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Autore: emylee    16/07/2017    3 recensioni
Dopo la Battaglia di Hogwarts, Harry si ritrova a vivere quasi peggio di un Magonò, perché la sua magia sembra essersi spenta. Per vivere finalmente una vita normale, decide di abbandonare il Mondo Magico e fare il Babbano in una nuova città.
Ma... sorpresa! Forse è ancora accesa una fiammella, da qualche parte.
Si avvicinò al gufo e notò praticamente subito il pezzo di pergamena arrotolata e attaccata alla zampina. Senza perdere tempo, lesse velocemente il messaggio al suo interno e non poté fare a meno di sbiancare. Accartocciò la pergamena e la pestò sotto ai piedi, sperando che sparisse.
So dove vivi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Hundred sea'
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Il letto sotto cui era steso era soffice eppure ruvido, nulla a che vedere con la morbidezza e comodità di quello che era stato il suo letto per quasi sette anni ad Hogwarts. Si mosse e si rigirò, inquieto, cercando di darsi pace e tregua, ma senza riuscirci, così rimase semplicemente fermo tra le lenzuola sfatte, stanco anche senza aver fatto nulla da quella mattina e sudato anche se era ormai il tramonto e non faceva poi così caldo. La stanza era illuminata d'arancione e dalla finestra aperta entrava un venticello fresco, ma tutto ciò non bastava a fargli trovare anche solo la voglia di alzarsi, uscire dalla porta e tornare a vivere.

Alzò una mano verso il soffitto, osservando con attenzione come le dita si stringevano intorno al legno della bacchetta, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se non servissero a fare nient'altro. Peccato solo che, adesso, quella bacchetta – la bacchetta di Draco Malfoy, quella che aveva ucciso Voldemort, quella che gli aveva portato via la sua magia – era del tutto inutile tra le sue mani.

«C'era da aspettarsi che sarebbe finita così.» disse, a nulla e a nessuno in particolare. Era da solo, in quella camera. Aveva fatto chiudere le barriere di Grimmauld Place a Kreacher prima che Ron o Hermione sarebbero potuti arrivare e cercare di farlo uscire, magari facendogli pure una lavata di capo. Per cosa, poi? Non aveva molta voglia di andare fuori, vedere tutti loro come usavano la magia anche solo per scaldarsi il tea nella tazza, mentre lui sarebbe rimasto a guardarli, invidioso, peggio di un Magonò. E non aveva la forza di sopportare il Mondo Magico adesso, come tutti si sarebbero prostrati ai suoi piedi ringraziandolo dell'enorme sacrificio che aveva fatto, come i giornalisti avrebbero continuato a fare domande su domande sulla sua vita e di come l'avrebbe vissuta da quel giorno in poi. Grimmauld Place, nonostante le sue stanze tetre e le teste degli elfi appese ai soffitti, era di gran lunga più accogliente che il mondo fuori da quelle mura.

Solo... solo che doveva fare un'ultima cosa, prima di abbandonare anche quel posto – odiato quanto amato, l'ultima cosa che gli ricordava Sirius, ma che gli ricordava anche i troppi mesi di latitanza che erano finiti appena un paio di settimane prima, o poco più. Si mise a sedere e strinse la bacchetta di Malfoy, avvicinandosi alla finestra spalancata; su un trespolo appoggiato sul davanzale, stava appollaiato il gufo che Hermione, disperata, gli aveva chiesto, quasi con le lacrime agli occhi, di tenere con sé e di scriverle non appena avrebbe avuto voglia di vederla. Non aveva nome, e non pensava di dargliene uno – non pensava neanche di portarlo con sé, quando sarebbe andato via da lì.

Lo chiamò con un leggero fischio e il piccolo gufo volò fino ad appoggiarsi sul davanzale, allungandogli poi la zampetta, restando in attesa. Senza pensarci troppo a lungo, legò con un nastro di seta nascosto in un cassetto la bacchetta al gufo e disse: «Portala a Draco Malfoy, non aspettare alcuna risposta. Poi va' da Hermione e resta con lei.»

