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Autore: demonsparadise    28/07/2017    0 recensioni
Eleanor è una ragazza di 19 anni, all'ultimo anno di istituto poiché bocciata l'anno prima. Ribelle, scanzonata, dice spesso parolacce e fondamentalmente depressa. Non ama la vita, non ama le persone, conduce una vita sregolata alla ricerca costante di qualcosa che la smuova.
Andras è uno dei demoni più potenti degli inferi. Un giorno, per via di avvenimenti che poi scoprirete, rimane sprovvisto di corpo, quest'ultimo viene fatto a pezzi e in un ultimo gesto disperato ma premeditato, trasferisce la sua anima in un essere umano appositamente scelto da lui. Eleanor inizia quindi a sentire una voce nella propria testa, che le parla, che la stuzzica, che tenta di impartirle ordini. Un demone da un lato sarcastico e "umano", dall'altro, profondamente saggio e stanco. L'anima di Andras ormai vive dentro Eleanor, vede ciò che lei vede e sente quello che lei sente, riesce a comunicare soltanto con lei ma non ha alcun controllo sul corpo della ragazza. Perché il demone ha scelto proprio lei? Riusciranno i due a trovare un modo per convivere insieme nello stesso corpo, oppure cercheranno un modo per tornare ad avere ognuno una propria identità?
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi accesi una sigaretta nel percorso verso scuola, quando a un certo punto venni affiancata da Alexander, detto Alex, anche se finsi di non accorgermene difatti me lo ritrovai poi davanti a me che camminava all'indietro per farsi notare.
"Ronnie, Ronnie!" Schioccò le dita. "Ci sei? Hai una faccia totalmente assente." Ronnie. Era il soprannome che mi avevano dato da.... In realtà non ricordo neanche quando. Da che avevo memoria ero sempre stata chiamata in quel modo. Non lo amavo particolarmente, suonava maschile, ma a nulla erano valsi i tentativi di persuaderli a non utilizzarlo più.
Alexander era un mio amico d'infanzia e il caso aveva voluto che finissimo poi nello stesso istituto scolastico. In realtà avevamo decretato - più lui di me - che fossimo migliori amici, ma in verità non vedevo in lui una persona con la quale aprirmi o confidarmi, non c'era persona al mondo con cui lo facessi. L'unica cosa che ammettevo era di gradire la sua compagnia più di altre e di trovarlo più sopportabile rispetto ad altri. Era un notevole passo in avanti. Alex era un ragazzo studioso ma allo stesso tempo di aspetto decisamente gradevole. Le ragazze di scuola lo consideravano "figo" e lui, neanche a dirlo, si sentiva lusingato tanto che era diventato di una permalosità sconcertante. Non era uno sciupafemmine, non vedeva in ognuna di noi un'occasione da sfruttare per proprio piacere personale né tanto meno si era passato tutte le ragazze che gli sbavavano dietro; a lui piaceva ascoltarci e poi al massimo, quando il testosterone implodeva in lui, decideva di concedersi il piacere di una sana scopata, mettendo da subito le cose in chiaro perché non gli andava di sentirsi responsabile delle lacrime di qualcuna.
Aveva capelli biondi e ricci, occhi marroni che, a volte, a detta sua e alla luce del sole, apparivano verdi. Più volte il colore dei suoi occhi era stato oggetto di nostre animate discussioni, il verde non lo avevo mai scorto mentre lui insisteva su quel mirabolante effetto ottico di cui andava fiero e per il quale si sentiva speciale. Gli occhiali inoltre, gli conferivano quel fascino da intellettuale che non era da sottovalutare. Io lo chiamavo Quattr'occhi, esattamente come uno dei puffi principali.
"Ed ecco arrivato l'amico del cuore che però vorrebbe sfilarti le mutandine alla prima occasione." Che?
"ZITTO!" Urlai, e vidi l'espressione radiosa di Alex tramutarsi in quella confusa, smise di camminare all'indietro tornando al mio fianco, credendo stessi parlando con lui, come d'altronde era ovvio credesse dato che non sapeva nulla dell'intruso nella mia testa.
