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Autore: _unknown_    27/07/2017    3 recensioni
[Storia partecipante al contest Memorie impresse su specchi rotti indetto da AriaBlack e Marina Swift sul forum di EFP]
L’infinità di una sola lentissima notte trascina Sharon nei meandri più profondi dei suoi pensieri. Ricordi lontani come appartenuti a una vita precedente, ma al tempo stesso chiari e distinti nella sua mente, nel suo cuore. Momenti di lacrime, di sorrisi, di rabbia, di rassegnazione: così intensi da trascinarla in un vortice impetuoso da cui non può e non vorrebbe tirarsi più fuori.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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angolo me
salve a tutti! Finalmente approdo con la mia prima storia su questa sezione che amo e che fino ad ora mi ha vista solo come lettrice! ringrazio le autrici del contest e vi auguro buona lettura!
_unk_
 
Nickname: _unknown_ (su Efp); Unknown_ (sul forum)
Titolo:
Tra le lacrime, la pioggia. Tra i ricordi, la speranza.
 
Personaggi e Pairing: Sharon Rainsworth e Xerxes Break; Sharon/Xerxes.
Rammarico scelto:

 

Break è morto e Sharon non può non sentire la sua mancanza, non può non rimpiangerlo. Pur sapendo che il tempo di Mad Hatter fosse agli sgoccioli non è riuscita a realizzarlo e così facendo non ha avuto modo di dirgli tante cose, non ha avuto modo di salutarlo per sempre.
 
Introduzione:




 
L’infinità di una sola lentissima notte trascina Sharon nei meandri più profondi dei suoi pensieri. Ricordi lontani come appartenuti a una vita precedente, ma al tempo stesso chiari e distinti nella sua mente, nel suo cuore. Momenti di lacrime, di sorrisi, di rabbia, di rassegnazione: così intensi da trascinarla in un vortice impetuoso  da cui non può e non vorrebbe tirarsi più fuori.
 
Note dell’autore:








 
per questa storia mi sono ispirata non solo alla richiesta del contest, ma anche al titolo della competizione stessa. L’idea dello specchio rotto la mia mente l’ha ricollegata a quella del frammento. Per questo motivo la storia sembra muovere proprio dai vari frammenti della memoria di Sharon. Frammenti scomposti (in parte inventati da me e in parte tratti dal manga), che non necessariamente sono tenuti a seguire un ordine cronologico, proprio per rendere l’idea del flusso dei ricordi e delle memorie nel quale Sharon si lascia trasportare senza riserve.
Fatta questa precisazione non mi resta che ringraziare per l’opportunità e auguarvi una buona lettura!
 


















 


Tra le lacrime, la pioggia. Tra i ricordi, la speranza.

 
La pioggia batteva lenta sulla finestra di camera sua. Si rigirava senza sosta nel morbido e ampio letto matrimoniale, una piazza vuota, ancora una volta.
Distrattamente si voltò a guardare l’orologio appeso sulla parete che segnava che la mezzanotte era ormai passata da un pezzo. Di Reim non c’era neanche l’ombra. Non se ne stupiva dopotutto, del resto da quando Pandora si era sciolta erano cambiate così tante cose: lei era cresciuta, aveva sposato quel ragazzo buono e gentile che l’aveva sostenuta nei momenti più difficili e che in qualche modo aveva diviso con lei il suo dolore. Ma adesso lui era fuori città, a svolgere una commissione per conto dei Rainsworth e lei era sola tra le grandi stanze del loro palazzo, proprio nel suo giorno più doloroso.
Il cuore le palpitava nel petto, gli occhi erano già pericolosamente lucidi.
Sette anni quel giorno. Sette anni esatti senza il suo Break.
Non si meravigliava per niente del fatto che quella notte in particolare non si decidesse a prendere sonno; del resto, ogni anno era stato così. Le altre volte però non era mai stata sola. Reim si era sempre premurato che qualcuno in ogni momento del giorno e della notte le fosse stato accanto: era un ragazzo d’oro che si preoccupava sempre per gli altri e troppo poco di sé stesso. Sharon non avrebbe saputo dire se ce l’avrebbe fatta ugualmente senza di lui.
Quella volta però era stato diverso. Prima di partire l’aveva guardata intensamente, come a chiederle un consenso con lo sguardo e lei non aveva potuto dire di no. Voleva dimostrare a sé stessa di essere andata avanti, in un modo o nell’altro. Era sempre stata brava, però, a fare i conti senza l’oste.
Il tempo sembrava quasi essersi fermato appositamente per farla impazzire, scandito puntualmente dall’acquazzone che ora imperversava con forza. Un rumore incessante che a un tratto venne accompagnato da quello di un forte vento. Sharon immaginava già alla perfezione come stesse distruggendo e piegando al suo volere le piante di quel giardino tanto caro a sua madre che lo curava spasmodicamente, e a lei, che lì aveva vissuto alcuni tra i momenti più belli della sua vita.
Passò ancora qualche tempo a divincolarsi tra le coperte leggere,  per poi alzarsi scalciandole lontano da sé, diretta a passo spedito verso la finestra.
Si arrestò di colpo davanti ad essa, poggiando una mano tremante sul vetro gelido e macchiato dall’esterno da quella pioggia impetuosa. Un sospiro involontario abbandonò le sue labbra, mentre i suoi pensieri, già sfuggiti al ferreo controllo, adesso scorrevano senza remore l’uno dopo l’altro.
Erano trascorsi già sette lunghi anni, ma nonostante tutto bastava un minimo di concentrazione per farle ricordare la dolorosa sensazione del corpo di lui a pesare sulla sua spalla, alla pelle che sfiorava il corpo, gelida e quasi vuotata di quell’ultimo bagliore di forza che per anni lo aveva tenuto in piedi.

