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Autore: Fanny Jumping Sparrow    22/07/2017    3 recensioni
Jack Sparrow ha finalmente riottenuto la sua amata Perla Nera e ne è di nuovo capitano. Ma questo ruolo lo pone di fronte a nuove sfide e a paure mai sopite.
Mentre deve fronteggiare la latente sfiducia della sua nuova ciurma, ritrova dalla sua parte un inaspettato nuovo alleato.
Jack Sparrow agghiacciò, come se avesse udito il sibilo di un proiettile a pochi centimetri dal proprio orecchio. Percepì chiaramente uno scricchiolio ammonitore sotto i propri piedi. Le sue dita corsero a impugnare la bussola, alla quale rivolse un’occhiataccia iniettata di bile: quell’infida carabattola aveva sicuramente mal interpretato i suoi veri desideri e stava tentando di trarlo in inganno, riconducendolo su un cammino deleterio, proprio quando i suoi intenti erano di tutt’altro tenore.
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jack Sparrow, Joshamee Gibbs
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve gente!
L'ultimo capitolo della saga, benché a posteriori mi abbia lasciato più di qualche perplessità, è stato anche capace di infondermi nuova linfa ispiratrice, invogliandomi a tornare a scrivere del tanto amato personaggio di Capitan Jack Sparrow.
Perciò eccomi con una nuova one-shot senza tante pretese dai toni comici e introspettivi, in cui ho immaginato cosa sia potuto succedere poco dopo la fine degli eventi narrati nel film.

Spero che vi divertiate :) 
Grazie in anticipo a chi vorrà dedicare un po' del suo tempo per la lettura.
Commenti, critiche e pareri sono sempre graditi.

Al prossimo approdo!)



Monkey business


Lo scafo rotondeggiante dell’indomito galeone dalle vele cinerine fendeva con superbia le acque azzurre e placide del Mar dei Caraibi, favorito da una brezza estiva moderata e costante che sferzava nodi e gomene, animando il ghigno del teschio che sprezzante campeggiava sulla consunta bandiera nera.
Gli sparuti marinai rimasti sul ponte si affaccendavano pigramente su alberi e pennoni, intonando canzoni scurrili e scambiandosi colorite storielle di taverna, per alleviare la noia del lavoro e ingannare l’attesa di qualche avvistamento propizio che appagasse la loro insaziabile fame di divertimenti e bottini.
Il sole volgeva a completare metà del suo arco celeste, irradiando nell’aria una densa calura che infiacchiva i muscoli e rendeva più lievi e sonnolenti i riflessi.

Capitan Jack Sparrow respirò a pieni polmoni, beandosi della purezza e intensità di quella mite e profumata aria salmastra che gli stuzzicava la pelle infiltrandosi piacevolmente in ogni poro, insieme ad un’incomparabile e inebriante sensazione: libertà.
Fece scorrere le ruvide mani sulla ruota del timone, accarezzandone con voluttà le mille tramature che scalfivano la robusta superficie d’ebano, testimone di mille battaglie e artefice di altrettante vittorie, la cui memoria si perdeva nei cuori e nelle menti di uomini che avevano avuto l’ardire di affrontarla o l’avevano solo sentita menzionare con timore riverenziale da chi era sopravvissuto all’assalto.

L’ultima vera minaccia pirata dei Caraibi.

E ora era irrimediabilmente sua.

Aveva riconquistato la sua amata Perla Nera e aveva con sé di nuovo la sua preziosa bussola: non l’avrebbe tradita mai più, neanche per tutto il rum del mondo ...
Sì, era intenzionato a fare funzionare le cose stavolta, più a lungo possibile preferibilmente, navigando, razziando, predando e saccheggiando, almeno finché le sue più che subdole e temprate membra avrebbero retto a quel nobile onere.

In verità, dopo aver concesso al giovane Turner e alla sua amica orologiaia il favore di essere scaricati su quell’isoletta remota per tornare agli agi e alle noie della civiltà, loro nelle successive due settimane avevano girato a zonzo, perché sapeva che la Perla aveva ancora bisogno di riprendere confidenza col soffio impetuoso delle correnti e con la vastità del mare aperto, da cui era stata ingiustamente separata per troppo tempo.

Ed era inutile aggiungere che le occorreva anche acquisire familiarità con quella nuova pidocchiosa marmaglia che scorrazzava in lungo e in largo tra le sue accoglienti anche, calpestando impunemente le sue solide assi, violando spazi reconditi rimasti a lungo intatti, senza curarsi di mostrare l’opportuna decenza che sarebbe spettata ad una gran dama come lei o ad un gran capitano come lui.

I suoi occhi scuri e orgogliosi vagarono sull’ampia tolda che aveva preteso venisse lustrata alla perfezione dai suoi insulsi compagni di viaggio, tuttora increduli di aver avuto una fortuna simile nel ritrovarsi ingaggiati a bordo di quel portentoso assemblaggio di vele e cannoni, capace di incutere in ogni dove terrore e meraviglia.

