Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover
Segui la storia  |       
Autore: battleforabsolution    24/07/2017    0 recensioni
L'amore è una dannazione a tempo indeterminato, e nonostante questa consapevolezza la gente lo cerca ossessivamente, affannandosi in ogni luogo e cercandone segnali in qualsiasi persona.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
DISCLAIMER: Il presente scritto ha per protagonisti personaggi di fantasia. Ah no, aspetta. Il presente scritto ha per protagonisti persone reali con ragionamenti di fantasia. Le vicende narrate sono frutto delle menti sadiche e incontrollabili delle due autrici e figuriamoci, niente guadagni. Grazie al cielo, non vi è alcun intento di verità, neanche lontanamente. Nessun intento offensivo e nessun diritto legalmente tutelato si intende leso. Have fun. Cheers.


 
CAPITOLO 5

 

Mi è capitato spesso di vedere, leggere o sentire parlare di gente che quando ha un problema qualunque inizia a vagare senza alcuna meta per le strade della propria città, incurante di qualsiasi avversità climatica e senza minimamente degnarsi di ipotizzare l'esistenza della cognizione del tempo. Dico io, ma questi, dove cazzo vanno? Come suppongono di trovare una soluzione ottimale a ciò che non funziona, non si può accettare o non si riesce a concepire camminando sull'orlo dell'indefinito? Per l'appunto, il motivo per cui sto emulando questo comportamento chiaramente assurdo non è un'ipotetica ricerca della validità di questa specie di trattamento di base per questioni apparentemente sconnesse, no. E' soltanto perché mi sono rincoglionito. Semplice e lineare, come tutto ciò che non si addice alla mia natura.

Sto seguendo un percorso asfaltato che qualcuno ha tracciato molto tempo fa, concretizzando quella che prima era una mera possibilità di indirizzarne la direzione a proprio piacimento. Il vialetto su cui cammino lentamente non è considerato oggi dai pedoni che sembrano preferire quella che è considerata dalla società necessità indispensabile, nonostante sia una stupida scatola supportata da quattro ruote che si muove parallelamente a propri monotoni simili nello spazio in cui sembra fluire la vita. E tu, caro Matt, tu hai scelto di piazzarmi al bordo della tua esistenza, lasciandomi avanzare solo, per di più senza alcuna consultazione. Hai deciso per entrambi, mi sei scoppiato come una bomba tra le mani senza curarti del dolore che avresti inferto, ma è arrivato il momento di emergere dalla nebbia in cui mi hai gettato. Io, Brian Molko, frontman dei Placebo, nel bel mezzo del nulla ad attedere il ritorno di "Bellamy dei Miuzzz". Lancio una sberla immaginaria a qualunque pensiero ti riguardi, mentre mi avvicino al riflesso delle finestre ampie ma discrete della tavola calda in cui mi concedo ogni tanto uno spicchio di tranquillità e raggiungo il mio abituale angolo del locale.

