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Autore: Ode To Joy    22/07/2017    4 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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Interludio:
Di possibile ed impossibile



Tooru venne svegliato da un raggio di sole contro le palpebre chiuse.

Per un attimo, si guardò intorno chiedendosi dove si trovava, poi ricordò che il Principe di Karasuno dormiva nella sua camera da letto dopo essersi sottratto per un soffio dalle braccia della morte e Tobio era tornato a dormire nel proprio. Forse… Se non si era di nuovo alzato presto per cacciarsi in qualche altro guaio.

“Hajime?” Chiamò stiracchiandosi, gli occhi ancora chiusi. Allungò un braccio verso il suo lato del letto ma le lenzuola erano fredde. Sollevò le palpebre ma non fu poi così sorpreso di ritrovarsi da solo. Lasciò andare un sospiro e si sollevò a sedere. I suoi vestiti perfettamente piegati in fondo al letto ebbero il potere di strappargli un sorriso.

No, non era tornato tutto come prima.

Non sarebbe mai tornato tutto come prima, non era possibile.

Almeno, però, alcune ferite stavano cominciando a guarire.

Uscì nel corridoio nello stesso momento in cui Hajime aprì la porta della camera da letto che avevano condiviso per anni.

Tooru sorrise. “Ciao…” Salutò a bassa voce, sebbene non ci fosse nessuno da disturbare.

“Ciao,” rispose Hajime ricambiando l’espressione stando attento a richiudersi la porta alle spalle con cura. Solo allora, Tooru notò il mantello rosso appeso al suo braccio.

“Il Principe Corvo dorme?” Domandò il Re Demone avvicinandosi.

“Sì,” disse il Cavaliere. “Ho provato a convincere Tobio a fare lo stesso ma non è servito a molto: la sua stanza è vuota. Starà vagando per il castello con troppi pensieri per la testa.”

Tooru adocchiò il mantello. “E quello?” Domandò.

Hajime scrollò le spalle. “Shouyou vuole che lo abbia di nuovo. Dice che è importante che lo indossi in un momento come questo. Non riesco a capirne l’utilità, a dire il vero.”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Nemmeno Tobio la comprenderà ma, per fortuna, il piccolo Principe sembra essere un gradino sopra ad entrambi.”

“Ehi…” Lo avvisò Hajime nel modo in cui soleva fare quando diceva una parola di troppo.

“Hajime,” Tooru prese il mantello tra le mani, “non ha alcun significato e, allo stesso tempo, significa tutto.”

“Tooru, non cominciare a fare politica…”

“Non è politica!” Esclamò il Re Demone con un broncio sollevando il mantello di fronte a sè. “È un simbolo.”

Hajime inarcò le sopracciglia. “Un simbolo?”

“Sì,” confermò Tooru stringendo il mantello al petto con orgoglio. “Il nostro Regno sarà anche a pezzi ma il nostro futuro è ancora in piedi.”

Suo malgrado, Hajime sorrise. “Lo sei anche tu…”

Tooru lo guardò sorpreso, poi sentì uno strano colore salire alle guance e si costrinse e recuperare il controllo di sè: non aveva davvero più l’età per arrossire come un adolescente. “Non ci hanno ancora sconfitti, Hajime,” affermò con un sorriso sicuro. “E sembra che sia io che il piccolo Principe Corvo vogliamo che Tobio ne sia convinto quanto noi.”


***

La sala del trono di Shiratorizawa era tanto bella da sembrare uscita dalle pagine di una di quelle grandi storie con cui era cresciuto. Le stesse che ora era solito leggere al bambino dai capelli dello stesso colore del tramonto che ne se stava a lato del Trono Bianco con le piccole manine appoggiate sulla superficie ricamata d’oro.

Rivedeva se stesso in quella scena, tutti i sogni della sua infanzia che aveva lasciato andare in favore di una realtà che aveva saputo superare ogni sua aspettativa.

Si avvicinò senza farsi sentire. “Ehi…” Mormorò appoggiando un ginocchio a terra.

Il bambino sobbalzò appena nel voltarsi e lo guardò come se temesse di aver fatto qualcosa di male.

Non aveva i suoi occhi, ma lo stesso sguardo tagliente. Possedeva tutti i pregi che i Re di Shiratorizawa non avevano mai posseduto: pazienza, bontà, spontaneità.

E due ali che non sapeva ancora di possedere.

A meno che il destino non avesse deciso altrimenti.

Poco importava. Lo amava come non aveva mai creduto di essere capace di amare.

“Vuoi sederti?” Domandò.

Gli occhi scuri del bambino si fecero grandi, poi abbassò lo sguardo scuotendo velocemente la testa. Le gote colorate di rosso.

Decise di non dargli ascolto. Senza alcun preavviso, lo sollevò da sotto le braccia e lo mise a sedere sul Trono Bianco.

Il bambino se ne rimase rigido, immobile, i grandi occhi fissi sulla sala deserta di fronte a sè.

Sorrise. “Come ti sembra?”

Il piccino sollevò lo sguardo intimorito su di lui, poi tornò a guardarsi intorno. Quando i loro occhi s’incontrarono nuovamente, sollevò le piccole braccia.

Lo accontentò con un sorriso comprensivo. “Sì. Faceva paura anche a me…”



Il Principe dell’Aquila venne svegliato da una mano stretta sulla sua spalla.

La prima cosa che percepì fu un paralizzante dolore alla schiena che, però, svanì lentamente come riuscì a spezzare l’immobilità delle sue membra. Era crollato sul tavolo della tenda del consiglio: l’unico posto in tutto l’accampamento in cui nessuno lo sarebbe mai venuto a cercare.

Tranne una persona, evidentemente.

“Tsutomu…”

Sollevò il viso e gli occhi castani di Kenjirou risposero al suo sguardo.

Il Principe si scostò malamente per allontanare quella mano da sè. L’Arciere lo comprese e fece un passo indietro ma non uno di più. “Dobbiamo parlare…”

“Non abbiamo nulla da dirci,” replicò Tsutomu fissando le mappe in disordine di fronte a sè.

Kenjirou fece lo stesso. “Che cosa sei venuto a fare qui?”

“Avevo bisogno di pensare.”

“A che cosa?”

“Ad una soluzione,” replicò il Principe dell’Aquila velenoso lanciandogli un’occhiata storta. Sollevò le mani, mostrando i palmi ancora sporchi di sangue, così come i suoi vestiti. “Pensi che io volessi questo? No, Kenjirou! Io non volevo nulla di tutto questo!”

Kenjirou rispose allo sguardo colmo di rabbia dell’erede al trono con fierezza “Tuo padre…”

Tsutomu lo interruppe con una risata isterica, stridula. “Mio padre…” Sibilò. “Era troppo chiederti di rispettare le ultime volontà di mia madre, vero? Era troppo pretendere che amassi me più di lui, giusto?”

