Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |      
Autore: shoshie91    27/07/2017    0 recensioni
2041. Dopo il reset della loro memoria, un ragazzo e una ragazza devono sfidarsi in uno show seguito in diretta mondiale. Lo scenario è quello di una realtà simulata, il Mattatoio dalle Cento Stanze. Tempo previsto: 1 mese. Sfide: 15, 7 a testa, stabilite dal pubblico settimana dopo settimana tramite sondaggio. Il vincitore potrà realizzare il misterioso Ultimo Desiderio. Ma questa edizione nasconde un segreto atroce… | "L'ultimo desiderio" è un romanzo interattivo che si svilupperà su Facebook: lì i lettori potranno votare le sfide che i due protagonisti dovranno affrontare. Un capitolo a settimana per una votazione a settimana, della durata di 48 h. Si parte con Prologo e Primo capitolo, pubblicati dal 20 giugno 2017 in un album e interamente in un post separato, per poi dare inizio al primo sondaggio sul social. Su EFP inserirò a cadenza regolare i capitoli, in contemporanea con la pubblicazione su Facebook.
Genere: Angst, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PROLOGO.

«Va bene, allora. Ascoltami. È tutto pronto. Ci siamo, ci siamo davvero. 
Filerà tutto liscio. Tieni a mente il piano, tieni a mente che non conta nient’altro. Che non esiste nient’altro. 
Sarà difficile. Lo sappiamo. Sarà orrendo, sarà atroce. Avrai molta paura e non la comprenderai fino in fondo. Dovrai affrontare quello schifo senza conoscerne fino in fondo il prezzo. Ti scorderai l'Ultimo Desiderio, sappiamo anche questo. Tutto è organizzato per schiacciarti, per evocare i tuoi terrori più profondi. Non ci sono mezzi che possano preparare davvero qualcuno alla Simulreality. Ma ci siamo allenati a lungo per tutto questo, e nei limiti del possibile anche per qualunque eventualità ti si possa presentare, dalla più innocua alla più rivoltante. Loro, in fondo, sono prevedibili. Tu, per loro, non lo sei. Non devi esserlo mai: questo è molto importante. 
Ogni volta che le cose ti sembreranno perdute, ogni volta che avrai voglia di morire, ogni volta che avrai bisogno di fuggire, ricordati perché tutto questo è iniziato. Ricordati dove è iniziato, ricordati il momento preciso in cui è iniziato. Ricordati perché sei lì. Svegliati. E rialzati.
E alla fine, le cose andranno come devono andare. Funzionerà. E sarà bellissimo. Sarà giusto. Sarà tuo. Sarà nostro».


• CAPITOLO PRIMO: /RISVEGLI/.

Quando il ragazzo che si sarebbe chiamato Gavin aprì gli occhi, l’aria era ancora tiepida. Poteva quasi percepire un terreno granuloso premere contro i suoi polpastrelli, microscopici sassolini punzecchiare le caviglie, come fosse riverso su una spiaggia desolata, sgraziata, composta di una sabbia troppo dura, imperfetta, non ancora calda, né morbida. 
Il ragazzo si alzò in piedi sbattendo le palpebre, un velo appannato a ostruirgli la vista, a offuscare i contorni del mondo che a poco a poco prendeva forma attorno a lui. Di sicuro non si trovava su una spiaggia, no. Né al mare, né in alcun luogo che la sua mente potesse localizzare. Abbassò gli occhi e vide un suolo piatto, lucido, una lastra bianca. Bianca come l’uniforme semplice e sobria che indossava. Il terreno ruvido e sassoso su cui credeva di essermi svegliato era, forse, soltanto un ricordo. Una memoria tattile, lo scarto di un sogno che gli era rimasto appiccicato addosso mentre tornava cosciente. Sapeva solo di trovarsi in una stanza vuota, dalle quattro pareti candide come le orbite dell’occhio di un cieco, una stanza le cui dimensioni non poteva calcolare. Osservò le sue mani, pulite, lisce. La pelle di un neonato, una pelle che pareva non essere mai stata sfiorata, non aver mai toccato nulla. Appena sfornata, pronta per l’uso. Eppure, la sensazione che avesse grattato qualcosa di granuloso, quella sottile puntura, permaneva. Tutto ciò che aveva era quell’impressione, non coincidente con la realtà, quel prurito, un lieve male agli occhi che faticavano ad abituarsi a quel bianco accecante, il corpo che si sforzava di acclimatarsi all’ambiente, all’aria sempre più rarefatta, e la sua stessa presenza, che non riusciva a spiegarsi.
Ricordava che non avrebbe ricordato: solo questo. Funzionava così. Sapeva che il gioco stava per iniziare, ma non ne ricordava le regole, gli elementi, la natura. 
Funzionava così.