Il salone che sembra nutrirsi della luce fioca è raccolto, ma la lontananza reciproca dei vari tavoli consente di godere comunque di un gradevole livello di spazio personale.
- Il solito, Signor Molko? - mi interroga una voce ferma condensata di estrema gentilezza.
- Si Abbie, grazie. - rispondo, ricambiando un sorriso confidenziale con un'emulazione di espressione sorridente stanca ma ugualmente sincera. - Possibile che dopo anni tu ancora non sia stanca di domandarmelo? -
Si allontana ridendo, forse consapevole del fatto che è una delle rare persone a cui sono grato per la costante discrezione nei confronti della sfera privata che il precedentemente menzionato "Brian dei Placebo" non lascerebbe intravedere e non ammetterebbe mai di avere. Sto respirando più familiarità qui che nella casa che mi sono comprato, penso.
Dedico al mio pranzo una durata temporale più ampia del dovuto, ma non ho fretta nè rimorsi nei confronti di alcun impegno precedentemente fissato. Ci ha pensato quell'anima benedetta di Stef, sia santificato quello svedese, a sorbirsi l'ennesima riunione che la nostra manager cerca di imporre quando non è impegnata a spingermi letteralmente a calci in studio per farmi lavorare sul serio. Mentre verso il restante contenuto della bottiglia d'acqua nel bicchiere cerco di evitare la tentazione di porre fine in qualsiasi modo all'incessante vibrazione e all'inquinamento acustico che il cellulare sta causando dal lato opposto del tavolo. Attendo con pazienza che cada e possibilmente si distrugga, ma a quanto pare nemmeno questo orrore elettronico è mosso dalla pietà di agevolarmi il sistema nervoso. Mi allungo con esasperata lentezza fino ad afferrarne l'estremità, giusto per ruotarlo un po' ed entrare a conoscenza di chi è il fortunato che desidera essere mandato a fare in culo oggi. Due chiamate senza risposta ed un messaggio. Leggo il nome del mittente per sfizio, non perchè ne abbia davvero bisogno. Con totale assenza di stupore, notifico che Bellamy è sul serio convinto del fatto che dato che non rispondo, scrivere "Brian, ti sto chiamando" sia l'esorcismo adatto a farmi comprendere che se il telefono squilla non è perché è primavera, che l'uso del nome proprio è un rafforzativo utile a qualcosa e che se il tuo uomo - o qualunque cosa sia - sta evitando le tue chiamate da giorni, basta un messaggino scrauso per compiere il miracolo del perdono, non un trapianto di cervello.
"Hai rotto i coglioni, Bellamy.", lo informo mentalmente mentre porgo sovrappensiero ad Abbie le stesse banconote di sempre.

Lascio che i miei occhi piroettino liberamente tra diversi ripiani colmi di libri mentre fingo di non avere idea di cosa sto cercando. Non ho praticamente mai desiderato esperienze consuetudinariamente considerate normali, volevo fuggire dalle convenzioni, l'ho fatto fin dal momento in cui ho sentito l'impulso di vivere in funzione delle mie aspirazioni ed ho lasciato il passato che mi urlava dal ciglio della porta che non avrei mai combinato un cazzo a Londra. A quanto pare le migliori decisioni compiute nella mia vita sono sempre state associate alla combinata rifiuto e partenza, fisici o morali che fossero. Sempre, ma fino a quando dura "sempre" non posso dirlo con esattezza. E se ci si mette una piccola parolina composta da tre lettere davanti che si crede evidentemente megalomane fino ad identificare l'infinito, ci credo ancora meno.
Se c'è qualcosa che ho sempre saputo, però, è cosa cercavo. Mentre proseguo nella mia ricerca sfioro libri i cui titoli suggeriscono chiaramente contenuti riguardanti la sfera delle storie d'amore sdolcinate, dal consueto finale romantico della misericordia che accade perchè i due che si erano fidanzati e poi mollati si rivedono dopo cinque anni durante una crociera con destinazione Australia perchè il ragazzo voleva fotografare i canguri e la ragazza contare le palme. E lì di fianco, proprio alla destra dell'ultimo volume della sezione, dovrebbe esserci un bel racconto in cui c'è Bellamy, che ha insultato e mandato all'aria 40 anni di orgogliosa adeguata distanza da qualunque tipo di clichè, che mi fa incazzare per avermi trasformato nell'idiota che non sapeva della relazione segreta dell'altro. Se mi avessero mai riferito che sarei arrivato a questo punto, avrei dubitato della capacità intellettiva dell'informatore di turno di distinguere un palese vanto di diversità quale mi sono sempre professato io rispetto alla massa.