Kenjirou si morse il labbro inferiore ma non abbassò lo sguardo. “Eita voleva che vi proteggessi ed entrambi sappiamo che questo era l’unico modo.”

Tsutomu sorriso con sarcasmo. “Dove è il cuore di drago?”

L’Arciere non rispose.

“Abbiamo raso al suolo la capitale di Seijou per cosa, allora?”

“Tuo padre può pretendere qualsiasi cosa dal Re Demone, ora,” disse Kenjirou con voce ferma. “Il cuore di drago, il Principe Corvo…”

Tsutomu scattò in piedi. “Tu Shouyou non lo devi nemmeno nominare!” Sbottò in preda all’ira. “Tobio aveva tutte la ragioni di fare quello che ha fatto ma Shouyou non doveva pagarne le conseguenze!”

L’Arciere non replicò.

“Oh… Resti in silenzio, ora? Parli del Principe Corvo ma non ti hanno detto che...”

“Il Principe Corvo è ancora vivo, mio giovane signore,” confessò l’Arciere diretto. “Uno dei nostri messaggeri ci ha portato la notizia poco fa.” Una pausa, abbassò lo sguardo. “Pensavo volessi saperlo…”

Il Principe dell’Aquila rimase a fissarlo con gli occhi sgranati per alcuni istanti. “E che cosa ha intenzione di fare mio padre?”

“Te l’ho appena detto,” disse Kenjirou. “Il Principe Corvo ed il cuore di drago in cambio della salvezza di Seijou. Altrimenti…”

“Cosa?” Domandò Tsutomu sarcastico. “Spediremo la testa del Primo Cavaliere ai ribelli per mostrare loro cosa succede a chi si ribella al potere di un Re?”

“Esattamente…”

Il Principe dell’Aquila sentì il respiro venire meno per un attimo. “Che cosa hai detto?”

“Tuo padre…” Le labbra di Kenjirou tremavano a quel punto. “Il Re dell’Aquila ha intenzione di porre fine alla dinastia dei Re Demoni, se Tooru non dovesse accettare le sue condizioni.”

Tsutomu scosse la testa incapace di accettare il significato di quelle parole. “È un’assurdità!” Esclamò. “Se tocchiamo Tooru o Tobio… Anche il Primo Cavaliere! Basta uno di loro e altri tre Regni si scaglieranno contro di noi senza alcuna pietà o ragionevolezza.”

“Se così sarà li fermeremo,” disse Kenjirou.

“Sono le parole di mio padre queste?” Domandò. “Kenjirou, è una follia! Ci condanneremo ad un destino peggiore di quello dei miei sogni! I Regni liberi non dimenticheranno mai un bagno di sangue del genere! Mai! Caleremo la scure non solo sulle nostre teste ma anche su quelle di chiunque porterà la stendardo di Shiratorizawa!”

Kenjirou gli strinse le spalle con forza. “Tuo figlio porterà lo stendardo di Shiratorizawa.” Disse con fermezza. “Ma solo dopo di te.”

Tsutomu lo spinse via. “Non voglio ascoltarti!” Sbottò. “Non voglio essere vostro complice in questa follia!”

“Tsutomu!” Kenjirou gli afferrò un polso impedendogli di andarsene. C’era rabbia e rancore negli occhi azzurri del Principe dell’Aquila ma questo non impedì all’Arciere di dire quello che doveva. “Se pensi che Wakatoshi si fermerà di fronte a qualcosa, a qualunque cosa, per proteggerti allora ti sbagli di grosso!”

“Allora non voglio essere protetto!” Replicò duramente il Principe dell’Aquila. “Non ne ho bisogno!”

Kenjirou lo scosse con forza. “Tsutomu, torna in te ed ascoltami…”

“Tornare in me? Non sono io che sto pianificando l’omicidio di un’intera famiglia reale!”

“Non è un omicidio.”

Tsutomu avvertì un gelo improvviso calare su di lui nell’udire quella voce. Chiuse gli occhi e strinse le labbra, prima di trovare il coraggio di alzare lo sguardo verso l’ingresso della tenda.

“Si tratta di guerra, Tsutomu,” disse Wakatoshi facendo ancora qualche passo verso di loro. “Non esistono omicidi in guerra.”

“Hai detto di aver amato Tooru,” gli ricordò Tsutomu con astio. “Hai detto di stimare il Primo Cavaliere. Hai detto…”

“Di temere Tobio,” concluse il Re dell’Aquila con voce glaciale ed un’espressione ancor peggiore. “Un sentimento che non avrei creduto di poter provare prima.”

“Prima di me, vero?” Domandò Tsutomu. “Perchè è di questo che stiamo parlando. Togli ad un Re il futuro e sarà ancora peggio di una condanna a morte, no? Una lezione che Tobio ha imparato prima di me, evidentemente. Per questo ha cercato di uccidermi.”

“E continuerà a farlo,” insistette Kenjirou, le mani ancora strette sulle spalle dell’erede al trono di Shiratorizawa. “Divenire il tuo assassino è nel suo destino, Tsutomu. Per questo dobbiamo…”

“Non ho visto solo questo nei miei sogni,” lo interruppe il Principe dell’Aquila, gli occhi chiari fissi in quelli scuri di suo padre. “Quelle visioni si contraddicono tra loro.”

Wakatoshi annuì. “Il destino non è una forza immobile, Tsutomu. Il tuo potere ti sta mostrando delle strade. Su quale camminare dipende solo da te e da noi.”

Tsutomu si liberò dalla stretta di Kenjirou sbattendo il pugno sul tavolo. “Smettila di parlare del destino come se fossi un dio!” Urlò in preda all’ira.

Kenjirou gli afferrò un braccio per paura che il Principe decidesse di aggredire fisicamente il sovrano. “Io so che futuro voglio, padre,” disse Tsutomu con voce più bassa ma ferma. “E non è quello che vuoi tu.”

Wakatoshi non disse altro e quando il Principe fece un passo in avanti, Kenjirou seppe di doverlo lasciare andare.

Il fanciullo non si voltò a guardarli di nuovo.

“Non deve rimanere da solo,” disse Kenjirou. “Potrebbe commettere un errore.”

“Lasciamolo andare…” Replicò Wakatoshi.

L’Arciere lo guardò sospettoso. “Ma, Wakatoshi…”

“Lasciamolo andare,” insistette il Re. “Ci porterà esattamente dove vogliamo arrivare.”


***


La Capitale del Regno di Seijou era deserta, le sue strade simili a quelle di una città fantasma.

Tobio la osservava da ciò che era stato ricostruito della balconata della Sala del Trono.

Non sapeva cosa provava di fronte a quello spettacolo.

Gli avevano detto che Tooru aveva fatto evacuare tutti i civili nelle campagne rendendo il Castello Nero l’ultima roccaforte contro la devastante politica di conquista del Regno di Shiratorizawa.

