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Autore: Chipped Cup    15/07/2017    8 recensioni
[ Captain Swan | AU senza magia ]
Emma Swan, ventotto anni, sola, un lavoro scadente che la faceva a malapena arrivare a fine mese. Oramai ci aveva messo una pietra sopra e aveva accettato, seppur malvolentieri, quella schifosa vita che le era capitata. Poi la svolta: una chiamata, un'offerta di lavoro nella piccola cittadina di Fort Kent, Maine, le da la spinta che le serviva per ricominciare. Emma Swan arriva in città senza troppe aspettative, tutto quello che chiede è un po' di pace, ma con Killian Jones, padre trentenne e solo, tra i piedi e un segreto a lungo custodito che sembra voler spuntare fuori ad ogni costo rimescolando così tutte le carte in tavola, la sua nuova vita a Fort Kent sarà tutto fuorché tranquilla.
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Dalla storia:
Emma sorrise. Un sorriso sincero, entusiasta, tenero e rassicurante. Aveva appena avuto la dimostrazione del grande cambiamento che stava affrontando Killian Jones: piano piano stava lasciando andare la sua “parte oscura” e stava crescendo, maturando e diventando responsabile. E lo faceva per suo figlio, ma anche per lei. Se prima poteva aver avuto dei dubbi su di lui, in quel momento vennero spazzati via come una ventata d'aria fresca.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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4. L'amico di sempre




Knock, knock, knock

Emma mugugnò qualcosa nel sonno, lievemente infastidita da quel rumore che aveva cominciato ad insidiarsi tra i suoi sogni, mentre volgeva la testa dall'altra parte.

Knock, knock, knock

Il rumore cominciava a risuonare più forte, seppur le appariva lo stesso abbastanza ovattato da non farle capire se fosse solamente l'ennesimo frutto della sua immaginazione o se stesse accadendo nella realtà. Il mal di testa provocato da un bicchierino di troppo prima di mettersi a letto, la sera prima, non l'aiutava decisamente a capire.

Knock, knock, knock

Era sveglia, adesso. Strinse forte gli occhi e arricciò il naso; era certa di aver messo la sveglia: alcolici o meno, la teneva impostata sempre sulla stessa ora da settimane e il fatto che non fosse ancora suonata la mandava su tutte le furie. Odiava essere svegliata prima del dovuto. Strinse forte il cuscino tra le mani, prima di sollevarlo così da potervi infilare la testa sotto, sperando di lasciare qualsiasi tipo di rumore fuori.

Knock, knock, knock, knock, knock

Questa volta quel continuo battere divenne più veloce e più violento. Emma lanciò via il cuscino, scocciata. Si tirò su nello stesso istante, i capelli biondi le ricaddero sul volto, se li scostò portandoli all'indietro senza aspettare troppo con un rapido gesto della mano. Sbatté un paio di volte le ciglia, afferrò il cellulare e osservò l'ora: erano le 6:47. Chi era il folle che si presentava a casa di una persona prima delle 7 di mattina? Pensò che dovesse trattarsi di un'emergenza e andò nel panico per qualche secondo. Realizzò presto, però, che davvero in pochi erano a conoscenza del suo indirizzo e che tutti loro avevano il suo numero, ergo se fosse successo davvero qualcosa di grave l'avrebbero senz'altra chiamata, prima di presentarsi a casa sua.

Doveva trattarsi di qualcuno il cui unico scopo era quello di farla irritare, decisamente.

«Un momento!» Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, prevenendo un'altra ondata di quell'odioso battere alla sua porta. Afferrò al volo la vestaglia nera abbandonata su una sedia e la indossò, escludendo qualsiasi possibilità di andare ad accogliere chiunque vestita soltanto con una canottiera e delle mutande. Passò a piedi nudi davanti lo specchio, si osservò al volo notando il mascara leggermente sbavato sotto l'occhio destro e i capelli scompigliati. Vi passò una mano sopra, cercando di sistemarli come poteva, spostandoli tutti sulla spalla sinistra – non che apparissero più ordinati. Arrivò davanti alla porta pronta ad aggredire con numerose parolacce chiunque l'avesse disturbata così di prima mattina, privandola addirittura della sua ultima ora di sonno. Le si mozzò il fiato, comunque, una volta aver sbirciato dallo spioncino; con il cuore in gola si affretto ad aprire. «August!»

