da anni, ormai.

“Mi fa venire voglia di smettere di respirare.”

Passi. Calpestano l’erba secca e la foglie secche, ed il piccolo tonfo gli suggerisce che la donna – ragazza, amica d’infanzia, compagna, superstite – si è seduta poco più in là. Le foglie protestano.

Ecco, adesso il qi sarà scombussolato di nuovo. Merda. Ma davvero, è anche colpa sua.
Non riesce più a concentrarsi come si deve da troppo tempo, ormai.

“Però, ne, Yuu,” continua Lenalee, come se niente fosse. “Dio è stato gentile, oggi. Guarda.”

Guardare non ha senso, perché non c’è niente da vedere. Ma il tono è talmente cristallino e puro, che gli ricorda quasi una Lenalee ragazzina ed innamorata.
Ah, Dio-in-cui-non-crede-più-nessuno. Che bei tempi erano quelli.
Schiude le palpebre, guardandola distrattamente con la coda dell’occhio: lei ha gli occhi profondi e dispersi altrove.
Guardano in alto, verso il Paradiso.
Sorride, e le ciocche corte – ha di nuovo tagliato i capelli come lui, quando la smetterà? – le solleticano la nuca.

Con un sospiro, Kanda solleva lo sguardo al monotono cielo grigio, e agli sprazzi di cielo che si affacciano tra le nuvole scure.

Pioverà, pensa. Stupida, irritante signorina-matrona.

“Ha fatto dei buchi nella scatola, vedi? Gentile da parte sua. Forse ha capito che anche noi abbiamo bisogno di respirare…”

La voce di Lenalee si abbassa, e Kanda smette di ascoltarla quando inizia a borbottare ‘ah, anni, anni, ci sono voluti anni…’

La sua voce tranquilla scema nel silenzio di un sospiro soddisfatto.

Lenalee non ci sta decisamente più con la testa, pensa Kanda, mentre torna a far finta di meditare.
Sospira anche lui, ma ormai la sua è semplice rassegnazione.

 

Gira voce, negli ampi corridoi della Sede, che il Generale Lee e il Generale Kanda siano amanti.

Non c’è davvero altra spiegazione al modo in cui li si vede spesso camminare insieme, e mangiare insieme, e compilare dossier insieme, e generalmente appoggiarsi l’uno all’altra come bambole stanche che si sostengono a vicenda da sedute, ben dritte, su una mensola.

E non c’è davvero altra spiegazione al modo in cui il Generale Lee sembra particolarmente abile nel girare e rigirare il Generale Kanda attorno al suo mignolo. Guardarli è una piccola commedia, che ricorda nostalgicamente la vecchia favola della Bella e la Bestia.

Difficile stabilire, tuttavia, dove finisca la Bella e dove finisca la Bestia.

Il Generale Lee è una bella donna. Una bella donna molto forte – si bisbiglia che sia stata lei la prima a portare l’innocence alla sua nuova evoluzione di cristallo.
Si bisbigliano leggende di akuma dalle sembianze d’angelo, e innocence liquida e bracciali di sangue.

E’ una donna gentile che sorride spesso.

Ed è anche un po’ matta, ma bisogna passare un po’ di tempo con lei per rendersene conto. I suoi apprendisti, spesso contenti di essere sfuggiti alla tutela del Signor Kanda, finiscono per rimangiarsi ogni grido di giubilo.

Perché Lenalee Lee è un pessimo connubio di ragazza, bambina, e madre iperprotettiva – un connubio che ti fa sperare, se mai dovessi finire nelle grinfie di un akuma di cattivo umore, di morire sul colpo e non dover affrontarla al riguardo.

Al Generale Kanda, invece, non importa se ti fai male. Importa solo che venga portata a termine la missione – e anche in quel caso, da lui non si ottiene mai un riconoscimento. Mai. Ci pensa il Generale Lee, a dirti che ‘Yuu’ le ha detto che è fiero di te.