 
“Io…non… voglio morire” un sussurro, un lamento con l’ultimo fiato rimasto, abbastanza potente perché lei lo sentisse e il suo cuore sobbalzasse, come se da un momento all’altro volesse spezzarsi.

                                                                              
La prima lacrima sfuggì al suo controllo, rotolando giù lungo il suo viso ancora forzatamente impassibile. Le mancava. Le mancava come l’aria e non c’era niente che avrebbe potuto cambiare le cose, lui era morto e lei era rimasta sola. Sola e contro tutti senza il suo Xerxes accanto a sé.
Scivolò lentamente sul pavimento accovacciandosi in un angolo, la mano che prima si poggiava sulla vetrata era diventata un pugno serrato contro di essa.
“Xerx-nii-San” sussurrò piano, ma la voce le si ruppe in un singhiozzo.
Ricordava ancora nitidamente il suo volto sfregiato e sorridente, il suo profumo di pulito e di dolciumi senza i quali dava di matto e si meravigliava di come il tempo non avesse cancellato quei ricordi così intangibili, ancora in lei così presenti. La forza di quelle braccia esili che mille volte l’avevano saputa sostenere e sorreggere, il tepore appena accennato della pelle bianca e liscia, il modo così singolare di sorridere, erano tutti dettagli che la memoria di lei si ostinava a non cancellare, rendendo più doloroso e piacevole il suo pesante fardello. Era cominciato tutto più di vent’anni prima, quando lei per caso lo aveva ritrovato e ricordava esattamente ogni istante di quel giorno, quella sensazione strana allo stomaco, quel desiderio di accogliere il suo tacito bisogno di aiuto.
La sua gola lasciò andare un nuovo, sconsolato sospiro.

 
Un rumore, come di un tonfo, poi il silenzio, e un gemito di dolore.
Alla piccola Sharon fu più che sufficiente per abbandonare sul tavolo la sua bambola di porcellana e correre verso il grande salone, in preda alla curiosità. Ciò che vide però non fece altro che spaventarla a morte. Un ragazzo immerso in un pasticcio di sangue, i vestiti logori, la voce roca e ridotta a un soffio. Lanciò un urlo terrorizzato per poi portarsi una mano alla bocca, convinta che quel gesto avventato le sarebbe costato caro. Ma quando vide l’uomo voltare appena il capo verso di lei, permettendole la vista di uno dei suoi occhi, ammutolì e, facendo dietro front, andò a cercare aiuto.
 

Serrò gli occhi con forza, raccogliendo ancora di più le ginocchia al petto. Faceva male confrontarsi con quel senso di vuoto che l’assaliva. La parte più ferita di lei voleva solo piangere fino a perdere il fiato e il dolore, ma quella più razionale cercava di imporsi con tutte le sue forze. Non poteva lasciarsi andare.
Break si era sempre prodigato affinché i suoi occhi non versassero neanche una lacrima. Lui non avrebbe mai voluto che lei soffrisse, men che meno per causa sua. E l’ultima cosa che Sharon avrebbe voluto fare era sempre stata deludere il suo Xerxes.
Era un rapporto strano il loro, bizzarro, inusuale, forse anche motivo di scandalo agli occhi altrui, ma a lei non era mai importato. Erano loro e niente di più. Eques e Mad Hatter. E non c’era niente che dovesse cambiare. Poi però tutto si era mutato senza che lei se ne accorgesse e potesse anche solo pensare di fare qualcosa per evitarlo.
Deglutì a vuoto a quel pensiero così angusto e portò lo sguardo ancora una volta fuori dalla finestra, dritto sul finimondo che stava accadendo appena qualche metro più in là. La pioggia batteva inarrestabile sul pavimento ghiaioso, si infrangeva tra le foglie e gli arbusti. Osservò a lungo quello spettacolo, stupendosi di come adesso tutto le risultasse così pulito e spoglio di ogni male. Poi tornò straziata a guardarsi dentro, nel suo oceano di dolore che più di ogni altra cosa avrebbe voluto purificare, e rispostò ancora lo sguardo verso la pioggia, stavolta senza guardarla davvero.

 
“Xerx-Kuuuun” la voce squillante di Sharon riecheggiò per tutto il giardino. Correva a perdifiato nel vasto prato che faceva da contorno a villa Rainsworth, tenendo saldamente la manina paffuta a quella della sua mamma che, riuscendo a stento a starle dietro, la riprendeva bonariamente, dicendole di andare più piano.
Individuò il suo traguardo nella figura dell’albino e, curvando le labbra in un grande sorriso, corse più forte per raggiungerlo. Quando gli fu davanti dovette fermarsi un secondo per riprendere rumorosamente fiato, sotto lo sguardo divertito di Shelly.
Gli occhietti vispi e radiosi si scontrarono poco dopo con il viso pallido dell’albino, in parte fasciato dalle garze bianche. L’unico occhio color rubino la osservava, velato e spento. La bocca serrata in una linea dritta. L’aspetto era afflitto e disilluso, forse un po’ troppo per i gusti della bambina.
“Guarda qui!” disse allegramente porgendogli un fiorellino giallo. L’uomo la guardò interdetto. “È per te, stupidino!” e subito egli sobbalzò, le guance tinte di un leggero rosa, perfettamente visibile sulla pelle diafana. Shelly scoppiò in una fragorosa risata.
“Sei proprio buffo” disse mentre col dito si asciugava una lacrima all’angolo dell’occhio. “Fai tanto il duro, ma basta una moina della piccola Sharon per renderti al pari di un tenero fratello maggiore”
Break voltò il viso verso i suoi piedi e la bimba non perse occasione per dare fondamento alle parole della madre.
“Sì! Un fratellone! Xerx-nii-San…sì mi piace!” disse saltellando, mentre aveva già afferrato i polsi del ragazzo che bofonchiava contrariato, per poi trascinarlo con sé a raccogliere altri fiori. Shelly li guardava da lontano con un grande sorriso sulle labbra.

