Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaLuna    22/07/2017    0 recensioni
Di come Armin ed Annie provarono a raggirare il Caso (l'ufficio anagrafe) e le sue coincidenze.
Dal testo:
"Che poi" aveva ripreso lui, dopo qualche minuto, "Non è solo dispetto, alla fine. Se anche decidessimo, assurdamente, un nome con quell'iniziale…"
"Non deve essere perché ci è stato detto di farlo, esatto, e…"
"Un minimo di originalità poi, non trovi?"

[AruAni, 3853 parole. L'ennesima Modern!Au e Family!AU con gente in attesa che scrivo, che qualcuno mi aiuti.]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Annie Leonhardt, Armin Arlart
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A.A.A. Nome cercasi




"Adelaide!"
"Troppo lungo, Amelie è più semplice e decisamente più dolce!"
"Adair? Va bene sia per un bimbo che per una bimba!"
"Alfred? O Alphonse!"
"No, no!" Eren si alzò in piedi, chinandosi in avanti in un tentativo di sovrastare tutti gli altri, addirittura battendo le mani sul tavolo. "Ce l'ho io il nome perfetto: Adrian!"
Un mormorio concitato si alzò dalla marmaglia che, quella sera, si era riunita attorno al tavolaccio della cucina della Guferia – il nomignolo che le piccine Tori, Astrid e Myra  avevano dato a casa Springer-Braus – a suggerire, o meglio tempestare, di nomi gli ultimi futuri genitori della compagnia. Tutti gli altri, infatti, avevano avuto un fagottino di gioia nei precedenti tre anni, mentre loro due erano stati sorpresi da un fortunato incidente.
"A me piace." disse Armin, mano nella mano con Annie che, seduta a fianco lui, lo guardava interessata. 
"Esattamente come mi aspettavo, marittimo amico mio. E' latino e significa-"
"Proveniente da Adria. La città da cui prese il nome il Mar Adriatico!" Armin finì la frase, sorridendo. Era il primo, del lungo elenco di nomi che gli erano stati buttati in faccia, a piacergli davvero. Almeno per quanto riguardava i nomi maschili. Se fosse stata una bambina, lui aveva già fatto la sua scelta.
"Esatto! Ma potresti almeno farmi finire?" Eren rise, assestando una vigorosa pacca alla spalla del suo migliore amico.
"Da quando la Pianta è così erudita?" Il commento sarcastico di Jean viaggiò dall'altra estremità del tavolo fino alle orecchie di Eren, facendolo girare di scatto con le sopracciglia già aggrottate e la bocca pronta a rispondere.
"Guarda che anch’io sono andato al ginnasio con loro due!"
si riferiva ad Armin e a Mikasa, che in quegli anni come nei precedenti erano stati anche i suoi compagni di banco.
"Ah già, l'avrai letto dai loro compiti mentre li copiavi."
Sasha e Connie sghignazzavano e persino Annie accennò un sorriso divertito, mentre Ymir rispondeva al cinque che Jean le aveva alzato per complimentarsi.
"Esattamente" continuò lui, pronto per il gran finale. "Se lo sarà ricordato sul cesso dopo essersi scordato il telefo–"
"Ora basta." lo interruppe Mikasa, senza scomporsi. Silenzio immediato. "Per una volta, Eren s'è impegnato davvero per cercare il nome."
"E' vero!" confermò il diretto interessato, prima di ragionare un attimo. "Aspetta, Miks, in che senso per una volta?"
Il silenzio venne rotto da delle nuove risate a danno del povero Eren, che avrebbe continuato a deprimersi sulla sua seggiola se non fosse stato per una manina venuta a tirargli la manica del maglione. Abbassò gli occhi, trovandone un paio verdissimi, come i suoi, a ricambiare lo sguardo.
"Pappo?" lo chiamò la piccola Tori, biascicando ancora quel goffo nomignolo che gli aveva dato.
"Sono tutto orecchi, rondinellina." Eren si ravvivò, tutto concentrato sulla sua bimba.
"Anch'io voglio dire un nome per il cuginetto." Nonostante la frase abbastanza lunga, riuscì a non incespicare più di tanto.
"Ah sì? E allora vai dalla zia Annie a dirglielo. Cosa aspetti?"
La bambina, a passi veloci, fece velocemente il giro del tavolo fino ad andare a tirare, questa volta, la manica di Annie.
"Zia Rocky?" Questo, invece, era il soprannome che lei e le sue amichette avevano dato alla bionda più tosta della nazione. "Voglio dire un nome per il cuginetto." 
"Sì? Sono curiosa." rispose Annie, indietreggiando appena con la sedia per farle spazio, in modo che potesse volare fra le braccia del suo amato Zio Superquark.
"Oh, anche io!" ridacchiò Armin, mettendo in piedi la bambina così che la vedesse tutta la tavolata. "Tori vuole suggerire dei nomi!"
La bambina gongolò un poco, fissando la sua mamma due posti più avanti. Quando Mikasa con un sorriso la incoraggiò a parlare, si scrollò quel poco imbarazzo di dosso e propose:
"Se è femminuccia Ärtzerin*, perché tanto sarà intelligente come zio!" 
"Grazie mille, cara." Fu il turno di Armin di gongolare. La sua nipotina lo adorava ed era un vero tesoro nel dimostrarlo.
"Se è maschietto altrimenti Mausi**, anche se non ha la A!" 
"Hey, ma Annie già chiama me così!" ribatté per gioco Armin, attirandosi subito gli occhi spalancati di Annie addosso. Evidentemente s'era lasciato sfuggire qualcosa che non doveva. Del resto, se in quasi un decennio non era saltato fuori...
"Aw, ma che carina!" commentarono Sasha e Historia, stringendosi le mani al petto, mentre tutti gli altri si trovavano a ridere a crepapelle per l'ennesima volta – e non di certo l'ultima – quella sera, chi intenerito come loro e chi invece più sul lato sconvolto.
"Anche se ormai non è più tanto -ino come anni fa." dissero alcuni di loro, riferendosi a come alla fine il tempo e la natura avevano fatto crescere persino Blondie. Era, certo, ancora minuto, ma non più come prima.