L'uomo rimase ad osservarla per qualche istante, senza dire una parola né muovere un solo passo, con un sorrisetto divertito dipinto sul volto. I loro occhi correvano rapidi da una parte all'altra, si studiavano a vicenda quasi volessero individuare al primo colpo tutte le differenze che quell'anno e mezzo di lontananza aveva messo in piedi. Emma si disse di non averlo mai visto così abbronzato in tutta la sua vita: indossava una camicia rosso porpora, i primi due bottini lasciati aperti, infilata ordinatamente dentro un paio di jeans scuri; sopra l'immancabile giacca di pelle dalla quale non si separava mai, faceva parte del suo abbigliamento da quando era bambino, Emma molte volte pensava che se la sarebbe portata perfino sull'altare – se mai si fosse sposato, ovvio. I tratti del viso erano sempre gli stessi, gli occhi curiosi e arroganti che l'avevano osservata e messa in soggezione parecchie volte non la lasciavano andare neanche per un istante; poté giurare di intravedere delle piccole rughe sulla fronte, ma per il resto appariva più che rilassato e, soprattutto, felice. Aveva in mano un vassoio con due tazze di caffè da asporto, più una busta contenente probabilmente il resto della colazione nell'altra.

«Sorpresa!» Esclamò, infine, dopo un secondo di silenzio che appariva come un'eternità. Distese la bocca in un sorriso più grande, contento di rivederla dopo tutto quel tempo, e aprì le braccia invitandola a farsi stringere. La bionda non se lo fece ripetere due volte e, seppure ancora visibilmente scossa, mosse quei pochi passi che li separavano, mettendogli le braccia intorno al collo. Riuscì a catturare l'odore del solito dopobarba, mentre si rendeva conto della massa muscolosa che aveva messo su il suo amico. O forse era lei che non ricordava più come fosse la sensazione del suo corpo contro il suo, non sapeva dirlo. Lo lasciò andare subito, le mani sulle spalle, l'espressione ebete in pieno volto che non riusciva proprio ad abbandonarla. «Non te l'aspettavi, eh?» Mormorò lui, sempre più divertito.

«Quando sei tornato?» Domandò lei per tutta risposta, rendendosi improvvisamente conto di avere la bocca completamente spalancata oramai da vari secondi. Sicuramente il suo migliore amico era l'ultima persona che si aspettava di trovarsi davanti, e lui lo sapeva benissimo a giudicare dalle occhiate soddisfatte che le lanciava. Si fece da parte per lasciarlo entrare, chiuse poi la porta alle sue spalle e cominciò a correre da una parte all'altra del suo appartamento, recuperando cartacce sparse e bicchieri sporchi: l'ordine non era mai stato il suo forte.

«Ieri sera», rispose lui seguendola in cucina e poggiando la colazione da asporto sul tavolo che Emma aveva appena liberato dalle più svariate cianfrusaglie. «A mezzanotte passata ero in città, ho mandato giù qualche boccone e, nel frattempo, papà mi ha detto che ti avrei trovata qui», le lanciò uno sguardo eloquente, Emma si sentì colpita in pieno ed abbassò gli occhi. «Puoi immaginare il mio stupore», continuò quello, «sarei corso qui se non fosse stato tanto tardi, al diavolo la stanchezza per il viaggio! Volevo verificare con i miei occhi che fosse tutto vero», Emma lo ascoltava in silenzio, sentendosi sempre più colpevole e mormorando un leggero “Mh mh” mentre prendeva ad aprire la bustina e rivelando due brioche alla crema. Ne afferrò subito una. «Non mi hai detto di essere tornata a Fort Kent.»

«E tu non mi hai detto che saresti tornato a giorni», ribadì lei, cercando di rigirare la frittata neanche avessero di nuovo 12 anni. Si sedette su una sedia, invitando August ad imitarla e diede un morso alla brioche – mh, soffice e profumata. «Comunque contavo sul fatto di trovare un altro impiego e un'altra sistemazione prima del tuo ritorno, così dal non dover sprecare fiato in queste inutili chiacchiere.»