Bisognava ancora provare se quell’ignorante branco di ratti sudici e malfidati fosse degno di servire su di una nave di cotale fama.

Ad ogni modo, erano di nuovo insieme, finalmente, e lui era determinato a riportarla ai suoi antichi fasti, le avrebbe restituito tutta la gloria che si meritava. Avrebbero dominato insieme su tutti gli oceani.

Non c’erano più terrificanti mostri, né orrende maledizioni, né nemici mortali di qualunque sorta a poterglielo impedire.

Sebbene, ad ogni porto in cui avevano fatto scalo per qualche provvista, non era raro che nel giro di qualche ora si facesse vivo qualche losco e rancoroso personaggio a reclamare debiti da saldare e offese da riparare ...
D’altronde era quello l’infimo scotto da pagare per essere uno dei più famigerati pirati in circolazione. E gli stava bene. Forse era rimasto davvero l’ultimo di quell’immonda specie. Forse era già entrato nella leggenda.

Diede un’ultima sbirciata all’ago magnetico, rettificando la rotta di cui sconosceva tuttavia l’esatta destinazione.
«Serrate i gerli e tesate di tre punti!», ordinò con impellenza agli uomini, riscuotendoli dal loro inopportuno torpore. Quelli discretamente più agili e scattanti si inerpicarono sulle gabbie, manovrando le cime così da eseguire l’assetto da lui richiesto, suscitandogli uno sghembo sogghigno di soddisfazione.
Una tra le cose che preferiva di più nell’essere un Capitano, era sicuramente la possibilità di lasciare agli altri il peso della fatica connaturata alle mansioni marinaresche.

«Mastro Gibbs!», richiamò allora con fare burbero il suo fido secondo, che aveva il naso immerso in alcuni spiegazzati portolani, «Prendete il comando per un po’, io sarò di ritorno tra un’oretta o due», si congedò spicciamente, defilandosi con passo ondeggiante verso la sua cabina, non prima di essersi accertato che ogni sottoposto fosse impegnato in qualche mansione.

Il suo attempato primo ufficiale lo sostituì solerte, imbracciando le maniglie del timone: «Andate pure a riposarvi, signore. Affogheremo nell’alcol e nelle buone compagnie di Tortuga in men che non si dica», gli scoccò un gran sorriso.

Jack Sparrow agghiacciò, come se avesse udito il sibilo di un proiettile a pochi centimetri dal proprio orecchio. Percepì chiaramente uno scricchiolio ammonitore sotto i propri piedi. Le sue dita corsero a impugnare la bussola, alla quale rivolse un’occhiataccia iniettata di bile: quell’infida carabattola aveva sicuramente mal interpretato i suoi veri desideri e stava tentando di trarlo in inganno, riconducendolo su un cammino deleterio, proprio quando i suoi intenti erano di tutt’altro tenore.

La pancia della Perla era tristemente vuota e lui non poteva ricadere di già nell’indolenza o l’avrebbe perduta un’altra volta, e non se lo sarebbe perdonato.

«No! Tortuga può attendere!», obiettò risoluto, risalendo sul cassero e seminando espressioni attonite e inebetite tra gli uomini della ciurma, «Giacché il suo delizioso e prolifico nettare ci apparirà infinitamente più dolce, dopo aver tastato l’acre sapore della polvere e del sangue con cui otterremo la nostra prima brillante vittoria», argomentò con un tono così enfatico e grave che fece dubitare ancora di più gli ascoltatori sulla sua effettiva affidabilità e lucidità mentale.

I pirati si guardarono, impreparati e perplessi per quell’audace proposta, esitando nel continuare a svolgere i loro doveri, indecisi tra il gioire per la prospettiva di una prossima occasione di guadagno e il temere una disastrosa disfatta che li avrebbe portati dritti dritti su un patibolo, senza potersi godere la ritrovata tranquillità.

«Abbiamo già vinto, signore, contro quel Salamander!», si alzò la voce ingenua di Mullroy, uno dei nuovi acquisti.

Murtogg, il compare di lunga data, gli rifilò una gomitata: «Salazar!», lo corresse saccente, mentre alcuni colleghi gli davano ragione.

«Ma non abbiamo ottenuto un fico secco!», si interpose allora Marty, ergendosi su un barile con un piglio battagliero, «Il Tridente è andato perduto!», ricordò deluso, riscuotendo una certa approvazione tra gli altri furfanti.

«E abbiamo fame!», protestò un altro briccone piuttosto grassoccio, scatenando ulteriori lamentele.