Sempre ammesso che avesse ancora senso usare la parola politica all’interno di quella storia.

“Che cosa ti hanno fatto per convincerti a lasciare il capezzale del tuo piccolo Corvo?”

Si voltò.

Tooru lo guardava con un sorrisetto appoggiato all’architrave di una grande finestra ridotta in frantumi. Tra le braccia, stringeva il suo mantello rosso.

Tobio tornò a rivolgere la sua attenzione al terribile panorama oltre la balconata. “Papà è con lui,” rispose. “Dice che devo riposare.”

“Me lo ha detto.” Tooru sospirò e si avvicinò. “Non sarà contemplando questo spettacolo umiliante che ti riposerai,” replicò.

“Umiliante…” Ripeté Tobio soprapensiero. “Ti senti umiliato, Tooru?”

Il Re Demone non rispose immediatamente. “Tu e Shouyou siete vivi,” disse. “Tuo padre è sopravvissuto…”

Tobio lo guardò, ne studiò il profilo. “Non è questo che ti ho chiesto.”

“Ma sono le uniche cose a cui riesco a pensare,” replicò Tooru con un sorriso malinconico.

Il Re dei Ribelli decise di non indagare oltre.

“Che cosa è successo?” Domandò, invece. Gli occhi blu rivolti alla Capitale in rovina.

Tooru strinse le labbra in una linea sottile. “Che cosa sai?”

“Niente,” ammise Tobio scuotendo appena la testa. “I miei uomini mi hanno cercato dicendo di avere un messaggio urgente per me e papà. Hanno detto che Wakatoshi stava assediando il Castello Nero, nulla di più. Nessuna spiegazione.”

Tooru sorrise. “Siete corsi fino a qui senza chiedere spiegazioni, quindi…” Ridacchiò. “Tipico di te e Hajime.” Reclinò la testa da un lato. “Sei rimasto a riflettere altrettanto a lungo anche quando hai deciso di rapire Shouyou?”

“Non l’ho rapito,” replicò Tobio con un broncio. “Siamo scappati insieme.”

“Non credo che Daichi abbia dato importanza a simili sfumature.”

“Daichi è stato qui?” Domandò Tobio sorpreso.

Tooru rise. “Dopo che gli abbiamo invaso il Regno?” Domandò con sarcasmo. “C’è un limite a quello che l’orgoglio di un Re è disposto ad accettare. Io e Daichi alleati per fare la guerra ai nostri eredi? No, ci sono ancora storie troppo assurde anche per questo mondo.”

Gli occhi blu del Re dei Ribelli studiarono a fondo il volto del Re Demone. “Nessuno di loro è venuto qui?” Domandò. “Davvero nessuno?”

Tooru sorriso con malinconia. “Se sospetti di Koushi, non lo conosci bene,” disse. “Shouyou è tuo, Tobio. Karasuno non può portartelo via.”

“Non è Karasuno che temo,” ammise il Re dei Ribelli.

“Oh!” Tooru gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Allora c’è ancora qualcosa che temi, giovane Re.”

“Non dire assurdità,” la voce di Tobio non aveva nessuna intonazione particolare. “Dimmi che cosa è successo?”

Tooru rivolse la sua attenzione alla Capitale in rovina. “Era inevitabile…” Disse con rassegnazione.

“Dovrai dirmi molto di più di questo, Tooru.”

“La storia non cambia, Tobio: è per il potere. Sempre per il potere.”

Il Re dei Ribelli scosse la testa. “Non è solo per il potere,” disse. “Non per te. Non per Wakatoshi.”

Suo malgrado, Tooru continuò a sorridere: non c’era davvero più niente che potesse insegnare a quell’erede ribelle. Il ragazzo si era fatto uomo senza che lui avesse alcun merito in questo.

Forse, era quella la sua sconfitta più grande.

“Vieni con me, Tobio.”


***


“Tadashi…”

Si sentì scuotere con gentilezza e, in un primo momento, pensò di star ancora sognando: avrebbe riconosciuto quella voce anche in mezzo ad una folla urlante ma non era possibile che stesse chiamando il suo nome.

“Tadashi, svegliati…”

Il giovane ribelle si girò sulla schiena sbattendo le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco il fanciullo in ginocchio accanto al suo giaciglio. Gli bastò incrociare lo sguardo di quegli occhi dorati per un istante per rendersi conto che non si trattava di un sogno.

Scattò a sedere, cercò di ritrarsi ma finì solo col fare aderire dolorosamente la schiena al tronco dell’albero sotto cui aveva trovato riparo.

A differenza sua, Kei non pareva nè allarmato nè sorpreso.

“Come…” Tadashi si guardò intorno. “Come hai fatto a trovarmi?”

Il Cavaliere inarcò un sopracciglio. “Sei serio?” Domandò, poi indicò la vallata con un cenno del capo. “Quello è il castello in cui siamo nati e cresciuti e questi sono gli alberi sotto cui abbiamo giocato fin da bambini, Tadashi.”

Il ribelle non replicò, le spalle ancora rigide. La spada era foderata, appesa alla sua cintura ma sapeva che non sarebbe servito a niente impugnare quell’elsa e tentare di fare il minaccioso: aveva di fronte quello che, probabilmente, era il miglior Cavaliere della sua generazione dopo i Principe di Seijou e Shiratorizawa, dopotutto.

Kei sospirò col suo solito fare annoiato. “Rilassati,” disse con una naturalezza completamente fuori luogo per i loro ruoli. “Non ho intenzione di farti alcun male.”

L’espressione di Tadashi si addolcì appena ma s’impegnò a mantenere dura la linea della bocca mentre lo guardava. “Siamo nemici, Kei.”

“Per il bene del tuo signore, sii furbo e non aprire quella bocca per ricordare al tuo avversario perchè gli farebbe comodo chiudertela,” disse il Cavaliere. “Sei fortunato che ti abbia trovato io.”

“Mi hai trovato perchè mi stavi cercando,” replicò Tadashi.

“Tutti vi stanno cercando.”

“Non è la stessa cosa, Kei. Tu cercavi me.”

Il giovane Tsukishima non disse nulla in proposito. “Ti hanno ordinato di restare qui?”

“L’ho proposto io.”

“Tobio ti permette di mettere bocca nelle sue strategie?”

“Tobio non è un tiranno con chi gli parla con gentilezza,” spiegò il ribelle. “E tu non ti sei mai impegnato particolarmente in tal senso.”

“Dovresti andartene,” disse Kei ignorando deliberatamente quelle parole. “Ti hanno visto mentre aiutavi Shouyou a fuggire e qualcuno della servitù ti ha riconosciuto. A corte ti conoscono e, credimi, non vuoi essere portato al cospetto del Re in questo momento.”

Tadashi abbassò lo sguardo con aria colpevole. “Devono essere distrutti…”

“È troppo tardi per i pentimenti.”