Si schiarì la voce, tanto per assicurarmi di averla. Di averla ancora, anche se non aveva idea di cosa ci fosse, prima di quell’ancora. Di chi fosse. 
Era normale? I ricordi sarebbero riaffiorati, poco a poco, o erano stati risucchiati da un meccanismo di cui aveva scordato gli ingranaggi?
Dapprima, si disse il ragazzo, quando ti rendi conto di non possedere alcun ricordo, di non avere alcuna memoria residuale di te, del mondo, degli altri, non ti senti confuso. Non ti senti allarmato, né vai nel panico. Tutto è immobile, tutto può essere e accadere. 
Si sentiva un blocco freddo, estraneo a ciò che lo circondava, perché non lo conosceva, come non conosceva l’essere umano che i suoi pensieri, elementari e lenti, abitavano. Forse non esisteva alcun prima. Forse doveva ancora nascere. Ma si può sapere di poter nascere, se non si è ancora nati?
Un rumore impreciso lo scosse dai pensieri contorti in cui si stava impigliando. Una porta, il cui profilo prima di aprirsi era letteralmente indistinguibile, si socchiuse su una parete alla sua sinistra. 
«Tu devi essere l’Altro».
Era una ragazza. Lo sapeva, anche se si sentiva come se fosse la prima persona che ne vedeva una. Cribbio, spero di no.
Era vestita come lui: con il niente, un’uniforme immacolata stretta alla vita, a maniche lunghe e ben stirate, i pantaloni che si fermavano un millimetro prima di toccare terra. Aveva i capelli di un biondo pallido, lisci e lunghi fino alle spalle, tagliati dritti e simmetrici, come da uno specialista in precisione. I suoi occhi – ora che avanzava verso di lui li vedeva meglio – erano piccoli, sereni, di un grigio mosso, due nuvole accennate che lo osservavano come dispiaciute.
Non era ancora capace di identificare un sentimento, ma quello che seppe con certezza era che lei ne era già capace, che lei ne era più capace. Lo aveva chiamato “l’Altro”: perché? 
«Non lo so» mormorò il ragazzo. Evidentemente non aveva dimenticato il sentimento d’imbarazzo, perché si trattenne dal chiederle “Tu chi sei? E io?”.
In qualche modo, la ragazza lo capì. «Trattamento completo» sospirò. «Non preoccuparti, è normale. Cioè, tutto come da programma. Uno dei due giocatori ricorda prima dell'Altro. Per questo hanno voluto che fossi io a incontrarti prima di tutti». 
«Di cosa stai parlando?» chiese lui, sentendosi subito sciocco.
«Ti spiegherò tutto». Il viso le si contrasse in una smorfia. «Dopotutto è quello che loro vogliono. Hanno già iniziato. Ci stanno già guardando».
«Loro chi?». Il ragazzo era improvvisamente nervoso. Istinto, suppose.
«Scusami». La giovane si schiarì la voce. «Quando mi sono svegliata, ero seduta nella stanza adiacente alla tua. Davanti a me c’era uno schermo, su cui è passato un breve video di presentazione del programma. Della Simulreality, cioè. Anche io, come te, non ricordavo nulla – è il risultato del Trattamento completo, ma il video è montato in modo da esporti le linee essenziali del meccanismo. Mentre lo guardavo, in una specie di trance, ho recuperato i ricordi basilari, le grandi linee della mia identità. Quasi buffo detto così, no? A visione terminata, mi è stato detto di venire qui, per spiegarti ciò che ho visto. Una specie di "previously on", a uso e consumo del pubblico. Te l'ho detto, ci stanno già guardando».
Il ragazzo fissò i propri occhi nei suoi, così grandi, liquidi, di un grigio sempre più inquieto. «Va bene, spiega».
Un istante prima che la ragazza potesse aprir bocca, però, la terra sotto i loro piedi venne percorsa da un breve tremito. Abbassarono lo sguardo, turbati, e osservarono il pavimento muoversi lentamente verso il basso, calandoli sempre più giù, come un ascensore invisibile, mentre la porta da cui lei aveva fatto il suo ingresso si faceva sempre più lontana sopra le loro teste.
Accanto a lui, la ragazza si irrigidì. «Ci stanno portando nell’Ala. Abbiamo poco tempo, come piace a loro. Senti» gli si accostò, gli occhi divenuti ormai un groviglio in tempesta, un nubifragio di colore spento. «Come ti dicevo, ci troviamo all’interno di un programma. Televisivo. La Simulreality. Per la precisione, il programma più in voga, più seguito e redditizio del Ventunesimo secolo. Il più condiviso su Facebook, il più commentato su Twitter, il più popolare su ogni social… mi segui, sai di cosa sto parlando?».
