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Autore: smarsties    25/07/2017    2 recensioni
Brick non era un eroe, non lo sarebbe mai stato. Sacrificarsi al posto di qualcun altro era, secondo il suo punto di vista, buonista ed estremamente idiota.
E c’era anche un altro motivo, per il quale non sarebbe mai stato un eroe. In tutti i film e i fumetti che conosceva, gli eroi vincevano sempre e tornavano a casa dopo una dura missione, dove i suoi cittadini lo attendevano per acclamarlo ed organizzare una festa in suo onore. Gli eroi non morivano.
E Brick era morto.
[Brick/Jo - major character death]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brick, Jo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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“ hero ”

 

Jo aveva sempre detestato il carattere di Brick, specie quel suo lato leale e coraggioso. Era sempre pronto a mettere gli altri prima di sé, indipendentemente da cosa ci avrebbe guadagnato nel farlo: non gli importava il ricavato, quanto il benessere del prossimo. Avrebbe preferito morire, piuttosto che non poter aiutare un suo amico o tradire la sua fiducia.
Se, poi, si univa tutto quello ad un eccessivo patriottismo e devozione assoluta al codice d’onore, la cosa non poteva che peggiorare. Probabilmente - Jo l’avrebbe giurato con assoluta certezza - il suo più grande sogno era poter fare qualcosa di concreto per la sua nazione. Ma non per avere un riconoscimento, solo per aiutare, per compiere un gesto significativo che, magari, avrebbe portato al benessere collettivo.
E questo pensiero si mutò in realtà quella sera, quando Brick le aveva annunciato che si era appena arruolato volontario nell’esercito e che tra pochi mesi sarebbe partito per la guerra.
«Beh, ci siamo».
Brick poggiò a terra una sacca verde e si aggiustò le pieghe della giacca militare. Jo, forse ancora per metà immersa nei suoi pensieri, lo fissava con le braccia conserte, ferma sul ciglio della porta d’ingresso. Da quando si era svegliata quella mattina, fino ad allora, aveva pronunciato sì e no due parole. Era ancora arrabbiata.
«Non mi dici niente?» azzardò, notando il suo cipiglio.
«Lo sai cosa penso» ribatté secca, la voce rauca poiché era stata in silenzio a lungo.
Lo vide roteare gli occhi. Sapeva bene quale fosse il motivo del suo turbamento.
Quando le aveva comunicato della sua decisione, Jo aveva avuto una reazione spropositata: aveva cominciato ad urlargli contro le peggio parole, ribadendo più volte che prima di prendere una decisione del genere, avrebbe dovuto confrontarsi con lei. Infine, aveva aggiunto che non avrebbe mai permesso che il suo fidanzato si imbarcasse in una missione da cui aveva le possibilità di non uscire vivo.
Dopo un’accesa discussione - in cui Brick sottolineò di essere un adulto e, avendo un cervello suo, di poter decidere lui in merito alla sua vita - Jo si era alzata e si era allontanata a grandi passi verso la camera da letto. Poco prima di sbattersi la porta alle spalle, il ragazzo la sentì gridare una frase che, a distanza di tempo, lo feriva come una spada in pieno petto: «Per tua informazione, arruolarti nell’esercito non ti renderà l’eroe che hai sempre sognato di essere! Poco importa se vivi o muori, nessuno si ricorderà di te!»