 
Il rumore della pioggia riecheggiava nel silenzio assordante della stanza. A Sharon mancava il fiato. Prese un respiro profondo socchiudendo gli occhi. Avrebbe tanto voluto portare indietro il tempo a quel lontano giorno di primavera e poter ancora una volta stringere le mani di Break e sua madre.
Un sorriso amaro si fece strada tra le sue labbra. Era impossibile non ricordare quanto Mad Hatter si fosse legato a Shelly Rainsworth. Tra gli inservienti si mormorava addirittura di una relazione, ma Sharon non vi aveva mai badato. Aveva sempre preso in giro il fratellone Xerx per il modo in cui osservava imbambolato la sua mamma e forse per un periodo aveva anche sperato che sbocciasse davvero qualcosa in più. Era sempre stata una bambina precoce e sveglia, le era bastato un attimo per capire quanto lei fosse importante per lui.
Del resto, la sua mamma era amata e rispettata da tutti, era una donna dal sorriso gentile e lo sguardo sereno. E quando era andata via in un tremendo giorno di burrasca, niente era stato più come prima.
Da quel momento in poi Sharon aveva sempre odiato la pioggia; la temeva, perché aveva portato dolore, tristezza e un grande vuoto nel suo cuore, un atroce malessere, che, purtroppo, non aveva colpito solo lei.

 
“Signorina Sharon, la prego torni indietro, Break-San ha detto di non voler vedere nessuno” una voce implorante le giunse alle orecchie, ma lei non aveva nessuna intenzione di darle ascolto.
Continuò per la sua strada, le lacrime ad offuscarle la vista. La sua mamma non c’era più, dopo giorni di malattia si era addormentata per sempre, e lei era rimasta sola. Senza più nessuno a proteggerla.
Corse su per le scale, due gradini per volta fino ad arrivare alla sua meta.
“Xerx-nii-San…” disse singhiozzando, dopo aver spalancato la porta della camera di Mad Hatter.
Lo trovò seduto in terra, la schiena poggiata contro al letto. La stanza buia e a soqquadro. I capelli sparati in tutte le dimensioni, l’unico occhio buono a fissarla vacuo e senza vederla davvero.
“Per favore…io…” fu tutto ciò che riuscì a dire. Poi le parole gli morirono in gola nel vederla cadere sulle ginocchia e urlare disperata, milioni di lacrime a rigarle le guance.
Come mosso da una forza che non credeva di possedere gattonò verso di lei, chiuse la porta di camera sua e poi semplicemente e in silenzio la abbracciò. Lei si aggrappò alla sua spalla, piantando le unghie sulla stoffa della giacca. Urlò e pianse amaramente, mentre lui sospirava di tanto in tanto, passandole una mano tra i capelli arruffati, la mente, già in un mondo a parte, vagabondava disperata e senza una meta.
“Ojou-Sama” disse lui dopo chissà quanto tempo. Lei lo guardò con gli occhi ancora pieni di lacrime. “Shelly- Sama non avrebbe mai voluto vedere queste lacrime” e volse lo sguardo altrove. Sharon trasalì nel constatare quanto Break avesse ragione. Ma, semplicemente, non riusciva a smettere. La sua mamma non c’era più e lei…si sentiva così sola. Stringendo gli occhi si abbandonò completamente contro di lui. Pianse ancora un po’, stavolta in silenzio e più di una volta ebbe la sensazione che Break le stesse sussurrando parole di conforto, cullandola, ma impercettibilmente.
“Xerx-nii” lo richiamò all’attenzione lei mentre tirava su col naso, si scostò da lui per guardarlo in viso. “Tu rimarrai sempre accanto a me, non è così?”
Lo spadaccino intenerì lo sguardo e, poste le sue mani sulle spalle esili di lei, le accennò un sorriso, il migliore che il suo dolore al momento poteva offrire. Lei versò l’ultima lacrima, tornando tra le sue braccia, che adesso avevano preso a stringerla più forte.

 
Break però non aveva potuto adempiere alla promessa. Se n’era andato anche lui, alla fine. Non era rimasto con lei per sempre. Non era stato possibile e avrebbe dovuto immaginarselo in fin dei conti, ma il dolore c’era e ci sarebbe sempre stato; nessuno, neanche Reim, per quanto perfetto fosse, avrebbe potuto cambiare le cose.
Il senso di solitudine le attanagliava le viscere, impedendole il respiro. Si allontanò dalla vetrata, come se scottasse, strisciando sul pavimento. E fu quando urtò con un’ enorme cassettiera che il suo corpo sembrò muoversi in completa autonomia: prese a frugare, senza sosta dentro a quel mobile, come alla ricerca di un tesoro dal valore inestimabile e solo quando lo trovò il suo respiro cominciò a tornare normale.
Lo stringeva tra le mani, contenta di averlo trovato e solo dopo un momento infinito concesse ai propri occhi di vederlo. Una bambola di pezza, ma non una qualunque.
Emily era ancora impregnata prepotentemente del suo buon odore, come se fosse stata a contatto con lui appena il giorno prima. L’istinto stesso la obbligò ad affondarci dentro il volto ed inspirare a pieni polmoni: fragola, zucchero di canna e biscotti appena sfornati.
La conservava gelosamente in fondo ad un cassetto, per paura di rovinarla. Non se l’era sentita di seppellirla insieme a lui, per questo aveva deciso di tenerla, all’insaputa anche di Reim, insieme alla sua spada che aveva fatto mettere in un angolo del grande Salone, impedendo a chiunque di toccarla.
Osservò Emily con amarezza; se ne stava lì in silenzio e senza vita. Le mancava la sua vocetta stridula che la faceva sempre sorridere. Ma non era più possibile riaverla indietro. Se n’era andata insieme a Break.
 Sospirò ancora una volta volgendo lo sguardo verso l’alto, lo sconforto che lentamente aveva cominciato a possederla, dilagando nel suo cuore straziato.