 

 

Helen Goldwing è la nuova esorcista che Dio ha donato all’Ordine, un misero contentino dopo mesi di religioso silenzio. Helen è una ragazza sul punto di diventare donna. Sufficientemente di bell’aspetto, anche, se si ignora l’occhio rosso di sangue con cui l’ha graziata la sua innocence parassita.
Medusa, l’hanno chiamata. La sua innocence.

Non è un nome lusinghiero.

E’ semplicemente orrido.

E come se non bastasse, risulta essere anche inutile, dal momento che il Generale Kanda la guarda dritto in quell’occhio e tuttavia non ne viene affatto pietrificato.

“Bridget,” esordisce, invece, e la sua voce è talmente infastidita da far venir voglia ad Helen di ricoprirsi l’occhio con la sua piccola e fidata benda da pirata, e nascondersi mortificata in un angolino e non uscirne mai più.

Bridget Fay, Supervisore dell’Ordine, accavalla le gambe sotto la scrivania e solleva appena lo sguardo, al di là degli occhiali. “Una firma qui, prego,” non sorride, ma non è una persona che da l’impressione di sorridere spesso.

Tamburella invece l’indice su un foglio – un dossier? – sostenendo lo sguardo dell’asiatico.

Il signor Kanda batte ciglio – ed in fondo è un bell’uomo, anche se sembra molto stanco e non troppo in salute. Begli occhi, belle ciglia ed Helen è cresciuta per strada, quindi si ritrova anche a pensare distrattamente bel culo.

“Non voglio gente come lei,” sta dicendo, però, quel bell’uomo. E la voce è talmente gah! che alla lista Helen si ritrova ad aggiungere anche ‘carattere di merda’.

“Razzista!” protesta invece, per amor della censura, ad alta voce. La parola sembra scuoterlo un pochino, ma finisce semplicemente per farlo sembrare più nauseato di prima.

“Dalla a Lenalee,” è l’unica cosa che commenta, voltandosi drammaticamente verso la porta – e chi si crede di essere - con un ondeggiare eccessivo e sicuramente abusivo di quella tenda che si ritrova per capelli. “Ne sarà estasiata.”

Qualcosa, nel modo in cui lo dice, non le piace per niente.

Sarà che un aggettivo del genere suona male, se intriso di veleno.

Fa per replicare – qualsiasi cosa, la lingua biforcuta ce l’ha – ma il Generale è andato via, sbattendo la porta. E neppure il rumore sordo riesce a coprire la piccola scarica di colpi di tosse che lo seguono, mentre si allontana.

Bridget sospira, sollevando lo sguardo al cielo.

“E chiedo solo un po’ di personale competente, non mi sembra di chiedere tanto.”

Estasiata, dice lui. Chissà se questa Lenalee ha anche lei un’innocence parassita.

 

 

Lenalee non è estasiata, ma Lenalee non ha mai imparato a dire di no ai bimbi sperduti.

Forse è per questo che la sua squadra sembra un centro di recupero per disadattati.

 

 

Quella sera, il Refettorio è animato dall’ennesimo atto di una vecchia commedia che si trascina avanti da anni, ormai trita e ritrita ed innegabilmente esausta. I veterani – ne sono rimasti veramente pochi - non ci fanno nemmeno più caso, ma per le nuove leve rimane sempre uno spettacolo sufficientemente affascinante e di grande intrattenimento.
E’ il Generale Lee ad inaugurare la scena, attraversando a grandi falcate la Sala – ha sempre avuto gambe molto forti – e sbattendo i pugni sul tavolo dove il Generale Kanda, come abitudine, mangia da solo. Il colpo lo fa sussultare appena, e i tagliolini fumanti ben stretti dalle bacchette cadono giù, andando ad insudiciare il dossier che stava compilando.

La Sala trattiene il respiro.

Ma Kanda si limita a sollevare lo sguardo, e a battere ciglio.

Per l’espressione del viso contratta, Lenalee potrebbe essere benissimo un’arpia, al momento.
Estasiata, Yuu? Estasiata? Come hai potuto anche solo insinuare…”

“Non voglio fantasmi nella mia squadra,” è la semplice risposta, stanca, e priva di veemenza. “Tantomeno il suo fantasma. Mi disturba.”

