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Autore: BellaLuna    29/07/2017    12 recensioni
Prima Classificata al contest Music Volume is OVER 8000! indetto da nuvolenere_dna sul forum di EFP.
In una Terra devastata e in preda al caos, dove non esiste più alcuna morale o alcuna legge se non quella di sopravvivere, Bulma decide di mettere da parte ogni debolezza per tenere insieme quello che resta della sua famiglia. Tutta la sua speranza è riposta in due giovani, grandi eroi il cui destino è quello di cambiare la storia del loro mondo per sempre.
Dal testo: "Una volta, un uomo che aveva passato tutta la sua vita al servizio di un distruttore di mondi, le ha rivelato che ci sono giochi che non hanno regole e che devono per forza essere portati avanti fino alle fine."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mirai!Bulma, Mirai!Gohan, Mirai!Trunks, Mirai!Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nickname sul sito: BellaLuna
Nickname sul forum: BellaLuna95
Titolo: Game Of Survival
Personaggi Principali: Mirai!Bulma, Mirai!Gohan, Mirai!Trunks, Mirai!Vegeta
Pairing: cenni Mirai!Bulma/Mirai!Vegeta
Traccia Scelta: Ghosttown, Madonna
Introduzione: In una Terra devastata e in preda al caos, dove non esiste più alcuna morale o alcuna legge se non quella di sopravvivere, Bulma decide di mettere da parte ogni debolezza per tenere insieme quello che resta della sua famiglia. Tutta la sua speranza è riposta in due giovani, grandi eroi il cui destino è quello di cambiare la storia del loro mondo per sempre.  
Note dell’Autore: Ciao a tutti! Vi avverto, innanzitutto, che questo è il primo Contest in assoluto a cui partecipo, perciò mi sono lasciata un po’ trasportare, ed è venuta fuori questa storia lunga-lunga, ma spero comunque piacevole. Non c’è molto altro da dire, se non che è una Mirai!Bulma-Centric, che è puro Angst, e che spero vi permetta di entrare dentro l’universo Mirai, oscuro e desolato, che la canzone di Madonna è riuscita a ispirarmi. Grazie in anticipo per l’attenzione, per chi leggerà (soprattutto, per chi riuscirà a leggere fino alle fine), e per chi, se lo desidera, vorrà condividere la sua opinione con me. Un ultimo saluto lo rivolgo a tutti i partecipanti al Contest, e lo faccio citando una frase ormai celebre: “Possa la fortuna essere sempre a vostro favore”.
    

 
 
 



Game of Survival
 
 
 

You're all that I can trust (Tu sei tutto quello di cui posso fidarmi)
Facing the darkest days (Affrontando i giorni più oscuri)
Everyone ran away (Tutti sono fuggiti) 
But we're gonna stay here, we're gonna stay here (Ma noi rimarremo qui, rimarremo qui)
I know you're scared tonight (So che sei spaventato stasera)
I'll never leave your side (Non lascerò mai il tuo fianco)
When it all falls, when it all falls down (Quando tutto crolla, quando tutto crolla)
I'll be your fire when the lights go out (Sarò il tuo fuoco quando le luci si spengono)
When there's no one, no one else around (Quando non c’è nessuno, nessun’altro in giro)
We'll be two souls in a ghosttown (Saremo due anime in una città fantasma)
 