"Ma che cavolo hai? Se hai bisogno di urlarmi per sfogarti io passo per stavolta."
"Non stavo parlando con te. Lascia perdere..."
Avevo un corso serale quel tardo pomeriggio, per via del fatto che fossi indietro in diverse materie mi avevano costretta a seguirlo. Desideravano, ancor più di me, che io superassi quell'anno scolastico, così si sarebbero liberati di me in via definitiva. Non ero mai stata un'alunna modello né ambivo a diventarlo, Alex mi dava una grossa mano e mi spronava in tal senso. Seguiva quelle lezioni per approfondire e non per reale bisogno. Era di un anno più giovane di me ma, dato che ero stata bocciata l'anno prima, eravamo finiti in classe insieme e questo gli aveva fornito un ulteriore motivo per romper.... motivarmi allo studio.
Andras era convinto che Alex avesse una cotta per me, e se io fossi stata una delle classiche tontolone protagoniste dei teen movie, avrei finto di non accorgermene cascando dal pero, e invece lo sapevo eccome. Ne ero consapevole e la cosa più che allietarmi, mi preoccupava. Non desideravo si facesse strane idee in testa né tanto meno era mia intenzione ferirlo. Mi ero ripromessa di affrontare quel discorso con lui un giorno, dato che a egli mancava il coraggio per esternare quei sentimenti che erano evidenti agli occhi di tutti. Potevo capirlo, conoscendomi bene era normale avesse paura di una mia eccessiva reazione, cosa plausibile dato che mi comportavo da ragazza mestruata per 365 giorni all'anno. Gli avrei parlato per prima, lo avrei liberato di quel peso così avrebbe sviato le sue attenzioni altrove, avevo già la ragazza adatta; lui ancora non lo sapeva, ma io me li ero già figurati fra una ventina d'anni sposati e con tre figli a carico, era solo questione di tempo.
Arrivammo a scuola con una decina di minuti di ritardo, fummo rimproverati dalla professoressa per la nostra poca serietà e bla bla bla... Non sentii nemmeno quel che aveva da blaterare. Ci sedemmo ai nostri soliti posti e il mio sguardo sin da subito distolse la sua attenzione dalla figura che parlava da dietro alla cattedra, per perdersi a osservare fuori dalla finestra. Non che ci fosse qualcosa di interessante lì fuori, in realtà stavo guardando ma senza veder nulla, persa in uno stato fra il sonno e la noia, quando a un tratto mi sembrò di scorgere un'ombra che oscurò il sole per una frazione di secondo.
"Cosa è stato?" Sussurrai, per farmi sentire da Andras e nessun altro.
"Che vuoi che sia stato? Qualche volatile ci avrà voluto provare con te ed è andato a sbattere contro la finestra e così ha scoperto quanto doloroso sia l'amore". La simpatia non era il suo forte. Ci provava a fare qualche battutina ma era un umorismo in voga il secolo scorso, ormai obsoleto e antiquato.
"Signorina Prescott, deduco dal suo atteggiamento che la scuola le debba piacere molto dato che intende rimanerci per altri anni." Sbuffai davanti al suo naso.
"O magari mi piace lei e desidero rimaner ancora qua a lungo a sentire la sua voce."
Vidi Alex, seduto accanto a me, scuotere la testa in segno di disapprovazione.
"Esca dall'aula e torni quando avrà realmente voglia di riempire quella zucca con qualcosa di utile. Dovrò convocare a scuola il suo tutore, un'altra volta."
Non me ne importava. Non mi fregava nulla della loro considerazione nei miei riguardi. Gettai astuccio e libri nello zaino per poi alzarmi. Sentii una presa sul polso, era Alex, che non disse nulla ma i cui occhi lasciarono trapelare tutta la delusione. Mi liberai dalla presa avviandomi all'uscita, con gli sguardi dell'intera classe rivolti a me. Li salutai con una linguaccia e uno sguardo truce prima di ritrovarmi nei corridoi vuoti. Dovevo aspettare che terminasse la lezione per ritrovare Alex e poi recarci insieme al locale in periferia. Mi sedetti su una delle panchine presenti, incrociando le gambe e appoggiando la testa al muro, quella stessa testa dalla quale sentii arrivare una voce ben presto.
