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Autore: Angel TR    24/07/2017    5 recensioni
Sotto il sole cocente del Medio Oriente, Hwoarang cerca la sua preda prediletta: Kazama versione horror di serie B. Ma si sa, il deserto fa brutti scherzi...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Devil Jin, Hwoarang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Some Boys Wander by Mistake'
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Some like it (freakin) hot



La ruota dell'imponente Ducati Monster girava come impazzita nella sabbia bollente e dorata del deserto. Il motore ruggiva come una tigre in gabbia.
Ed, effettivamente, la fiammante motocicletta si era proprio impantanata nelle dune da cartolina.
Hwoarang smise di premere sull'acceleratore e si lanciò in epiteti ben poco educati prima di scendere dalla sua fidata Ducati e piazzarle un calcio furioso. Ovviamente se ne pentì subito dopo. Accarezzò con i polpastrelli anneriti dal lavoro (e dal fatto che non aveva avuto molto tempo per lavarsi) la carrozzeria un tempo di un lucidissimo nero e abbozzò un sorriso .«Scusami. È colpa della versione horror serie B di Kazama.» si giustificò, come se la moto potesse sentirlo.

No, il cocente sole del deserto non gli era andato in testa: Hwoarang aveva sempre confessato tutto alla sua fedele Ducati. E a chi, se no? Il suo maestro lo aveva raccomandato di non andare alla ricerca del demone che, con un colpo della mano, lo aveva quasi ucciso.

Indovinate un po' cosa stava facendo ora Hwoarang? Appunto. Baek Doo San non doveva assolutamente saperlo o sarebbero stati guai. E lui temeva di più la delusione del suo maestro che Kazama con ali e corna.

Armandosi di pazienza -dote sconosciuta al ragazzo- Hwoarang si accovacciò davanti alla moto e cominciò a scavare dove la ruota si era bloccata.
Rivoli di sudore gli colarono lungo la schiena. Il sole, una palla infuocata al centro di una fiammata celeste che doveva essere il cielo.

Nel bel mezzo del fottuto deserto. Sempre colpa tua, Kazama. Ti spezzerò quelle stronzissime corna a suon di calci!

Scavò, scavò, scavò finché gli sanguinarono le dita e continuò a scavare finché la ruota non fu libera, accompagnato dagli impietosi raggi che gli infilzavano la schiena.
Hwoarang deglutì per donare sollievo alla gola secca. Niente da fare. Moriva di sete. Acqua, acqua fresca e cristallina, ecco tutto quello che voleva. Vi si sarebbe lanciato entusiasta, avrebbe lasciato perdere Kazama...
Sbatté gli occhi; una goccia di sudore gli s'impigliò tra le lunghe ciglia rosso scuro. No. Mai. Non si sarebbe lasciato abbindolare dalla disperazione e dalle false promesse del deserto.

Non mi avrai.

Si mise in piedi, barcollando. Dovette reggersi al manubrio della Ducati per non cadere bocconi sulla sabbia e affondarvici per sempre. Montò sulla moto e ripartì.

Il sole, maledetto fuoco ardente, lo seguì in quell'assurdo cielo turchese.


**


Il bazar era deserto. Gocce di sudore gli imperlarono la schiena muscolosa, scivolando lungo le piume corvine come la notte del magico Oriente.
Devil Jin inarcò un sopracciglio. Le ali erano un peso con quel calore cocente. Ma come facevano gli umani a sopportarlo?

Gli umani.
Erano scappati via come ratti terrorizzati, sbattendo gli uni contro gli altri, ferendosi a vicenda, senza aiutarsi, con l'unico obiettivo di mettere in salvo la propria pelle, che gli altri morissero, al diavolo! Esseri bizzari, gli umani. Eppure lui davvero non aveva avuto cattive intenzioni: era solo affaticato da quell’orribile astro bollente che gli batteva sulla testa e rendeva pesanti come macigni le corna, le ali, i pantaloni di pelle nera che gli fasciavano le cosce, i guanti di metallo che gli proteggevano gli avambracci.

Aveva sete.