***
 
Una volta, un uomo che aveva passato tutta la sua vita al servizio di un distruttore di mondi, le ha rivelato che ci sono giochi che non hanno regole e che devono per forza essere portati avanti fino alle fine.
Lui lo sa bene. Lui ne è maestro. Non ha mai perso una sfida, né è mai stato sul punto di tirarsi indietro.
Non importa quanto il gioco sia pericoloso o crudele o difficile, perché i veri giocatori vanno avanti, i veri giocatori rimangono in piedi sempre. Con ingegno, astuzia, tenacia, resistono quando la voglia di mollare è così forte da schiacciarti contro il pavimento e toglierti il fiato; combattono quando l’animo è pieno di fuoco, l’orgoglio alto e il petto protetto da armature e barriere d’acciaio; aspettano quando sanno che l’avversario può trasformarsi in un predatore che gioca a occhi chiusi nel suo territorio; e infine infliggono il colpo di grazia quando la carne è più esposta e il cuore vulnerabile e gli occhi sono già rivolti verso il cielo.
I veri giocatori sanno come fare a rimanere in vita fino alla fine.
Anche Bulma ora lo sa, anche Bulma ora è una sopravvissuta.
La vita le ha riservato la più dura e implacabile delle maestre: l’esperienza.
Ha visto in un campo di battaglia guerrieri senza nome morire senza fare rumore su cumuli di macerie. Amici, fratelli, compagni fatti a pezzi da demoni di metallo dalle sembianze umane.
Ha detto loro addio e ha trattenuto le lacrime. Ha detto loro addio e una volta fuori da quell’inferno - ritornata per miracolo in quello che era rimasto della sua casa -, ha segregato tutto il suo dolore dentro una stanza vuota, vicino alla sua, alle fine del corridoio del secondo piano, lì dove una volta un principe ramingo, venuto dallo spazio, aveva finalmente trovato il suo posto.
Decide di riversare lì dentro ogni cosa – ogni ricordo, ogni bacio, ogni tocco, ogni odore - affinché il peso di tutto quello che ha appena perso non la travolga fino a farle perdere la ragione.
(Il tempo per le debolezze è finito, si dice. Tirati su, si dice, smettila di piangere. Sei un’adulta, sei una madre, allora comportati come tale.)
 
***
 
Ci sono due bambini orfani alle porte del suo laboratorio. Uno ha gli occhi scuri, ancora sgranati nel vuoto, con grosse lacrime rimaste incastrate fra le ciglia. Tiene in braccio un neonato con gli occhi chiari, puri, pieni di vita.
Il suo bambino è l’ultima cosa buona rimasta in quella casa.
(Non lo vedi, Trunks? Non lo vedi che io e Gohan non siamo che spettri? Che non è rimasto più niente? Che la morte è lì, proprio lì, dietro le porte, le finestre, i muri di questa casa? Nelle montagne, nei mari, nei cieli di quel che resta di questo mondo? Non lo vedi?)
Un boato risuona al di là delle pareti, le fa tremare, scuote i loro animi con la stessa ferocia con cui dita d’acciaio hanno aperto squarci mortali nel petto dei loro cari.
Bulma si avvicina a Gohan, gli sottrae il bambino dalle braccia e gli fa cenno di entrare a sedersi.
Una volta scivolato per terra, contro il tavolo, il vuoto negli occhi di Gohan punta su di lei, in un’attesa immobile, tesa, carica di terrore. La osserva come se avesse timore di vederla cadere come gli altri.
<< Che hai fatto alle mani? >> le chiede, la voce flebile, appena un sussurro percettibile, ancora tremante, ancora lontana, perché anche il suo piccolo cuore è ancora lì, su quel campo di battaglia dove guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
Bulma osserva un attimo le mani sporche con cui ha afferrato suo figlio prima di riporlo nella sua carrozzina, imbrattando così di fango e di sangue il suo bel completino firmato.
<< Ho scavato. >> si sente dire.
<< Perché? >>
<< Qualcuno doveva farlo. >>
<< Non torneranno più, non è vero? >>
<< No. >>
<< Abbiamo già perso, non è vero? >>
Preferisce non rispondere, distoglie lo sguardo, facendolo vagare un attimo per le mura asettiche e familiari del suo laboratorio, prima di fermarsi nuovamente su Trunks. E’ così piccolo, indifeso, innocente.
“ Non permetterò che prendano mio figlio”, pensa, “ Non gli lascerò prendere anche lui!”
Dietro la schiena porta un fodero con una spada1. L’ha trovata per terra, là dove è rimasto il suo cuore. Là dove guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
La estrae con un movimento fluido, lento, calibrato. Lascia che l’elsa scintilli di fronte agli occhi di Trunks, che la fissa mentre si afferra un piede con le mani e prova a mordersi le dita.
<< Dove l’hai presa? >>
<< L’ho trovata. >>
<< Di chi è? >>
<< E’ di Trunks. >> risponde, e la mette giù, per adesso, perché l’avrà quando sarà il suo momento, quando avrà abbastanza coraggio per guardarlo negli occhi e confessargli tutta la verità, dirgli che lei c’era su quel campo di battaglia quel giorno, in mezzo alle fiamme e ai grattacieli che venivano giù come fossero fatti di cristallo fragile e sottile. E aveva sentito le urla e visto i corpi bruciare e cadere, e le strade trasformarsi in fiumi di sangue.
Lei c’era quando un principe senza popolo, che un tempo era stato suo padre, era morto. Lei c’era. E non era stata capace di fare niente.
Il gioco senza regole era iniziato e l’aveva colta impreparata, debole e umana senza le abilità necessarie per rispondere al fuoco con il fuoco. E gli aveva portato via tutto: il suo futuro, la sua vita, i suoi sogni, il suo amore. Tutto. Eccetto suo figlio.
Ha ancora qualcosa da proteggere, si ripete come un mantra, aggrappandosi a quella sola e unica consapevolezza con le unghie e con i denti per non sprofondare.
Ha ancora qualcosa per cui valga la pena restare in vita.
<< Possiamo ancora farlo, Gohan >>, il ragazzino si volta appena per guardarla, le mani che tremano nascoste fra le ginocchia strette al petto.
<< Che cosa? >>
<< Possiamo ancora vincere. >>
<< N-no... >> singhiozza, e di nuovo non è più lì con lei, ma con i suoi compagni, in mezzo ai cadaveri, in quella città infestata da anime perdute che non avranno mai pace, che non andranno più via.
Sospira piano, dalla carrozzina di Trunks afferra una delle sue copertine e poi si siede contro il tavolo da lavoro, vicino a quello che resta di un bambino vivace e spensierato un tempo chiamato Son Gohan. Gliela appoggia sulle spalle scosse dai tremori e lui sobbalza al suo tocco, ma non la respinge, la fissa sconvolto, spaventato, piange in silenzio, affonda le mani nei capelli.
<< No, è finita, Bulma. È finita. Non hai visto? Non hai visto che cosa è successo lì fuori? Non c’è rimasto più niente. Siamo già morti.>>
<< E’ vero. >> risponde, e quella non è la sua voce, quello non è il suo corpo, quella non è più la Bulma Brief che esisteva prima del 12 Maggio 767. Quella Bulma è morta, ora è un’altra. E’ una sopravvissuta.
<< Noi due siamo già morti. Siamo morti oggi, insieme a tutti gli altri. Siamo caduti lì, in quel campo, insieme a loro. Ma Trunks no. Lui no, Gohan. Non lo capisci? Possiamo ancora salvarlo. Possiamo ancora dargli l’unica cosa che c’è rimasta.>>
<< E che cos’è? >> glielo chiede perché desidera ardentemente la sua risposta, desidera disperatamente anche lui qualcosa a cui aggrapparsi.
<< La speranza.>>
 