"Mio figlio rimane piccolo." disse Mikasa, sorseggiando dal suo bicchiere. Tutti quegli anni a "crescerlo" non erano certo pochi. Annie si ritrovò a darle ragione, senza però dirlo ad alta voce: anche per lei rimaneva un piccolo e tenero, adorabile topolino. 
"Sono nomi davvero carini, nipotina volante, ma non penso che all'anagrafe li accetterebbero." spiegò Armin a Tori, tenendosela sulle ginocchia.
"E che cos'è l'a... anafafe?"
"E' il posto dove le mamme e i papà vanno a dire che è nato il loro bambino e a dargli un nome." le rispose Mikasa. "Anche io e il tuo papà siamo andati lì per dire che c'eri tu."
"E perché lì non vogliono quei nomi?" Perché. La parolina magica che, con i bambini, dava inizio a una spirale senza fine di domande capitanate dalla stessa. L'intervento di Connie fu tempestivo nel salvare lei ed Eren da un viaggio di ritorno in auto sulle note di quella compilation per genitori esauriti. 
"Ah, ma Astrid? Lei invece ha qualche nome da proporre?", chiese alla bambina, riferendosi alla sua, di figlia, che era rimasta a giocare in salotto senza curarsi minimamente del discorso, figurarsi andare fino lì per parteciparvi.
Tori scosse la testa, facendo cadere il fiocchetto da una delle codine in cui Eren le aveva raccolto i capelli prima di uscire. "No, As dice che non le interessa. Dice che lei odia i bambini."
Questa volta, altro che ridere: passarono direttamente allo sganasciarsi. Historia si era piegata in due, battendo il minuscolo pugno accanto alla testa poggiata sul tavolo. Accanto a lei Ymir batteva le mani urlando a Connie "Cazzo, nanerottolo, Astrid e la sua amichetta sono esilaranti!" ed Eren andava a riprendersi in braccio Tori quasi senza respirare, tant'è che dovette passarla a una ben più stabile Mikasa per evitare di farla cadere. Sasha e Connie erano combattuti fra il lasciarsi andare con gli altri e lo sprofondare dall'imbarazzo, con Jean a fianco che riusciva a malapena a dire quanto fosse tipica e prevedibile la risposta di sua nipote. Non però che i genitori della piccola Springer avessero tanto bisogno di vergognarsi per quell'uscita poco felice, seppur solo raccontata, proprio davanti ai genitori di quel – presto – bambino; anzi, persino loro due sembravano parecchio divertiti. 
Alla fine, quando tutti si furono ricomposti, fu proprio Annie a riprendere la parola.
"Vorrà dire che dovremo continuare a cercare noi i nomi. Grazie comunque, Tori."
"Niente, zia Rocky. Ora torno a giocare." 
"Certo, vai pure." 
 Appena si allontanò, gli adulti non persero un istante. Annie poteva giurare che si fossero tutti girati su di lei e Armin con occhi famelici, prima di ricominciare a propinare nomi su nomi che subito loro due scartavano. Sembravano non finire mai.
"Agidius!"
"Alvar!"
"Amory!"
"Arya!"
"Beh, è un bel nome nerd per una bambina," disse Armin su quest'ultimo, "ma no."
"Ariel! Dai Armin, la Sirenetta!? Non va bene?" Lui scosse la testa.
"Alviria!"
"Anselm!"
"Angelika!"
"Aloisa!"
"Axel! Axel!"
Ormai non si preoccupavano nemmeno più di presentarli in modo accattivante, limitandosi a spararli come una raffica di proiettili, al limite della violenza psicologica. Armin a un certo punto scosse la testa.
"Ma non abbiamo fatto certo questa tiritera a cena, quando è toccato a voi!" provò a farli ragionare, nel breve spazio fra un'Alfonsine e un Augustus.
Annie intanto rifletteva, in particolare su una cosa che Tori aveva detto e che spiegava tante, tante cose. 
Alla fine suo marito si lasciò andare proprio quel dubbio. "A me tutti i nomi che ci state suggerendo sembrano tutti uguali."
"Ci state dando solo nomi con la A iniziale." Annie completò il pensiero. 
"Beh, sì." ammise Eren, guardandoli quasi stupito.
"E perché mai, di grazia?" chiese Armin, che dopo ore incastrato in quella situazione dai suoi stessi amici cominciava ad esasperarsi, nonostante sapesse che lo stessero facendo con tutto l'affetto e le buone intenzioni – avevano solo il loro modo, non proprio ortodosso, di dimostrarlo. Apprezzava in particolare Mikasa che non aveva preso parte a quella furiosa competizione, limitandosi a dare uno o due suggerimenti con un tono di voce normale fra un boccone e l'altro – eppure nemmeno lei aveva mancato l'iniziale! Anche Historia aveva cominciato così, con un nome, anche carino, detto ogni tanto. Poi, vuoi la sua ragazza e tutti gli altri che urlavano come al mercato del pesce, vuoi che al vino rosso di casa Braus non si dice mai di no, la piccoletta s'era infervorata e aveva cominciato a proporre sempre più nomi, fino a raggiungere il ritmo insostenibile degli altri commensali.
"Come perché?" Di nuovo, Eren sembrava guardarli come due alieni.
"Voi due avete entrambi la A iniziale nel nome, Armin addirittura nel cognome e così anche il bambino, se prenderà il suo." prese a spiegare Sasha quella che, a tutti loro, sin da subito era sembrata un'ovvietà. "Non volete mantenere la tradizione?"
"Dai su, non ditemi che non ci avete nemmeno pensato!" le diede manforte Connie, alzandosi per mettere il suo piatto ammollo.
"Sì?" rispose Annie, titubante. Ovviamente l'aveva pensato, era una coincidenza evidente, ma non riusciva a capire come potesse essere così cruciale. Come spesso accadeva, fu Armin a dare voce ai suoi pensieri, o quantomeno a provarci.
"Sì, ci è passato in mente, ma non capia-"
"E allora!" venne interrotto da quell'esclamazione collettiva, mentre stanco si rivolgeva ad Annie col viso, senza dire una parola. Sospirarono entrambi. La serata si prospettava ancora molto lunga.
 