Annuì. A quel nome, qualcosa nella sua mente era scattato, come una serie di finestre che cominciavano a spalancarsi, a a ogni sua parola. Ricordava Facebook, ricordava Twitter, ricordava i social. Nel momento in cui glieli citava, una piccola luce si accendeva nella sua testa a illuminarne il significato. Non sapeva dire se fosse più inquietante o fastidioso.
Lei sembrò rincuorata. «Ok, meno male. Per un attimo ho temuto che volessero renderci le cose difficili ancora prima di gettarci nella mischia». Si schiarì di nuovo la voce. «Dunque, la Simulreality. Il programma. È una realtà simulata, ma è una realtà. Ci sono due giocatori, che in quest’annata siamo… insomma, io e te».
Il ragazzo aveva la gola secca, e già cento domande lì ferme, intorpidite, che non riusciva a verbalizzare.
«Mentre guardavo il video di presentazione, e ancora non sapevo – non ricordavo – di cosa si trattasse, ho pensato agli Hunger Games, o all’Isola dei famosi. Buffo, che mi abbiano lasciato questi flash aggrovigliati nella memoria, così che lo schiaffo arrivasse ancor più forte. Perché la Simulreality è un po’ di tutto questo, ma soprattutto è peggio». Fa un sospiro profondo. Il piano su cui si trovavano continuava la sua graduale discesa, un andamento che al ragazzo cominciava ad apparire funebre. «Funziona così. Ogni anno, chi aspira a parteciparvi manda la sua richiesta agli ideatori del programma – può farlo chiunque, i criteri di selezione sono a loro discrezione, non c’è una tassa di partecipazione, conta solo la tua capacità di convincimento, l’interesse che riesci a suscitare, le tue motivazioni. L’X-Factor, ecco». Un’altra smorfia. «Allo scadere della data di consegna delle richieste, loro scelgono due persone, e la sera prima dell’inizio del programma li prelevano, gli fanno il Trattamento completo – cioè gli cancellano qualunque memoria di sé, della propria identità, del proprio passato e soprattutto della Simulreality stessa – e li addormentano. A questo punto, che è il punto in cui ci trovavamo poco fa, i giocatori si risvegliano in uno stanzone detto Limbo, e uno di loro viene aggiornato su ciò che gli serve sapere sul programma. La parola Simulreality funge da "sveglia", un po' come al termine di un'ipnosi, nel senso che una volta che la ascolti – nel mio caso, mentre guardavo quel video – cominci lentamente a riprendere contatto con le basi del tuo essere e del mondo, quelle che loro hanno ritenuto opportuno farti mantenere, però nulla nel dettaglio, come la nostra età, il nostro nome, e nulla sulle specificità dello show, sulle edizioni passate, sulla pericolosità e sul perché ti sei candidato per partecipare. Così, non possiamo avere alcun vantaggio rispetto ai concorrenti passati». Un altro sospiro. «Ora ci stanno conducendo nell’Ala». Il tono si fece concitato. «Lì, in una sorta di arena, scopriremo i nomi che il Pubblico ci ha assegnato, e la Realtà simulata più votata tra quelle proposte per la nostra edizione. Il Pubblico sceglie per noi anche i nostri nomi temporanei, e i ricordi specifici che a ogni Sfida ci verranno restituiti».
La lenta discesa della lastra si interruppe. Davanti a loro v'era una porta alta e color cremisi. La ragazza deglutì nervosamente. «Ci siamo. Devo fare in fretta. Allora, ogni Realtà ha dei pericoli diversificati, che il Pubblico – quelli che ci seguono dagli spalti dello studio dove va in onda il programma, e le persone che ci seguono dai social – deciderà in che modo sfruttare. La Sfida da completare ci verrà comunicata tramite un video, ogni sera, e dovremo riuscire a portarla a termine, altrimenti subiremo una penale, una punizione, anche quella votata e scelta dal Pubblico. In tutto saranno quattordici Sfide, sette a testa, per un mese di tempo».
Erano decisamente troppe informazioni da assimilare tutto d'un tratto. «No, aspetta. Ma che... ma è folle. Non posso aver deciso di cacciarmi in questa gabbia di matti di mia spontanea volontà, non posso». 
«Mi dispiace. Avresti dovuto avere la possibilità di guardare il video, era sicuramente più chiaro di me. E comunque, non ho finito». La ragazza fece un passo verso la porta, e si guardò intorno, come per assicurare a un’entità invisibile – il Pubblico che li stava già seguendo? – che stavano per aprirla.