***
 
Durante i primi tempi - i mesi successivi alle prime stragi avvenute nelle più importanti città della Terra - per strada si poteva ancora incontrare qualcuno: qualche ribelle coraggioso che sfidava la sorte, o masse di gente che, come animali in preda al panico, si riversava nei supermercati, nei grandi magazzini per fare provviste e chiudersi nei loro bunker. Come se potesse servire a qualcosa.
Ma, con il tempo, erano diventati sempre meno, e le belle e grandi metropoli pullulanti di vita si erano trasformate in fatiscenti e diroccate città fantasma, con le loro eleganti case a cupola dai giardini pittoreschi ora tutte spente e vuote, i vetri delle finestre rotti, le porte d’ingresso scardinate, gli interni spogliati di ogni cosa utile i loro proprietari, se ancora vivi, erano riusciti a portare via con sé.
Le luci abbaglianti al neon che infestavano le strade erano sparite, così come la fila ai negozi più chic durante i saldi, le chiacchiere di quartiere, le risate dei bambini.
Il gioco per la sopravvivenza sembrava essersi nutrito di suoni oltre che di vita. E aveva lasciato dietro di sé solo il buio e il silenzio e il terrore.
Le persone, dopo i primi anni di torture – e dopo aver capito che nessuno sarebbe miracolosamente sceso dal cielo per venire a salvarli - avevano iniziato a vivere come topi, nascondendosi sottoterra, dove un tempo c’erano le vecchie stazioni metropolitane piene di cartelloni pubblicitari e gente che ti spintonava per la fretta, senza poi neanche voltarsi indietro per chiedere scusa.
Erano veramente in pochi i temerari come loro che decidevano di continuare a vivere in quello che rimaneva delle loro vecchie abitazioni, senza corrente elettrica o acqua corrente.
Bulma non riesce a biasimarli. Trovarsi ogni giorno a fare i conti con la devastazione e la desolazione che la circonda non è facile.
E ci sono delle volte in cu anche lei vorrebbe solo arrendersi, e piangere e correre a nascondersi in un buco, come l’ultima e la più ignobile delle codarde. Specialmente, quando il cielo si fa color piombo e il vento riesce a trascinare sin sotto le sue finestre il lezzo di carne bruciata e morte, che – anche se non vuole – ogni volta le riporta alla mente quel campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
Tutte le volte che si sente debole e sola, ritorna davanti a quella porta, vicino alla sua, in fondo al corridoio del secondo piano, quella dove una volta un uomo, che era convinto di essere solo un mostro, aveva finalmente trovato il suo posto.
Ci appoggia la schiena contro, si lascia scivolare per terra e si domanda – con il cuore stretto in una morsa soffocante – che cosa avrebbe fatto lui al suo posto.
E si rialza in piedi.
 