 
“Ojou-Sama!”
sentì un suono ovattato giungergli alle orecchie. La testa le vorticava furiosamente, il respiro era affannato, il cuore palpitava con forza come profondamente offeso da quanto la bocca aveva ingerito. Quel verme di Vincent Nightray le aveva teso un’imboscata, e lei come sempre non aveva saputo difendersi da sola. Aprì stancamente le palpebre, inquadrando un’immagine sfocata del volto di Xerxes. Sentiva il suo odore pervadere la stanza sovrastando il terribile tanfo del veleno che già le aveva impregnato la pelle e i vestiti ed ebbe un attimo di sollievo prima di abbandonare la testa, pesante più di un macigno, sulla sua spalla.  
I suoni le giungevano distanti, non riusciva a capire cosa stesse accadendo e ogni suo sforzo non faceva altro che affaticarla sempre più. Si odiava. Come aveva potuto essere così stupida?!
Cercò di concentrarsi sui discorsi di Break e Vincent, il respiro d’un tratto più affannoso.
“Sonaglio… cento anni... ricordo… distruggilo.”
Parole sconnesse che unite al sussulto che il petto di Break aveva avuto, le resero lampante la gravità della situazione.
Non doveva assolutamente permettere che ciò accadesse.
“N-non essere stupido” fu un sussurro che disperatamente cercava di essere un urlo.

 
Arrossiva ancora a quel ricordo. Lui aveva saputo tirarla fuori dai guai, l’aveva salvata. Ma quella, si ritrovò a pensare con rammarico, non era che una delle infinite volte in cui l’aveva fatto ancora e ancora, andando contro il tempo, contro il mondo e contro qualsiasi cosa volesse impedirgli di mettere al sicuro la sua Signorina. Le piaceva molto credere che lui la vedesse così. Non glielo aveva mai detto, ma lei sapeva quanto le fosse legato. Era come se in lei vedesse una Shelly da proteggere a tutti i costi.
Per Sharon questo suo atteggiamento era sempre stato fonte di opposti sentimenti. Gli era riconoscente e grata e una parte di lei non poteva non amare quelle piccole attenzioni che solo lui le riservava. Ma al tempo stesso, ciò riusciva a darle i nervi: non avrebbe mai voluto risultare debole ai suoi occhi, lei voleva essere valorosa abbastanza per essere degna di stare al suo fianco. Voleva assomigliare al suo Xerx-nii, non farsi difendere da lui.
Un sorriso a metà tra il sereno e l’amareggiato si distese sul suo viso non appena davanti ai suoi occhi si proiettò un altro frammento della sua memoria dispettosa.

 
Break fu sorpreso di sentire la sua voce. Sharon come rinsavitasi, in uno sforzo sovrumano cercò di imporsi sul maggiore.
“B-Break non preoccuparti per me”. Mad Hatter biascicò un flebile “Ojou-Sama” incredulo, ma lei sembrò ancora più irremovibile.
“Non sei costretto a fare ciò che dice lui…” prese un respiro profondo cercando di incamerare aria in quei polmoni che bruciavano come l’inferno. “Questo è ciò che hai inseguito così a lungo… la verità sugli eventi di cento anni fa, il motivo per cui hai sempre vissuto!” terminò con un filo di voce, stanca come dopo una lunga corsa. Non voleva che Break sprecasse il frutto del suo duro lavoro per lei, piuttosto avrebbe preferito affrontare la morte che non aveva saputo evitarsi.
Mad Hatter la osservò in un religioso silenzio, come se volesse comprendere ogni singola sfaccettatura del suo pensiero, poi le sorrise, con una dolcezza che le fece pulsare il cuore ancora più forte e portandosela vicina poggiò leggero le labbra sulla sua tempia.
“Va tutto bene.” disse guardandola negli occhi.
Ciò che accadde dopo fu un turbinio di avvenimenti: Break distrusse il sonaglio proprio sotto ai propri occhi, per poi lanciarsi alla ricerca dell’antidoto. La tenne tra le braccia mentre portava la boccetta alle labbra. Sharon ne prese una lunga sorsata, sentendo poco dopo l’affanno svanire nel nulla così come dal nulla era arrivato. Le forze però non erano tornate e Break non ci pensò più di una volta a sollevarla dal pavimento su cui era stesa per portarla a Villa Rainsworth. A casa sua.