«Alla fine, viene eletto un vincitore. Di norma, chi ha completato più Sfide, ma non è detto. Può anche essere il preferito del Pubblico, quello che ha più successo sui social, quello che ottiene più like, quello per cui la gente sugli spalti fa più il tifo: ogni sera ci verrà comunicato anche questo... la nostra popolarità. Il fatto è che chi di noi due vince, al termine del mese di Simulreality, ha diritto ad esprimere cosiddetto Ultimo Desiderio. Il desiderio "definitivo": in sostanza, può richiedere il premio che preferisce. Che ne so, di diventare milionario, di avere un posto in Parlamento, di fondare un’azienda, di viaggiare per il mondo fino alla fine dei propri giorni, di sposare dieci persone… qualunque cosa, che non sia illegale o anticostituzionale. Non troppo, insomma: non mi stupirei di scoprire che hanno già aggirato i cavilli burocratici. Questa è roba grossa, i fondi della Simulreality sono illimitati, e in ogni caso se vinci l’intero paese ti ama, nessuno ha mai protestato per alcun desiderio espresso. Questo, sempre stando al video che mi sono sorbita». Alzò gli occhi al cielo: sembrava più esasperata di lui di trovarsi in quella situazione, in diretta mondiale, a rischiare la vita e la sanità mentale, e forse pure di peggio. «Gli ultimi minuti del video mi hanno mostrato alcuni dei passati vincitori: uno è diventato l’attore più pagato del momento dopo essere stato disoccupato per metà della sua vita, un’altra ha appena pubblicato il suo quinto disco dopo trent’anni a fare l’impiegata, un altro ancora gira il mondo in yacht. È tutto vero».
Il ragazzo scosse la testa. «Al momento, il mio primo, ultimo e unico desiderio è di riavere la mia memoria, e la mia vita, per quanto schifo facesse». Alzò la voce, rendendosi conto che non stava parlando con lei, bensì con gli stronzi che l'avevano chiuso lì dentro. E che vogliono fare di me un burattino in pasto agli umori di un Pubblico senza volto né nome. Si rivolse alla porta, come sperando ci fosse una microcamera infilata nello stipite, e alzando la voce, che gli tremava di rabbia e incredulità. «Mi ritiro, ok? Ha vinto lei, va bene? Scegliete un’altra persona, che ne so, il secondo in graduatoria, o fate voi, non so come funziona questa cazzata, ma io ho chiuso».
La ragazza lo scrutò con aria afflitta, e lui ebbe come l’impressione che fosse a sua volta passata attraverso quella fase. La negazione. «È inutile» esclamò infatti. «Ho pianto e urlato anche io. Sono sveglia da poco più di te, e ho avuto, credo, venti minuti in più per abituarmi all’idea. A quanto pare, è una novità di quest’anno far spiegare da un giocatore all’altro la questione della Simulreality, suppongo vogliano creare dell’astio e del risentimento fra noi ancora prima che tutto inizi».
«Io non ti odio, io non ti conosco nemmeno» sibilò il ragazzo di rimando. «Voglio solo che mi facciano uscire di qui. Avete capito?» sbraitò, incurante del tono isterico che aveva assunto la sua voce.
«No, adesso non mi odi, ma intanto sono io che ti ho preannunciato l’inferno che ci aspetta» replicò lei, rannuvolata. «Non un buon modo per fare conoscenza».
«Inferno?». Ma che cazzo sta succedendo?
«Già, be’. Vorrei davvero che avessi guardato quel video».
Il ragazzo non fece in tempo a replicare che un boato ovattato si levò da dietro la porta.
«Il Pubblico» mormorò la ragazza. «Credo che stia seguendo ciò che ci stiamo dicendo da uno schermo, nell’Ala. Qui è pieno di telecamere, come hai intuito». Appoggiò la mano sulla porta, e lui si accorse che le dita le tremavano lievemente. «Dobbiamo andare».
«Io me ne vado» sbottò. «Non sono mica prigioniero, posso arrendermi, posso rinunciare a questo gioco. Se uno vuole ritirarsi, durante quei reality show del cazzo, di solito si ritira. Siamo in una nazione libera, o hai scordato di aggiornarmi su un golpe?».
Di rimando, la ragazza gli sorrise tristemente. «Non puoi. Hai firmato un contratto. Abbiamo firmato, cioè. Acconsentendo a tutti i termini di servizio, a tutte le dinamiche del programma, cancellazione della memoria compresa. Il video era molto chiaro anche su questo. Dobbiamo farlo. L’abbiamo voluto noi».
Perché? Cos'ho chiesto? Cos'ho voluto? Cos'ha di tanto orribile la mia vita da avermi spinto a iscrivermi a una pazzia come questa?
Come se avesse intuito i suoi pensieri, la ragazza disse: «Scopriremo il motivo – scopriremo qual è il nostro Ultimo Desiderio – soltanto quando tutto sarà finito. Mi dispiace».
Mentre abbassava la maniglia, un altro pensiero attraversò di botto la mente del ragazzo, congelandogli le gambe. La guardò. «È mai… è mai morto qualcuno, durante la Simulreality?».