 
Ore dopo, quando furono in macchina da soli sulla strada di ritorno a casa, riuscirono finalmente a parlarne davvero, di nomi.
"Topolino, tu hai qualche idea?" domandò Annie, massaggiandosi le tempie. Prima di andar via aveva preso una tachipirina in acqua, ma l'effetto tardava ad arrivare e la testa continuava a scoppiarle.
"Qualcuna, sì. Aspetta un attimo" Armin non staccò gli occhi dalla strada buia illuminata ritmicamente dai lampioni – nonostante fosse deserta –, né le mani dal volante. Preferì non aggiungere altro e aspettare fino al primo semaforo rosso prima di tirar fuori dalla tasca una pagina di quaderno ordinatamente piegata che Annie prese subito, divorata dalla curiosità.
Accese la lucina in alto e spiegò il foglio, nel mentre che la loro piccola utilitaria ripartiva. Scorse velocemente l'elenco di nomi, scritto in stilografica blu con una grafia pulita e ordinata, diversa da quella più frettolosa ma sempre distinta che Armin aveva quando prendeva appunti o scriveva in preda all'ispirazione notturna. Sorrise, soddisfatta: erano decisamente più belli di quelli proposti dagli altri, e avevano più di una dannata iniziale.
"Armin?"
"Mi dica, principessa.
Annie si sfregò il naso, tenendo il viso basso. "Rompiamo la tradizione della A.", disse poi, rialzando lo sguardo. Si ritrovò a osservare quasi rapita il profilo del volto di lui, prima buio e bluastro poi illuminato d'arancione, di nuovo bluastro, di nuovo arancione. Osservava la fronte coperta da ciuffi di capelli color miele, che ormai da anni lui portava lunghi fino alle spalle, raccolti in un codino, le ciglia lunghe con dietro i suoi grandi occhi blu, il naso a bottone che lei tanto adorava pigiare, e le labbra che proprio in quell'istante si schiusero in un sorriso divertito.
"Mi sta bene. Per puro dispetto?"
Annie tirò su un angolo della bocca: le piaceva un sacco quando era lui a prendere iniziative di quel genere. "Per puro dispetto, affare fatto." Allo stop lo siglarono stringendosi la mano, ed Annie pensò bene di approfittarne. In un attimo, invece di lasciarlo andare, lo stava tirando verso di lei, preparandosi all'impatto fra le loro labbra. Chiuse gli occhi, assaporando quel bacio che sapeva sarebbe stato breve e poggiando la mano sul collo di Armin in un tentativo di trattenerlo, come mettere nel sacco della refurtiva una manciata di secondi in più, per il suo bacio rubato. Lo lasciò andare a malincuore, mordicchiandogli il labbro inferiore. Superarono l'incrocio con le dita ancora intrecciate.
"Che poi" aveva ripreso lui, dopo qualche minuto, "Non è solo dispetto, alla fine. Se anche decidessimo, assurdamente, un nome con quell'iniziale…"
"Non deve essere perché ci è stato detto di farlo, esatto, e…"
"Un minimo di originalità poi, non trovi?"
Svoltarono l'ultima curva prima di casa, chiacchierando e finendosi le frasi a vicenda.
 