 
Una nuova lacrima le rigò la guancia. Ricordava alla perfezione di come avesse cercato di riprenderlo il giorno seguente per la sua sprovvedutezza che lo aveva portato a perdere un oggetto di così grande valore, pur di fare l’eroe. Ma le lamentele per quel gesto inaccettabile si erano risolte in un pianto disperato consumato sul petto caldo di lui. Sharon aveva così lasciato andare la paura, il dolore e il senso di colpa che le attanagliavano l’anima: si era lasciata crollare come un castello di carte di fronte a un alito di vento. Si era mostrata la debole e inesperta ragazzina di ventitré anni soltanto davanti al suo sguardo che mai l’avrebbe giudicata.
Tra loro c’era sempre stato un rapporto di reciproca e tacita assistenza: erano l’uno per l’altro e questo bastava. Si concedevano a vicenda di crollare l’uno addosso all’altro e rimettersi in piedi tenendosi per le braccia. Ed era esattamente questo ciò che mancava più di ogni altra cosa a Sharon. Perché Xerxes con lei era diverso. Molto più di un servitore. Un amico. Un fratello. Forse anche qualcosa in più, se solo non lo avesse capito troppo tardi.
Stringeva convulsamente Emily tra le mani, le nocche sbiancate per lo sforzo e altre lacrime in silenzio sfuggirono al suo controllo e rotolarono giù. Faceva maledettamente male non sentirlo più vicino come un tempo, sapere che adesso non sarebbe più giunto a salvarla, che adesso lei non gli sarebbe stata vicina in uno dei suoi rari momenti di sconforto.
Lo aveva sempre considerato una specie di privilegio. Break non si mostrava mai fragile con gli altri. Era certa di non averlo mai visto piangere, neanche quando sua madre era morta. Eppure Sharon sapeva come nel suo caso egli cambiasse.
Xerxes con lei era diverso. Diverso su tutti i fronti.
Lo aveva visto compiere le più pericolose e impossibili azioni, testardo e deciso, convinto e inarrestabile. Poi però in sua compagnia era come se permettesse alla sua forza un po’ di riposo, avvolgendosi nelle coperte e sospirando in silenzio, per poi rimettersi in piedi, più cocciuto e folle di prima, affrontando senza esitare chissà quale altra scelleratezza.
Sharon custodiva gelosamente nel suo cuore quei suoi attimi di sconforto, come fossero un tesoro più unico che raro: lei e soltanto lei aveva avuto il privilegio di vedere fino in fondo l’umanità dello spadaccino più forte di Pandora, non avrebbe potuto in alcun modo dimenticarsene.

 
Non aveva potuto fare a meno di balzare fuori dalla sua camera non appena aveva saputo che finalmente Break si era svegliato. Era passata una settimana dalla festa di Oz. Sharon non aveva mai visto il suo Xerx-nii san coperto di ferite così gravi come quella volta. Aveva temuto il peggio, almeno a se stessa doveva ammetterlo.
 Si affannava procedendo velocemente lungo gli immensi corridoi di Villa Rainsworth, diretta verso camera sua. Ma spalancata la porta si sorprese non poco nel trovarla vuota. Si sentì smarrita per un attimo, non sapendo dove potesse essere andato. Ma perse appena un istante a riflettere per poi catapultarsi verso la cucina.
Mancava poco all’ora del tè, il che poteva significare solo che Mad Hatter era andato in cerca di dolci. Lo trovò infatti dietro il tavolo, sdraiato per terra e completamente avviluppato nella sua coperta.
“Che ci fai laggiù?” chiese semplicemente, non ottenendo alcuna risposta da lui che continuava a darle le spalle. Non potè evitare di intenerirsi alla vista di quell’uomo grande e grosso che in un attimo era diventato come un bambino dispiaciuto per una marachella commessa. Addolcendo lo sguardo continuò a parlargli.
“Ti senti meglio oggi?” lo spadaccino si rinchiuse ancora più a fondo nella sua coperta, così da coprirsi anche la faccia. “Sto bene. Vivo e vegeto” rispose con la voce rauca di chi aveva tenuto la bocca chiusa per troppo tempo e con il tono più convincente di cui al momento potesse disporre. Insufficiente però per ingannare Lady Rainsworth
“Bugiardo” lo riprese infatti “Sei rimasto a letto più di una settimana, non dovresti gironzolare”.
Break preferì spostare l’attenzione su qualcos’altro, sincerandosi delle condizioni di Reim. Sharon capì al volo quanto il senso di colpa per quanto accaduto alla villa di Yura lo stesse logorando. Si sentiva responsabile ed era profondamente mortificato di non aver fatto al meglio il suo dovere, era stato un duro colpo per il suo orgoglio. Lo vide raddrizzarsi, mettendosi seduto, per poi cominciare ad allontanarsi via da lei e rabbuiarsi nel volto.
“Perché metti il broncio?” chiese allora, lievemente indispettita. Dove erano finite la sua sfrontatezza e la sua vera età? Break mise su un’espressione di disappunto, in parte celata dalle lunghe ciocche albine. “Non ho il broncio” cominciò, ritirandosi il più possibile sotto la coperta. “È solo che… ogni volta che ripenso a quello che è accaduto alla villa Yura fa così male!” disse sconsolato, accennando poi ai vari rimproveri che tutti gli avevano rifilato e alla vergogna provata.
Sharon non potè non avvicinarsi cautamente a lui, una scintilla di incredulità a illuminargli gli occhi.
“Beh… lascia che ti dica una cosa nel caso non ti sia chiaro” disse con tono accondiscendente. Aspettò che Mad Hatter si voltasse verso di lei per mutare l’espressione del suo volto che da dolce divenne severa. Poggiò una mano sul fianco e puntò l’altra verso di lui.
“Tu non sei un eroe che può fare tutto da sé! Ma un uomo di mezz’età che si illude di poter fare tutto da solo!” e gli rivolse ancora una serie di altri improperi, mentre lui la ascoltava, l’occhio inutilmente spalancato.
“Allora, non pensi sia imbarazzante?” chiese alla fine della sua filippica. La fragorosa risata che udì poco dopo la colse non poco di sorpresa. Si avvicinò preoccupata sedendosi accanto a lui, che però continuava a ridere senza sosta.
“B-break…”
“A questo punto non c’è niente che io possa fare” sussurrò poi, una volta messa da parte quella fin troppo falsa ilarità, mentre abbandonava la testa pesante sulla sua spalla, stranamente rilassato. “Quindi.. Sharon…lascia che sia un buono a nulla, così”
Lady Rainsworth trasalì: era la prima volta che gli capitava di vederlo in quello stato. Non era vergogna la sua, piuttosto amarezza per non essere stato in grado di ricoprire il suo ruolo. Si ritrovò a pensare quanto Xerxes avesse fatto per lei e per Pandora. E fu in quel momento che capì. Mad Hatter era solo stanco, provato dal peso di tutte quelle responsabilità che continuava a prendere sulle sue spalle senza sosta. Il suo fratellone aveva bisogno di riposare un po’. E lei era lì per quello. E ci sarebbe sempre stata.
Prima di accorgersene si ritrovò ad immergere una mano nella chioma albina, accarezzandola lentamente. Rimase seduta sul pavimento freddo insieme a lui, mentre il tempo scorreva, ignaro di loro e loro ignari di lui.