August scosse la testa afferrando la sua tazza di caffè fortunatamente ancora caldo «Non sei cambiata per niente in questo ultimo anno», commentò, nascondendosi poi dietro la sua colazione notando l'occhiata funesta che la donna gli aveva appena rivolto; capì così che l'ultima cosa che doveva fare era quella di nominare quell'ultimo anno e, soprattutto, la sua lontananza. «Allora», cominciò poi, grattandosi appena la testa, imbarazzato «la libreria French. Appena mio padre me lo ha detto stavo quasi per strozzarmi: Emma Swan in una libreria, non è una cosa che si sente tutti i giorni.»

Emma alzò gli occhi al cielo, prima di bere un sorso di caffè, più rilassata. «Nessuno di noi due lo avrebbe mai predetto, te lo concedo. Non è il mio ambiente: non faccio altro che leggere per passare il tempo e i clienti non riescono a fidarsi di me, non chiedono mai un consiglio e mi rivolgono a stento la parola. E' una noia mortale, per questo non vedo l'ora di andarmene.»

«Aspetta... tu... che leggi dei libri?» Esclamò August mostrandosi sorpreso, con occhi sgranati e una voce teatrale. Emma accartocciò la busta di carta del bar e gliela tirò addosso, ridacchiando e insultandolo teneramente.

*

August gli aveva parlato della California senza riprendere fiato neanche per un secondo, Emma lo aveva lasciato fare, il sorriso sulle labbra e la bocca occupata a masticare la sua brioche. L'amico l'aveva presa in giro per dei minuti interi quando, dando l'ennesimo morso, si era fatta cadere della crema addosso, sporcandosi tutta come una bambina di pochi anni. Era andata a farsi una doccia, dopo mangiato, e a prepararsi per il lavoro, nel mentre aveva dato le chiavi del maggiolino ad August così che lui potesse recuperare gli ultimi scatoloni che erano rimasti nel bagagliaio – erano passati così tanti giorni dal suo trasloco che non ricordava neanche cosa contenessero, forse scarpe.

Quando uscì dal bagno lo ritrovò a mettere un po' d'ordine in cucina, la bottiglia di tequila vuota sopra il tavolo, dove prima non c'era. Appena lo raggiunse, l'uomo si voltò a guardarla, ammonendola con un'occhiata. La bionda alzò gli occhi al cielo, recuperando la bottiglia per gettarla via. Aveva bevuto solamente due, o tre bicchieri, prima di andare a letto: era una delle sue serate no, non riusciva a dormire e tutto perché, tornando a casa dopo quello strambo momento in compagnia di Killian Jones, al cimitero, era passata davanti ad un negozio di abiti da sposa ed aveva pensato che il modello in vetrina fosse simile a quello che aveva comprato lei, neanche un anno prima. Aveva pensato a Neal, a quella che poteva essere la sua vita se si fossero sposati, a quello che invece avevano perso. Pensò a tutte queste cose, mentre si versava un bicchiere, e poi un altro. Non era un'abitudine che aveva, era raro che si attaccasse alla bottiglia, non aveva un problema e August non doveva preoccuparsi.

Era quello che provò a fargli capire, assottigliando lo sguardo per invitarlo a non proseguire il discorso, se non volevano finire poi con il litigare. August ricevette il messaggio, si asciugò le mani bagnate con un pezzo di carta e la seguì al piano di sotto. Non aveva dei programmi per la giornata, era tornato a Fort Kent per un periodo di vacanza e aveva intenzione di godersi quei giorni per il meglio, quella mattinata però voleva dedicarla ad Emma: non essendosi visti per più di un anno pensava avessero molte cose da dirsi e troppo tempo da recuperare. E poi era curioso di vederla alle prese con una libreria, sapendo che non era affatto il suo ambiente.

E infatti non aveva perso tempo e aveva cominciato a lanciarle sorrisetti divertiti ogni volta che entrava un cliente e a ricevere sguardi di fuoco come risposta; alla fine aveva afferrato un libro ed era andato a sedersi su una poltroncina lontana dalla cassa, prima che la donna potesse strangolarlo. E poi non è che potesse fare molto, avrebbe voluto essere utile ma Emma non sapeva cosa fargli fare, così fu costretto a rintanarsi in quel suo angolino per leggere. Fu in tarda mattinata che le cose cominciarono a farsi interessanti.