Stupido corpo umano. Occuparne uno dava dei bei grattacapi, non c'era che dire. Andava curato, un corpo terrestre: bisognava farlo riposare, nutrirlo... cose per cui Devil Jin non aveva certo tempo. Eppure, non aveva via di fuga: persino lui doveva inchinarsi davanti alle regole di Madre Natura.
Spalancò le maestose ali nere, tentando di alleviare il calore volando ma i calmi venti caldi provenienti dal vicino deserto lo avvolsero in una cappa umida e lui si ritrovò costretto a posare le scarpe di pelle sul bollente suolo della stradina che ospitava il bazar fantasma.
Solo il suo respiro ansante a testimoniare la presenza di vita in quell'inferno che non gli era per nulla familiare.
I tendoni offrivano un po' di riparo. Devil Jin si avvicinò e ne sollevò un lembo. Vuoto. Sospirò di sollievo: non avrebbe sopportato un altro fastidioso umano strillante. Con quale forza poi? La sua mente era sintonizzata su un solo canale: sete, sete, sete, caldo, caldo, caldo.

Sarebbe impazzito.

Le mani corsero alla fibbia della cintura, trovando anche il bottone dei pantaloni di pelle, completamente bagnati di sudore, che gli ricoprivano le gambe come fiamme nere. Li stracciò per la disperazione. Sfilò le scarpe. Lanciò un'occhiata torva ai guanti. Tolse anche quelli, con un gemito di dolore, scoprendo la pelle avvolta dai simboli demoniaci.

Osservò l'ambiente. Scaffali ricolmi di vasi decorati da motivi esotici, brocche, oggetti preziosi. Devil Jin si avventò su di essi, rovesciandoli, in cerca di acqua. Ricominciò a sudare, il respiro che si faceva pesante. Restò bocconi sul pavimento ricoperto da folti tappeti borgogna. Ringhiò e il suo ringhio si fuse con uno esterno, ben più meccanico.
Gli occhi bianchi furiosi del demone scattarono verso la fessura completamente immobile tra i due lembi. Dalla sua gola continuava a scaturire quel suono ben poco umano. Avrebbe ucciso chiunque rubasse la sua preziosa acqua.

E poi, una voce maschile, vagamente familiare, chiamò. «Kazama! So che sei qui! Esci fuori!»

Devil Jin inarcò un sopracciglio; il ringhio cessò. Kazama?

«Oh, forse non vuoi essere chiamato così! Mi scusi, Signor Pennuto Cornuto! Grande Demone di Stocazzo! Occhioni Bianchi! Puah! Mi inchino davanti a cotanta potenza! Mah, sai, potresti almeno far venire un poco di freddo, se sei così potente! Ah, giusto! Sei solo un coglione!» continuò la voce che, malgrado la rabbia, era roca e stanca.

Devil Jin si rese conto che quella voce assetata ce l'aveva con lui ma non si alzò.
L'umano -perché di umano si trattava, puzzava di umano- era lì fuori, sotto il sole cocente, a sbraitare invece di cercare dell'acqua.

«Okay, stronzetto. Ti vengo a cercare. Fa caldo anche per la tua pellaccia divina, eh? Stronzo.» annunciò la voce.

L'odore del sangue che scorreva velocemente nelle vene del ragazzo fece gemere di desiderio il demone. Aveva sete. Già pregustava il dolce sapore del liquido sulla lingua... scosse la testa. Lui non beveva certo la sporca essenza di un umano!
Magari quel giorno avrebbe fatto eccezione...

La tenda si aprì di scatto, rivelando un maschio umano sulla ventina, i folti capelli rossi trattenuti da un paio di occhiali da motociclista. Gli standard umani lo avrebbero classificato come sfacciatamente bello, il classico bad boy dal cuore d'oro.
Aveva i vestiti ricoperti di polvere ed era sporco, le estremità delle mani spaccate a sangue graffiavano il palmo. Aveva tutta l'aria di morire dalla voglia di prendere a pugni qualcuno. Probabilmente quel qualcuno era lui, pensò Devil Jin.