“Non mi pento di nulla, Kei.” Chiarì Tadashi. “E so che il Consorte reale non la pensa diversamente.”

Il Cavaliere fece una smorfia. “Siete tutti affetti dalla stessa follia suicida.”

“La stessa che ti ha spinto a cercarmi?” Domandò Tadashi duramente.

Kei venne preso di sorpresa da quella domanda.

“Se ti vedono con me, sarai condannato come traditore.” Gli fece notare il ribelle.

“Non mi ha seguito nessuno.”

“Ne sono certo,” suo malgrado, Tadashi sorrise. “Sei sempre eccezionale in qualunque cosa tu faccia.”

Kei inarcò un sopracciglio. “Pensavo mi odiassi, Tadashi.”

“Vorrei…” Ammise il ribelle mentre sentiva la gola farsi secca. “Molte cose sarebbero più facili.”

L’espressione del Cavaliere non mutò di una virgola.

“E tu mi odi, Kei?”

Il giovane Tsukishima si alzò in piedi, si voltò. Tadashi si fece leva contro il tronco dell’albero alle sue spalle e fece lo stesso, gli occhi fissi sulle spalle dell’altro.

“Non negherò che è stato umiliante,” ammise il Cavaliere. “Non negherò nemmeno di aver provato rabbia.”

Tadashi si umettò le labbra. “Rabbia?”

“Sì…” Kei gli lanciò un’occhiata glaciale da sopra la spalla. “Da quando abbiamo lasciato Karasuno, non c’è stato un singolo giorno in cui io non abbia fatto tutto quello che era in mio potere per proteggervi, Tadashi. Tu e quello stupido di Shouyou.”

Se il giovane ribelle avesse potuto negare quella verità, avrebbe vinto quella discussione ancor prima della conclusione. Suo malgrado, però, era l’unica che conosceva: nonostante l’evidente aria annoiata con cui lo faceva, Kei non li aveva mai messi in secondo piano.

Tuttavia…

“Avresti sposato Shouyou, Kei,” gli ricordò Tadashi. “E lo avresti fatto accettando tutto quello che una simile azione avrebbe comportato.”

Kei tornò a guardare di fronte a sè. “Sai perchè l’ho fatto,” disse. “Anche Shouyou lo sapeva.”

“E per te questo era sufficiente perchè lo accettassimo?” Domandò Tadashi sentendo le lacrime pungere agli angoli degli occhi. “Kei… Avresti costretto Shouyou ad essere il tuo consorte sapendo che amava Tobio, mentre io… Io…” Esitò.

Kei si voltò. “Non ti ho mai promesso niente.”

“Ed io non ti ho mai chiesto nulla,” Tadashi si avvicinò. “Nonostante questo, però…”

Il Cavaliere strinse le labbra e si sentì costretto ad allontanare lo sguardo per un istante. “Era tutto vero, Tadashi,” si sentì in dovere di confermare.

Gli occhi del ribelle si fecero grandi, accesi per la sorpresa.

“Per quel che vale,” aggiunse Kei ignorando deliberatamente il calore che sentì salirgli alle guance, “era tutto vero.”

Un sorriso malinconico sbocciò sulle labbra del ribelle. “Hai solo messo i tuoi doveri prima dei nostri sentimenti,” disse con una lieve nota di sarcasmo. “I tuoi. I miei. Quelli di Shouyou…”

“Sareste rimasti al sicuro, se solo…”

“Non esiste più nessun posto sicuro, Kei,” lo interruppe Tadashi con espressione triste. “Non è più nemmeno possibile scappare. Tobio e Shouyou hanno scelto di combattere ed io li stimo per questo.”

Kei tornò a guardarlo. “E tu per che cosa combatti, Tadashi?”

Il ribelle dischiuse le labbra, poi abbassò lo sguardo. “Un sogno,” rispose. “Un sogno che non ho nemmeno fatto io ma su cui ho costruito tante, splendide speranze, Kei,” si morse il labbro inferiore per non scoppiare a piangere. “Speranze troppo grandi per una persona come me, evidentemente.”

Kei sospirò. “Tadashi, sappiamo entrambi che il sogno di Shouyou non sarebbe mai divenuto realtà.”

“E perchè no?” Domandò il ribelle.

“Perchè siamo due comuni esseri umani,” rispose il Cavaliere. “Quel futuro per noi non sarebbe mai stato possibile.”

Tadashi scosse la testa. “Tutta questa storia, Kei, si basa su cose impossibili che sono accadute,” gli ricordò. “Tobio e Tsutomu non sarebbero mai dovuti venire al mondo secondo le leggi del possibile e dell’impossibile.” Tirò su col naso. “Non so come e non so quando, Kei ma quel bambino… Il bambino del sogno di Shouyou,” lasciò andare un sospiro. “Io ho bisogno di sperare che un giorno sarà reale, come quello che abbiamo condiviso io e te. È per questo che combatto, Kei.”

Il Cavaliere rimase in silenzio: non aveva nulla da dire in proposito che non potesse far del male a Tadashi e gliene aveva già fatto abbastanza.

Il ribelle cercò di ricomporsi. “Perchè sei venuto a cercarmi, comunque?” Domandò.

E Kei non ci girò intorno. “Ho lasciato due cavalli a valle,” confessò. “Sto partendo per Seijou e vorrei che tu venissi con me.”

In un primo momento, sul viso di Tadashi non cambiò nulla, poi inarcò le sopracciglia, dischiuse le labbra ma non disse nulla e, alla fine, si ritrovò a fissare il Cavaliere come un pesce fuor d’acqua.

Kei scrollò le spalle. “Dato che non abbiamo altra scelta che combattere, tanto vale farlo in due.”


***


Per assurdo, la Torre nei giardini reali era la parte del Castello Nero meno toccata dalla distruzione portata dal Re dell’Aquila. Non c’era stato il tempo di ricostruirla a dovere ma gran parte dell’opera era conclusa.

Non vi era più una porta d’ingresso. Salendo le scale, Tobio sollevò lo sguardo verso l’alto e si accorse che non vi era alcun tetto.

Tooru lo precedeva. “Abbiamo avuto il tempo di ricostruire solo la stanza delle corone,” disse. “La stanza in cui è venuto al mondo il tuo Principe, tra l’altro.”

“Lo so,” si limitò a replicare Tobio seguendolo oltre l’architrave privo di porta.

Non vi erano più piedistalli di marmo e teche di vetro a contenere le corone dei sovrani caduti per mano del Re Demone, solo comuni scrigni lasciati a terra, con l’eccezione di quello della Corona Corvina.

Tra questi, però, ve ne era uno più piccolo, ugualmente nero.

Tobio lo riconobbe immediatamente: dopo essere stato riempito ed il suo coperchio richiuso, era alle sue mani che era stato affidato. E lui lo aveva lasciato indietro giudicandolo privo d’importanza.