La porta della libreria si aprì, August alzò lo sguardo dal suo libro – Dan Brown, ed Emma fece lo stesso, volgendo gli occhi verso la porta per poi rimanere di sasso vedendo entrare Killian Jones. Indossava dei pantaloni neri, una camicia bianca e una giacca di pelle sopra, si domandò come facesse a non sentire caldo. Aveva un paio di Ray Ban a coprirgli gli occhi, che si tolse subito ponendoseli tra i capelli. Nella mano destra, invece, aveva una tazza di caffè di plastica, tazza che un secondo dopo era poggiata sul bancone dietro cui si trovava Emma.

«Buongiorno, Swan», la salutò con un sorriso sornione dipinto sulla faccia. La bionda continuava, invece, a guardarlo interdetta, non riuscendo ad immaginare che cosa volesse. Perché era chiaro che non si fosse ritrovato lì per caso, no? Era arrivato addirittura con del caffè, dubitava che la sua intenzione principale fosse quella di comprare un libro.

«Jones», replicò lei, entrambe le mani sul banco, gli occhi fissi in quelli dell'uomo. Era completamente l'opposto del giorno precedente: appariva sereno, rilassato, tranquillo, quasi sulla cima del mondo, mentre neanche 24 ore prima era scuro, silenzioso e triste. Pensò che aveva incontrato quell'uomo quattro volte e si era trovata davanti quattro sfumature diverse di Killian Jones. Non sapeva dire quale fosse quella vera, forse tutte e quattro, forse neanche una. «Posso esserti utile?»

«Passavo di qua e ho pensato di portarti un caffè», fece quello, subito, mettendo su un'aria innocente; August, alle loro spalle, cercava di capire cosa stesse succedendo, chi fosse quell'uomo e cosa si fosse perso mentre era via. Emma arricciò le labbra, per tutta risposta, e alzò le sopracciglia come a dirgli un sarcastico “davvero? Non lo avevo notato!”, alla fine però cedette, prese la tazza, tolse il coperchio e ne bevve un sorso. «E poi, avevo intenzione di chiederti di uscire: questa sera, a cena, tu ed io.»

Ad Emma quasi non andò la bevanda calda per traverso, cominciò a tossicchiare e a darsi piccoli colpetti sul petto con la mano libera, prima di rivolgergli un'occhiata disgustata, sapeva che non avrebbe dovuto abbassare la guardia e fidarsi. «Cosa ti fa presumere che io abbia voglia di uscire con te?» Gli chiese forse con troppo impeto. Un'espressione realmente stupita fece breccia sul volto di Killian Jones, la bionda non poteva credere che quell'uomo si fosse costruito dei castelli in aria, tutto per una singola buona azione che aveva fatto. «Stammi a sentire, Jones», cominciò a dire con foga, guardandolo dritto negli occhi con fermezza, «l'episodio di ieri non significa niente, non ho cambiato idea su di te. Cercavo soltanto di essere gentile, nient'altro», concluse abbassando leggermente i toni ricordando il giorno prima. Lo aveva raggiunto al cimitero ed era rimasta al suo fianco per non farlo sentire solo, non si erano rivolti parola ed erano restati fermi e immobili per parecchio tempo, fino a quando l'uomo non si era girato per dirle qualcosa e lei aveva voltato la schiena ed era tornata a casa.

Non aveva significato niente, però. Quell'uomo continuava a non andarle a genio e il modo in cui si era presentato da lei, quella mattina, sicuro di poterle strappare un appuntamento, altro non fece che confermarle l'idea che aveva di lui.

«Non potrai mai cambiare opinione su di me se non mi dai una possibilità», affermò lui, ferito forse, riuscì a non darlo comunque a vedere, magari per orgoglio o per non dargliela veramente vinta.

«Magari non sono interessata, né a te né a cambiare opinione», rincarò lei, incrociando le braccia al petto. Lanciò un'occhiata ad August, dietro le spalle di Jones, quello capì che era arrivato il momento di entrare in scena o quantomeno di far notare la sua presenza.