"Questi sono tutti nomi da bambino." constatò Annie, rileggendoli per la seconda volta. Era ancora prestino per restringere così tanto il campo di ricerca: all'ultima ecografia avrebbero dovuto scoprire il sesso, ma sfortunatamente il bambino non era nella posizione giusta e il medico non era riuscito a vedere alcunché. "Non hai avuto idee per una bambina?" 
"Annie." Sembrava quasi sovrappensiero, come se non si fosse accorto del sussurro che gli era sfuggito dalle labbra. 
"Dimmi?"
"No, no." Armin, come riscossosi, respirò a fondo. "Annie."
Lei, che stava ripiegando il foglio e spegnendo la luce, spalancò di colpo gli occhi. Non finì di far l'ultima cosa e si girò verso di lui, col sopracciglio destro piegato in un misto di sorpresa e perplessità. 
"Intendi…" lasciò la domanda appesa, incompleta.
"Come te, sì." disse Armin mentre si avviavano su per le scale che portavano al loro appartamento, l'ascensore era rotto. Percorsero le tre rampe in silenzio, riprendendo il discorso solo dopo che il portoncino blindato si chiuse alle loro spalle.
"Perché?" chiese Annie, facendo scorrere il passante e dando due giri di chiave. Non riusciva veramente a capirlo, eppure lui sembrava così convinto...
"È un nome magnifico." la stava guardando con gli stessi occhi entusiasti che aveva quando parlava per ore di tutto quello che più lo appassionava: sogni, interessi o anche piccole bagatelle che solo lei e pochi altri sarebbero rimasti ad ascoltare. Parlava senza esitare, sicurissimo di quell'idea, e aveva un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro, facendolo sembrare di nuovo bambino. "E lo porta una persona stupenda, la più forte che io conosca."
 