Jack smise di mangiucchiarsi l’unghia del mignolo, riprendendo ad arringare la ciurma che adesso pareva dell’umore ideale per ascoltarlo: «Signori, siamo o non siamo degli impavidi e feroci bucanieri?», domandò accattivante, benché passando in rassegna le espressioni ottuse e per lo più inoffensive di quell’accozzaglia di disgraziati e fannulloni, quegli aggettivi gli suonarono alquanto inappropriati.

A conti fatti, non gliene stava simpatico nessuno, ma quelli aveva trovato, e, in mancanza di scelte migliori, per il momento doveva farseli piacere.

«Siamo o no, filibustieri della peggior risma?», allargò le braccia con un puntiglio sagace, ricevendo un maggiore consenso sottoforma di sorrisi e ammiccamenti che lo incoraggiarono a proseguire su quel registro. «È nostro preciso, per quanto ingrato, dovere lanciarci in qualche onesta impresa ladresca, ovverosia metterci sulle tracce di qualche favoloso tesoro da trafugare!»

A quel punto Gibbs prese inaspettatamente la parola, rubandogli la scena: «Ed è per questo che andremo a Tortuga, ad attingere informazioni sui tesori più redditizi che attendono ancora di essere trafugati!», esclamò convinto della sua pratica logica.

Lo sguardo indulgente ma sprizzante sdegno del Capitano, sgonfiò subito il suo genuino entusiasmo: «Mastro Gibbs, vi conosco. So bene cosa vorreste attingere, o per meglio dire intingere in quel di Tortuga … non mascherate la vostra indecente brama di giovani donzelle da disinteressato buonsenso nei riguardi dei vostri compagni», lo tacciò caustico, avvertendo una familiare e fastidiosa sensazione di colpevolezza, quasi che con quello sfogo stesse biasimando se stesso. Durò solo per un attimo e la respinse senza tante remore, giacché il permaloso Joshamee avrebbe potuto approfittare del suo riflessivo silenzio per tentare di ribattere a quell’accusa, come infatti gli parve che stesse per fare, a giudicare dallo spasmo che gli corrugò la fronte rugosa e contorse le sue guanciotte barbute.

«Non vi ho forse io dato prova, in innumerevoli circostanze, di possedere intuito, arguzia e un’inestimabile dose di sapere nautico?», riattaccò a usare la sua sciolta parlantina per prevenire il rischio di insubordinazioni, scendendo a passeggiare tra i suoi sottoposti, così da scrutarli meglio uno per uno e sondarne da vicino gli umori.
«Oltre a questa irrilevante scatoletta magica rivelatrice dei desideri?» si affrettò ad aggiungere un po’ stizzito, facendo ruotare l’oggetto in questione per la sua cordicella, speranzoso di giocarsi un argomento ancora più convincente.

Gibbs, Scrum e Marty però rimasticarono qualcosa di offensivo tra i denti, rammentando i suoi recenti e ripetuti fallimenti.
Jack decise di ignorare la loro insolenza, finché parevano costituire una poco preoccupante minoranza, cercando di non perdere la spavalda destrezza con cui teneva in pugno l’attenzione del resto della ciurma.

«Orbene, siate pronti, perché il vostro egregio Capitano vi condurrà all’arrembaggio di un bel mercantile! Spagnolo magari!», promise beffardo, scostando una lunga ciocca intrecciata cadutagli davanti al viso e riaprendo con assoluta sicurezza lo sportellino della bussola.

Tutti ammutolirono nella febbrile speranza di un riscontro ben più concreto dell’ultimo infruttuoso girovagare, cercando di sbirciare quali giri avrebbe compiuto la lancetta.
Jack Sparrow chiuse gli occhi e si sforzò di sgombrare la mente dalla miriade di pensieri più o meno futili e sconci che la affollavano, ostacolando i suoi più ambiziosi propositi, figurandosi una stiva ricolma di oro, argento, tabacco, spezie, sete, porcellane o avori da poter lucrosamente contrabbandare. Riaprì piano le palpebre e, con sua stessa sorpresa, attestò una decisa variazione di rotta.

«Eccolo lì! A poppavia! Virare, lesti, o ci scappa!», annunciò festante indicandolo col dito, nonostante ci fosse un insignificante dettaglio ...

«Ma dov’è, capitano?», cominciarono a domandarsi gli uomini, eccitati e impauriti come bambini dalla possibilità concreta di poter depredare qualcosa, fissando con smania l’orizzonte desolatamente vuoto.

Benché la bussola gli avesse suggerito una nuova direzione, non aveva alcuna idea di quanto quell’obiettivo distasse da loro e all’improvviso non era del tutto certo di volerlo sapere.
Uno strano brivido gli attraversò le viscere, forse il ricordo sfocato dell’ebbrezza dissennata e irruente di una battaglia, mescolato all’incertezza e all’ansia della riuscita.
La dama nera aveva bisogno di sentirsi lusingata dalle premurose attenzioni di un prode Capitano, ergo aveva bisogno di braccare una preda e di combattere per catturarla, con ardimento e furore, se necessario. Il problema era che lui non sapeva più se possedeva ancora tutto quell’ardore e quell’incoscienza con cui tante volte si era spericolatamente gettato all’arrembaggio in passato.
Ed eccolo lì, di nuovo vergognosamente paralizzato dallo spettro della paura. Possibile che fosse davvero diventato un pisciasotto?