«Ti dà noie?» Esordì tranquillo, raggiungendo Emma dietro al bancone, le mani nelle tasche dei pantaloni e l'andatura lenta. Guardò per un secondo la bionda, divertito, poi si rivolse direttamente a Jones, rimasto visibilmente sorpreso della piega che stava prendendo quella situazione.

«E tu saresti?» Si ritrovò a chiedere come uno sciocco. Si domandò se in realtà non fosse il suo fidanzato o qualcosa del genere, gli era capitato di incontrare Emma solamente tre volte, erano stati tutti incontri rapidi e lei era sempre stata sola. Fredda, distaccata e sulle sue, ma sola. L'ipotesi che fosse già occupata non gli era mai balzata per la testa, e vedere quell'uomo, lì, al suo fianco, come un complice, lo fece rimanere di sasso. «E' il tuo ragazzo?»

«August Booth», rispose quello, con un sorrisetto ironico sulle labbra, «potrei esserlo.» Emma alzò gli occhi al cielo e gli diede un calcetto, nascosta dal bancone.

«Comunque», affermò, quindi, dopo aver guardato l'amico di sfuggita, «non sono affari tuoi, Jones». Killian serrò la mascella, la osservava dritto negli occhi per cercare di capire quanto di quella storia fosse vero, ma la bionda ricambiava quell'occhiata decisa, non volendo assolutamente dargliela vinta.

«Beh, puoi avere di meglio», sentenziò l'uomo, alla fine, voltandosi a guardare August, adesso, sprezzante e arrogante. L'uomo gli ridacchiò in faccia, facendo andare Jones su tutte le furie. Gli avrebbe volentieri tirato un pugno, proprio lì su quel naso ingombrante che si ritrovava, così da cancellargli quel sorrisetto infantile dal volto. Ma si trattenne, per Emma.

Assottigliò lo sguardo, per circa mezzo secondo, rivolse un'occhiataccia ad August, si voltò poi verso la bionda salutandola con un cenno del capo prima di girare i tacchi e uscire dalla libreria.

*

I signori Booth l'avevano invitata a cena, quella sera stessa, ma lei aveva gentilmente declinato l'invito con la scusa di non sentirsi troppo bene, promettendo ad entrambi che ci sarebbe stata senz'altro una seconda occasione. La verità era (anche August ne era a conoscenza) che si era sempre sentita a disagio, nella loro famiglia, non che non le volessero realmente bene o che non fossero brave persone, anzi, Emma li adorava, soprattutto Marco, però li guardava, vedeva quella famiglia che il suo migliore amico era riuscito a trovare nell'adozione, la famiglia che, invece, lei non era mai stata in grado di tenersi stretta.

Si era riscaldata, quindi, della pasta ai quattro formaggi al microonde e aveva cenato in silenzio, nel suo appartamento vuoto, da sola, in compagnia unicamente delle immagini di un reality che stava mandando la televisione. August l'aveva raggiunta, comunque, poco più tardi, senza un motivo preciso in apparenza. In realtà, poi, il motivo saltò fuori: Killian Jones. Emma si era chiesta per quanto tempo avrebbe girato intorno all'argomento, tastando il terreno, all'inizio, per poi partire con il terzo grado. Lo immaginava, se lo aspettava, era preparata.

«Hai intenzione di parlarmi dell'uomo di stamattina?» Le chiese, quindi, mentre si buttava a peso morto sul suo divano. Emma gli lanciò un'occhiataccia, prendendo a muoversi da una parte all'altra della cucina, recuperando i piatti sporchi così da poterli lavare.

«Quale uomo?» Fece lei, puntando a rimanere sul vago, almeno in partenza. Sapeva di non poter imbrogliare August in quel modo, ma la verità era che non c'era proprio niente da dire su Killian Jones, era un uomo come tanti – più o meno, non c'era nessuna storia da raccontare.

«Alto, moro, occhi azzurri che hanno cercato di spogliarti per tutto il tempo...» continuò l'altro, ridacchiando appena sotto i baffi, come se la cosa fosse incredibilmente divertente. «Non sapevo che la donna di ghiaccio avesse un ammiratore, avevi intenzione di dirmelo?»