Il gufo, prima di spiccare il volo, piegò la testa, confuso. Si allontanò con la bacchetta attaccata alla zampa: sapeva che non era un modo sicuro per riconsegnare una bacchetta, poteva slacciarsi, cadere e perdersi, oppure qualcuno poteva rintracciarlo e rubarla, ma ormai, cosa gli importava? Non erano più affari suoi dal momento in cui il gufo l'aveva portata via. Adesso, nessun problema del Mondo Magico era affar suo. Se non sarebbe riuscito a vivere in quel mondo che gli aveva dato tanto, ma che gli aveva altrettanto tolto tutto, senza magia, significava che ormai il suo compito, lì, era finito. Aveva fatto il suo dovere, adesso non serviva più.

Harry Potter era tornato ad essere un Babbano come lo era prima dei suoi undici anni – o persino peggio, dato che, anche allora, la magia c'era. Già che c'era, nello stesso cassetto dove aveva trovato il nastro di seta, prese due pergamene e scrisse due lettere differenti a Ron e Hermione, ringraziandoli dal profondo per tutto quello che avevano fatto per lui, e per tutto ciò che erano stati ed erano ancora per lui. Forse era stato un po' troppo sentimentale e melodrammatico, scrivendo loro che non li avrebbe mai dimenticati, sottolineando più volte il suo addio definitivo, ma non poté farci niente. Non voleva essere invidioso, non voleva vivere nella gelosia di vedere come i suoi migliori amici e la sua famiglia potessero finalmente vivere normalmente mentre lui, ancora una volta, doveva essere quello anormale tra loro. Era stanco. Per una volta, voleva essere uno come un altro – non essere né colui che ha ucciso Voldemort tra quelli che lo venerano come il Salvatone, né colui senza magia tra quelli che lo compatiscono.

Si avvicinò allo stesso zaino che Hermione aveva incantato durante il loro viaggio alla ricerca degli Horcrux e ci infilò tutte le sue cose – che erano relativamente poche – e tutti i soldi che era riuscito a ritirare dalla Gringott, ringraziando il fatto che ancora poteva usare oggetti incantati nonostante non avesse più magia in sé. Con un nodo in gola, piegò con cura tutti i maglioni fatti da Molly in tutti quegli anni, portò con sé anche la Mappa del Malandrino – nonostante non servisse più a nulla, ma era un ricordo di suo padre, Sirius e Remus, non poteva semplicemente buttarla via o darla a qualcun altro – insieme al Mantello dell'Invisibilità. Anche se era molto indeciso, mise comunque nello zaino il boccino d'oro dove al suo interno aveva trovato la Pietra della Risurrezione che aveva perso dopo il suo utilizzo nella Foresta Proibita, ma si giustificò dicendosi che anche quello era un ricordo di Silente e null'altro. Aveva un po' il terrore di diventare nostalgico, fin troppo, se tra un po' di tempo avrebbe riguardato tutte quelle cose che avevano segnato la sua vita e l'avevano resa divertente e avventurosa, ma si sarebbe messo l'anima in pace.

In ogni caso, non sarebbe potuto più tornare indietro.

Si mise lo zaino in spalla, dicendosi che aveva rimandato fin troppo la sua partenza. Aveva assistito a tutti i funerali – quelli di Remus e Tonks, quelli di Fred e di Lavanda Brown e Colin Canon erano stati i più difficili da sopportare, ma era rimasto, fino alla fine. Aveva lasciato una testimonianza anche per i Malfoy, non dimenticando quello che Narcissa aveva fatto nella Foresta Proibita e quando Draco non lo aveva smascherato a Malfoy Manor. Non lasciò detto nulla per Lucius, per lui potevano farci quel che voleva – non era più affar suo. Aveva fatto tutto quello che doveva, nulla più, ormai, lo legava al Mondo Magico.

Lasciò le due lettere sul tavolo della cucina, quando uscì dalla sua stanza che era stata, un tempo, quella di Sirius, dicendo a Kreacher di far in modo che sia Hermione che Ron le ricevessero non appena sarebbero venuti a cercarlo, e l'elfo, seppur borbottando che un Magonò non poteva dargli ordini, annuì controvoglia. Fece un respiro profondo, mettendosi lo zaino in spalla. Senza più guardarsi indietro, si chiuse la porta di Grimmauld Place alle spalle e si perse nella nebbia di Londra.