«Dov’è, dove non è … Se vi date una mossa, lo scopriremo! Forza, dateci dentro con quelle scotte, brutti scansafatiche!», Gibbs intanto sbraitava per sovrastare gli strepiti scomposti dei compagni che correvano ancora di qua e di là, come biglie impazzite.

Jack non seppe se sentirsi insultato o confortato dalla sua ostinata invadenza, che spesso aveva la spiccata capacità di disciplinare quel canagliume qualora lui fallisse nell’intento.
«Giusto! Braccia in trinchetto, uomini! Spiegate per bene maestra e mezzana e andiamo a prenderli! Per la Perla!», li sollecitò con fierezza anche lui, mentre le grandi vele scure schioccavano contro il vento divenuto più intenso, costringendo il nostromo a contrastare con più forza la rotazione del timone.

«Per la Perla!», passò di bocca in bocca con euforia e trepidazione.

Il Capitano attese che la manovra fosse compiuta a dovere, verificò per l’ennesima volta l’oscillazione dell’ago magnetico e quindi, senza spendere altro fiato né rivolgersi a nessun altro, si avviò con malcelata impazienza verso i suoi alloggi, indirizzando un reticente cenno d’intesa al suo primo ufficiale.

Si domandò se si rendeva conto che gli stava raccomandando molto più di una rotta da seguire. Gibbs pareva essere tornato sui suoi passi, aveva riconosciuto la sua autorità e accettato la sua posizione di subordinato, più che altro perché alla sua veneranda età non poteva sperare che qualcun altro lo assoldasse. Era l’unico dopo tutti quegli anni di connivenza a sostenerlo e sopportarlo. Ma l’inaspettato voltafaccia con cui l’aveva mollato un paio di settimane prima gli rodeva ancora, non era più tanto sicuro di potersi fidare completamente di lui. O forse quel persistente prurito che gli tormentava le carni era solo dovuto alla scabbia?

Ancora immerso in quelle spinose divagazioni, entrando in cabina si spogliò di tabarro, tracolla e tricorno, riponendoli distrattamente sullo schienale di una poltrona dalla tappezzeria bucata e impolverata, da cui si sollevò un velo di pulviscolo che andò a depositarsi su un tappeto altrettanto lacero e polveroso.
Quando vi era rientrato da solo per la prima volta, dopo ben quindici anni di lontananza, era rimasto piacevolmente sorpreso dallo scoprire che il precedente inquilino non avesse apportato significative modifiche al semplice ma elegante arredamento di quell’ambiente, intimo e allo stesso tempo di rappresentanza. Anzi, in alcuni casi aveva provveduto perfino a delle migliorie, facendo riparare sculture e vetrate rimaste danneggiate da tempeste e cannonate affrontate in quel maelstrom infernale. Tra gli scaffali e dentro i bauli aveva anche rinvenuto carte nautiche più aggiornate e strumenti di navigazione più moderni. In verità aveva trovato pure qualche nuova suppellettile di dubbio gusto, ma l’aveva fatta sparire subito, barattandola per qualcosa di maggiore utilità, come viveri, armi e munizioni.

Sfiorò con dita compiaciute il pregevole armamentario dispiegato sul lungo e robusto tavolo di noce che occupava buona parte dello spazio interno, ciondolando verso la zona più appartata in cui era sistemata la modesta branda. Non sopportandone il lezzo di vecchiume e sporcizia non sua, ne aveva rimosso il pagliericcio maleodorante e deformato, rimpiazzandolo con uno discretamente meno usato, comprato a pochi scellini in un porto di passaggio. Una volta sdraiatosi, avvolto dall’odore del legno vissuto e di quelle pareti impregnate di salsedine, piombo, sego e catrame, un odore che non somigliava a quello di nessun’altra nave, si era sentito di nuovo a casa. E quella prima notte trascorsa sulla Perla aveva dormito profondamente, cullato da sogni così palpabili e piacevoli come non rammentava di averne mai avuti in tutta la sua vita, o per lo meno, da moltissime lune.

Al risveglio, i raggi caldi sulla faccia, il moto discreto delle onde, il sapore dolce del rum sulle labbra, l’obbedienza fiduciosa della ciurma, gli era apparso tutto talmente perfetto, da sembrare il risultato di una colossale sbronza. E, di fatto, in fondo di quello si era trattato. Dovevano pur festeggiare la definitiva dipartita di quel vendicativo corsaro non morto spagnolo!