«Se è successo, non ce l'hanno fatto sapere. Suppongo che lo scopriremo presto». Non aveva ricambiato il suo sguardo. «Dobbiamo andare».
E aprì la porta.

*

Rosso. Un rosso abbagliante, nitido, come pittura densa e appena amalgamata. L’Ala era enorme e, a differenza di quella stanza-limbo dove il ragazzo e la ragazza – l'Altra? La giocatrice?, si domandò lui – si erano ritrovati, definita millimetricamente nei suoi contorni e dimensioni. Era una sala ampia, con al centro un piccolo tavolo rotondo su cui erano poggiate due scatole di metallo, e in alto, proprio alle loro spalle, c’era un largo schermo, che poteva essere uscito dritto dritto da una sala cinematografica, uno di quei multiplex di provincia dove trasmettevano solo film d’essai. Un film, si disse il ragazzo, chissà quando e se ne avrebbe visto ancora uno. Le cose del mondo, le cose normali, affioravano nella sua testa a tratti, come un flusso incostante, al quale non poteva abbandonarsi: gli schiamazzi che avevano sentito pochi secondi prima, ora decisamente più vividi e udibili, lo spinsero a voltarmi. Di fronte allo schermo, perpendicolarmente ad esso, c’era un vetro sottile, che li separava da una vasta platea. C'erano almeno un migliaio di persone, disposte su larghi e altissimi spalti, come nel salotto di un talk show di proporzioni gargantuesche. Tutti li stavano fissando, alcuni li fotografavano, altri ancora si sussurravano qualcosa all’orecchio, ognuno di essi impugnava un cellulare – peraltro tutti della stessa marca, a quanto sembrava ai due ragazzi. La Simulreality aveva forse un, come si diceva, media partner telefonico? Non li avrebbe stupiti. La rabbia verso il programma sgusciava nelle vene del giovane come un serpente affamato. 
«Fate qualcosa» si trovò a gridare, sentendosi al contempo ridicolo. «Fateci uscire!».
Nessuno di loro sobbalzò, non uno; nessuno che rimanesse spiazzato, stranito, nessuno che trasalisse.
«Sono abituati ai giocatori che danno di matto».
Era di nuovo lei. Se ne stava accanto a lui, ma guardava lo schermo, in attesa. «Tutti perdono la testa, almeno all’inizio. Nel video c’era uno spezzone, penso vecchio di qualche anno, che mostrava un tizio picchiare contro il vetro nel tentativo di romperlo. L’unica conseguenza è stata che qualcuno del pubblico si è avvicinato per farsi qualche selfie con il giocatore pazzo. Ovviamente il favorito dal Pubblico è diventato subito il suo concorrente. Credo volessero metterci in guardia, insomma».
«Era un video o un film di dieci ore?» replicò lui, con più sprezzo nella voce di quanto intendesse. 
«No, penso sia durato al massimo dieci minuti» rispose lei, imperturbabile, persino gentile. «Poi mi hanno lasciata a disperarmi nel silenzio per altri dieci, come ti dicevo. E poi mi hanno indicato di entrare nella stanza dove ho trovato te».
«Ti hanno indicato? Chi ti ha indicato?».
«Salutiamo i Giocatori dell’annata 2027!»
Una voce di donna, meccanica, ammiccante, irruppe nella stanza. Il Pubblico rumoreggiava, improvvisamente sull’attenti, gli occhi bramosi incollati ai profili dei due concorrenti. La ragazza fece segno al ragazzo di guardare in alto, ai lati dello schermo, dov'erano collocati due amplificatori. «Me l’hanno detto» sussurra. «Così».
Era tutto chiaro. Il ragazzo suppose che non c'era verso che incontrassero alcun essere umano all’infuori del Pubblico, comunque tenuto a distanza di sicurezza. «Suppongo che qualche giocatore pazzo abbia preso a botte il conduttore, nelle prime annate» disse, «e che quindi abbiano pensato di prendere precauzioni».
La ragazza gli rivolse un sorriso sbilenco. «Supponi bene, a mio avviso. Adesso fanno tutto fuori campo. È più sicuro».
«Non mi dire».
Lo schermo si accese, restituendogli la loro immagine ingrandita di svariati metri, i loro primi piani interdetti. Il ragazzo si vide in volto, per quella che gli parve la prima volta. Vide i suoi capelli folti, di un colore che non riconosceva – non riconosco nulla, in me, di me –, un nero pallido, chiaro.
«Ci hanno pure fatto una tinta?» esclamò. «Quello di certo non è il mio colore naturale».
«Personalmente, credo di non aver mai avuto un taglio così perfetto» gli rispose lei. «Con tutto che non mi conosco più bene, magari invece sono una parrucchiera provetta».