Tooru appese il mantello rosso ad un braccio e si chinò per raccoglierlo, poi si voltò verso il suo erede. “Kenma si è liberato della maledizione a cui il destino lo aveva condannato nel momento in cui ha permesso a te e Shouyou di fare una scelta,” spiegò con un sorriso amaro. “Tuttavia, il destino non è una forza immobile. Quella maledizione è solo passata a qualcun altro.”

“Tsutomu,” disse Tobio, gli occhi blu fissi sulla piccola scatola tra le mani del genitore. “Shouyou…”

“Tu,” concluse Tooru.

Il Re dei Ribelli scosse la testa. “I miei sono solo sogni.”

Tooru scrollò le spalle. “Crediamo ciò che ci piace credere, Tobio,” concluse. “Cosa accadrà o meno lo scopriremo solo andando avanti.”

Il giovane storse la bocca in una smorfia rabbiosa. “Tutto…” Strinse i pugni. “Tutto solo per quello?”

Tooru scosse la testa. “No, Tobio, non è stato tutto solo per questo,” disse guardando il piccolo scrigno tra le sue dita. “In passato, Wakatoshi ha cercato in ogni modo di abbattere un drago nella speranza che il suo cuore potesse riportare da lui la madre di Tsutomu.”

“Non ha cercato di sottrarmi il diritto di proprietà su ciò che hai tra le tue mani, però,” disse.

Tooru scrollò le spalle. “Ci sono limiti anche a ciò che un Re è disposto a sacrificare, Tobio. Wakatoshi ha imposto a se stesso quel limite quando è divenuto padre.”

“E questo cosa vorrebbe dire?”

Tooru sospirò con pazienza. “Non poteva permettersi di minacciare il Principe che tutti i Re caduti dei Regni liberi avrebbero difeso,” spiegò. “Nel momento in cui quel Principe, però, è stato scelto dal destino come carnefice della sua gente e di suo figlio, le cose sono completamente cambiate.”

L’attenzione degli occhi blu di Tobio tornò sul piccolo scrigno nero. “Il drago bianco…”

Tooru annuì. “È una storia già scritta, Tobio,” disse. “Tutto è talmente semplice da essere banale.”

Tobio gli rivolse una smorfia sarcastica. “Tsutomu non guarirà mai da quel che gli è successo nelle Terre del Nord e posso anche sforzarmi di comprendere la sua assurda ossessione!” Esclamò. “Ma tu e Wakatoshi…”

“Abbiamo visto troppi sogni divenire di carne e sangue per permetterci di non prendere provvedimenti, ecco tutto,” concluse Tooru. “Tu e Shouyou siete due di quei sogni, Tobio, dopotutto.”

“Shouyou può avere un potere antico nel sangue ed io posso essere unico nel mio genere per essere figlio di un Umano ed un Demone ma quello che pensate si nasconda dietro gli incubi di Tsutomu è pura assurdità!”

“Ma tu e Shouyou avete fatto sogni simili, no?”

“Tooru…” Tobio sospirò. “Secondo i sogni di Kenma io dovrei morire al fianco di Shouyou…”

“E si narra che un cuore di drago possa strappare un guerriero abbastanza forte dall’abbraccio della morte,” aggiunse Tooru avanzando di un passo. “Dimmi che non lo faresti. Dimmi che se la morte ti lasciasse andare non faresti tutto per vendicare la morte di Shouyou.”

Gli occhi blu di Tobio si velarono di brina. “Shouyou è vivo,” gli ricordò. “Non ci sarà nessuna morte da vendicare. Mai.”

Tooru annuì. “Spero la stessa cosa, Tobio.” Disse. “Tuttavia, sulla strada della vendetta lo hai quasi perso e lo hai fatto attentando alla vita di Tsutomu.”

“Giustifichi le paranoie di Wakatoshi, ora?”
Tooru gli afferrò un polso tirandolo verso di sè ed invitandolo a prendere il piccolo scrigno tra le mani.

“Hai conosciuto un Signore dei Draghi, Tobio,” gli ricordò. “Me lo hai raccontato tu stesso. Me lo ha raccontato Shouyou.”

Tobio fissò il piccolo scrigno nero con astio. “Non so nulla di lui. Non conosco la sua storia. Potrebbe essere nato con il suo potere, esattamente come Shouyou o il Re dell’Aquila.”

“Oppure, potrebbe essere la conferma che quelle leggende sono vere,” disse Tooru. “Che questo cuore può conferire la forza di un drago al guerriero che ne ha abbattuto il possessore.”

“Mi stai dicendo che Wakatoshi ha paura che io mi trasformi nel drago che distruggerà la sua casa, massacrerà la sua gente ed ucciderà suo figlio?” disse Tobio con voce tremante di rabbia. “Mi stai dicendo che è per questa assurdità che ha attaccato Seijou? Avrebbe potuto tradirci in qualsiasi momento!”

Tooru si umettò le labbra. “Wakatoshi è uno stratega, Tobio. E ciò che rendeva forte Seijou, ciò che impediva al Re dell’Aquila di avanzare ancora, ha tradito me per essere fedele a te.”

Gli occhi blu di Tobio divennero grandi, atterriti.

Suo padre aveva detto qualcosa del genere nelle loro corsa disperata verso casa. Se davvero Wakatoshi credeva che quel cuore di drago avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte per Shiratorizawa, allora doveva aver progettato quell’attacco da tempo.

Dichiarando guerra al Re Demone, privandolo del supporto militare dei sovrani conquistati e dei loro eserciti, Tobio aveva spogliato il Regno di Seijou della sua arma più grande.

Per poi tacere sul fatto che Tooru aveva dovuto resistere a quell’assedio dopo aver fallito la conquista di Karasuno.

“È colpa mia…” Concluse con un filo di voce.

Tooru scosse la testa. “Non ti sto accusando,” disse. “Abbiamo combattuto ognuno le nostre guerre. Io per primo.”

“No, ci siamo fatti la guerra a vicenda mentre Wakatoshi restava a guardare,” disse Tobio stringendo le dita sul piccolo scrigno nero con un po’ troppa forza. “È rimasto da solo con i suoi folli timori a lungo progettando tutto questo.”

“È un padre che tenta di salvare suo figlio da un destino più grande di lui,” disse Tooru malinconicamente.

C’era astio negli occhi di Tobio quando tornarono su quelli del genitore. “Continui a parlare come se lo comprendessi!”

“Parlo così perchè non voglio che tu lo giudichi folle!” Esclamò Tooru. “Wakatoshi sa esattamente quello che sta facendo e non devi sottovalutarlo, Tobio!”

Tobio si passò una mano tra i capelli con frustrazione, poi fece qualche passo per la testa. “Tornerà, vero?” Domandò fermandosi al centro di essa. “Lo abbiamo respinto ma se la posta in gioco è così alta, tornerà.”