"C'è qualcosa di cui ti importi veramente?" Ed eccolo tornato all'attacco, a sfoderare gli artigli un'altra volta, nel vano tentativo di capirci qualcosa in più della mia testa.
"Stai cercando di psicanalizzarmi per poi fornirmi un'analisi dettagliata dei miei disagi?" Replicai sarcastica con un ghigno in volto.
"Sto cercando di capire il tuo atteggiamento da dove derivi, il tuo odio verso il mondo." Il tutto perché mi ero permessa di rispondere a tono a un professore?
"Deve esserci un motivo? Non può essere che io sia semplicemente stupida? Non ci capisco nulla di quei calcoli, non so come far incastrare quei numeri... credo di essere stupida. D'altronde al mondo non possiamo tutti essere brillanti e in gamba, qualcuno per compensare ci deve essere. Sai, la storia della bilancia e degli equilibr.." Ma non ebbi tempo di finire quel mio sproloquio che fui interrotta. "Sei stupida quando fai discorsi del genere, non vi è alcun dubbio."
"Vi è? Ma come parli?" Rimproverai.
"Devo abituarmi al vostro linguaggio moderno, molto discutibile fra l'altro, ma hai cambiato discorso." L'avevo fatto, e l'avrei fatto ancora se fosse stato necessario.
"Forse perché non ho voglia di risponderti? Non è che averti nella mia testa ti conferisce dei diritti speciali, e per di più nemmeno io so molto di te." Con quale coraggio aveva pretese su di me, se ero la prima a non sapere quasi nulla su di lui? Mi aveva fornito le informazioni essenziali e ogni qual volta avevo tentato di scoprire qualcosa in più, ero stata liquidata con qualche frase a effetto.
"È meglio così. Sapere può rivelarsi pericoloso." Che avevo appena detto?
"E allora è meglio che tu non sappia nulla di me." Non avevo sicuramente i suoi stessi segreti alle spalle, ma sarebbe stato iniquo rivelargli i miei senza avere alcun riscontro.
"Sei proprio una bambina." Sì, diventavo infantile a volte, specialmente quando mi sentivo attaccata e avevo bisogno di una difesa veloce a cui fare appello. Avevo ragione a esserlo.
"Signorina, è sicura di stare bene? L'ho sentita parlare con qualcuno, mi sono recato qui a vedere e ho trovato solo lei." Ned era il bidello della scuola, e stava fissandomi con occhi sorpresi e con quel sorriso sempre presente. Non ricordavo di averlo mai visto serio, aveva sempre le labbra curve all'insù. A scuola tutti gli volevano bene, era un uomo tozzo ma dagli occhi di un azzurro molto intenso, che rendevano il suo sguardo affascinante, capelli neri e una barba incolta priva di vera forma. Teneva il manico del mocio in una mano e il secchiello nell'altra, stava svolgendo i suoi compiti quotidiani. Ogni tanto era capitato di imbattermi in lui, ci si chiacchierava piacevolmente.
"Io ho.... una cuffia, nell'orecchio..." Avrebbe retto? Non c'erano fili. "Wireless." Aggiunsi.
"Non so cosa tu abbia appena detto ragazzina, cerca di stare attenta però, qualcuno potrebbe pensare che tu sia pazza a vederti parlare da sola. Non io, io... non credo tu sia pazza, credo tu sia in qualche modo speciale e non vorrei mai pensassero tu sia pazza."
In realtà nemmeno sapevo come rispondergli, parlava in maniera strana e faticavo a stargli dietro a volte, perciò mi limitai a fargli un sorriso di rimando per tranquillizzarlo. Forse ero sul serio pazza, quel dubbio non mi aveva mai abbandonata del tutto. Poco dopo se ne andò a svolgere le sue mansioni, e io rimasi in silenzio nonostante Andras avesse tentato altre volte di instaurare un dialogo. Finalmente le persone iniziarono a uscire di classe, e io attesi Alex che, come al solito, uscì per ultimo. Ero certa si fosse fermato a chiedere ulteriori chiarimenti alla prof. Aveva lo stesso sguardo di prima, la delusione gli si leggeva in ogni ruga d'espressione sul volto.