 
Sharon avrebbe voluto che quel momento non finisse mai e poco le importava se erano rimasti seduti sul pavimento gelido, dietro a un tavola vuota. Lei sarebbe rimasta davvero in eterno lì insieme a lui, in perfetto silenzio, perché le parole non erano necessarie. Tra loro non lo erano mai state dopotutto.
Ricordava di come poi si fosse sentita in colpa per quella sfuriata, credeva di essere stata troppo dura con lui, sebbene egli avesse agito come un incosciente, mettendo a repentaglio la sua vita. Poi però fu Break stesso a farla ricredere, quando qualche giorno dopo aveva deciso di farsi aiutare a realizzare la promessa fatta alla volontà dell’Abisso. Era necessario che qualcuno gli aprisse gli occhi ed era orgogliosa del fatto che quel qualcuno fosse stata proprio lei.
La pioggia nel frattempo era parsa intensificarsi, cambiando il suo ritmo. Sembrava quasi che la chiamasse. Ripose con cura Emily in fondo al suo cassetto, per poi scattare in piedi e avvicinarsi ancora una volta alla finestra.
Si sentiva come attratta da quelle gocce d’acqua che sembravano comporre una melodia lenta e armoniosa, sulla quale avrebbe voluto muovere dei passi di danza.
Come mossa da un impeto, corse verso l’armadio a cercare un soprabito.

 
“Eccoti qui, Break” irruppe Sharon, dopo aver visto Reim uscire dalla sala con un diavolo per capello. Il cappellaio si voltò verso di lei con l’unico occhio buono sgranato, ma lei decise di non badarci.
“Voglio prendere un po’ d’aria, vieni con me?” chiese soltanto, sorridendo quando egli acconsentì. Giunsero su un grande balcone con la vista sull’immenso giardino di quella casa. Sharon andò ad accomodarsi presso un tavolino, mentre Xerxes si avvicinò lentamente alla ringhiera; presero a parlare della missione da compiere, finché lo spadaccino non la colse in contropiede con una domanda
“Te ne penti di essere diventata una contraente?”
Sharon sembrò pensarci per un attimo, aveva perso il suo corpo scegliendo Eques: non sarebbe mai cresciuta agli occhi degli altri e sarebbe invecchiata e morta in un fisico da tredicenne. Tuttavia, non sembrava dolersene così tanto. Aveva passato dieci anni bellissimi a Pandora, era cresciuta così tanto anche se nessuno lo avrebbe detto e quindi non poteva pentirsene. Disse che sì il gioco era valso la candela e avrebbe continuato a farlo, o almeno si sarebbe prodigata affinché fosse così. Break l’ascoltò in silenzio, come a voler riflettere sulle sue parole. Sharon decise per questo di prendere la parola ancora una volta.
“Break” cominciò attirando la sua attenzione “Se vuoi, non è che potrei avere l’onore di un solo ballo qui? Dopotutto…è una festa da lungo attesa”. Lo spadaccino stirò un sorriso nervoso sul volto, sghignazzando piano.
“Ojou-Sama, dovresti sapere riguardo al mio talento nel ballo” sentenziò in un tono calmo e cadenzato. Sharon si ricordò all’istante dell’incapacità di Xerxes nel coordinare i suoi movimenti a quelli del Partner, ma non disperò, voleva davvero ballare con lui.
“Allora guardiamo le persone là e alleniamoci qui” era la cosa più plausibile le venisse in mente, dopotutto aveva un senso. Sentì una specie di singulto provenire da lui, ma non vi badò incominciando a incamminarsi verso la sala in cui le danze erano aperte per accorgersi solo dopo che Xerxes non la stava seguendo. Si voltò verso di lui che aveva abbassato il capo come a volersi nascondere dal suo sguardo.
“Guarda Break, osserva attentamente” cercò di spronarlo, ma senza successo. Mosse ancora un altro passo.
“Non posso guardare” una frase appena sussurrata le colpì l’udito, facendola sussultare.
“Oh non essere pigro!” davvero non capiva perché non volesse applicarsi nella danza: era uno spadaccino, sapeva destreggiarsi con grazia per forza di cose! Mosse ancora altri passi, certa che stavolta Break si sarebbe deciso
“Sono cieco, Ojou-Sama” un’affermazione detta con forza che la fece fermare sul posto, gli occhi sgranati all’inverosimile che già si riempivano di lacrime.
Il suo Xerx non poteva più vedere. Improvvisamente il mondo le crollò addosso. L’unico occhio di lui era fuori uso e lei non poteva non immedesimarsi in quella sofferenza che stesse provando, di cui ovviamente  non avrebbe fatto parola con nessuno. Ma fu allora che lo capì. Lei non doveva arrecargliene altra. Non doveva disperarsi: lo avrebbe fatto in seguito, da sola e in silenzio, ma in quel momento non c’era spazio per il dolore. Era una festa ed era giusto che anche Break ne gioisse. Raccolse tutti i suoi pezzi e si voltò verso di lui, venendogli incontro a braccia aperte, un sorriso che con prepotenza si faceva strada tra le lacrime.
“Se è così, non ci si può fare nulla allora” disse ostentando una calma non aveva, ma non si arrese. Non poteva farlo.
“Preparati Break! Te lo insegnerò in modo speciale, con ogni minimo dettaglio.” prese un profondo respiro “Quindi qua la mano!” e gli porse la sua.
Break fissò il suo occhio nel vuoto, e muovendosi lentamente la afferrò, con fare concentrato come se stesse ragionando, macchinando qualcosa.
Le loro dita si erano appena sfiorate quando dalla sua bocca, uscì una frase che pareva perdersi in un sospiro rassegnato.
“Sei diventata una donna così forte, eh “