I giorni successivi però, l’atmosfera a bordo era cambiata, gli sguardi dapprima raggianti e ammirati degli uomini si erano fatti insofferenti e sospettosi, e la sua scarsa risolutezza nello stabilire una rotta o almeno tracciare un approssimativo piano d’azione, aveva contribuito ad alimentare borbottii e malumori.
Quello sgradevole tanfo di insoddisfazione non gli era affatto sconosciuto, era una situazione in cui sfortunatamente si era già ritrovato e non aveva alcun desiderio di riviverla. Non tanto perché lo spaventasse la prospettiva di essere lasciato indietro da tutti quanti. La solitudine era una fedele compagna che aveva imparato ad apprezzare molto presto, insieme alla bottiglia.

Il rum non l’aveva mai tradito. O quasi.

Malgrado ne fosse più che dipendente, era ben consapevole del suo meschino potere. Da quanto aveva sentito dire, aveva trascinato famigerati capitani come John Rackham alla rovina, e consegnato interi equipaggi nelle grinfie delle spietate giubbe rosse.

Così, con immenso sforzo di volontà, si era imposto di ridurre il consumo smisurato di quella bevanda prelibata, per essere sufficientemente vigile nella malaugurata evenienza di un principio di ammutinamento, che l’avrebbe privato di nave e ciurma.

No, questa volta lo avrebbe evitato. Doveva evitarlo. Aveva scoperto con orrore di avere già qualche filo argentato tra i capelli, e anche altrove, perciò doveva adoperarsi a recuperare quanto prima il suo buon nome e far lievitare di conseguenza il compenso per la sua taglia, che era crollato troppo in basso per un ignobile furfante di tutto rispetto come lui.

Certo che quel clima rovente non lo aiutava. Aveva la gola riarsa. Gli ci sarebbe voluto qualche goccino per sciacquarsi la bocca impastata di sale. Avrebbe bevuto solo un pochetto, senza esagerare. Poteva riuscirci.

Anche perché doveva centellinare quel poco che gli era rimasto e che, per precauzione contro la sua stessa incontenibile voglia, teneva sotto chiave. O lo avrebbe fatto, se lo stipetto prescelto avesse posseduto una serratura. Mancanza cui avrebbe rimediato quanto prima.

Si risollevò dall’informe giaciglio in cui si era adagiato a riflettere e con andatura circospetta raggiunse l’armadietto in questione, tendendo le orecchie a possibili intrusioni, ma non appena lo aprì qualcosa di piccolo, peloso e urlante lo assalì, attaccandoglisi al collo e strappandogli uno strillo violento e acuto.

«Scimmia?! Che cosa diavolo ci fai tu qui?», lottò qualche istante per togliersela di dosso e cercare di scagliarla il più lontano possibile dalla sua persona, sentendo accrescersi quell’insopportabile formicolio su tutto il corpo al solo pensiero dei parassiti che quella bestiola doveva avere annidati nella pelliccia.

L’animale, impaurito quanto lui da quello spiacevole incontro ravvicinato, berciò tirandogli una zampata e andando a nascondersi prontamente in un angolino.

L’urlo del Capitano assunse un’intonazione isterica: «Scrum!» richiamò con quanto più fiato gli riuscisse di espellere, tra i singulti inorriditi con cui si apriva la camicia e tastava la pelle lacerata dall’unghia del primate, frugando vari cassettoni in cerca di uno specchio che gli permettesse di valutare il danno.

Il marinaio canterino, udendo infine il suo nome gridato a squarciagola in mezzo a quel tramestio, accorse più in fretta che poté: «Vossignoria!» eseguì una mezza riverenza, sgranando poi gli occhi chiari alla vista del lungo graffio arrossato che sfregiava il torace del Capitano, «Che succede?»

Jack sbuffò, digrignando la mascella, ben oltre l’indignazione: «Non ti avevo affidato il preciso compito di sbarazzarti di quell’irritante inutile sacco di pulci?»

Scrum si tolse il cappello, tenendolo nervosamente tra le mani sudaticce: «Ed è quello che ho fatto signore. Rivenduta a un mercato di Saint Vincent per venti penny», gli confermò, leggermente offeso per l’insinuazione sulla sua onestà.

Un sopracciglio di Capitan Sparrow s’inarcò, svanendo sotto la bandana: «Mi avevi detto che l’avevi venduta per dieci penny …», mugugnò fissandolo con un cipiglio dubbioso e severo.

«È vero! Che smemorato!», si giustificò maldestramente il biondino, abbonando un innocente sorrisetto.

Jack non si arrabbiò più di tanto. Dopotutto erano ladri incalliti, cos’altro poteva aspettarsi? Agitò una mano, come a scacciar via propositi di ripicca: «Sia come sia, la bestiaccia rognosa si aggira ancora qui», asseverò risentito, tamponandosi l’unghiata con un sudicio fazzoletto e guardandosi intorno con aria infastidita, temendo un altro attacco a sorpresa.