“Parte di quello che vuole lo hai tra le mani, Tobio,” disse Tooru. “L’altra parte vuole essere tua per sua scelta…”

“Parli di Shouyou?”

Il Re Demone annuì. “Quel cuore gli serve per garantire un presente a se stesso e a chi ama. Shouyou gli serve per garantire un futuro a Shiratorizawa attraverso Tsutomu.”

“E tu che cosa vuoi che faccia?” Domandò Tobio.

“Oh…” Le labbra del Re Demone si piegarono in un sorrisetto sarcastico. “Questa è una novità! Non ti è mai interessata la mia opinione…”

“Sono in debito nei confronti di questo Regno,” disse Tobio con serietà. “Il mio Regno.”

“Ecco che torni ad osare troppo, moccioso.”

“Ce l’ho nel sangue per colpa tua,” replicò Tobio con sicurezza. “È nella mia natura, non posso farci niente.”

Tooru venne preso di sorpresa da quelle parole, poi ridacchiò, soddisfatto con se stesso. Forse, anche col cuore più leggero. “E così, alla fine, sei diventato davvero un Re.”

Tobio lo guardò spaesato e, per un istante, il Re Demone rivide in quegli occhi blu il bambino tanto introspettivo da non riuscire ad incassare nemmeno un complimento.

Ridacchiò come vide le guance del suo erede colorarsi pericolosamente ma decise di essere magnanimo e di non torturarlo ulteriormente. “Tienilo al sicuro,” disse posando una mano sul piccolo scrigno nero. “Cosa farne è solo una tua decisione.”

Tooru tornò a stringersi il mantello rosso al petto, come se fosse più prezioso dei tesori che aveva nascosto in quella stanza. “Come è stato fin dal principio, Tobio, tutto sta nel crederci o meno.” Disse. “Speranza. Atto di fede. Illusione. Follia. Chiamalo come vuoi, mio giovane Re ma, qualunque cosa tu decida di fare, il tuo destino ti attende e non puoi sfuggirgli.”

Tobio gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Non sono mai stato bravo a scappare.”

Tooru ricambiò l’espressione. “Lo so…” Lo superò, precedendolo fuori dalla stanza. Non si aspettava che lo seguisse. Era come con Hajime: il sangue aveva smesso di scorrere ma la ferita era ancora fresca e tutti e tre si sarebbero ricordati della cicatrice che sarebbe rimasta per molto tempo.

Tornando nei giardini reali, Tooru decise che avrebbe affrontato quella sfida a testa alta fin tanto che erano di nuovo insieme.

“Tooru…”

Il Re Demone sentì il respiro venire meno. Il solo suono di quella voce ebbe il potere di farlo precipitare in un incubo ad occhi aperti da cui si era illuso di essersi svegliato quando era stato certo di aver tratto in salvo il suo Cavaliere ed i due Principi che rappresentavano il loro futuro e la loro unica speranza.

Nel sollievo di quella felicità rubata ad un destino che si stava consumando tra fiamme e macerie, aveva compiuto il madornale errore di dimenticare che il nemico non era ancora stato sconfitto.

Nel voltarsi, sentì un tremore percorrergli tutto il corpo, un macigno sembrava essergli crollato sul petto rendendogli difficile respirare. Quando i suoi occhi incontrarono quelli taglienti e glaciali del Re dell’Aquila, fu come se la spada che aveva ferito il suo Cavaliere l’avesse trapassato da parte a parte.

“C-Come…?” Detestò la paura nella sua voce ma non poté far nulla per liberarsene.

“Non fare domande di cui già conosci la risposta, Tooru,” lo interruppe Wakatoshi facendo un passo in avanti.

In risposta, il Re Demone indietreggiò. Si erano guardati negli occhi molte volte lui ed il Re dell’Aquila. Avevano cominciato a farlo appena fanciulli e le sfumature delle espressioni che si erano rivolti erano mutate nei modi più imprevedibili durante gli anni in cui avevano scritto una storia che, loro malgrado, era stata anche loro.

Quella, però, era la prima volta che Wakatoshi lo guardava così, come se non fosse Tooru ma solo un altro Re che gli impediva di avere più di quello che aveva. Di più, sempre di più.

Tooru strinse i pugni e si costrinse a guardarlo negli occhi a testa alta, facendo appello a tutto l’orgoglio e la rabbia che lo tenevano ancora in piedi. “Che cosa vuoi?”

Wakatoshi mosse ancora un passo. “Lo sai bene che cosa voglio, Tooru.”

Il Re Demone sentiva le lacrime pungergli agli angoli degli occhi ma ingoiò a vuoto ed combatté contro il nodo che gli stringeva la gola. “E che cosa ti fa pensare che sarò disposto a dartelo?”

Wakatoshi si guardò intorno. “Perchè sei Re in un castello di macerie ed il mio esercito attende un mio ordine al di là della foresta mentre quello che era rimasto del tuo è stato decimato dai miei uomini?”

Tooru inspirò profondamente dalla bocca. “Facile vincere una guerra combattuta da ragazzini, vero?”

“Tu eri un ragazzino quando hai vinto contro di me,” gli ricordò Wakatoshi. “Eri ancor più giovane quando mi hai sfidato e hai perso ed il tuo Cavaliere mi ha dato un pugno in faccia per salvare il tuo onore. Anche tuo figlio è un ragazzino e ha cercato di uccidere il mio. Non sono io che faccio le regole, Tooru.”

Il Re Demone strinse i pugni. “Ipocrita da parte di chi gioca a fare il dio.”

“Attento a chi dai dell’ipocrita, Tooru. Abbiamo giocato allo stesso gioco insieme per molto tempo.”

Tooru avrebbe voluto colpirlo, fargli male, cancellare quella verità scomoda e riprendersi pieno possesso della sua vita ma, da ogni punto di vista possibile, era già un Re caduto.

“E siamo dunque arrivati al punto in cui solo uno può rimanere in piedi, vero?” Domandò con un sorriso amaro

Wakatoshi annuì.

“Perchè sono ancora vivo, allora?” Domandò Tooru. “Perchè non marci su questo castello e non ti prendi tutto quello che vuoi?”

Sorprendentemente, il Re dell’Aquila esitò. “Perchè ti ho amato,” rispose. “Perchè la tua morte sarebbe un atto che mi perseguiterebbe fino alla fine dei miei giorni.”

Tooru sorrise con sarcasmo velenoso, oscuro. Il sorriso del Re Demone. “Potrebbe essere romantico,” fu il suo turno di avvicinarsi. “Non posso essere tuo da vivo ma il mio fantasma ti perseguiterà fino al tuo ultimo respiro. Mi hai rincorso così tanto da rendermi la tua maledizione. Poetico, Wakatoshi. Davvero poetico.”