 
Quello era il complimento più bello che potesse farle. Era stato il suo desiderio più grande, dopotutto. Finalmente Break aveva cominciato a vederla come una compagna, una sua pari. Da quel momento in poi qualcosa era cambiata tra loro. La loro complicità, la loro reciproca fiducia e la loro forza erano semplicemente cresciute a dismisura e lei ne era stata felicissima. Si chiedeva se lo fosse stato anche lui, ma l’impossibilità di saperlo e il rimpianto di non aver fatto in  tempo a chiederglielo le accoltellavano il petto.
Da quella sera era stato molto più facile per lei stargli vicino. Ricordò amaramente quando per un piano sprovveduto del duca Barma si erano ritrovati senza le loro catene e, tuttavia, erano riusciti a cavarsela comunque, l’uno a fianco all’altro, soccorrendosi a vicenda, facendo scudo all’altro con il proprio corpo. Sharon si era sentita piena di vita in quella battaglia, ignara però che quello sarebbe solo stato l’inizio della fine.
Aveva indossato il soprabito ed era uscita, trovandosi in piedi, sotto la pioggia dirompente, il richiamo che avvertiva era ancora molto forte. Timidamente alzò il viso verso il cielo e gli parse che esso stesse piangendo. Piangeva il cielo così come il suo cuore, così come la sua anima, così – sebbene non sembrasse accorgersene – i suoi occhi.

 
La musica giungeva ovattata alle loro orecchie, ma poco importava: il mondo sarebbe potuto scomparire e loro non se ne sarebbero accorti. Danzavano lentamente ad un ritmo tutto loro, e Sharon si stupiva di come Break riuscisse per la prima volta ad accompagnare i suoi movimenti; osservava il suo volto concentrato e sorrideva piano, mentre con lentezza appoggiava il capo sul suo petto. Ascoltava il cuore di lui, battiti lenti e leggeri che la cullavano insieme alle sue braccia, allargò il suo sorriso ancora di più contro il tepore lieve del suo corpo.
“Ojou-Sama” sentì dire e alzò il capo verso la voce. L’uomo la fissava e forse neanche ne aveva la percezione.
Sharon avvertì distrattamente la sua mano abbandonarle il fianco per avventurarsi sul suo viso sorridente. Le dita sfioravano leggere una guancia per poi scivolare con lentezza sulle labbra curve all’insù. Il pollice si soffermò su di esse ancora e ancora e Sharon arrossì. Non impiegò molto a capire che quello era il suo modo di guardare il suo sorriso e s’intenerì a tal punto da lasciarlo esplorare, vederla in tutti gli altri modi possibili.
Quando poi soddisfatto ritrasse la mano, rimettendola al suo posto, fu il suo turno. Gli regalò una carezza sul volto e prese a sporsi verso di lui, annegando nel suo profumo. Si avvicinava progressivamente al suo volto rilassato arrivando a vedere da vicino quel leggero e impercettibile accenno di barba. Sentiva il respiro di lui infrangersi contro il suo e le loro labbra separate di qualche centimetro. Xerxes era immobile, avevano smesso di ballare e neanche se ne era resa conto. Tutto ciò che avrebbe voluto sarebbe stato annullare quella crudele distanza, congiungendo le labbra alle sue. Ma proprio quando la meta sembrava così vicina, lei non se la sentì. Non era così che dovevano andare le cose. Aveva paura. Paura di rovinare tutto.
Si spostò con la morte nel cuore e gli lasciò un profondo bacio accanto al mento spigoloso, sperando con tutte le sue forze che quello che provava per lui in qualche modo gli giungesse anche da lì.

 
Il dolore d’un tratto divenne cieco e assordante. Cominciò a guardarsi intorno in cerca di un segno, di qualcosa  che la rincuorasse, ma trovò il nulla, solo pioggia, acqua, desolazione. Il suo cuore era straziato.
Ancor prima che lei se ne accorgesse rovinò sulle ginocchia, sporcando di fanghiglia il lungo soprabito, portò le mani a coprire il volto mentre un urlo disperato rotolò dalla sua gola secca e si perse in mezzo al caos della pioggia. Urlò il nome del suo Xerx-nii-san e fu doloroso e giusto. Non lo aveva mai fatto, mai in sette anni.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per riaverlo indietro e non riusciva a perdonarsi di averlo lasciato andare così, senza dirgli addio, senza aver anche provato a fermare la sua partenza. Xerxes le era morto tra le braccia qualche tempo dopo, si era accasciato su di lei e semplicemente era andato via, con il rammarico negli occhi per non essere durato ancora un po’. Quello steso rammarico che adesso scorreva impetuoso nelle sue vene. Lui aveva fatto così tanto per lei, per tutti. E non era stata capace di ricambiarlo. Avrebbe voluto dirgli tante cose, confessargli ciò che aveva maturato solo con il tempo, ma che per paura aveva preferito tacere, sperando in quel tempo che inclemente, inesorabile glielo aveva strappato via.
Pianse, pianse amaramente e le lacrime si confusero con la pioggia. La sua mente, sadica che tornava a torturarla.
 