***
 
Si trovano in un vecchio deposito industriale abbandonato, nella periferia della Città dell’Ovest, quando una volta – dopo quelli che sembrano secoli – sentono una richiesta di S.O.S. alla radiolina portatile che Bulma ha imparato a portare sempre con sé, per ogni evenienza.
La Città del Nord sta bruciando e i pochi superstiti chiedono aiuti e rinforzi per combattere l’invasione.
Le loro voci singhiozzanti e rauche squarciano il silenzio di quel luogo deserto e rimbombano nei muri, nelle stanze, e dentro i loro corpi come eco di anime tormentate provenienti dall’oltretomba. 
Gohan, che prima era impegnato insieme a un Trunks di soli quattro anni a smistare in degli scatolini roba potenzialmente utile da vecchi rottami, scatta in piedi all’istante, i muscoli tesi e già pronti all’azione.
Bulma lo osserva, così simile al Goku ragazzino che aveva incontrato nei monti Paoz quella che ormai le sembra una vita fa, e poi osserva gli occhi azzurrissimi di Trunks fissare il maggiore con espressione smarrita.
Così, decide di fermare il ragazzo, ormai quattordicenne, prima che con la sua velocità aliena svanisca in un istante dalla sua vista.
<< No, Gohan. >> gli ordina, con un tono che non ammette replica, e il giovane la fissa come se gli avesse appena rifilato uno schiaffo << Ma, Bulma... quella gente... >>
Punta le mani ai fianchi, prima di far guizzare lo sguardo dall’uno all’altro dei suoi mezzosangue << Qual è la nostra priorità numero uno, ragazzi? La nostra sola e unica regola? >>
<< Sopravvivere >> rispondono in coro - come sempre da quando Trunks ha imparato a parlare -, uno sospirando amaramente e l’altro non del tutto ancora consapevole delle sue parole.
<< Fino a quando non sarete forti abbastanza per distruggere i cyborgs. >> aggiunge, ma stavolta non coglie un reale e totale consenso negli occhi neri e buoni di Gohan, e la cosa non la sorprende.
C’è troppo sangue saiyan nelle sue vene, e sapeva che prima o poi sarebbe successo. Sapeva che era solo questione di tempo, prima che lui le chiedesse di fargli compiere il suo dovere.
Quella stessa notte - quando ormai sono ritornati a casa e lei è finalmente riuscita a mettere a letto un turbato e irrequieto Trunks - Gohan bussa alla porta della sua stanza, e quando lo lascia entrare, la prima cosa che nota è il suo sguardo lontano rivolto verso il pavimento. Non ha nemmeno il coraggio di guardarla.
<< So che quello che stai facendo è giusto, Bulma. Tu ci tieni al sicuro. Tu vuoi sopravvivere. >>
<< Voglio che tu e Trunks sopravviviate. >>
<< Lo so. Lo capisco. Ma a me non basta più. Non ci riesco. Devo fare qualcosa. Ho bisogno di fare qualcosa. Per tutte quelle persone che ancora stanno lì fuori. Sento di doverglielo, in qualche modo... >>
Sospira, cercando di ricordare qual è stato, di preciso, il giorno in cui è riuscita a indurire il suo cuore abbastanza, tanto da esser capace di assistere a tutti quei massacri senza più mettersi a tremare o sentirsi in colpa. Non lo ricorda.
Decide di giocare la sua ultima carta per convincere il ragazzo a restare al sicuro, con loro, con la sua famiglia << Trunks ha bisogno di te, Gohan. Sei come un fratello maggiore per lui. >>
Non gli dice “non posso perdere anche te” perché non sarebbe giusto, non è ancora arrivata a quel livello di egoismo.
Gohan riesce finalmente a guardarla, le rivolge un mezzo sorriso mesto << E sarò il suo maestro, un giorno, come abbiamo deciso. Ma adesso devo andare, Bulma. Per me. Spero che tu possa perdonarmi. >>
Spinge indietro le lacrime e, come quella notte di tre anni e mezzo prima, quando il mondo era caduto loro addosso e si erano ritrovati da soli a piangere e sorreggersi dal peso del loro dolore, cercando di scacciar via il ricordo di quel campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie, afferra una coperta dal suo letto, cammina verso di lui e alzandosi sulle punte dei piedi gliela aggiusta intorno alle spalle.
Non gli dice “ti prego, non morire” perché stavolta è lei a non trovare il coraggio.
Così gli risponde soltanto: << Non c’è nulla da perdonare, Gohan. Io ti voglio bene.>>
 