Eroe. Quella parola gli rimbombò in testa, nei mesi successivi.
Brick non era un eroe, né desiderava esserlo. Ed era troppo umile per definirsi tale. Voleva solo aiutare, dare una mano. Tutto qui.
Eppure il modo in cui Jo aveva pronunciato quella parola gli rimase impresso, quel tono sdegnoso e tagliente quasi lo ferì.
In quei mesi aveva osservato Jo. Era diventata più fredda e cinica del solito, a tratti apatica, e spesso si rifiutava di parlargli o di trattenere con lui un semplice contatto visivo. E Brick non capiva, non capiva il motivo di tanta ostilità o, semplicemente, la ragione per cui non lo sostenesse in quella sua scelta.
Il suono di un clacson interruppe il silenzio. Il furgone, pieno di reclute come lui, che l’avrebbe portato all’aeroporto, era arrivato.
«Quindi, è tutto qui» disse, e la frase suonò più come un’affermazione piuttosto che come una domanda. «Non hai altro da aggiungere».
Le sue labbra rimasero serrate e il volto impassibile. Era come se lo stesse pregando di andarsene. Meno avrebbe parlato, meno lei avrebbe sofferto.
Ma quando si voltò e le sue labbra si schiusero, pronte a pronunciare il fatidico addio, la sua mano lo bloccò e lo costrinse a guardarla. Di nuovo quello sguardo.
Lo stesso sguardo che aveva dato delle risposte a Brick. Era così ovvio: Jo non voleva perderlo, ma, piuttosto che ammetterlo, avrebbe preferito nuotare in acque infestate da piranha e squali.
Peccato che, alle volte, i suoi occhi parlassero per lei e che il ragazzo, a distanza di tempo, avesse imparato a decodificare i suoi pensieri, più simili a dei rompicapi.
«Resta vivo» sillabò la donna, la mano ancora sulla sua spalla.
Per la prima volta nella sua vita, Jo risultò fragile. I suoi sentimenti erano finalmente venuti a galla.
Brick accennò un sorriso. Davvero quella ragazza l’amava così tanto?
«O con lo scudo, o sopra di esso(1)» disse con tono piuttosto amareggiato, ostentando tutto il suo onore da militare.
Lei sollevò un sopracciglio, l’espressione a dir poco contrariata. Aveva detto qualcosa di sbagliato.
Forse, pensò, avrebbe dovuto evitare di burlarsi della sua vita, dal momento che era seriamente a rischio.
Si sarebbe aspettato di tutto, tranne quello. Jo gli prese il viso fra le mani e gli stampò un fugace bacio sulle labbra. Prima che potesse realizzarlo, si era già allontanata e le sue braccia erano incrociate davanti al petto.
«Resta vivo, soldato» ripeté, abbozzando un sorrisetto sbilenco, quasi strafottente. «Perché, se oserai farmi qualche brutto scherzo, potrei seriamente risuscitarti per il solo gusto di ammazzarti con le mie stesse mani».
Ridacchiò. Eccola lì la sua Jo, la ragazza di cui si era innamorato.
«Farò del mio meglio» promise. E, ne era certa, egli era sincero.
Il ragazzo si staccò una collanina dal collo, alla quale era affisso una specie di ciondolo. Quella era stata la sua prima piastrina militare, sapeva quanto lui ci tenesse.
«Voglio che l’abbia tu » disse, porgendole con galanteria la catenella. Sapeva quanto Brick ci tenesse, era il suo portafortuna. «Così avrai un ricordo di me, comunque vada».
Jo non disse nulla, si limitò a stringere il dono fra le mani. Non era troppo incline a lasciarsi andare in romanticherie. E, in fondo, non c’era nient’altro da aggiungere.
Il ragazzo accennò un saluto militare e, dopo essersi voltato, percorse a testa alta il vialetto di casa.
Jo lo vide salire sul furgone, che ripartì pochi secondi dopo. Lo seguì con lo sguardo fino a che scomparve dietro l’angolo. Rimase a fissare l’orizzonte per un po’, poi rientrò in casa.
Per la prima volta dopo settimane, si sentì il cuore più leggero. Quel giuramento l’aveva rasserenata. In fondo, Brick aveva sempre mantenuto fede ad ogni suo patto.

 

***

 