Quando arrivò Settembre, Harry sembrò aver sistemato la sua vita. Con i soldi che aveva preso alla Gringott prima di andar via dal Mondo Magico, aveva affittato un piccolo appartamento più lontano possibile da Londra, ma vicino alla costa. L'appartamento costava un po', ma era piccolo e accogliente, ma soprattutto affacciava sul mare: era stato quel particolare a convincere Harry a mettere radici proprio lì – e anche perché era lontano dai maggiori centri Magici inglesi, così si sentiva con le spalle più coperte.

Non aveva alcun titolo di studio, quindi temeva che quel piccolo appartamento sarebbe durato poco tra le sue mani dato che non avrebbe trovato lavoro facilmente, quindi per i primi tempi non tolse neanche le sue cose dal suo zaino, preferendo non lasciar alcun segno di sé in quella casa per non sentirla sua e rimanerci male se – quando – l'avrebbero sfrattato. Ma la buona stella, per una volta, aveva illuminato il suo cammino quando la vecchietta che gli aveva affittato l'appartamento gli aveva, facendogli persino un occhiolino che lo lasciò piuttosto perplesso, lasciato un biglietto con scritto un indirizzo non molto lontano da casa. Non fece domande – la vecchietta non sembrava molto propensa a dargli risposte che non fossero ʻavanti, caro, non essere timido, puoi provare a chiedere lì, dì che ti mando ioʼ – e scoprì che, una volta arrivato nel luogo del biglietto, era una Libreria Caffè di piccolo calibro, ma molto, molto carina, dove un sacco di turisti si sedevano lì nelle ore più calde a bere qualcosa di fresco o a comprare un libro per portarlo, poi, nella spiaggia poco lontana. Harry si innamorò a prima vista e, non appena fece domanda di assunzione, non dimenticandosi di dire chi lo aveva mandato, lo presero subito come nuovo commesso – che, successivamente, scoprì che il posto era stato lasciato libero solo poche settimane prima dal marito della vecchietta che era andato in pensione alla veneranda età di sessantotto anni.

Quindi, quando l'autunno era ormai alle porte, Harry poté dire di essere, finalmente, in pace con se stesso. O almeno, era quello che cercava di convincersi, dato che, talvolta, durante la notte ancora sognava la guerra e i morti, e di giorno ancora versava qualche lacrima stringendo il tessuto del Mantello dell'Invisibilità tra le mani. Ma prima o poi sarebbe passata, era questo quello che continuava a dirsi ogni giorno. Col tempo sarebbe migliorato, si ripeteva, non appena apriva gli occhi sotto il suono della fastidiosa sveglia.

Quel paese che si affacciava sul mare – forse aveva un nome, o forse era solo un piccolo quartiere anonimo, ma Harry davvero non lo sapeva, e un po' si vergognava a far notare ai cittadini la sua ignoranza a riguardo. Come poteva dire in giro che non sapeva neanche come si chiamava la terra che aveva sotto i piedi? In più, preferiva non saperlo per non cadere nella tentazione di mandare una lettera Babbana agli Weasley e rendersi poi, così, rintracciabile. Talvolta, perdeva ore e ore a pensare a cosa stessero facendo. Ron era entrato negli Auror come avevano intenzione di fare insieme prima della Battaglia? Hermione era tornata ad Hogwarts per finire gli studi come desiderava? E gli altri? Come stava George? E Ginny? Teddy stava crescendo amato e coccolato come meritava, nonostante la morte dei genitori?

Tutto cambiò un venerdì di metà Settembre quando, mentre Harry stava placidamente bevendo un caffè regalatogli dalla proprietaria della Libreria Caffè, Vivianne, arrivò un gufo a beccare proprio una delle vetrate del negozio. Ed era proprio quel gufo, lo stesso che gli aveva regalato Hermione, e che aveva mandato via prima di partire. Nessun gufo sarebbe dovuto riuscire a trovarlo, non avendo più alcuna scia magica, dunque tutte le missive a lui destinate sarebbero arrivate a Grimmauld Place – quindi perché? Perché quel dannato gufetto si trovava proprio lì, a fissarlo con i suoi occhi gialli e la testa piegata, come se fosse la cosa più naturale del mondo?