***
 
La solitudine e la paura sono armi insidiose e letali. Si disperdono nell’aria come tossine velenose e iniziano in fretta a piantare radici nocive nel cuore degli uomini. Corrodono il loro spirito nel profondo, risvegliando istinti bestiali da tempo sopiti. Violenza, anarchia, cannibalismo sono solo alcune delle loro più estreme conseguenze.
Errando furtiva, alla ricerca di cibo, nella spettrale Città dell’Ovest, Bulma ha visto molte cose. Ha visto una madre lasciar cadere il corpo morto della propria bambina dal ponte sul fiume, per poi spararsi un colpo di pistola in bocca e raggiungerla.
Ha visto bande di ragazzini uccidere a mani nude loro coetanei per un solo morso di pane.
Ha visto uomini, nei vicoli, stuprare donne che invocano pietà, senza più pudore né ritegno, come bestie primordiali.
Ha camminato a testa china, teaser alla mano e passo svelto, lungo strade un tempo così rassicuranti e familiari, dove ora resti bruciati di scheletri umani sono ancora ammassati sui marciapiedi.
E pensa - continuando a camminare, non fermandosi mai, perché se si guardasse indietro, se si fermasse, allora sarebbe la fine - che in mezzo all’apocalisse non può permettersi di provare timore né compassione. Non può permettere a se stessa di provare alcuna emozione, perché l’immagine vivida di quel campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie, è sempre in agguato ad aspettarla e a farla precipitare nel buio.
Perciò, si concentra su qualcos’altro, qualcosa di peggio, qualcosa che una volta era appartenuto a un uomo dallo sguardo buio e profondo come lo spazio, che aveva finalmente trovato il suo posto nella stanza, vicino alla sua, in fondo al corridoio del secondo piano.
Si concentra sul disprezzo, e sul rancore e sull’odio. E non verso coloro i quali sono stati la causa scatenante di tutti quei mali, no.
Per più di una volta, mentre assiste alla disumanizzazione della sua razza, ha pensato solo che non ne vale la pena. Non vale la pena che i suoi ragazzi si sacrifichino per quella gente, per quelle bestie.
Li detesta, detesta le loro debolezze, detesta il loro egoismo, detesta i loro cuori marci, morti, le loro carni putride che insozzano l’aria che respira.
Li detesta. Con tutta se stessa.
E poi, una mattina, mentre è di nuovo alla disperata ricerca di nuove scorte di viveri, dentro una fattoria abbandonata, quasi al confine delle campagne con la Città dell’Est, accade qualcosa che non si aspetta. Qualcosa che le permette di ricordare come ci si sente ad essere umani.
Qualcuno doveva aver cercato riparo nel fienile per via della pioggia notturna e, nascosta dietro una delle gabbie per cavalli, Bulma vede un anziano donare la sua ultima scatoletta di carne a una ragazza incinta.
È gracile, gobbo, senza più nulla se non la pelle che indossa, e si piega appena verso la giovane, seduta a terra gocciolante di pioggia, per stringerle le mani quasi con riconoscenza.
La donna piange rumorosamente, massaggiandosi il ventre gonfio, e lui le accarezza le dita sorridendo << Per favore, salva tuo figlio >> le dice e Bulma sente qualcosa dentro di sé rompersi e pungerle il petto con aghi di rimorso.
 << Salva il nostro futuro.>>
 