I bei occhi marroni lo percorsero da capo a piede e un'ombra di vergogna li attraversò. Voltò la testa mentre le guance si imporporavano. «E copriti, no? Non voglio vedere cos'hai in mezzo alle gambe... bah, che poi, cosa vuoi che sia...» borbottò, cercando di sembrare minaccioso. Devil Jin inclinò la testa, respirando l'alone di imbarazzo che il corpo dell'umano emanava.

Interessante.

Riprese la sua ricerca. Acqua, aveva sete. Il sole non picchiava più in testa ma l'umidità asfissiante rendeva ogni movimento pesante. Sudava -forse per la prima volta- e non era per nulla piacevole.

Il rosso continuava a fissarlo, bruciandolo con lo sguardo. «Embé? Non ti ricordi di me? Sono Hwoarang e sono venuto a prenderti a calci in culo.» proferì, varcando l'ingresso del tendone con passo deciso.

Lo ignorò. Quel viso gli era familiare ma non aveva nessun'intenzione di scoprire il perché. Un riflesso nella brocca che aveva tra le mani sudate gli accese lo sguardo. Annusò e poi rovesciò il capo per bere, lasciando che rivoli d'acqua gli scorressero lungo il corpo.

Nulla aveva mai avuto un sapore migliore. Acqua.
Percepì lo sguardo intenso dell'umano osservarlo. Era la prima volta che lo guardavano così: cosa diavolo aveva quello?


Hwoarang si sentì andare a fuoco e si odiò con tutto se stesso. Dannato Kazama versione demone, con i suoi occhi bianchi accesi e le ali nere schizzate di gocce d'acqua che parevano cristalli. Dannata la sua gola che deglutiva e i muscoli che guizzavano mentre sollevavano la brocca.
Nessun nemico giurato dovrebbe avere il diritto di essere così... così... Hwoarang diede un calcio al piccolo tavolo di legno, rovesciandolo. Gli intensi occhi bordati di nero di Kazama lo inchiodarono, fissandolo curiosi.

«Beh, cosa diamine hai da guardare? Anch'io ho sete.» con uno slancio, gli strappò la brocca da mano e bevve, tenendolo sott'occhio, sfidandolo, con un braccio piazzato sui fianchi.

Il demone si alzò in piedi, asciugandosi la bocca con il dorso della mano. Lo sguardo di Hwoarang cadde sul bacino del suo avversario e poi rimbalzò sul viso, anzi, sulle corna. Cosa diavolo gli succedeva? Nemmeno riusciva a guardarlo negli occhi.

«È tutto qui, umano?» gli chiese, e sarebbe stata la stessa voce di Kazama se non fosse stata decisamente più cavernosa e imperiosa. «Sento il tuo imbarazzo, la tua reticenza, il tuo desiderio di vendetta e una vaga scia di... affetto?». La voce suonò perplessa. Hwoarang ne dedusse che Kazama horror doveva essere abituato a provocare terrore, non di certo affetto. Beh, nemmeno lui si aspettava quell'analisi da cartomante farlocca!

«Quante cazzate! Taci e combatti, Kazama!» liquidò la questione insieme al senso di confusione che gli stava inquinando la testa.

Gli si scagliò contro con un calcio potente.
Il demone si scansò. Hwoarang gli rivolse un cenno con la testa. «Niente male per un piccione troppo cresciuto.» scherzò, provocandolo. In realtà, si rese conto, gli dava molta più soddisfazione provocare la versione horror di Kazama piuttosto che quella moscia e dagli occhioni da mucca triste.

Il suo sguardo corse alle ali appena aperte, di quel nero lucidissimo che gli ricordava la liquirizia.

Decisamente, gli dava più soddisfazione.

Scosse la testa a quel pensiero. Stava forse impazzendo?

Infuse più forza nei suoi calci, più rabbia, tanto che iniziò a urlare senza rendersene conto. Ma cosa stava davvero combattendo, Kazama o se stesso? Peccato che le precedenti ventiquattro ore gli piovvero addosso come uno schiaffo gigantesco.
Il caldo, il sudore, la moto impantanata, le ore di viaggio, il poco ritegno che aveva avuto verso le proprie necessità umane quali mangiare, bere, lavarsi… lo avvolsero e lo stritolarono come un enorme serpente affamato.