I palmi delle mani di Lenalee si stringono appena. Si chiudono in pugni, alla fine, e battono sulla superficie di legno ancora una volta. “E cosa ti fa pensare, sentiamo, che io invece non sia…”

“… disturbata? Lenalee, dormi nella sua stanza almeno tre notti alla settimana. E’ evidente che lo vai cercando, il suo fantasma. Quindi te la lascio. La nuova mammoletta,” una piccola pausa, mentre l’uomo, senza alcuna malizia, procede a risollevare i tagliolini caduti sulla sua superficie di lavoro. Osserva le macchie d’olio, critico. “Consideralo un regalo anticipato di compleanno.”

Decisamente stanco.
E di cattivo umore per il dossier rovinato – non è mai stato bravo, a scriverli. Ci mette sempre troppo tempo.
Fortunatamente, il cervello di Lenalee sembra essersi fermato, offeso, al “tre notti alla settimana”, e aver completamente ignorato la successiva sfilza di cattiverie perfettamente prive di malizia.

“Tre notti, dice! Tre notti! Non è assolutamente vero. Come fai a…”

So dove sei le altre notti – sarei un idiota, se non ti vedessi sotto il mio naso.

“Ho anche una mia stanza, sai. Il fatto che io non sia nella tua…”

“… sono anni che va avanti questa storia,” la interrompe nuovamente lui, poggiando le bacchette sulla ciotola e portando una mano alla tempia. “E sei talmente rumorosa che c’è gente che pensa ancora che quella stanza sia fottutamente infestata. Per favore, non prendermi per idiota. Sarò lento, ma non sono completamente rimbambito.”

“Non ancora,” è la vendicativa risposta della donna. Per ripicca quasi infantile.
Ma l’unica reazione di Kanda, è un semplice battito di ciglia. Ed un’espressione più abbottonata del solito.

“A quello provvederà il tempo,” taglia corto, scostando lo sguardo. “Tu che ne hai così tanto, non vedo che male ti faccia occuparti di un fenomeno da baraccone in più.”

 

 

Lenalee odia litigare con Kanda.

Forse è perché si conoscono talmente bene che sanno perfettamente come farsi male a vicenda.

 

 

Quella notte, dopo aver illustrato ad Helen una piantina della Sede e averle fatto il prospetto del programma di allenamento, Lenalee sgattaiola lo stesso nel suo letto. Lui le dà le spalle, ma si stringe lo stesso un pochino di più contro il muro per farle spazio.

“Yuu.”

Un grugnito.

“… Sembra una brava ragazza, quella Helen.”

Un sospiro esasperato. Qualche colpo di tosse, e Lenalee si ritrova a sospirare come un’eco, poggiandogli una mano sulla spalla. Movenza piuttosto inutile, di vuoto conforto.

Rimangono in silenzio, per un po’.

“Komui,” esordisce d’un tratto l’amico d’infanzia, con voce impastata dal sonno. Stava evidentemente dormendo prima che lei lo disturbasse, ma il nome da lui pronunciato la scuote talmente tanto, che non ha nemmeno la decenza di sentirsi dispiaciuta di averlo svegliato.
Stringe le labbra, serra gli occhi, e poggia la fronte sulla sua schiena. Veementemente.
Sbatte contro le ossa, che tendono sotto la pelle.

Kanda sta dimagrendo di nuovo.

“Ko… Komui cosa?” riesce a dire, alla fine. Lui schiocca la lingua, e si muove appena, quasi a volersela scrollare di dosso. Non ci riesce, perché Lenalee è una donna molto testarda. Dopo un po’ rinuncia, con uno sbuffo.

“Ho parlato con lui oggi pomeriggio. Mi ha contattato.”

“E cosa vuole?” ringhia lei, sulla difensiva, crucciando appena le sopracciglia. Kanda si volta appena, per guardarla con la coda dell’occhio da sopra la spalla. Apprensione, e stanchezza.

“Sapere come stiamo. Come stai.”

Non ottiene risposta.

“Ha detto che gli piacerebbe vederti.”