"Sei un'idiota". Fu la prima cosa che disse, per poi recarci ai nostri armadietti dove avremmo lasciato le nostre cose. Chissà per quale strana ragione tutti gli uomini della mia vita mi riempivano costantemente di complimenti, dovevano essere più che meritati. Non entrò più nel discorso, mentalmente lo ringraziai di questo, sarebbe stato fiato sprecato.
Uscimmo da scuola, dove ci aspettava una macchina guidata da Elliot, un amico di Alex con il quale non ero mai andata particolarmente d'accordo. In macchina trovai un altro ragazzo di cui non ricordavo il nome e poi Naomi, la mia migliore amica, e futura moglie di Alex. Ero convinta fossero fatti l'una per l'altro. Naomi era una ragazza bassina, arrivava a stento al metro e cinquanta, e in realtà non aveva nessuna particolarità fisica, aveva dei normalissimi capelli lisci e marroni, occhi dello stesso colore. C'era un qualcosa di estremamente armonico nella sua normalità. Non vestiva di scuro, non era una testa di cazzo, seguiva le regole, era di buona famiglia... In sintesi era il mio opposto. Non era solita frequentare i locali, per lei quelle erano trasgressioni che ogni tanto si concedeva per sentire un po' di adrenalina che saliva nel fare qualcosa che lei riteneva sbagliato. Non avevo idea di come facessimo ad andare d'accordo, ma anche per lei valeva lo stesso discorso di Alex, non riuscivo ad aprirmi. Era un rapporto alla "tu puoi raccontarmi tutto e io ti ascolterò, ma non chiedermi di fare altrettanto". E lei con me si era aperta totalmente, mi aveva raccontato ogni dettaglio della sua vita, non un volta ma diverse volte, e rispettava invece i miei silenzi. Andavamo d'accordo per quello, perché non sentiva la morbosa necessità di conoscermi a ogni costo. Il viaggio in macchina fu pieno di chiacchiere urlanti per via della musica ad alto volume. Ci mettemmo una ventina di minuti ad arrivare. Prima di scendere, Elliot fornì a ognuno di noi una delle "pasticche magiche" e tutti, tranne Naomi, ce le scolammo giù senza esitare. Lo sballo era appena iniziato.
Il locale era caotico, la musica talmente alta da far piangere i timpani. Corpi semi-nudi ammassati che si strusciavano fra di loro, droghe che giravano come i bigliettini durante i compiti in classe. Era risaputo che quello fosse un covo per la malavita, quel locale aveva una reputazione pessima e sul proprietario giravano voci inquietanti, delle vere e proprie leggende metropolitane. Era una figura misteriosa, mi ero chiesta più volte se effettivamente esistesse e se ci fosse del vero nelle varie voci. Non fremevo dalla voglia di scoprirlo.
La droga stava iniziando a fare effetto e io mi ritrovai a sorridere come un ebete, senza evidente motivo. Raggiungemmo il bancone e ordinai uno dei miei cocktail preferiti, il Bloody Mary, in onore della sanguinaria Maria che, se fosse stata ancora viva, avrebbe fatto giustiziare chiunque avesse osato onorarla con quel cocktail da quattro soldi. Lo scolai tutto d'un botto, per poi ordinarne un altro. Amavo il sapore dell'alcol che scendeva nella gola, che graffiava la gola. Elliot e l'altro suo amico si erano già dispersi fra la folla mentre Alex e Naomi erano accanto a me e stavano chiacchierando di cose.
La testa stava diventando sempre più leggera, e io sempre più felice.
"Ti piace quel cavernicolo pompato? Sei prevedibile." Commentò Andras, dato che aveva notato che la mia attenzione era stata attirata da un ragazzo a petto nudo che stava strusciandosi contro uno dei pali messi a disposizione per i clienti più coraggiosi. Il sudore stava colando lungo il suo addome e la trovai una visione estremamente virile.