«Un gufo?» Vivianne, al suo fianco, si grattò la testa ricoperta da infiniti riccioli scuri. Una volta si era tolto gli occhiali per pulirli dalle ditate che aveva lasciato sulle lenti, e la sua forma sfocata gli era sembrata molto Hermione, tanto che stava per chiamare ad alta voce il suo nome e scoppiare a piangere. Ma non lo fece. «Di giorno? Non li avevo mai visti da queste parti. Sai, vicino al mare. Che cosa buffa!»

«Già.» Harry non poté fare a meno di deglutire, il caffé che ormai era diventato imbevibile grazie alla bile che gli stava per salire. «È piccolo, forse si è allontanato da... dalla tana. Volevo dire, dal trespolo. No, dal nido?»

«Harry, non andare nel panico per queste cose!» rise Vivianne, e la sua risata era così diversa da quella di Hermione che ogni volta lo faceva rimanere male, «Se ne andrà da sé, tranquillo. In questo periodo i clienti sono pochi e il paese deserto, dato che ormai è troppo freddo per farsi un bagno al mare. Non farà scappare nessuno, quel povero animaletto!»

«È innocuo,» disse subito, avvicinandosi alla vetrata, «lo mando via.»

Vivianne si limitò a scrollare le spalle e a tornare alle sue faccende. Si avvicinò al gufo e notò praticamente subito il pezzo di pergamena arrotolata e attaccata alla zampina. Senza perdere tempo, lesse velocemente il messaggio al suo interno e non poté fare a meno di sbiancare. Accartocciò la pergamena e la pestò sotto ai piedi, sperando che sparisse.


So dove vivi.


Era una minaccia? Harry si guardò intorno, ma non vide altro che strade deserte e non sentì altro che i gabbiani e il rumore del mare alle sue spalle. Quella scrittura non era di Hermione, poteva metterci la mano sul fuoco. Conosceva bene quella della sua amica, avendo ricopiato pagine e pagine di suoi appunti ad Hogwarts. Non era neanche di Ron, o di Ginny. A sensazione, sapeva che non era di nessuno degli Weasley. Quindi chi diamine...? Non era che chiunque egli fosse, era già a casa sua, a rovistare tra le sue cose, o a dire a tutti dove abitava e cosa il loro Salvatore del Mondo Magico Magonò stava facendo per sopravvivere? Doveva tornare a casa.

Tornò nella Libreria Caffè e andò vicino Vivianne, che stava zuccherando del caffè per un cliente, «Hey, Vivianne, io... devo tornare a casa. Non mi sento per niente bene, ehm, la testa mi sta esplodendo e ho lasciato le medicine a casa.»

Credeva che quella scusa inventata su due piedi avrebbe fatto fare qualche smorfia a Vivianne, perché nonostante la carenza di clienti non poteva lasciare il lavoro così per un mal di testa.

«Oh, non ti preoccupare, capisco!» Vivianne si indicò la sua fronte, assumendo l'espressione di chi sapeva e non aveva bisogno di altre parole. Harry si toccò la fronte nello stesso punto e scoprì che era proprio dove aveva la cicatrice a forma di saetta. «Puoi tornare a casa, se hai bisogno di qualsiasi cosa non esitare a mandarmi un messaggio, chiaro? Anche solo per un'aspirina!»

Gli abitanti del paese lo conoscevano per la balla che aveva detto alla vecchietta che gli aveva affittato casa, e che lei non aveva esitato a raccontare a tutte le sue amiche coetanee: aveva detto di aver avuto un incidente e di aver perso tutto, e di voler ricominciare da capo proprio lì. Un po' era stato per questo che tutti lo avevano aiutato come potevano nel loro piccolo, e lui ne era stato davvero grato. Vivianne, probabilmente, aveva collegato la cicatrice al presunto incidente che aveva avuto – e che gli faceva ancora male. Il tutto non si allontanava poi troppo dalla realtà, anche se ormai la cicatrice non bruciava più da ormai Giugno.