«Con tutta la stima, signore … siete proprio certo di averla veduta?», tentennò ancora il manigoldo, alternando lo sguardo imbarazzato da lui alla bottiglia che stringeva, evidentemente sospettando fosse già ubriaco e avesse le traveggole. «Non mi capacito di come possa essere tornata a bordo senza essere notata da nessuno … »

«Sono disgraziatamente, innegabilmente sobrio, mastro Scrum! Nelle ultime due ore non ho bevuto neppure un passito!», si discolpò l'eccentrico Capitano, e, nonostante la sua ultima affermazione avesse acceso nell'uomo un nuovo quesito, il cipiglio alquanto burbero con cui lo fulminò, gli sconsigliò di insistere.

Proprio in quel momento, anticipato da un leggero scalpiccio, il soggetto della discussione fece di nuovo la sua comparsa, balzando sul suo trespolo a dondolo e squittendo intimidatorio contro i due.

Scrum, riconosciuta l’evidenza dei fatti, fece scorrere le dita sull’impugnatura della pistola: «Volete che la accoppi, signore?», bisbigliò cauto, misurando i movimenti per evitare di allertare i sensi della bestiola e così farla scappare. Ma quella, quasi fosse in grado di capire il linguaggio umano, soffiò arruffandosi tutta, inducendolo ad arretrare per timore di essere aggredito.

«No. Ci penso io. Va’ pure», lo licenziò seccamente Capitan Sparrow, temendo di veder ridotte le pareti della sua cabina in un colabrodo. Il marinaio non si fece ripetere l’invito, camminando radente ai muri. «Ah … Scrum, stasera e fino ad ordine contrario per te niente pasti, che tanto qualche riserva di grasso ce l’hai per sopravvivere», gli schiaffò dietro, stampandosi un sottile sogghigno quando vide le sue spalle incurvarsi per l’umiliazione.

In qualche modo doveva pur punirlo per la sua inettitudine e le sue fandonie, e quel castigo in fondo era davvero il minimo. Mannaggia! Si stava proprio rammollendo.

La scimmietta sua omonima intanto non smetteva di zirlare e mostrare i piccoli denti aguzzi, rivolgendogli chissà quali e quanti insulti nel suo idioma animalesco.

Jack sfoderò la sua sciabola, impugnando con l’altra mano l’ultima agognata bottiglia di rum: «E ora a noi due», la sfidò drizzandogli contro la lama appuntita, pregustando il liquore con cui stava per bagnarsi le labbra prima di cominciare lo scontro. Tenendo la bottiglia controluce, però, si accorse che di liquore ne era rimasto molto meno di quanto non avesse desiderato: «Ti sei pure ciucciata il mio rum? Ladra sfacciata!»

Quel furto lo istigò a scagliarsi contro il suo rivale con maggiore irruenza. La rincorse per tutta la stanza, spandendo fendenti, calci e sgambetti, sebbene la differenza di dimensioni e di velocità giocasse a favore dell’animale, che poteva facilmente sfuggire al suo goffo inseguitore rintanandosi sotto i mobili o saltando tra le travi del tetto.
Non contenta del suo vantaggio, iniziò anche a lanciargli piccoli oggetti raccolti qua e là, tappi di sughero, bicchieri, penne, calamai, ninnoli vari.

«Piantala! O giuro che se ti prendo, ti faccio servire con lo stufato!», la minacciò al culmine dell’esasperazione, parando e respingendo come meglio poteva quella pioggia di proiettili impropri ma dannatamente efficaci. La bestiola aveva anche una buona mira e si divertiva un mondo a provocarlo: «Adesso ti infilzerò, maledetta!», grugnì più che indispettito, gettandosi su una libreria che nell’impatto si rovesciò, alleggerendosi di molti dei suoi tomi.

Si chiese come diamine avesse fatto il suo precedente possessore ad addomesticarla. Lui non aveva dimestichezza né pazienza con gli animali, non ne comprendeva l’utilità, salvo che come cibo, e non gli piacevano. Non gli piaceva sentirsi spiato da una piccola presenza nascosta in qualche angolo buio, qualcosa di simile ad un assillo acquattato in un angolo remoto della sua testa, tantomeno ritrovarsela tra gli stivali o addosso nei momenti meno opportuni. Già era costretto a dividere il poco spazio di cui disponeva con quel branco di caproni puzzolenti, avrebbe rinunciato più che volentieri a ospitare pure una scimmia pulciosa.