"Si chiamano muscoli, a noi donne generalmente piacciono." Risposi spontaneamente con un'alzata di spalle, per poi incamminarmi verso quel ragazzo, desiderosa di attirarne l'attenzione, come altre ragazze stavano già tentando di fare.
"Te non ne avevi? Eri un demone brutto, gobbo e gracilino?" Provocai, mentre cercavo di farmi spazio fra la folla tra una gomitata e l'altra.
"Non ho detto questo." Gli avevo chiesto di descriversi svariate volte e come al solito era stato diplomatico quanto vago. Diceva che le ragazze, anzi, le donne (ci teneva a precisare) l'avevano sempre trovato estremamente attraente e alcune erano arrivate a fare grandi follie per lui. Sciocchezze, poteva raccontarmi qualunque cosa dato che non l'avrei mai visto.
"Che culo quella, ci farei grandi cose." Andras vedeva quel che vedevo io, ma notava cose diverse. Strabuzzai gli occhi tentando di capire a chi si riferisse ma mi ci volle poco. Poco più avanti a me si intravedeva una ragazza che si muoveva suadente. Era biondissima e dalle labbra carnose, e cosa più importante: Indossava un costumino striminzito color rosa che lasciava poco spazio all'immaginazione. Le forme erano messe in risalto - e non le mancavano, aveva due grosse bocce e un sedere da favola - e naturalmente aveva una cerchia di ragazzi che le ronzava attorno.
"Puzza di snob fin qui, e di plastica." Pregiudizio? Naturalmente. In fondo nemmeno mi fregava chi fosse, e lei non si sarebbe mai accorta della mia presenza.
"Sei invidiosa." Probabile, ma di un'invidia innocua. Non avevo tette se non una seconda, le mie labbra erano piuttosto sottili, gli occhi grandi e a palla e il viso, sebbene fossi magra, era stranamente rotondetto. Non ero la classica bellezza che attirava l'attenzione al primo sguardo ma non era mai stato un problema. Preferivo non avere costantemente gli occhi puntati addosso, non sarebbe stata facile da gestire tutta quell'attenzione. Eppure qualche stronzetto riuscivo ad attirarlo. Abbordare era piuttosto semplice.
"Sei tu ad avere degli standard squallidi." Perché sì, dovevo avere l'ultima parola.
Ero finalmente giunta in prossimità del palo e quel che feci fu allungare il mio braccio, come altre ragazze avevano già precedentemente fatto per toccarlo ovunque, solo che, a differenza loro, la mia mano andò a posarsi direttamente sul pacco del ragazzo in questione, che afferrai con decisione nonostante avesse ancora i jeans addosso.
"Dimmi che non lo hai appena fatto. Questa cosa mi fa sentire gay."
Sogghignai alle sue parole. Ero piuttosto diretta quando si trattava di ottenere quel che volevo, d'altronde quel ragazzo era lì apposta alla ricerca di una facile trombata, i moralismi in questo locale andavano lasciati all'uscita.
"Sei piuttosto diretta." Commentò il ragazzo una volta che mollai la presa, scendendo giù da quel palchetto e raggiungendomi alla mia altezza, poggiai le braccia sulle sue spalle sudate. Due sguardi veloci ma molto eloquenti e le nostre labbra si ritrovarono incollate le una alle altre, e iniziammo a far intrecciare le nostre lingue in una limonata piuttosto intensa.
"E dimmi che non ci farai sesso, non potrei sopportarlo, la mia eterosessualità ti implora di non venire minata". Dannazione, pure in un momento tanto piacevole doveva far sentire la sua urticante voce? Avevo cercato di fare sesso una sola volta da quando ce l'avevo in testa, ma dovetti desistere perché non mi aveva lasciato altra scelta. Quindi, secondo lui, dovevo rimanere in astinenza a vita, dato che ora avevo un maschio etero e schizzinoso in testa? Se lo doveva scordare. Avrei fatto sesso quella sera, del buon sesso a qualunque costo. Avevo bisogno di quella valvola di sfogo. Ci staccammo per un attimo, l'afferrai per mano e cominciai a trascinarlo verso i bagni, lui ovviamente mi seguì senza battere ciglio, mentre Andras continuava a lamentarsi ancora e ancora.