La voce tornò a spezzare l’aria fredda che li circondava: «Buongiorno, Giocatori. Prego, prendete i vostri microfoni dal tavolo».
Si voltarono, e la ragazza alzò gli occhi sul Pubblico. «Chiaro, non ci sentono bene. Da ora in avanti apparteniamo anche alle loro orecchie».
I due si avvicinarono al tavolo e aprirono le scatole, che contenevano, come anticipato, due microfoni ad asticella da inserire dietro le orecchie.
«Suppongo che dobbiamo farlo per forza» commentò lui, soppesando fra le dita il microfono.
«Supponi bene». 
«Ma, voglio dire, se non obbedissimo? Che fanno, ci sparano?»
«Alla fine, in un modo o nell’altro, ce li farebbero indossare. Cerchiamo di ridurre al minimo le ribellioni, conserviamo le energie. Ci serviranno».
«Certo, perché rendere tutto più difficile di quello che è già?». E di quello che sarà, si disse.
Sentendosi una marionetta manovrata da estranei, come un orso addestrato in un circo, i ragazzo indossò il microfono. Nell’istante in cui se lo sistemò anche l’altra giocatrice, due fasci di luce calarono su di loro. Il Pubblico applaudì.
«Cari Giocatori» riprese la voce «da oggi ha inizio il vostro mese di Simulreality. Andiamo a scoprire i vostri nomi!».
Il Pubblico starnazzò, urlando parole che i due non riuscirono a distinguere. Nomi, suppose lui, e suppose di supporre bene.
Nello schermo, ora, l’inquadratura si stava stringendo su di lui. Accanto al suo volto incupito e frastornato comparve la scritta “GAVIN” e la percentuale “57%”.
«Fate un bell’applauso per il nostro primo Giocatore: Gavin!»
Ma è uno scherzo?
Il Pubblico tornò ad applaudire, ma stavolta si udì anche qualche fischio. Sotto a quello che doveva essere il suo nome, in piccolo, apparve una graduatoria che mostrava altri cinque nomi, ciascuno con una percentuale più bassa: Jones al 15%, Twain al 10%, Chris all’8%, Caio al 7% e Skywalker al 3%.
«Tutti nomi del cazzo, avete proprio degli ottimi gusti. Auguri ai vostri figli» esclamò, e la sua voce rimbombò nello studio. Il Pubblico si mise a rumoreggiare, alcuni ridevano, altri urlavano «Buuu».
La ragazza storse la bocca. «Chi ben comincia...».
«Quanto tempo hanno avuto per votare tra le opzioni?» domandò il giovane alla voce robotica. A rispondergli fu però la sua rivale: «In teoria, dal momento in cui ti svegli fino al secondo in cui ci mettiamo i microfoni».
«Devo avergli fatto proprio una bella impressione» ribatté, incurante del volume del microfono.
Non me ne frega niente di ingraziarmeli, voglio solo uscire da qui. O che il "qui" finisca il più in fretta possibile.
«E adesso» riprese la voce «tocca alla nostra seconda Giocatrice!»
L’inquadratura si fermò sulla ragazza, che osservò lo schermo con circospezione, mordicchiandosi un’unghia del mignolo. Il ragazzo immaginò che da quel momento in avanti sarebbe stata anche lei impreparata quanto lui. Finalmente.
Accanto al suo volto apparve il nome “OPALE” seguito dalla percentuale “64%”.
«Fate un bell’applauso per la nostra seconda Giocatrice: Opale!»
Ed ecco, subitanea, la graduatoria: Adele al 14%, Felicia al 12%, Belén al 6%, Mulan al 4%.
«Mulan?». La ragazza non trattenne una risata. «Sarà per il taglio di capelli. Invece Belén proprio non me lo spiego».
Il Pubblico esplose in starnazzi estatici. Per la prima volta da quando si era svegliato, il ragazzo provò una fitta d’invidia per la tranquillità con cui, a differenza sua, quella sconosciuta stava affrontando la cosa. Lei aveva avuto il tempo di abituarsi, di disperarsi e di rassegnarsi. Lui, nulla di tutto ciò. Stava per farlo presente, per voltarsi verso il Pubblico e far risuonare l’eco di una polemica – «Perché lei sì e io no? Perché non il contrario? Non avreste preferito vedere un maschietto placare lo shock di una femminuccia?» – ma la soffocò. Non gli conveniva mettersi il Pubblico contro, e per quanto gli seccasse iniziare a ragionare come voleva il programma, con le logiche della Simulreality, si accorse che era proprio quella l’unica cosa sensata da fare, almeno per il momento. Occorreva essere strategico.
«Gavin e Opale, avvicinatevi allo schermo» ingiunse la voce. Obbedirono.