Una lama contro la sua gola fu l’unica risposta che ottenne dal Re dell’Aquila.

Eppure, il sorriso di Tooru rimase al suo posto. “Mi decapiterai, Wakatoshi?” Domandò. “Mi piacerebbe essere un bel cadavere, se posso esprimere un ultimo desiderio.”

Wakatoshi strinse le labbra. “Non farmelo fare, Tooru.”

“Cosa?” Domandò il Re Demone melifluo. “Lasciarti libero di condannarti a morte?”

L’espressione di Wakatoshi si fece anche più dura.

“Fai di me quel che vuoi, Re dell’Aquila,” disse Tooru con occhi ardenti. “Il mio destino si è compiuto, dopotutto. Ho messo al mondo il Principe capace di superare tutti i Re della nostra generazione, te compreso. Posso essermi macchiato di molte colpe ma Tobio erediterà un potere che ho messo insieme ma che non è mai stato mio,” una lacrima sfuggì al suo controllo, “e questa è l’unica cosa che sono riuscito a dargli.”

Wakatoshi dischiuse le labbra, fece per dire qualcosa ma una pressione dolorosa contro la  nuca lo costrinse a tacere.

“Rifodera la spada, Re dell’Aquila,” ordinò il Re dei Ribelli con voce appena tremante di rabbia. “Se deciderai di fare altrimenti, sappi che ho meno paura di te di sporcarmi le mani di sangue.”

Wakatoshi inspirò profondamente dal naso, drizzò la schiena allontanando la lama dal collo di Tooru. Dischiuse le dita e la spada cadde a terra.

Il Re Demone si mosse ed il sovrano di Shiratorizawa lo seguì con lo sguardo. Lo vide afferrare la mano libera del fanciullo dai capelli corvini che lo stava minacciando con la spada che i signori del Castello Nero avevano portato al loro fianco fin dagli albori del Regno di Seijou. La spada contro cui il Re dell’Aquila aveva combattuto molte volte, brandita da tre persone diverse.

Tobio spinse Tooru dietro di sè ma Wakatoshi si dimenticò del Re Demone non appena guardò i segni che il giovane signore dei ribelli portava sul volto.

Un ghigno comparve sul viso dell’erede al trono di Seijou, il riflesso perfetto dell’espressione che Tooru gli aveva rivolto poco prima. “È paura quella che vedo, Re dell’Aquila?”

Wakatoshi non replicò, gli occhi fissi sulle labbra sporche di sangue del fanciullo che non aveva mai temuto di affrontarlo.

“Che cosa hai fatto, Tobio?” Domandò Tooru sfiorando il viso del figlio.

Tobio non allontanò gli occhi dal sovrano di fronte a lui nemmeno per un istante. “Il destino doveva farsi di carne e sangue, no?” Passò la lingua sulle labbra tinte di cremisi gustando ancora una volta il sapore metallico del sangue. “Ecco qui, Wakatoshi,” concluse rifoderando la spada. “Il peggiore dei tuoi timori divenuto realtà. Ecco il Signore dei Draghi che tanto temi.”

Tobio fece un passo in avanti in segno di sfida. Tooru gli afferrò il polso spaventato.

Suo malgrado, Wakatoshi indietreggiò.

Gli occhi blu del giovane sovrano si fissarono in quelli taglienti del Re dell’Aquila.

Nessuna paura.

Il sorriso sarcastico sul viso di Tobio sparì. “Codardo…” Commentò. “Terrorizzato da una leggenda.” Si ripulì il viso con una manica storcendo la bocca in un’espressione disgustata. “Il potere ha lo stesso sapore del sangue, a quanto pare. Quello che per cui hai fatto tutto questo, Wakatoshi, però, non esiste.”

Si guardarono negli occhi ancora una volta ma il Re dell’Aquila continuò a rimanere in silenzio.

“Fuori dal mio Regno, Wakatoshi.” Ordinò. “Non sarà un drago a far cadere Shiratorizawa. Non serve. Basta un Re.”

Il Re dell’Aquila non replicò. Si chinò a raccogliere la sua spada. La rifoderò, poi si voltò e sparì tra gli alti cespugli del giardino reale.

Quando Tobio vide un’aquila alzarsi in volo, lasciò andare un sospiro e si rilassò. “Tooru…” Fece per chiedergli se stava bene quando un calore familiare gli avvolse le spalle. La voce gli morì in gola e così anche il respiro.

Tooru sorrise e si spostò davanti a lui per aggiustargli il mantello rosso sulle spalle.

Il mantello dei Principe di Seijou.

“Non osare più toglierlo,” gli ordinò Tooru prima di lasciarlo andare. “Non toglierlo mai, Tobio.”

***

Il mare era calmo e la brezza estiva piacevole contro il viso.

Era una bella mattina per fare colazione sulla balconata.

La tranquillità di quei semplici momenti di quotidianità era una delle cose che amava di più. Lo era sempre stata, fin da quando aveva quindici anni e si era reso conto che il suo cuore apparteneva ad un erede al trono che non avrebbe mai dovuto amare.

Suo malgrado, col senno di poi, alla fine delle sue giornate peggiori, il Primo Cavaliere di Seijou si fermava a riflettere se ne fosse valsa pena combattere tutta la vita per quell’amore e divenire una leggenda vivente nel processo.

“A che pensi, nonno?”

Poi si ritrovava a guardare gli occhi blu della Regina grazie alla quale era arrivato al Castello Nero ma sul viso di una bambina che non lo era ancora e quel pensiero assurdo spariva come se non fosse mai esistito.

“Niente, piccola…” Mormorò allungando una mano per afferrare un tovagliolo e ripulire il faccino sporco di crema della suo Principessa.

Se venti anni prima qualcuno gli avesse detto che ci sarebbe stata una donna nella sua vita e che l’avrebbe amata come nessun altro, il Primo Cavaliere si Seijou ci avrebbe riso di gusto e poi si sarebbe dimenticato della faccenda.

Con l’esclusione di sua madre, di cui suo malgrado aveva solo un vago ricordo, c’erano state tre donne nella sua vita e di nessuna ricordava il nome. Dopotutto, la prima era stata solo un infantile tentativo di non pensare ad un amore impossibile e le altre due lo sforzo, ancor più fallimentare, di dimenticarlo.

E, più di due decenni dopo, eccola lì: il risultato indiretto di quell’amore impossibile che, nonostante tutto, era divenuto quello della sua vita.

“Quando avrò una spada così?” Domandò la donna della sua vita, quella strana e meravigliosa creatura che tanto assomigliava ai Principi di Karasuno ma che era degna erede dei due Principi Demoni che aveva conosciuto nel corso della sua vita.

Il Primo Cavaliere sorrise sottraendo dalle mani della bambina l’elsa della spada che era appartenuta a tutti gli uomini che avevano occupato il Trono Nero. “Quando sarai più grande,” fu la sua risposta.