A un certo punto però, venni fermata da Elliot, che si piazzò davanti a me, mi afferrò per l'altra mano e diede un'occhiata al ragazzo dietro di me.
"Lei è mia per stasera." Rimasi totalmente interdetta a quella affermazione, ma funzionò, dato che poco dopo il ragazzo nuovo si staccò e io mi ritrovai a faccia a faccia con Elliot, senza sapere che dire e con lo sguardo sorridente e dubbioso allo stesso tempo, e con i piedi barcollanti pure se fermi. Era successo davvero o ero talmente fatta da aver avuto un'allucinazione? Io ed Elliot ci eravamo scambiati tre parole in altrettanti anni, forse. E provavamo un'antipatia reciproca che non avevamo mai desideravo approfondire o chiarire perché ci andava bene così.
"Senti, lo so che non ci siamo mai stati simpatici, ma stasera ti voglio. Sei mia."
Che frase squallida da Harmony, sentita e risentita in tremila opere sdolcinate, eppure provai una qualche soddisfazione a sentirle pronunciate proprio da lui, dal ragazzo a cui credevo di fare ribrezzo o comunque che non provasse alcuna attrazione fisica e sessuale nei miei riguardi. Che altro dovevo pensare? A un cazzo, come se poi ne avessi le facoltà in questo stato.
"Baciami stronzo." E da labbra che sapevano di vodka mi ritrovai delle altre labbra che invece avevano un sapore di sigaretta mischiato a della semplice birra . Baciava bene, d'altronde lui sì che era considerato uno sciupafemmine, anzi, troione suonava meglio. Non c'era ragazza a scuola che non si fosse portato a letto e forse ero semplicemente l'ultima in lista ma in fondo non aveva importanza, le nostre lingue andavano più d'accordo di quanto avessero mai fatto le nostre teste e questo era cruciale.
"Lui non mi piace, se proprio dovevi andare a letto con qualcuno dovevi tenerti quello di prima. E comunque mi fa schifo l'idea di dover assistere a tutto ciò e per di più in prima persona." Andras nella mia testa continuava a parlare di continuo, ma io avevo ormai smesso di dargli ascolto e cercavo di concentrarmi sul momento che stavo vivendo.
Fu un bacio piuttosto lungo, e poi decidemmo di comune accordo di raggiungere i bagni per concludere quell'affare. Una volta dentro a uno di quei luridi postacci, cominciai a spogliarlo, togliendogli la t-shirt e lui fece lo stesso con me, che rimasi in reggiseno. Sotto avevo una gonna piuttosto corta. Stavo per abbassarmi le mutandine quando mi accorsi di qualche goccia di sangue che aveva sporcato l'intimo. Possibile che avessi tutta sta sfiga e che il ciclo avesse deciso proprio ora di anticipare i tempi?
"F...fermati, io credo..." Ma non mi diede ascolto, bensì mi blocco entrambi i polsi in alto schiacciandomi contro al muro. "Ma che stai facendo?" Borbottai, mentre l'altra sua mano cercò di raggiungere la mia intimità e io cercai invece di dimenarmi per liberarmi da quella presa.
Cominciai a gridare aiuto ma fece risalire la sua mano per tapparmi la bocca. Presto vidi estrarre dai jeans un coltello all'apparenza affilato a dovere e fui presa dal panico più totale. Lo portò alla mia gola intimandomi di tacere altrimenti mi avrebbe fatto del male. Elliot era uno stronzo ma lo sguardo che che aveva in quel momento, non l'avevo mai visto. Persino la sua voce non mi sembrò più la sua, era come se si fosse trasformato in Mr Hide e io avevo talmente tanta paura che stavo tremando come una fogliolina, mi sentii talmente vulnerabile che nessuna droga in quel momento avrebbe potuto soppiantare il terrore che provavo. La mia richiesta di soccorso diede i suoi frutti e nell'immediato sentii bussare qualcuno alla porta e con voce strozzata e grazie a una sua distrazione riuscii a farmi sentire un'altra volta.