«Non è un ammiratore», sospirò lei, storcendo appena il naso, «Killian Jones è solamente un uomo che vuole aggiungermi alla sua lista di conquiste. Non c'è altro, davvero», ora gli dava le spalle, impegnata com'era a bagnarsi le mani con l'acqua del rubinetto che scorreva, il sapone sulla spugnetta e lo sporco dei piatti che veniva lavato via.

«Killian Jones», August fece da eco, mostrandosi pensieroso, «quindi non c'è stato niente tra di voi?» Emma sospirò ancora, più sonoramente, per fargli capire di voler chiudere l'argomento. Certe volte il suo amico riusciva ad essere peggio di una vecchia pettegola, soprattutto quando l'argomento erano lei e le sue questioni di cuore. Non che ce ne fossero state troppe, comunque, nel corso degli anni. «Non sembra il tuo tipo, in ogni caso.»

«Mh mh», mugugnò Emma, non volendo assecondarlo in quella sua follia, annuendo anche appena con il capo. Jones non era il suo tipo, no, non che lei ne avesse realmente uno, ma in ogni caso non erano affari che riguardavano August, soprattutto quando a lei di quell'uomo non importava un fico secco.

«Comunque non ti farebbe male uscire con qualcuno», affermò l'uomo all'improvviso, facendola raggelare; fortunatamente continuava a dargli le spalle, così che non riuscisse a vedere la sua espressione scossa in pieno viso: cominciava a stancarsi di quell'argomento, non aveva la minima intenzione di vedere qualcuno da quando il suo promesso sposo l'aveva piantata – quasi – sull'altare «magari non con lui, se quello che dici è vero, non voglio che tu soffra.» Emma si ritrovò a sbattere i piatti nel lavandino con forza, senza volerlo e senza riuscire a controllarsi. Chiuse l'acqua e strinse i pugni, non si premurò di controllare se qualcosa si fosse scheggiato o rotto, poco le importava. Si morse la lingua e prese a fare dei respiri profondi, non voleva litigare col suo migliore amico, era troppo stanca per farlo. August, però, non riuscì a interpretare quell'atteggiamento improvviso, si alzò dal divano con fare incerto, resto lì in piedi non osando avvicinarsi, prendendo a guardarla spaesato. «Cosa?»

La bionda alzò la mano sinistra a fargli cenno che fosse tutto okay, scuotendo appena il capo «Niente, August. Lascia stare», gli rispose, riscuotendosi. Asciugò i pochi piatti in silenzio, sentendo gli occhi dell'altro addosso per tutto il tempo: stava cercando di capire cosa l'avesse scossa, Emma, dal canto suo, preferiva non dover affrontare la discussione. «Allora», fece poi, cominciando a trovare quel lungo silenzio piuttosto scomodo, «non mi hai ancora parlato delle tue, di conquiste? A quante ragazze californiane hai spezzato il cuore?» August, per tutta risposta, incrociò le braccia.

«A meno di quante tu possa pensare. Ma non provare a cambiare argomento, Emma. Ho detto qualcosa che ti ha dato fastidio, cosa c'è?» Provò ancora, ma lei alzò gli occhi al cielo e cominciò a camminare per la stanza, posando i piatti nella credenza e togliendo delle briciole invisibile dal tavolo, giusto per far qualcosa.

«Non c'è niente», mormorò piano, «lascia stare.»

«No, invece», August era determinato a non lasciarla andare e a farla sfogare. Era sempre stato difficile far sfogare Emma Swan, la trovava un'impresa impossibile, ma alla fine riusciva sempre a convincerla ad aprirsi, prendendola forse per sfinimento. «Sai che puoi dirmelo. Riguarda Jones?»

Emma arricciò il naso, guardandolo sorpresa. «Perché pensi che c'entri qualcosa quel tipo?» Domandò piuttosto perplessa, voltandosi subito dopo. «Non riguarda lui, stai sereno. E, seriamente, lascia stare, non mi va di parlarne adesso.»