 
Chiuse gli occhi, l'aria colma di salsedine a riempirle i polmoni ad ogni respiro, mentre allungava le braccia per stare comoda sulla piccola sdraio che si erano premurati di lasciarle, quando si erano sistemati attorno al fuoco. La brace del falò che prima aveva illuminato la serata scoppiettava quieta sulla sabbia bianca, a riempire a malapena il silenzio che s'era creato, assieme allo sciabordio del mare alle sue spalle e al respiro calmo e pesante di Armin, appisolato su un asciugamano lì accanto. Di quella sabbia, ormai fresca dalla notte inoltrata, Annie ne prese una manciata, lasciando poi che i granelli minuscoli le scorressero fra le dita. Distratta dai suoi stessi pensieri continuò a lungo quel gioco, portando poi la sabbia a cadere e ad ammucchiarsi sulla sua pancia – ormai tanto gonfia da guadagnarsi sguardi incuriositi non solo per strada, ma anche dal suo stesso gatto – coperta da un prendisole nero che danzava leggero al soffio del vento.
In quei mesi, Annie Leonhardt aveva riflettuto a lungo. E anche in quel momento, mentre i suoi amici si allontanavano brevemente per una passeggiata o per cominciare a ritirarsi dentro casa e da ore le piccole della compagnia s'erano addormentate abbracciate sullo stesso telo, lei approfittava del silenzio per poter far luce dentro la sua testa. 
Per tanto tempo non aveva mai pensato a se stessa come una madre, una mamma. Quell'argomento a stento l'aveva sfiorato, preferendo saltarlo a piè pari e non preoccuparsene. Nel primissimo istante, aveva sentito la paura infilarsi dentro di lei, affiancare la creatura nella placenta. Dopo tutti quegli anni passati a crescersi da sola, l'immagine di sé mentre consolava un bambino – suo figlio! – che piangeva perché gli era stato fatto un dispetto, cui faceva la veglia quando era malato, che correggeva dove sbagliava, che accompagnava a scuola ogni mattina, che festeggiava Natale e Capodano e Pasqua con lei ed Armin, passeggiavano con la carrozzina – o mano nella mano, quando finalmente avrebbe camminato – le pareva quasi surreale, lontana anni luce da lei, che si riteneva totalmente inadatta a un compito tanto importante quanto l'amare ed essere amata da quello stesso figlio. 
Pian piano, però, cominciava ad avvicinarsi, l’immagine, allo stesso ritmo con cui lei si affezionava a quell'altro topolino. Abituarsi, anche questo lentamente, le rimaneva un compito incredibilmente arduo, soprattutto mentre si veniva gettate in un vortice di visite, ecografie, dubbi e incertezze ma anche cose più semplici, come le compere per il bimbo – e per lei, che s'era ritrovata con tutti i pantaloni e addirittura le scarpe troppo strette –, ciucciotti, culle, gente per strada che insiste per toccarti la pancia quando tu rifuggi qualsivoglia contatto fisico da estranei, tiralatte, giocattoli, copertine, corsi preparto e nomi.
Per quello che alla fine s'era rivelato un maschietto, Armin ed Annie avevano sfoltito, rifornito, e sfoltito di nuovo la loro lista di nomi, un lavoro che aveva impegnato ore e ore a partire da quella sera di aprile in cui i loro amici li avevano bombardati con la prima lettera dell'alfabeto. Ormai ne rimanevano soltanto tre, scarabocchiati su un piccolo foglietto spiegazzato che Annie teneva sempre con sé, facendo attenzione a non perderlo, nonostante li ricordasse ovviamente a memoria.
Fece scivolare la mano sporca di sabbia fra le pieghe del vestito, fino a raggiungere il pezzetto di carta nella tasca destra. Sentì qualcosa premerle con forza sui polpastrelli: il bambino stava cominciando a scalciare. Annie tirò fuori il foglietto, spiegandolo con cura e avvicinando gli occhi per poter leggere meglio alla tenue luce della luna.
 