E temeraria. Raccolse un coltello e con fare impertinente lo affrontò in un vero duello, esibendo affondi degni di un abile spadaccino. Incassate un paio di stoccate, Jack decise che era una lotta persa in partenza. Sarebbe stato più facile sconfiggere un fantasma. Si fermò a riprendere fiato, al che anche la piccola canaglia smise di agitarsi, per poi rifugiarsi ai piedi del suo letto, cominciando a battere i pugnetti sul pavimento e a vociare.

Lui non poteva affermare di conoscere o comprendere i bizzarri comportamenti animali, tuttavia quel suo strano insistere a percuotere le zampe su di un punto preciso lo incuriosì, tanto da portarlo ad ipotizzare che volesse suggerirgli qualcosa. Nei suoi occhietti impertinenti e dispettosi tutto sommato pareva rilucere una qualche forma di intelligenza, seppure primitiva.

Si inginocchiò accanto a lei, copiandola e dando anche lui qualche colpetto sulle assi, avvertendo un suono diverso, di vuoto. C’era un’intercapedine di cui ignorava l’esistenza.
Grattandosi uno zigomo umido per il sudore, si rialzò guardingo per andare ad inserire una mandata alla porta. Non sapeva ancora cosa avrebbe rinvenuto, ma il suo sesto senso gli consigliò che fosse prudente cautelarsi da sgradite interferenze esterne.

Ritornato sul posto, estrasse un corto pugnale dalla cintura e iniziò ad armeggiare per individuare una fessura con cui fare leva per aprire lo scomparto segreto. La scimmietta lo osservava da vicino ma quasi indifferente, fino a che con uno scatto la tavola si sollevò, rivelando la presenza di uno scrigno di media grandezza dall’aspetto anonimo e modesto, ma protetto da una serratura assai complessa.

Sul volto di Jack si impresse una smorfia di disappunto. Avrebbe richiesto un bel po’ di impegno e di rumore per essere scassinato, non che in quel momento avesse chissà quale altra occupazione a tenerlo occupato …
Si armò di calma e di un coltello dalla punta più fine, augurandosi che valesse la pena investire tanto sapere e tanta esperienza furfantesca per scoprirne il contenuto.

«Non è che ti ritroveresti la chiave, per caso?», domandò con graffiante ironia alla bestiola che se ne stava stranamente silenziosa e tranquilla ad assistere ai suoi tentativi, abbarbicata su un pilastro.
Assicurandosi di produrre il minimo cigolio, in pochi minuti riuscì a forzare il meccanismo di chiusura e a posare gli occhi su ciò che quel cofanetto custodiva: monete di vario valore e gioielli tempestati di pietre preziose. Rimase per qualche manciata di secondi con la bocca semiaperta: le sue pupille non godevano di uno spettacolo simile da tempo immemore.

«Hector! Brutto vecchio bastardo figlio di una buona donna!», ridacchiò tra sé e sé, «E tu che professavi di dividere tutto equamente!», rammentò con spregio, immergendo le mani in quel ricco bottino da cui era stato diviso solo poche spanne senza neanche sospettarlo.

Frattanto la scimmietta si acquattò di fronte a lui, afferrò una moneta dorata e se la strinse al grembo, arricciando il muso e mormorando con vocetta flebile e spezzata.
Se non l’avesse creduta priva di anima, avrebbe pensato che quella bestiolina stesse soffrendo per la mancanza del suo padrone. Sembrava così tenera e inoffensiva che fu tentato di sparargli. Sarebbe stato così comodo porre fine alla sua agonia, ma qualcos'altro lo distolse da quel macabro proposito.

Notò un sacchettino di iuta chiuso da un laccetto incastrato accanto al forziere.
«Toh guarda: noccioline!», esclamò contento e sorpreso, aprendolo e portandosene subito una manciata alla bocca. Il loro sapore stantio lo costrinse a risputarle con la stessa velocità e a regalarle alla creaturina. Mentre quella le sgranocchiava di gusto per poi vomitare a sua volta, lui si gingillò a provare qualcuno di quei brillanti anelli, sostituendoli con alcuni dei suoi, oramai opachi e scalfiti. Non aveva che l'imbarazzo della scelta: c'erano rubini, topazi, ametiste, lapislazzuli, quarzi e perfino un diamante. Molto probabilmente non provenivano da un unico bottino, ma dovevano essere stati accuratamente selezionati nel corso di vari abbordaggi.

Curioso che quell’avido mascalzone di Barbossa non avesse cercato di impossessarsene di nuovo, una volta che la Perla era tornata alle sue dimensioni normali. D'altra parte il suo insondabile cuore nero era stato soggiogato da una preoccupazione di ben altra natura. Ancora stentava a credere che quella storia fosse vera. Quello scorbutico farabutto senza un minimo di fascino aveva sedotto una donna onesta e con lei procreato. Era stata una coincidenza veramente imprevedibile che quella graziosa ragazza dalla lingua lunga si fosse imbarcata nel loro stesso viaggio, in combutta con l'avventato figlio dei Turner, per giunta ...