August si decise ad avvicinarla, le si parò davanti, la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo. «Emma», cominciò deciso, «sai che puoi dirmi qualsiasi cosa. Non devi sentirti imbarazzata se–»

«Imbarazzata?» Ripeté lei, scocciata. «Non sono imbarazzata, August. Mi stupisce solamente sentirti dire determinate cose. Non vuoi che io soffra? Bene, sono commossa. Ma dov'eri quando Neal mi ha lasciata?»

L'uomo rimase a guardarla in silenzio per qualche istante. Abbassò entrambe le braccia per lasciarla libera di indietreggiare di qualche passo, e magari anche di schiaffeggiarlo e se lo sarebbe più che meritato. La verità era che non gli era passato neanche per l'anticamera del cervello che lei potesse ancora sentirsi ferita da quell'uomo che le aveva spezzato il cuore dal giorno alla notte, ed era vero che lui non aveva contribuito a farla stare meglio, in quei mesi. «Io... io non pensavo che...», Emma sorrise ironica e alzò gli occhi al cielo, facendo schioccare la lingua sul palato, sarcasticamente, «mi avevi detto più volte di stare bene!» Esclamò alla fine, sulla difensiva, sbagliando completamente.

«Come potevi credere che fosse la verità? Qualche parola mormorata dietro la cornetta di un telefono, non ti sei mai preso la libertà di venire a controllare con i tuoi occhi, comunque.»

«Sai che non potevo lasciare il lavoro così.»

«Ma certo, il lavoro. Prima la nuova famiglia, poi i nuovi amici, poi la nuova conquista, poi il nuovo lavoro. C'è sempre qualcosa che viene prima di me, non dire di no, sai che è così», lo ammonì con tanto di dito indice alzato, quando notò che stava per aprire bocca pronto a replicare. «Io sarei corsa in qualsiasi momento per te, se i ruoli fossero stati invertiti.»

L'uomo abbassò il capo, colpito e affondato. Non poteva fare altro, Emma aveva ragione, non poteva darle torto su nessun fronte. Non era mai stato il migliore amico che lei meritava, ne era consapevole lui stesso, eppure il loro legame era incredibilmente forte per poter essere distrutto in qualche modo. Non sapeva come replicare, si sentiva immensamente in colpa per non essere stato in grado di starle accanto in quei mesi e sapeva di non poter recuperare in alcun modo. Le si avvicinò piano e la prese semplicemente fra le braccia; Emma sgranò leggermente gli occhi, presa alla sprovvista, ma poggiò il capo sul suo petto e si lasciò stringere quel tanto che bastava. Non ricambiò l'abbraccio, i pugni ancora stretti e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Chiuse appena gli occhi, per calmarsi e calmare i suoi pensieri: mesi di parole non dette che cominciavano ad uscire dalla sua bocca senza che potesse controllarsi. «Sai che ti voglio bene, vero? E sai che, qualunque cosa succeda, io tornerò sempre da te.»

Emma sorrise amaramente, staccandosi dall'uomo così da poterlo guardare in faccia, gli occhi lucidi. «Lo so, ma io non ho bisogno di qualcuno che torni, ho bisogno di qualcuno che resti.» Gli fece poi capire di voler essere lasciata sola, ed August, senza replicare, ubbidì, attraversando la stanza e richiudendosi la porta alle spalle.

Solo in quel momento Emma si lasciò cadere sulla sedia più vicina, stanca e spossata da quell'ultimo avvenimento. Non avrebbe mai voluto dire quelle cose, per quanto l'avessero fatta soffrire era sempre stata determinata a tenerle nascoste. In generale non le piaceva rinfacciare le cose, figuriamoci a farlo con il suo migliore amico! Non sapeva neanche cosa l'avesse sconvolta tanto; il parlare di uomini, di uscire con qualcuno, l'aveva innervosita. Era tornata a pensare a Neal – non che avesse mai davvero smesso, e questo l'aveva allarmata e infastidita. Si era ritrovata a pensare a quella che era la sua vecchia vita, con lui al suo fianco, e a quella che aveva adesso. Non avrebbe mai perdonato quell'uomo per averle inferto quella ferita così, senza nessun preavviso, ma era scomparso completamente dalla sua vita – e ne era grata, e lei non aveva nessuno da incolpare, nessuno su cui riversare la sua rabbia, il suo rancore. August si era ritrovato sul sentiero di guerra, vittima e colpevole al tempo stesso. Durante il periodo di preparazione al matrimonio, l'aveva avvertita che non sarebbe riuscito a liberarsi e che il lavoro lo avrebbe trattenuto; una volta saputo dell'accaduto l'aveva tempestata di chiamate, chiamate a cui lei rispondeva fingendosi tranquilla e distaccata. Forse per questo non era mai riuscita ad odiarlo, non si era mai messa in condizione di farsi aiutare. O di far capire di aver bisogno di aiuto.