Edward 
Oliver
Adrian
 
Quell'ultimo, proprio quello che aveva suggerito Eren, era l'unico di quelli con la A che piacesse ai futuri genitori, e l'unico per cui, forse, erano disposti a fare un'eccezione. Ai loro amici però non avevano rivelato nulla a riguardo, preferendo mantenere il silenzio stampa. 
"Ouch." Annie si lamentò, dopo un colpo particolarmente forte. Abbassò lo sguardo, appena in tempo per vedere il bozzo di una manina sparire e ricomparire subito dopo, attraverso la sottile stoffa del prendisole. Poi sentì non un pugno, non un calcio, bensì una testata, anche questa insolitamente forte.
"Che c'è?" sussurrò, pur sapendo che non poteva ottenere risposta. Poggiò una mano dove aveva sentito l'ultimo movimento, aspettandone – senza essere delusa – un altro. Era veramente inusuale che si mettesse a fare così il matto, specie di notte. Cosa succede al solito bimbo pacioso che conosco?
Il falò lasciò andare una scintilla particolarmente rumorosa e lei tornò alla sua lista. Ormai era diventata un'abitudine provare, quasi fossero dei vestiti, i nomi addosso al bambino. Arrivata a Oliver, d'istinto si girò a guardare Armin, alla sua destra. Le aveva raccontato lui di Olivier, il compagno e amico fedele di Orlando nella Chanson de Roland, quando lei aveva proposto, per caso, quel nome. Ora, più ci pensava, più la figura del cavaliere andava a sovrapporsi a quella del bambino intelligente e sveglio – come suo padre, pensò, un lieve sorriso ad accennarsi sulle labbra – che sapeva sarebbe stato il suo e che, nonostante le piccole follie di quella sera, si era già dimostrato un piccoletto pacifico quanto una colomba con in becco un ramoscello d'ulivo. Sarebbe diventato saggio, da adulto, Oliver, ma forse, almeno finché non fosse cresciuto abbastanza, sarebbe stato più giusto dire Olly.
 
"Armin!" Annie si mosse in uno scatto, come fulminata, chinandosi – per quanto le fosse possibile – a svegliarlo. "Armin, svegliati." Prese a scuotergli piano un braccio, ottenendo come risultato che lui si girasse dandole le spalle. Quindi abbandonò la sdraio, andando a sedersi sulla sabbia vicino a lui. "Un minuto soltanto." Ripeté due volte, prima di vederlo sbattere gli occhi.
"Annie?" biascicò, guardandola in viso, confuso e assonnato.
"Shh, scusami." parlava a bassa voce, allarmata dai movimenti delle due pesti pochi metri più avanti. Si guardò intorno e si chinò, cercando di farsi sentire soltanto da lui. "Forse ho deciso."
"Hm?"
"Oliver. Per il bambino. Olly. Come il cavaliere della Chanson, ricordi?" Impaziente, aspettava una risposta e, quasi come un tic, si sfregava la mano insabbiata sulla coscia per pulirla.
Armin sorrise, senza dire nulla, ma senza smettere di guardarla negli occhi. Poi si tirò su, trascinandosi con le braccia fino alle sue gambe e poggiandoci la testa. Chiuse gli occhi, ma il sorriso rimase fermo sulle sue labbra.
"Quindi rompiamo la tradizione della A?"
"Certo che rompiamo la tradizione della A." assicurò Annie, mentre con le dita andava ad accarezzargli i capelli e a scostarglieli dal viso. Dopo qualche minuto Armin pareva già essersi riaddormentato, lei invece non sembrava essere stanca mentre alzava il naso sul cielo fulgido di stelle sopra la loro casetta sul mare. Erano rimasti solo loro lì fuori, gli altri erano tutti andati dentro.
Sentì qualcosa muoversi dietro la sua schiena, qualcosa stringerla più forte attorno al ventre. 
"Ti amo." le sembrò di averlo sentito mormorare, sovrastato da un'onda che sbatteva sulla battigia.
 
 
 
Bastò poco, un nonnulla, perché la loro ben pianificata Rivoluzione Francese si trasformasse in una mite Insurrezione Repubblicana del 1832, circa un anno e mezzo dopo. Il loro secondo felice incidente, seppur chiamata da tutti Nina, infatti, sull'anagrafe e sui documenti si firmava con un dolcissimo Annie Arlet su cui il suo papà aveva tanto insistito.
Erano passati invece decenni quando, grazie ad Oliver, entrò in famiglia Astrid. Sì, quella Astrid, che tanto odiava i bambini da decidere di non consigliare alcun nome per il suo futuro marito.
Ma il colmo arrivò ancora più tardi quando, stanca e felice, la cara Ninetta presentò ai nonni la neonata Armonia.
Una botta in fronte.

"Dottoressa" in tedesco
** "Topolino", sempre in tedesco, ma penso che questo si fosse dedotto :3
   
 
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