"Sei una puttana, sei solo una puttana che merita di morire."
E mentre lui mi insultava con voce roca e rabbiosa, qualcuno diede un calcio alla porta riuscendo così a fare incursione. Elliot tentò di sfoderare un ultimo colpo disperato e riuscì a procurarmi un taglio sul braccio, piuttosto lungo e profondo, prima di venir allontanato da due grossi bestioni che dovevano essere guardie del corpo. Io, dal mio canto, ero rimasta totalmente paralizzata. Poco dopo l'avvenuto, vidi accorrere in mio soccorso Alex, e poi Naomi. Da lì in poi i ricordi si fecero confusi, ricordo solamente degli sprazzi, il viso di Alex annebbiato che mi consigliava di andare al pronto soccorso, Naomi che piangeva e continuava a ripetere di non riuscire a crederci a quello che era avvenuto, il braccio che veniva medicato e fasciato.. Altra gente che mi chiedeva dettagli su dettagli. Parlai davvero poco, non riuscivo. Avevo la gola bloccata, in realtà nella mia mente ero ancora ferma all'immagine di Elliot con il coltello in mano, non riuscivo ad accantonarla.
Fui accompagnata a casa, non avevo idea quale fu la macchina a riportarmici, non di certo la stessa con la quale eravamo arrivati. L'ultima persona dalla quale mi congedai fu Alex, che mi sorresse a ogni mio passo e mi accompagnò sino alla porta di casa.
"Se vuoi rimango con te stanotte", disse, ma io rifiutai. Perché rifiutai? Perché ero talmente abituata ad affrontare qualsiasi cosa da sola che avevo sempre creduto di non avere bisogno di aiuto da parte di nessuno. Perché, nonostante quello che era successo, ero pur sempre la stupida Eleanor che doveva riuscire a sostenere qualunque situazione da sola. Non era così.
Una volta a casa, salutai brevemente nonna minimizzando l'avvenuto e chiedendole di non porre ulteriori domande, per poi rinchiudermi a chiave in camera. Chiusi persino la finestra, nella paura che qualcuno quella notte - forse proprio Elliot - potesse farmi visita. Ero ancora sotto shock, mi sedetti sul letto avvicinando le ginocchia al mio petto e mi sentii talmente piccola e fragile. Non accesi la TV né il pc, non guardai il cellulare né misi della musica. Rimasi così, in totale silenzio, ripercorrendo nella testa almeno un migliaio di volte quel che era successo, quella scena spaventosa, cercandone il senso.
Andras se ne stava in silenzio, proprio come me. Non parlava. Perché non parlava?
"Non me la dici una parola di conforto?" Domandai con voce flebile, impaurita, alla ricerca di qualche magra consolazione. Lui non rispose in un primo momento, lo sentii solamente sospirare ma non riuscii a interpretare quel sospiro. Poi però, finalmente parlò, e io mi pentii amaramente di quella mia richiesta.
"Sei solo una stupida, un'arrogante e viziata ragazzina." Marcò per bene ogni parola pronunciata. "Ti avevo detto che non ci dovevi andare in quel locale ma tu no, hai dovuto fare di testa tua. Ti avevo detto che quel ragazzo non mi convinceva ma tu no, dovevi fare di testa sua. Sai che ti dico? Che se tu mi avessi dato ascolto a quest'ora non saresti qui a piagnucolare, che se tu mi avessi dato ascolto io non sarei qui a sorbirmi te piagnucolare, e io li odio questi piagnistei, odio essere intrappolato nel corpo di una stupida." Quella parola, quell'ultima parola riuscì a colpirmi quanto una lama. Avevo molte volte detto di esserlo ma, sentirmelo dire con tale cattiveria mi aveva profondamente colpito, e ferito. Perché stava dicendo tutte quelle cose? Perché non riusciva a capirmi, perché non stava consolandomi ma urlandomi contro? Io lo odiavo, lo odiai con tutta me stessa in quel momento.