«Me ne ricorderò. Torno domani.» Forse.

Si tolse in fretta il cartellino con su il nome e il camice un po' macchiato di caffè e cioccolata e se lo mise nello zaino, scappando poi a gambe levate senza neanche metterselo in spalla. Poteva sembrare forse maleducato andare via in quel modo senza neanche salutare i clienti – proprio lui che tutte le vecchiette del paesino gli davano carezze dicendo quanto bravo ed educato era, nonostante la sua goffaggine – ma avrebbe chiesto scusa poi. Corse per le strade vuote sotto il sole tiepido, il vento sferzava e gli graffiava la faccia, ma non rallentò comunque, arrivando quasi in tempo record sotto il condominio di cinque piani ed entrò, salendo fino al quarto. Ringraziò i vari anni spesi ad allenarsi a Quidditch che gli avevano dato il fisico dello sportivo, altrimenti, senza ascensore, sarebbe arrivato davanti al suo appartamento con la lingua che arrivava al pavimento.

Con le mani che tremavano dall'agitazione, riuscì comunque ad infilare la chiave della toppa e aprì la porta, osservando subito il piccolo soggiorno luminoso che si ritrovò davanti e trovandolo, fortunatamente, vuoto.

«C'è nessuno?» gridò, posando lo zaino sul tavolo dove di solito mangiava ed entrando nella stanza accanto, la cucina, accendendone la luce, «Se c'è qualcuno che esca fuori altrimenti finisce male!» Non che avrebbe mai potuto far del male ad un Mago, ma forse avrebbe potuto spaventarlo lo stesso. Era o non era, per tutti, colui che aveva ucciso Voldemort?

Tornò nel soggiorno nello stesso istante in cui un'ombra uscì dalla sua camera da letto. Di riflesso, cercò la sua bacchetta sia nelle maniche della maglietta smunta che indossava, sia nelle tasche del jeans sbiadito, prima di ricordarsi che non aveva alcuna bacchetta.

«Cercavi questa, Potter?»

Quando la luce del sole che spuntava dalla vetrata che dava al piccolo balcone colpì la testa del suo nonvoluto ospite, imprecò tra i denti. I capelli biondi sembravano quasi bianchi ed erano più lunghi di quanto ricordasse, tanto che per un secondo, Draco Malfoy gli era sembrato molto suo padre, ma osservando poi il suo tipico sorriso tagliente e sentendo come aveva strascicato le parole e come lo aveva chiamato in quel modo strano tutto suo – molto più Pottah che Potter – si tolse ogni dubbio. E la cosa più strana non era neanche la presenza di Malfoy in mezzo al suo soggiorno Babbano, ma piuttosto era il fatto che gli stava proprio porgendo la bacchetta, la sua bacchetta, quella che aveva restituito prima di andar via.

«Ti sei sistemato bene, vedo. Weasley e Granger continuano a infestare i corridoi di Hogwarts con i loro lamenti sul fatto che non sanno dove sei o che fine hai fatto o anche solo se stai bene, ma immagino che dopo oggi posso rassicurarli.»

«No!» urlò, facendo un passo avanti verso di lui, per poi fermarsi e guardare il pavimento. Maledizione, ci mancava solo questa. «Malfoy, no. Non dire nulla, a nessuno, che sono qui.»

Malfoy, elegantemente, si mise a sedere su una sedia togliendola da sotto il tavolo e accavallò le gambe, fissandolo e giudicandolo con qualche leggera smorfia su come era vestito. «Potrei farlo. Non sono qui per poi andare al Profeta e dire all'intero Mondo Magico dove si nasconde il loro Salvatore.»

«Allora perché sei qui?» chiese, grattandosi la cicatrice. Non bruciava più, ma certe abitudini erano davvero dure a morire. Malfoy osservò quel gesto con indifferenza, ma senza staccargli gli occhi di dosso.

«Senti, so che ti sembrerà strano, ma sono qui per ringraziarti, immagino.»