“Venisse lui. Venisse lui. Io sono rimasta qui, è lui che se ne è andato a…”

“… dice che il lavoro al Vaticano è troppo, e che sta facendo del suo meglio per frenare certe iniziative proposte da Leverrier,” mugugna, in quella sua voce monotona adatta soltanto a parlare del tempo, o a leggere la lista della spesa. Il che, sicuramente, non è l’accorata imitazione della ben più passionale voce dell’ex-supervisore. “Dice che è contento.”

Oh. Non è una bella notizia, anzi.
E’ come un pugno allo stomaco, per Lenalee, perché lei è abbandonata, e sola, e contenta per niente.

“Ah sì?” mormora piano.

“Perché pare che il Papa abbia richiesto esplicitamente la presenza dei generali alla prossima udienza sulle nuove misure da adottare nella Guerra, che dirà qualcosa che ritiene essere importante,” sbadiglio “e ci toccherà decisamente andare al Vaticano.”

Il tono di Kanda rimane talmente piatto che, per un attimo, Lenalee non comprende neanche tanto bene quello che ha detto. Ma quando lo comprende, la prima reazione che ha è quella di sollevarsi seduta – e Kanda sembra essersi aspettato quello scatto, perché nemmeno si volta a guardarla.

Piuttosto, chiude gli occhi e sembra aspettare l’esplosione.

“… al Vaticano? Io non lo voglio vedere, Yuu! Non voglio vederlo, non voglio vedere né lui né… né Leverrier e non voglio andare al Vaticano! Lì… lì…” e la voce piano piano s’infrange, e sa di isterico. Ma Kanda è abituato anche a quello, e si volta a pancia in su per guardarla. Dal basso, con i suoi soliti occhi onesti. “Lì…” continua Lenalee, e i suoi occhi invece sono velati di lacrime.

Vuole conforto, ma Kanda è sempre stato negato in queste cose.

“E’ solo un piccolo dolore, Lenalee,” mormora, perché lui conosce bene i piccoli dolori.
E sa che passano, prima o poi. E’ il suo modo di affrontare la vita, quello.

“Lì… mio frate… mio fratello e l… lui, lì… non voglio andarci, no, non voglio veder…”

Kanda sospira, quando la frase della donna s’infrange lì, con un singhiozzo, a metà strada.

“Beh, hai due settimane per convincerti a volerlo. O è probabile che mandino Leverrier a prenderti a domicilio,” e Kanda odia usare questi trucchetti, perché fanno tremare Lenalee il doppio, ma sono l’unica cosa che funziona, ormai, e DioDioDio quanto detesta dover fare da balia – ma glielo deve, dannazione, glielo deve – e solleva una mano a stropicciare un occhio, e massaggiare una guancia intorpidita. “Sei cresciuta Lenalee. Sei un’adulta. Potresti anche farmi il favore di cominciare a comportarti come tale.

E chiude gli occhi, come se il discorso fosse finito lì.

Lenalee continua a scuotere il capo e mormorare inezie e singhiozzare per tutta la notte.

Lui, per tutta la notte, fa finta di dormire.

 

Kanda odia litigare con Lenalee.

E, Dio, non ha davvero tempo per queste cose.

 

 

 

 

(Sa che Lenalee si è addormentata, appena dopo il sorgere del sole, perché la sente distrattamente accoccolarsi al suo fianco, lisciargli i capelli e bisbigliare, come un mantra, quel nome.

E’ sempre quello, il nome che pronuncia solo mentre dorme e mentre non sta attenta ad evitarlo come la peste.)

 

 

 

 

 

 

(Allen.)

 

 

 

 

 

A/N : giuro che era nata come oneshot. Ma ha preso vita da sola. Mi fa paura. Seriamente. Anche perché mi spaventa sempre un po’ scrivere della coppia di Lenalee e Allen =D Il sottotitolo è una frase di... Stendhal o flaubert. Li ho ripetuti entrambi oggi, quindi non ricordo, il che dimostra che ripetere è una cosa perfettamente superflua °_°

 

Commenti e critica costruttiva son bene accetti <3

 

E cavolo, dovrei pensare a studiare per gli esami.

  
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