"Smettila! Smettila!" Alzai la voce anche io, proprio come aveva fatto egli.
"Non vuoi sentirti dire quella che è una semplice ma ovvia verità, e cioè che sei stata un'incosciente e che ora stai piangendo per qualcosa che è successo per causa tua? Sei stata tu a causarlo, sei stata tu a non darmi retta, sei stata tu..." "BASTA" Urlai, interrompendolo. A un certo punto i miei occhi si fecero persino lucidi, ma mi rifiutai di dargli la soddisfazione di vedermi piangere, non l'avrebbe mai avuta.
"Credi sul serio che io volessi questo? Credi per davvero che desiderassi venire stuprata e picchiata nel bagno di un locale da uno psicopatico che conosco da ben tre anni? Se credi davvero questo lo stupido sei tu, e sei anche una merda che deve sparire dalla mia testa!" Non riuscii a trattenermi del tutto, le ultime parole vennero pronunciate singhiozzanti, mentre cercavo di inspirare ed espirare profondamente per non esplodere in un pianto a dirotto.
"Di un'altra sola parola e mi uccido, giuro che se è questo il prezzo per farti tacere una volta per tutte io mi uccido". Non rispose più, non subito per lo meno, ritornò nel suo silenzio, ritornò a fare il codardo, perché questo era. Fu a quel punto che mi sdraiai sul letto, e rivolsi lo sguardo al soffitto. Non riuscii a chiudere gli occhi perché ogni volta che li chiudevo, era come se rivivessi sulla mia pelle quel momento, e sembrava tutto così vero e reale. Ricordavo continuamente a me stessa di respirare, con la mano posata sulla pancia che seguiva la sua naturale contrazione a ogni respiro. Il tempo non passava mai, ogni minuto appariva lungo quanto un'ora. Il braccio mi faceva male, la ferita bruciava. Mi sentivo sola ed era uno di quei momenti in cui la solitudine più che amica, era pesante quanto un macigno sulle spalle. Non avevo idea di quanto tempo passò prima che lui parlasse ancora, a me sembrarono ore interminabili ma era probabile non ne fosse passata nemmeno una.
"Sono stato indelicato, lo ammetto." Indelicato mi sembrò un termine davvero riduttivo.
"È che ora questo è anche il mio corpo, e non ne ho un altro dove emigrare. Mi preoccupo per la sua incolumità." E quindi si preoccupava unicamente per il corpo, quindi per il suo nuovo involucro, non riguardo a me? Le sue parole non migliorarono affatto il mio stato d'animo. Era un demone, continuavo a ripetermi, era un demone e quindi naturalmente cattivo, eppure a volte mi era sembrato talmente umano da farmi dimenticare la sua vera natura. Cercai del positivo nelle sue parole, di vederla da un'ottica diversa e non quella egoista, senza successo.
"Il tuo corpo è ancora qua, ha subito un piccolo danno ma presto tornerà come prima." Ma la mente ne ha subito uno più grande e quella no, non tornerà come prima. Avrei voluto aggiungere al discorso, ma non lo feci, per non dare l'idea di una che si piangeva addosso.
"Speri di sentirmi dire che mi importi di te?" Era accertato che non mi potesse leggere nel pensiero? Perché a volte sembrava proprio ci riuscisse.
"Sei inquietante quando fai così. E comunque no, non me lo dire, le smancerie lo sai che le odio". Decisi di rispondere con una mezza verità. In realtà sì, avrei voluto si fosse preoccupato prima di me, e poi magari del suo corpo. Suo, per modo di dire.
"Non te lo dirò." Avevo già detto che l'avevo anche denominato, secondo quel gergo molto utilizzato ai giorni nostri, il demone di MaiUnaGioia? Non mi aveva mai dato soddisfazione alcuna.
"Me la sono presa a cuore perché oggi hai rischiato più di quanto tu pensi, e lo sai perché?" Non lo sapevo, ma avevo il sentore che me l'avrebbe detto in ogni caso. "Perché?" Chiesi.
"Perché quello era un demone."
Deglutii.
   
 
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