«Ringraziarmi?» ripeté, incredulo. «Tu?!»

«Io, sì. L'ho detto che ti sarebbe sembrato strano. Senti, Potter, mi hai tolto dai casini quando nessuno te l'ha chiesto: a quest'ora sarei dovuto essere ad Azkaban se non fosse stato per te. Il minimo che potessi fare è trovarti e piegarmi a ringraziarti.»

«Beh, potevi anche non abbassarti tanto, non cercavo dei ringraziamenti quando l'ho fatto!»

Il sorriso di Malfoy si allargò, ma in qualche modo addolcì i tratti, nonostante fosse ancora tagliente come le peggiori lamette economiche che usava per radersi la barba. «Se vuoi, puoi piegarti tu.» Harry non capì subito cosa volesse dire, ma non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni perché Malfoy parlò di nuovo: «In ogni caso, grazie, Potter. E questa non mi serve, puoi tenertela.» Fece sbattere la sua bacchetta sul tavolo e la fece rotolare lontano da lui, come se non volesse neanche più vederla.

«Non ti serve? È tua, non mia. A me serve meno che a te.» disse, amaramente.

«Sei rimasto senza, a quanto so. Io ne ho presa un'altra.»

«Sai bene anche che non posso usarla, Malfoy, quindi smettila di mettere il dito nella piaga, prenditi la bacchetta e sparisci!»

Malfoy sospirò e mise un gomito sul tavolo, per poi appoggiare il mento sul palmo della mano, «Non voglio quella bacchetta. Puoi farci quello che vuoi, ma io non la voglio. Non la sento più mia e, per quanto odi ammetterlo, ha fatto molto più per te. Io la usavo solo per, come dire, darti fastidio. Arrecarti danno. Rovinarti la vita.»

«Ci riuscivi piuttosto bene.»

«Mi ci impegnavo.»

Quella era stata la conversazione più lunga e più strana che aveva mai avuto con Malfoy – senza finire alle mani almeno – e il tutto lo stava lasciando piuttosto confuso perché sembrava così semplice parlarci, quando evitava le peggiori minacce e insulti e quando lui evitava di prendere negativamente ogni parola che usciva dalla sua bocca – gli mancava così tanto parlare con qualcuno della sua vecchia e desiderata vita. Senza volerlo, si rilassò e si sedette sulla sedia di fronte al suo ospite, chiedendosi se non sarebbe stato carino offrirgli forse qualcosa, anche se in credenza non aveva poi molto. Piuttosto, invece che chiedergli cosa desiderasse, aveva un'altra domanda di gran lunga più importante da porgli.

Tossì per schiarirsi la gola, «Come hai fatto a trovarmi?»

«Quel gufo. L'ho costretto a restare con me perché volevo risponderti. Avevo bisogno dei miei tempi, capisci. Poi ho scoperto che te ne sei andato, e non vedendoti neanche tornare ad Hogwarts, l'ho semplicemente seguito, portandomi qui.» disse, indicando con un lungo dito fuori dalla vetrata dove, appollaiato sulla ringhiera del balcone, c'era il gufetto di Hermione.

«Come diavolo ha fatto?! Tutte le mie lettere arrivano a Grimmauld Place!»

«Non lo so,» scrollò le spalle, incurante, «magia?»

«Sai che non è possibile! Non... ehm, non ho magia, non può seguire la mia scia magica, non...»

Malfoy si limitò a scrollare le spalle di nuovo, e il discorso cadde. Probabilmente, quella sarebbe rimasta una delle tante cose che gli succedevano che sarebbero rimaste senza spiegazione.

Dopo momenti di silenzio imbarazzante, Malfoy si alzò con innata grazia e disse: «Si è fatto tardi, devo andare. Devo preparare un saggio per Trasfigurazione, prima comincio e prima finisco.» Entrambi rimasero zitti per dei secondi, poi fu il turno di Malfoy di tossire per schiarirsi la gola. O per togliersi dall'imbarazzo, «È stato bello vederti, Potter. Buona giornata.»

Il suono della smaterializzazione fu l'unico rumore che si sentì per un po' di tempo.


  
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