L’immagine cambiò: ora mostrava un grande punto interrogativo posto sulla superficie di uno sfondo rosso.
«Andiamo a scoprire qual è la Realtà che Gavin e Opale dovranno vivere a partire da oggi!»
Qualche nota ricca di tensione risuonò nell’Ala, mentre il rombo della platea si attutiva. Dovevano avere il fiato sospeso, e in effetti anche il ragazzo sentiva il cuore sfrigolare, i battiti aumentare.
Sullo schermo si formò l’immagine di un’altura ripida, con in cima una torre prominente, scura, dall’aspetto tetro e grottesco. Prima ancora che si delineasse una descrizione in sovrimpressione sull’inquadratura, il Pubblico tuonò in un boato. Ed ecco il titolo.
«Gavin e Opale» cinguettò la voce «passeranno un mese nella Realtà del Mattatoio dalle Cento Stanze!».
La percentuale di voto per il Mattatoio era schiacciante: 82%, contro la misera quantità di voti raggranellati da soggetti come “Il Luna Park dei Morti”, “Il Medioevo futuristico”, “I Gironi danteschi”, “Le Isole dei Draghi”.
«Una realtà simulata che non prevedesse elementi horror o fantasy non c’era proprio, eh?». Non riuscì a trattenersi dal commentare acidamente, ma stavolta la platea ridacchiò deliziata.
«Gavin non sembra gradire, ma tu Opale, che ne pensi?» chiese la voce, melliflua.
Il ragazzo si voltò verso Opale – o come doveva chiamarla, lei, l’Altra, la Giocatrice, la completa estranea con cui avrebbe dovuto convivere forzatamente per i successivi 30 giorni. Lei aveva smesso di mordicchiarsi il mignolo, e aveva assunto una posa concentrata, ma il microfono rese il suo timbro cristallino, e a lui non sfuggì il tremito che lo pervadeva. «Sono… sollevata. Insomma, non credo possa essere più spaventoso della Divina Commedia!».
Il Pubblico rise. Gavin non sapeva come facesse a cadere con tale facilità nelle grazie di un approccio così assertivo e lusinghiero come quello di Opale. Anche se, supponeva, il suo approccio era l’unico che si potesse adeguare alla folle situazione in cui si trovavano. Lei si accorse del suo sguardo, e si strinse nelle spalle. «Ci tocca sopravvivere» bisbigliò, così piano che il microfono non colse le sue parole e non le consegnò al pubblico ludibrio. «E per sopravvivere dobbiamo piacere».
«Non si bara, Opale!» la rimproverò bonariamente la voce. «Non è ancora il momento di confidarvi. In effetti, cari Giocatori, non lo sarà mai: siete rivali! Ed è tempo che scopriate il campo su cui dovrete sfidarvi».
Un lampo rosso a tutto schermo, e poi una serie di immagini velocizzate, una sorta di teaser di ciò che li aspettava. «Il Mattatoio dalle Cento Stanze” chiosa una nuova voce registrata, interna al video «è stato progettato ispirandosi alle opere di Escher, e prendendo ispirazione dal cult cinematografico The Cube. La torre che lo ospita è stata pensata come un labirinto verticale e a livelli, popolato da personaggi virtuali ma creati con una loro precisa intelligenza artificiale. I due giocatori entreranno nel Mattatoio con due ruoli specifici, una copertura per i personaggi che ci vivono, e si dovranno comportare secondo specifiche indicazioni. È come in un videogioco: i caratteri che incontrate non sanno di non esistere, giusto?»
Il Pubblico gongolò mentre una serie di istantanee scorreva lungo le scale della Torre, mostrando a flash di microsecondi il contenuto delle Stanze, quasi impercettibile a causa della celerità dell’immagine.
«Ognuna delle Cento Stanze nasconde un’insidia, progettata sulla base delle paure dei Giocatori, e il Pubblico potrà consultarne il contenuto sul sito della Simulreality, votando di conseguenza, ogni due giorni, la Stanza in cui i Giocatori dovranno entrare, e in base a essa la Sfida da concludere. I Giocatori dovranno quindi integrarsi alla vita nel Mattatoio, e al tempo stesso portare a compimento le loro missioni, una ciascuno, nell'arco di un tempo massimo di 48 ore. Nel momento in cui una Sfida sarà conclusa, un ricordo verrà riconsegnato al Giocatore in questione, e l’altro ne sarà testimone, per potersene servire al momento opportuno. Ogni ricordo sarà disponibile da quel momento sulla piattaforma oline del programma».
Eh?
Gavin scorse Opale impallidire. Non la biasimava: gli stavano praticamente suggerendo di ferirsi a vicenda, usando qualunque mezzo, oltre a fargli intendere che nessuno di quei ricordi sarebbe stato più privato. 