E invece non fu così. Brick aveva mentito.
Dopo due lunghe, eterne settimane, Jo riuscì finalmente a trovare il coraggio di andarci da sola.
Era un uggioso pomeriggio di ottobre, le nuvole minacciavano pioggia e il cimitero era più spoglio e desolato del solito. Non una sola persona o anima vagava per quelle tombe, fatta eccezione per lei.
C’era stata una volta sola, ma ricordava perfettamente quale fosse la strada che l’avrebbe portata da lui.
Svoltò un’altra volta a sinistra e, circondata da altre lapidi dannatamente uguali, ecco la sua. Brick McArthur.
Quel nome era scritto in stampatello, in modo fin troppo vistoso, lo riusciva a anche da un’ampia distanza. Sotto, in caratteri più piccoli, la data di nascita e quella di morte.  In cima, come tocco di grazia, capeggiava la sua foto.
Jo aveva un nodo alla gola.
I capelli ebano, gli occhi del medesimo colore e quel sorriso. Era felice, forse come non lo era mai stato.
Quella foto gliel’aveva scattata lei. L’anno scorso, a Natale. E questo faceva ancora più male.
All’improvviso le tornarono in mente le immagini sfocate del funerale, il giorno peggiore della sua vita.
Non aveva mai visto una cerimonia così sfarzosa e solenne. Aveva odiato tanto clamore, perché sapeva per certo che lui non l’avrebbe voluto. Desiderava una celebrazione intima, gliel’aveva detto agli inizi di aprile, un paio di sere prima che partisse per il fronte. Jo aveva fatto finta di non ascoltare.
La chiesetta era ricolma di soldati, che piangevano la scomparsa del loro adorato commilitone. Un sacco di persone in uniforme avevano speso per lui parole sincere, di profonda stima, intrinseche di profonda tristezza per aver perso una persona tanto onesta e leale.
Anche Jo avrebbe dovuto tenere un discorso, ma non ce la fece: la visione del corpo morto di Brick, steso in quella bara di legno, con addosso la sua amata divisa, l’aveva distrutta. Decise, perciò, di rimanere al suo posto, mentre di tanto in tanto qualche invitato le porgeva le proprie condoglianze. Erano tutti a conoscenza del fatto che fosse la sua fidanzata - o magari sarebbe più corretto dire ex.
Ma c’era una scena che le sarebbe rimasta impressa per sempre. Mentre la cassa veniva seppellita, le si era avvicinata uno di quei soldati, un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquanta e con i capelli brizzolati, che si presentò come il sergente maggiore e che, a quanto pareva, conosceva bene Brick.
«Era un ragazzo coraggioso» aveva detto, mentre i suoi occhi erano fissi verso la bara. «Pensi, ha dato la sua vita per salvare un suo commilitone. Ha preso un proiettile dritto nel polmone sinistro al posto di un altro. Un vero e proprio eroe».
Di nuovo quella parola.
Jo era schiumante di rabbia.
Brick non era un eroe, non lo sarebbe mai stato. Sacrificarsi al posto di qualcun altro era, secondo il suo punto di vista, buonista ed estremamente idiota.
E c’era anche un altro motivo, per il quale non sarebbe mai stato un eroe. In tutti i film e i che conosceva, gli eroi vincevano sempre e tornavano a casa dopo una dura missione, dove i suoi cittadini lo attendevano per acclamarlo ed organizzare una festa in suo onore. Gli eroi non morivano.
E Brick era morto.
«Beh, eccomi qui» cominciò Jo, dopo essere stata in silenzio, davanti alla lapide, per un periodo indeterminato. «Ciao, Brick. Immagino che ti aspettassi una mia visita».
Parlava alla foto. Fissava quell’immagine e cercava di non far riaffiorare ricordi felici.
Ricorse a tutta la sua freddezza.
«Sai, mi hanno raccontato la tua storia. Di come sei morto» sillabò; il tono di voce tremolò un po’ alla fine. «Dicono che ti sei sacrificato per non far morire un tuo compagno. Estremamente onorevole da parte tua. Quindi, penserai che io sia qui per congratularmi con te e che non sia mai stata più fiera di te» fece una pausa e poi aggiunse, cercando di contenere l’ira: «Niente di più sbagliato».
Inghiottì la saliva. Si sentiva come se stesse per vomitare da un momento all’altro.
«Credo di non averti mai odiato così tanto in vita mia. Probabilmente, se fossi qui, ti prenderei a calci fino a quando non sanguineresti» disse e sul suo viso occhi si poteva tutto il disprezzo. «E sai perché? Perché mi avevi giurato che saresti tornato vivo e non in una cazzo di bara. E invece hai preferito mettere il bene di un altro prima del tuo. L’hai sempre fatto e stavolta ti è costata la pelle».
«Sarai felice, adesso» disse ancora, dopo un paio di respiri profondi. «Sei morto e hai avuto il tuo quarto d’ora di popolarità. La gloria che hai sempre desiderato. Tutti ti osannano ad eroe. Ma sai una cosa? Non lo sei. Presto ti dimenticheranno, così come tutte queste persone», e si bloccò per aprire le braccia, indicando le tombe accanto, «sono state dimenticate da chi a malapena le conosceva. Possono aver fatto le cose più strabilianti di questo mondo, ma ora sono solo cenere sotto terra. E lo stesso vale per te. Nessuno ricorderà le tue gesta fra un paio di anni. Hai fallito, soldato».
Sentiva qualcosa pizzicarle agli angoli degli occhi. Doveva trattenersi.
Prese un oggetto dalla tasca della felpa: la piastrina che gli aveva regalato prima di partire. Era il suo portafortuna. Chissà, magari se l’avesse tenuta lui, ora sarebbe ancora vivo e la ragazza non si troverebbe ad urlare termini dispregiativi al vento.
La gettò con tutta la violenza sul suolo, in corrispondenza di dove sapeva esserci il suo corpo.
«Riprenditi il tuo stupido regalo, non lo voglio più» sputò con rabbia. «Butterò via ogni cosa che mi ricorderà di te, fino a quando non rimarrà niente».
E, all’improvviso, cadde sulle sue ginocchia. Poggiò una mano sulla fredda lapide di pietra e chinò la testa verso il basso. Urlò a gran voce tutta la sua frustrazione e il suo dolore, urlò come non aveva mai fatto prima d’ora, e subito sentì lacrime di rabbia che, copiose, le solcavano le guance rosee.
«Solo per il codice d’onore. L’hai fatto solo per quel fottutissimo codice d’onore. L’hai fatto perché non puoi evitare di fare il paladino per un solo minuto. E ti odio per questo».
L’altra mano corse subito sul suo volto, con l’intento di asciugarsi le lacrime ma, più si sfregava gli occhi, più quelle uscivano abbondanti.
Batté entrambi i pugni sul terreno e strappò via qualche ciuffo d’erba. Il suo corpo era scosso da singhiozzi, che uscivano incontrollati dalla sua bocca.
«Ti odio perché non hai mantenuto la parola. Ti odio perché hai salvato uno sconosciuto, anziché salvare te stesso. Ti odio per il tuo eroismo e per la tua lealtà. Ti odio perché sei sempre stato una persona migliore di me. Ti odio perché non potremo mai avere la vita felice che ho sempre voluto».
Quelle parole erano scanditi da continui singulti, sempre più incontrollati. Non era mai stata così disperata per qualcuno.
«Ti odio, Brick. Non immagini quanto ti odi» mormorò, gettandosi sulla lapide, quasi a volerla abbracciare, e inondandola con le lacrime. «Perché hai dovuto farmi questo? Perché proprio a me?»
Non seppe mai Jo quanto tempo rimase così. Quando si ricompose era ormai calata la sera, le nuvole erano ancora più nere e il cimitero stava per chiudere.
Si alzò e si incamminò con passo strascicato verso l’uscita.
Aveva ancora le gote bagnate e il cuore era distrutto. E non sarebbe mai più riuscita a mettere insieme tutti i cocci.
Perché, quel pomeriggio, Jo aveva lasciato un pezzo di sé su quella tomba.
 