Hwoarang barcollò, la vista macchiata di nero.

Stranamente, il piccione non ne approfittò: restò a osservarlo, le iridi bianche come la luna seguivano ogni suo minimo movimento, quasi lo scavassero dentro, quasi potessero controllarlo.

«Attaccami, stronzo! Combatti! Non restare lì impalato come un coglione. Beh, insomma…» gli inveì contro, salvo ricordarsi che aveva usato il termine sbagliato per offendere il suo nemico giurato, proprio mentre questi gli si stagliava contro senza nemmeno uno straccio addosso.

Hwoarang si piegò in due per riprendere fiato. Non era assolutamente nelle condizioni per stare in piedi, figuriamoci per combattere Kazama munito di corna e ali e… e altre cose. Eppure quello continuava a tacere, a limitarsi a tenerlo d’occhio.

«La tua forza vitale sta svanendo, umano. Non sei in grado di fermarmi. Ti conviene sparire. » suggerì il piccione, nessun’inflessione nella voce profonda. Mentre la vista gli si offuscava, si ritrovò a pensare che quella era davvero una gran bella voce, non sarebbe stato male se l’avesse impostata come suoneria del suo telefono… ah… lui non aveva un telefono… avrebbe dovuto rubarne uno in qualche negozio…


L’umano crollò sui folti tappeti. Sarebbe potuto sembrare morto se non fosse per l’invitante odore di vita, pulsante nelle narici del demone.
In altre occasioni, Devil Jin si sarebbe vendicato per quell’intrusione e, soprattutto, per il furto dell’acqua, ma l’afa lo aveva privato di quella verve per cui si limitò a scrollare le spalle e riprendere la sua ricerca.

Aveva ancora sete.

Un gemito attirò la sua attenzione. Si girò per osservare il corpo madido di sudore dell’umano. Che buffo colore di capelli. Qualcosa nel modo in cui gemeva lo indusse ad avvicinarsi e ad inginocchiarsi. Quello sciocco essere aveva sfidato gli elementi e ora ne pagava le conseguenze: l’insolazione poteva essere brutale e Devil Jin aveva conosciuto abbastanza il sole per imparare a rispettarlo.

Ora, l’umano poteva anche morire. In fondo, era stato lui a cercarlo e a sfidarlo. Però… quel viso… Devil Jin si lasciò andare a uno sbuffo di noia. Odiava quella parte di sé, quella contro cui era sempre in lotta, quella che lo spinse a rovesciare tutte le brocche sugli scaffali per rinfrescare l’umano riverso bocconi sul pavimento.

L’uomo si agitò e socchiuse appena le palpebre. «Non ho ancora finito con te, Cornuto di Stocazzo…» lo avvisò. Devil Jin gli tenne il mento tra indice e pollice affinché focalizzasse meglio. Lo fissò con gli occhi che erano fiamme bianche.

«Ascoltami bene, umano. Questa volta ti lascio vivere ma, se mi cercherai ancora, non sarò così benevolo. » minacciò. Inarcò un sopracciglio scuro quando vide un sorriso stanco sbocciare, già appassito, sulle labbra secche del rosso.

«Non sei per niente minaccioso con quell’affare tra le cosce, Piccione. Spiacente deluderti, ti cercherò. Eccome se ti cercherò…» rispose per poi chiudere gli occhi e abbandonarsi a un gemito di dolore.

Devil Jin sentì il sangue ribollirgli nelle vene, incerto tra il volere troncare subito la ricerca del buffo essere o lasciarlo a friggere sotto il sole cocente. Scosse la testa e gli lanciò un’ultima occhiata incuriosita prima di uscire dal bazar ancora deserto.

Era tempo di lasciare quell’inferno. Sorrise mentre spiccava il volo, stranamente saturo di energia.



*****


Angolo Autrice
Mi sono fermata prima che questa cosa prendesse una brutta piega. Ma andiamo… quel prologo e quell’ending… si poteva fare moooolto meglio, cara namco. E invece… sempre al solito punto morto… triste.
Chi sta schiattando di caldo? Sono l’unica a sudare mentre scrive?
Baci, Angel

  
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