Impongo al mio cervello di smetterla di inviarmi impulsi che non producono altro effetto che nervosismo inutile e mi reco al banco della libreria per acquistare il mio nuovo compagno d'avventura serale. L'espressione che si dipinge lentamente sul viso della ragazza che mi saluta cordialmente suggerisce che forse, per quanto poco possa concedermi la libertà di dedurre, come me ne ha già sfogliato le pagine. Lascio che il mio sguardo indulga un battito di secondo oltre l'attenzione che riservo normalmente a persone che non ho ragione di voler conoscere per cogliere qualche dettaglio in più. Sorride senza forzatura, l'impiego sembra piacerle abbastanza, lo smalto è leggermente sbeccato, i capelli sono in ordine, non sente il bisogno di trascinarsi la stessa aria annoiata e vagamente irritante che ho voluto incollare alla mia immagine.
- Anche lei lo ha letto? - chiedo, domandando contemporaneamente a me stesso il motivo della mia inusuale curiosità. Non amo molto le domande e non sono spesso interessato a porle, in compenso me ne faccio troppe.
La ragazza tradisce una lieve sfumatura di stupore che viene subito celata e sostituita da uno sguardo diverso, che punta all'identificazione di qualcosa. Ne intercetto il significato, riconosco quel tentativo di guardare oltre la superficie degli occhi.
- In effetti l'ho letto, si. -, afferma mentre smette di cercare un sacchetto adeguato alla ridotta dimensione del libro. Osserva il proprio interlocutore mentre parla, sia anche per un breve istante. - E' una lettura un po' impegnativa, abbastanza forte in realtà, una volta che ci si aggiusta un po' alla tematica si smette di reggere soltanto qualche pagina alla volta, ma alla fine ne vale la pena. - Occhi verdi e matita nera riflessi in occhi verdi e matita nera.
- Più semplice non è più bello. - rispondo sbuffando un sorriso divertito privo di impertinenza ricordandomi che, a causa di motivazioni evidentemente diverse, avevo incontrato difficoltà dello stesso genere. Stavo quasi per coinvolgere le mie attività mentali pensando seriamente a cosa potrei farmene dell'applicazione di questo principio alla mia vita sentimentale, ma no, Bellamy, te lo ripeto, levati cortesemente dalle palle, non è educato interrompere mentre sto dialogando con una persona che non sembra assurda quanto te.
- Assolutamente.
- Vediamo.. - fingo di esitare, avvicinando teatralmente l'indice alla bocca rendendo palese la mia professionalità quando si tratta di polso molle e aria innocente. - Se mi sa anche dire se Jesus Son è scritto sotto forma di romanzo oppure di piccole storie, potrei iniziare a pensare sul serio che ci si è immersa anche lei, in questo libro.
Ride con sincerità, abbassando leggermente il viso. Forse ha qualche piccola mancanza di autostima. Non dovrebbe, affatto. Una bella maschera di cera e si risolve tutto, non è forse così?
- Undici piccole storie. - risponde senza esitazione.
Bellamy avrebbe impacchettato la domanda con malagrazia e l'avrebbe spedita al luogo di destinazione di tutte le cose di cui non gliene può fregare un cazzo. "L'importante è la sostanza, non la forma!", asseriva convinto il pulpito da cui viene la predica.
- Ne è proprio convinta? - ribatto, stiracchiando le lettere per acuire il senso di provocazione.
Bellamy mi avrebbe guardato come osserva la gente che gli domanda l'ordine corretto di uscita dei propri singoli. Per l'esattezza, avrebbe impostato involontariamente il suo visetto spigoloso nella modalità "Ah, ma dovrei saperlo? Cosa chiedi a me a fare?". Sarebbe capace di inciampare anche stando seduto. Lei mi osserva divertita.
- Più o meno come sono certa che lei è davanti a me, dice che è una certezza sufficiente? -
Possiede sarcasmo, ma non sfiora l'ironia sprezzante. Una dote che amo e la seconda che possiedo.
Bellamy, ad esempio, avrebbe..
- Le va mica un caffè? -  

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover / Vai alla pagina dell'autore: battleforabsolution