I versi striduli e petulanti di Jack la scimmia lo richiamarono bruscamente da quella selva tortuosa di considerazioni, cavandogli un grugnito contrariato. Di riflesso agguantò la pistola puntandogliela contro, ma l’approssimarsi di passi gli fece riconsiderare il gesto. Delle nocche bussarono incerte.

«Capitano? Va tutto bene? Vi serve qualcosa?»

Erano quegli ex soldati inglesi scialbi e incompetenti, mandati quasi certamente da Gibbs a ficcanasare nei suoi affari, dopo che Scrum doveva aver spettegolato della zuffa in corso tra lui e quella palla di pelo. E la palla di pelo aveva cercato di avvertirlo.

Sollevò mezzo labbro verso di lei, rinfoderando l’arma: «Stavo poltrendo che era una meraviglia, finché voi due impiastri non siete venuti a turbare il mio meritato riposo!»
Gli uomini accavallarono maldestre scuse, dileguandosi per sua fortuna senza tanta insistenza.

Sarebbe stato meglio che di quell'incredibile tesoretto non fosse venuto a conoscenza nessun altro o la voglia di pirateggiare sarebbe svanita a tutti. Si tolse a malincuore gli anelli più vistosi, richiuse lo scrigno e riposizionò alla svelta la tavoletta di legno che occultava quello scomparto, il tutto sotto l’attenta supervisione del vivace mammifero arboricolo, che continuava a fissarlo scoprendo le gengive in una specie di sorrisetto, quasi volesse ricevere qualche cenno di approvazione.

Agli inizi, dopo che gli aveva restituito la bussola, l’aveva creduta più mansueta, aveva osato pensare che potessero andare d'accordo, o per lo meno raggiungere un compromesso. C'erano ore in cui stava sulle sue ed era piuttosto discreta, e altre in cui si dimostrava per la bestiaccia selvatica e dispettosa che era. Rosicchiava le cime, rubacchiava il cibo, strillava, era fonte di disturbo e distrazione per gli altri, che già dalla loro non eccellevano per zelo e abilità.
E poi lui detestava gli animali. Erano incompatibili. Perciò aveva voluto liberarsene, in maniera comunque pacifica. Pochi minuti prima nondimeno si era comportata da cane da guardia, malgrado la sua ridotta stazza. E gli aveva fatto trovare quel bel gruzzolo. Gliene dava merito.

«Scimmia, ti sei guadagnata la mia clemenza. Per adesso», specificò titubando nel porgerle un leggero buffetto sulla testolina. Era più soffice e liscia al tatto più di quanto non immaginasse. Risollevandosi dal pavimento, raccattò la superstite bottiglia e si buttò sulla branda.

Il graffio sul petto gli bruciava ancora un po’, avrebbe dovuto disinfettarlo. L’alcol era il rimedio ideale, ma non avrebbe sprecato quel poco di rum che gli era rimasto per quell’inezia. Oramai era un’altra cicatrice, una delle tante. Di ferite la sua lurida pelle ne aveva subite parecchie, molte delle quali assai più profonde e immeritate.
Da che aveva memoria aveva sognato il mare, la fama e l’avventura, ma prima che l’esperienza desse i suoi frutti aveva patito la fame, la galera e un buon numero di costole incrinate, rammentò svestendosi della madida e maleodorante camicia, tracannando e restando a far errare e intrecciare ricordi e pensieri di una vita vissuta sempre sull’orlo dell’abisso, sempre solo contro tutto e contro tutti.

Un leggero peso fece sobbalzare il suo misero giaciglio. Ad occhi socchiusi colse il muoversi sinuoso della sua lunga coda mentre si accoccolava e percepì il suo tepore vicino ad una gamba, ritraendosi spontaneamente da quel contatto indesiderato.

Per assurdo che fosse, quella creaturina aveva trascorso sulla Perla molto più tempo di lui. Era una tipetta vivace e furba. Chissà, avrebbe potuto rivelarsi una buona alleata.

«Credo che ti cambierò nome … Che te ne pare di Hector?»


NDA: Per chi non lo sapesse, in inglese l'espressione "Monkey business" ha diversi significati: faccenda di poco conto, bugia, follia o anche cosa stupida. Naturalmente ho scelto questo titolo anche in riferimento alla scimmia vera e propria, di cui mi ha un po' spiazzato vedere l'improvvisa apertura verso Jack, così ho voluto riscrivere l'inizio della loro relazione (lo so, scelgo coppie assurde!)
Anche questa volta, come già nella precedente "Stuck", ho scelto di usare il così detto grado 0 della narrazione, in pratica scrivendo dal punto di vista interno di Jack, pur non usando la prima persona, per cui il modo di giudicare gli altri personaggi e di descriverli rientra quasi totalmente nel suo modo di pensare.


   
 
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