La piccina lo guardò con un broncio che rendeva onore sia a suo padre che a suo nonno. L’altro nonno, per la precisione. Quello che non aveva alcun problema ad avere una nipote ma ne aveva parecchi a rendersi conto che non aveva più vent’anni.

“E l’arco del Re?” Domandò la bambina.

“Quale Re?” Chiese il Cavaliere solo perchè prevedeva la risposta.

“Quello vecchio,” specificò la piccola con disinvoltura, come era solito fare suo padre quando insultava qualcuno affermando che fosse un dato di fatto.

“Ti ho sentito, piccola carogna!” Esclamò il vecchio Re in questione dall’interno della camera da letto.

La bambina lo guardò, un sorrisetto complice comparve sulla piccola bocca perfetta.

Sorrise a sua volta.

Poi c’erano quei momenti, quelli in cui il Primo Cavaliere guardava quella splendida creatura e, oltre a vedervi tutto ciò che amava, riusciva a scorgere qualcosa anche di sè ed allora decideva che, sì, ne era valsa la pena.



Hajime si svegliò sobbalzando e subito imprecò tra i denti contro il dolore che gli attraversò la schiena e l’addome. Avrebbe dovuto vegliare sul Principe dei Corvi e, invece, si era addormentato sulla poltrona. La più scomoda di tutto il castello a quanto pareva.

“Dormito male?”

Il Primo Cavaliere si sforzò di aprire gli occhi.

Shouyou se ne stava seduto contro i cuscini del grande letto con una rosa nera tra le mani. Un regalo di Tobio, senza ombra di dubbio.

Sorrise. “Buongiorno, mio Principe.”

Anche Shouyou sorrideva. “Finalmente qualcuno con una faccia meno antipatica,” commentò con allegria.

“È diventato ancor più antipatico quando ho minacciato di buttarlo fuori a calci.”

Shouyou non ne era sorpreso. “Sta riposando?”

“No, sta vagando per il castello probabilmente…”

Il piccolo Principe sospirò. “Non riesce a darsi pace.”
“Non gli passerà presto,” disse Hajime. “Tanto vale portare pazienza.” Studiò il profilo del fanciullo per un istante. “Tu come stai?”

Shouyou scrollò le spalle ma evitò di guardarlo in faccia. “Sto bene…” Mormorò.

Non era vero e Hajime se ne accorse immediatamente ma non era suo compito indagare oltre. Non ne aveva il diritto e Shouyou, probabilmente, non si sarebbe aperto con altri che Tobio.

Gli occhi d’ambra si spostarono su quelli verdi del Cavaliere. “Stavi facendo un bel sogno.”

Hajime inarcò un sopracciglio. “Come lo sai?”

“Eri sereno. Non lo siamo più da un po’.”

“Troppe notti insonni, nulla di più,” replicò Hajime con una smorfia. “E le sciocchezze di Tooru che mi danno alla testa.”

“Perchè?” Domandò Shouyou curioso.

Hajime si rilassò contro lo schienale della poltrona. “Niente d’importante,” ammise. “Prima che tutto andasse completamente in pezzi, a Tooru piaceva delirare sui futuri figli tuoi e di Tobio.”

Shouyou ridacchiò. “Davvero? E cosa diceva?”

Il Cavaliere scrollò le spalle. “Qualcosa a proposito di una piccola Principessa con gli occhi blu.”

Gli angoli della bocca di Shouyou si abbassarono gradualmente. Hajime se ne accorse. “Che c’è?” Domandò. “Ho detto qualcosa che ti ha turbato?”

“No,” Shouyou forzò un sorriso scuotendo la testa. “Non turbato.”

“Allora perchè quella faccia?”

Il piccolo Principe giocherellò nervosamente con la rosa nera tra le sue dita. “Tu credi ai sogni, Hajime?” Domandò.

“Non ho ancora deciso,” ammise il Cavaliere con sincerità.

“Io vorrei sapere a quali dei miei credere,” gli confidò Shouyou accoccolandosi contro i cuscini del grande letto. “Alle volte, vedo cose terribili ed altre volte cose meravigliose.”

Hajime si alzò dalla poltrona e si sedette sul bordo del letto. “Succede a tutti. Una volta si fa un bel sogno ed una volta ci si ritrova in un incubo.”

Shouyou sorrise gentilmente. “Vedo anche io una bambina, sai?” Ammise. “Una piccola Principessa con gli occhi blu. Anche Tobio la vede ma non lo vuole ammettere. Ci crede e non ci crede allo stesso tempo.”

“È uno stratega, Shouyou. Non puoi pretendere altro da lui.”

“No,” replicò il piccolo Principe accarezzando i petali corvini della sua rosa. “È solo terrorizzato all’idea di non poter avere il completo controllo di tutto.”

Hajime accennò un sorriso. “Il più grande difetto di Tobio è essere figlio di Tooru e, mio malgrado, è un errore di cui non mi voglio pentire.”

Risero insieme, con leggerezza.

“Che cosa vedi nei tuoi sogni, Shouyou?” Domandò Hajime, infine.

Shouyou inarcò le sopracciglia dubbioso.

“Sono più disposto a credere a te che a Tooru,” chiarì il Cavaliere. “Avanti, sorprendimi…”

Il Principe dei Corvi si stese sulla schiena, gli occhi fissi in quelli del padre del giovane che amava e a cui era legato a doppio filo dal destino. “Alcune volte, va come ha raccontato Kenma: io e Tobio siamo separati da qualcosa che non possiamo evitare, tutti i Regni liberi cadono e Shiratorizawa è l’ultimo.”

“Per mano del drago bianco?”

Shouyou annuì. “Alla fine, rimane solo il silenzio ed il pianto del drago. Ha consumato la sua vendetta e tutto ciò che gli rimane è un futuro vuoto.”

“E il drago sarebbe Tobio?”

“Non lo so,” ammise Shouyou scuotendo appena la testa. “L’ho creduto ma, certe notti, la storia cambia completamente. Non siamo più costretti a scegliere tra i futuro di un Regno o di un altro.”

Hajime si umettò le labbra. “Per un futuro del genere, non sarebbe mai dovuta scoppiare la guerra che stiamo combattendo adesso.”

“Lo so…”  mormorò Shouyou tristemente. “Ma mi piace sperare che sia una strada ancora possibile…”

“E come è?” Domandò il Primo Cavaliere. “Che cosa vedi in fondo a quella strada?”

Shouyou si mise a sedere, la sua attenzione rivolta alla rosa nera tra le sue dita. “C’è una bambina. Credo sia mia figlia. È piccolissima. La stringo a me ed il Principe dell’Aquila… Tsutomu è lì con me.” Si morse il labbro inferiore per un istante. “La bambina, però, ha gli occhi blu di Tobio.”


 
   
 
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