«I Giocatori saranno sempre a conoscenza del numero di persone connesse alla Simulreality, in onda, a pagamento, su tre social in contemporanea, e visionabile in diretta 24 ore su 24 sul sito dello show. Al termine di ogni giornata» proseguì imperterrita la voce fuori campo del teaser «i Giocatori si dovranno recare nella prima Stanza del Mattatoio, la soglia, per scoprire il loro livello di popolarità giornaliero sui social connessi alla Simulreality. Il Pubblico può votare al massimo cinque volte al giorno, per uno o l’altro Giocatore. Ricordate, Giocatori: ogni vostro gesto, ogni vostra parola, ogni vostra decisione potrà portarvi un fan, un voto, in più, e l’ultimo giorno di Simulreality il più votato partirà avvantaggiato rispetto all’altro. La vittoria finale sarà poi stabilità per metà dalla giuria degli ideatori e per metà dal prescelto eletto dal pubblico. Avete domande, Giocatori?».
Il Pubblico era, come si dice, in delirio.
Domande?, pensò Gavin. Be’, tanto per cominciare, da chi è composta la giuria degli ideatori? In modo da avere un’idea di chi chiederò sia messo in galera, quando otterrò il mio Ultimo Desiderio.
Lo pensò ma, ovviamente, non lo disse. Era contento di non essere una persona dall’indole remissiva, ma era ormai chiaro che non era neppure un ribelle, uno Spartaco del Ventesimo secolo. Nel giro di pochi minuti si era adattato a reprimersi e a tacere.
«Ho una domanda» disse Opale.
Il Pubblico si placò, pur continuando a tenere i cellulari ben saldi di fronte a sé, in direzione della Giocatrice.
«Con quale grado di preparazione arriviamo a questo game show? Cioè, quanto ci vorrà prima che saremo tornati in possesso di tutte le nostre conoscenze e abilità? Ci potrebbero servire per, insomma, fronteggiare le Sfide».
Interessante, si disse Gavin. È vero. Nel giro dell’ultima ora, è come se avessi recuperato le mie conoscenze sul mondo, pur continuando a non avere una memoria precisa di me stesso e di come l’ho abitato nei miei anni di vita.
Opale era furba: sperava di far leva sulla curiosità del Pubblico di vederli cimentarsi in modi più variegati nelle Sfide e, già che c'erano, ficcare il naso quanto più possibile nel privato dei Giocatori. E a loro, be', sarebbe di certo convenuto ricordarsi cosa erano capaci di fare, piuttosto che scoprirlo sul campo.
A risponderle fu la voce dell’Ala. «Ciao, Opale. La Simulreality opera su specifiche aree della vostra memoria. In seguito a una prima fase di stordimento dopo il risveglio, vi siete resi conto di aver mantenuto la consapevolezza di determinate sfere di realtà, e del piano più basico della vostra persona. Non avete dimenticato come si parla, come si legge, non avete dimenticato il significato delle parole e delle cose apprese durante gli anni della vostra vita. Per esempio, avete imparato ad andare in bicicletta, sapete ancora farlo. Abbiamo prelevato soltanto la memoria della vostra vita e degli eventi ad essa legati, sia emotivi che pratici: la vostra famiglia, le vostre passioni, le vostre scelte, le vostre azioni. Ora siete un essere umano proattivo, ma senza passato. Un essere umano già formato, ma solo nella sua praticità. Un foglio bianco, ma funzionante. Nel corso di questo mese, pian piano ricorderete dei fatti importanti, nei momenti più impensabili, ma i ricordi più preziosi che abbiamo selezionato a nostra discrezione li riotterrete al termine di ogni Sfida. Il gioco della Simulreality è una narrazione, appassionante per voi e per il Pubblico proprio perché diventerete personaggi in progress, in grado di contare soltanto sulle vostre forze, sulla costruzione di una capacità di apprendimento e adattamento che nasceranno per intuito, nelle circostanze in cui vi troverete».
Personaggi. Un foglio bianco. In progress. Gavin aveva la testa che gli scoppiava.
«Due macchine, con una serie di strumenti a portata di mano, e la capacità di usarli, ma senza il ricordo di averci mai fabbricato niente» mormora Opale. «Per quel che ne sappiamo, da oggi in poi potremmo diventare due persone completamente diverse da quelle che eravamo».
Gavin non ebbe, ancora una volta, il tempo di riflettere su ciò che aveva detto, perché la voce si rivolse a lui. 
«E tu hai domande, Gavin?»
Ci mise qualche secondo a reagire. Già detestava quel nome. 
Molte. Innumerevoli.
«No, nessuna. Oh, forse solo un piccolo favore».
Opale gli lanciò un'occhiata in tralice.
«Chiamatemi Gav».

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: shoshie91