Quando avesse cominciato a piangere neanche lo ricordava, ma adesso si ritrovava con il viso completamente bagnato di lacrime nascosto da delle mari macchiate ormai di mascara. Scossa dai singhiozzi, saltò leggermente quando sentì qualcuno bussare alla porta. Certa che fosse August fece finta di nulla, gli avrebbe mandato un messaggio più tardi, una volta tranquillizzata, chiedendogli di raggiungerla la mattina seguente in libreria. Ma il bussare continuava, imperterrito, anzi si faceva sempre più forte. Di nuovo scocciata per il fatto che avesse bellamente ignorato la sua richiesta e il suo desiderio di restare da sola, si alzò dal divano e aprì bruscamente la porta, pronta ad inveire contro l'amico. Quello che si trovò davanti, però, la lasciò come pietrificata.

Killian Jones la osservava, adesso, allarmato, la mano destra ancora alta pronta a picchiettare nuovamente sulla porta. La bocca spalancata e una rughetta preoccupata dipinta sulla fronte, un suono strano venne fuori dalla sua gola, il principio di una parola strozzata che non ebbe il coraggio di uscire fuori.

«Per l'amor del cielo, Jones. Lasciami in pace!» Urlò la bionda, spazientita, senza perdere altro tempo prezioso. Gli chiuse la porta in faccia senza neanche pensarci, cadendo poi a terra poggiata contro la sua superficie. Nascose la testa contro le ginocchia e continuò a sfogarsi, silenziosa. Anche Killian restò fermò, dietro la porta, come inebetito. Provava a metabolizzare quello che era appena successo, ciò che aveva appena visto: la bella, sicura e forte Emma Swan completamente indifesa lontana da ogni suo muro. Alzò di nuovo il pugno, ma abbandonò la mano a mezz'aria, capendo da solo come quell'idea fosse terribile. Non poteva sapere che soltanto una misera parete lo separava dalla donna, così come lei ignorava completamente la sua presenza, sicura del fatto che fosse ormai andato via. Invece l'uomo restò lì, seduto a terra anche lui, la testa contro la porta. Restò per mezz'ora, forse qualcosa di più, così come aveva fatto lei il giorno prima, determinato a non volerla lasciare da sola, anche se lei non poteva saperlo. Tornò a casa, alla fine, non appena la donna spense le luci dell'appartamento.

Angolo dell'autrice: Mi domando se qualcuno si ricorda ancora di questa storia o è ancora qui ad aspettare un aggiornamento. Non so davvero come scusarmi per questo immenso ritardo, ma voglio essere completamente onesta: non pensavo di aggiornare più. Non per le poche idee o per la poca voglia/tempo di scrivere, quanto per la mancanza di un riscontro positivo/negativo. Per farla bene mi sono fatta due domandine, della serie: questa storia sta piacendo? Mi sono risposta di no, quindi che motivo c'era di andare avanti? Però mi dispiaceva, mi dispiaceva abbandonare Emma e Killian e non sono riuscita a stare troppo tempo lontano da questa fanfiction. Se vedrò qualche commento/abbastanza letture non tarderò troppo ad aggiornare, promesso, altrimenti... non lo so,  non voglio lasciarla incompleta ma non voglio neanche perderci troppo tempo a scriverla, se nessuno la legge, ecco.
In ogni caso, ho deciso di abbandonare i flashback. Magari ogni tanto ne inserirò uno, ma sicuramente non compariranno in ogni capitolo. Spero che questo incredibile tempo di attesa sia valso a qualcosa e di non aver deluso aspettative; Emma e Killian cominceranno ad avvicinarsi presto, ve lo prometto! 
Fatemi sapere e a presto,

  
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