“Voglio restare ancora qui”
A quella frase Sharon si sentì morire. Il suo Break se ne stava andando. Dall’altra parte aveva sentito Reim sussultare, intuendo anch’egli le sorti dell’amico. Il tempo dello spadaccino più forte di Pandora era scaduto. Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre ancora, per l’ultima volta aveva preso ad ascoltare il battito del suo cuore, che progressivamente aveva rallentato i suoi già timidi battiti fino a renderli muti, insieme al debole respiro.
Il suo Xerx-nii era andato via così, da un momento all’altro e lei era rimasta sola. Ancora e stavolta davvero.
Lo tenne stretto tra le sue braccia, sporcandosi del suo sangue, mentre Reim si era alzato per cercare di contrastare i Baskerville, e con gli occhi pieni di lacrime prese a premergli le labbra sulla fronte, il naso, le guance, il mento, le labbra. Ancora e ancora. Aveva trovato il coraggio di farlo, alla fine.
Peccato solo che fosse troppo tardi ormai.

 
Il suo cuore stava velocemente andando in mille pezzi. Continuava a urlare disperata sola e in mezzo al nulla, la pioggia che la investiva senza riuscire a lavare via il suo dolore. Liberò il volto dalle mani colpendo a forza la terra bruna. Si chiedeva perché la vita le avesse fatto questo. Voleva avere il suo Break solo per qualche minuto, e salutarlo per sempre come si deve. Era accaduto tutto troppo in fretta e lei, presa dagli eventi si era fatta travolgere dal flusso infinito del tempo; avrebbe dovuto fermarsi, rinsavirsi, ma non lo aveva fatto. Se lo sarebbe rimproverato a vita. Era il suo più grande rimorso e l’avrebbe perseguitata fino alla fine.
E mentre tra i singhiozzi lasciava andare tutte le lacrime che per sette anni aveva imprigionato, un vento leggero che timidamente si era alzato sembrava farle scudo dalla furia della pioggia e insinuarsi fra  i rami e gli arbusti, sibilando lentamente
“Ojou-Sama”
 Sollevò il capo d’istinto e prese a guardarsi intorno con gli occhi sgranati. Era la sua voce quella, un sussurro che per un istante era riecheggiata nella sua disperazione. Si alzò di scatto e con gambe tremanti cominciò a muoversi sospinta da quel vento che sembrava danzarle attorno. Non poteva essersi sbagliata. Il suo cuore non avrebbe retto un altro colpo del genere.
L’aria attorno a lei era piacevolmente intiepidita e la stessa pioggia che fino a poco prima batteva impetuosa su di lei adesso si acquietava quasi come a portarle rispetto.
“Xerx-nii-san” fu tutto ciò che disse al nulla intorno a sé. Non aveva più fiato, la sua voce prosciugata dalle sue urla, il respiro messo a tacere da quanto i suoi occhi avevano visto.
Perché tra i blu della notte, il verde degli arbusti e il rosso delle rose Sharon lo aveva trovato.
Un bagliore, una luce in mezzo al buio, la sua chioma albina, il suo occhio cremisi, il suo completo di  Pandora. Era bellissimo, avvolto in un aura sfavillante.
Non disse nulla, sembrò guardarla per un lungo istante per poi voltarsi, mentre lei immobile come una statua di sale mosse un altro passo in avanti, mentre anch’egli si allontanava.
Ebbe il tempo di vedere quella sagoma sollevare un braccio agitandolo appena, per poi dissolversi lasciando ancora una volta posto al nulla. Sharon non credeva ai propri occhi. Cadde all’indietro, seduta sulla terra bagnata. Le guance ancora rigate dalle lacrime, le mani a coprire in parte le labbra dischiuse. Era impossibile, lo sapeva, ma lui era lì, non poteva esserselo solo immaginato.
La pioggia era quasi scemata del tutto riportando il giardino in un silenzio che adesso le pareva surreale. Sembrava che quella notte il tempo si fosse fermato, per lei e per il mondo intero. Stava lì in terra a osservare a occhi sgranati il vuoto accanto a sé, il cuore ancora trafitto, ma per un attimo meno dolorante.
E ci sarebbe rimasta tutta la notte, lì fuori al freddo e in giardino se solo qualcos’altro – qualcosa di molto importante – non l’avesse riportata di colpo alla realtà.
“Mamma, ho fatto un brutto sogno” una vocina stridula le giunse alle orecchie. Si asciugò alla svelta le lacrime, poi si voltò trovandolo davanti alla porta con il fiatone per aver corso fino a lì.
“Piccolino…” sussurrò mentre gli andava incontro. “E tu che ci fai qui?”. Il suo figlioletto di appena tre anni, non trovò risposta migliore che strofinarsi gli occhi con un suo pugnetto chiuso.
Sharon sorrise intenerita.
“Andiamo Kevin” disse dolcemente prendendo la manina calda e paffuta di lui nella sua tremante e gelida. Lo condusse con calma in camera sua, lo fece salire sul lettone per poi togliere il soprabito e raccogliere i capelli ancora bagnati contro il collo e la fronte.
Si stese accanto a lui e gli poggiò una mano sul pancino. Gli sorrise ancora, con lui non sapeva fare niente di diverso.
“Adesso, piccolino, la mamma ti racconterà una storia così bella da farti fare soltanto bei sogni” al bambino brillarono gli occhi. “È la storia di un cavaliere, mamma?”
“Ancora meglio, amore mio.” rispose mentre un’ altra lacrima – l’ultima – correva a rigarle il viso.
“Questa è la storia di una bambina chiacchierona e del suo Cappellaio matto” il suo piccolo Kevin battè le mani contento.
Lei gli regalò una dolce carezza e con occhi lucidi di nostalgia e speranza cominciò a raccontare…
   
 
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