 

 

 

 

(1) Si tratta di un motto spartano che le madri dei soldati recitavano ai propri figli, prima che questi partissero per la guerra. In sostanza, dice che è meglio morire in battaglia in modo valoroso e tornare a casa sopra lo scudo, piuttosto che scappare dal proprio destino, e quindi vivere, e per questo essere etichettati dei codardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice
Ormai posto solo sporadicamente. Mi dispiace essere così assente, purtroppo per me è difficile sfornare in continuazione: scrivo solo quando ho una buona idea.
Come questa, per esempio.
Sì, lo so, è un prompt usato e riciclato più volte, ma non ho potuto fare a meno di scriverci qualcosa sopra. E, a darmi l’ispirazione, è stata una fan art - che, purtroppo, non sono riuscita ad inserire perché il mio computer fa schifo.
L’avevo trovata un po’ di tempo fa e ho deciso di salvarla, intenzionata a ricavarci una storia. Avevo abbozzato a mano una prima stesura, ma non mi piaceva e quindi l’ho lasciata perdere. La settimana scorsa ho ritrovato la fan art e gli appunti. Li ho aggiustati ed è uscito fuori questo. Dopotutto, sono abbastanza soddisfatta.
Ho qualche dubbio per la caratterizzazione di Jo nella parte finale. Ho sempre pensato che fosse un personaggio forte, a tratti meschino e tendente a mascherare le sue emozioni. Ma, chissà, magari l’amore potrebbe cambiarla!
Spero di non essere caduta nell’OOC - ormai questa frase la ripeto in tutte le mie .
È tutto. Fatemi sapere il vostro parere per recensione, ci tengo.
Vorrei tornare sul con una long, ma al momento non ho idee e non voglio impormi troppi obiettivi, altrimenti non riuscirei a mezza pagina di documento Word. So solo che sarà totalmente diversa da La Storia Inversa - di cui, per inciso, vorrei un epilogo -, più matura.
Fino ad allora, vi mando un abbraccio virtuale.

Hayle xx

  
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