***
 
È un flacone di Biochetina Z-122 a darle l’idea.
Le era capitato fra le mani un giorno, per caso, mentre cercava antibiotici e antidolorifici di scorta, in una di quelle farmacie abbandonate, con l’intonaco alle pareti ricoperto di muffa, uno strato di polvere alto un centimetro sul pavimento, e ragnatele fitte che cadevano giù dal soffitto come drappi di velluto, nel centro di Starwood City a duecentocinquanta chilometri di distanza dalla Città dell’Ovest.
Quel flaconcino arancione doveva essere miracolosamente sopravvissuto all’arrivo degli sciacalli che infestavano le strade, derubando da ogni dove qualunque cosa di valore potessero rivendere al mercato nero pur di mettere qualcosa sotto i denti (e la pistola carica, nascosta all’interno della sua giacca, è una prova lampante di quanto quei poveracci potessero essere pericolosi).
Stava rovistando fra gli scaffali più alti, in bilico su l’unica sedia trovata intatta lì dentro, quando le sue dita lo avevano scovato, nascosto nello spazio che si era creato, a causa delle varie scosse sismiche, fra uno sportello e un altro.
E, leggendo la sua etichetta bianca, l’epifania era arrivata. Fulminea, potente proprio come un fulmine che dal cielo si scaglia sulla terra, riuscendo ad illuminare a giorno l’oscurità.
Biochetina Z-12.
Quasi rompe il tavolo della cucina quando lo mostra ai ragazzi, al suo ritorno a casa per cena, quando li trova già seduti a rimpinzarsi di quel poco che hanno e a battibeccare su quale salsa sia meglio mettere sulle uova al tegamino (<< Non ci si mette la maionese sulle uova, Trunks! Che schifo! >> << E tu allora che ci metti la salsa di soia? Bleah! >>).
Entrambi la fissano perplessi, ammutolendosi all’istante.
<< Hey, mamma! Hai trovato quello che ti serviva dalla farmacia? >> Trunks ha appena compiuto dodici anni, ma ha già il fisico, lo sguardo, l’atteggiamento tipico di un guerriero saiyan: tutto nervi tesi e fame insaziabile e voce gutturale. Sta cambiando. Sta crescendo.
<< Biochetina Z-12? Credevo andassi a prendere roba da primo soccorso... >> aggiunge Gohan, che – come sempre da quando ha iniziato ad allenare Trunks, sei anni prima – si è fermato per mangiare con loro, come ai vecchi tempi.
Indossa la vecchia tuta arancione di suo padre. Ricorda che la prima volta che gliel’aveva vista addosso, quasi non si era lasciata sfuggire di mano la fila di piatti appena lavati.
Il modo in cui quel ragazzo assomiglia a suo padre, non solo nell’aspetto fisico ma anche nel modo di muoversi, di atteggiarsi, è impressionante, e per un attimo, all’epoca, era caduta nell’illusione di essere tornata indietro, di essere ritornata quella ragazzina che aspettava sempre che il suo migliore amico venisse a risolvere loro la situazione.
Poi Gohan si era voltato a salutarla e l’incantesimo era svanito. Mentre quel vuoto all’altezza dello stomaco, anche a distanza di tutti quegli anni, quello non se ne va mai, ed è sempre accompagnato dal ricordo vivido di quel campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
<< Mamma? >> la voce di Trunks la distrae dai suoi pensieri, riportandole alla mente quel progetto a cui non ha fatto altro che pensare da quando si è ritrovata quel flacone arancione fra le mani.
<< Non è per noi >> dice e, di nuovo, entrambi la fissano come se le fosse appena spuntata una seconda testa sul collo, le bacchette ancora sospese a mezz’aria, strette nelle loro dita.
Sono così abituati ad essere solo loro tre in un mondo perduto, formato da sole persone estranee, senza volto né nome, che non hanno davvero la minima idea di chi possa star parlando.
Bulma gli mostra ancora quel flacone arancione dall’etichetta bianca con un’espressione estremamente compiaciuta di sé, come se avesse trovato la chiave per risolvere tutti i loro problemi.
<< Sapete a che serve? E’ una medicina del 770. Credo una delle ultime realizzate prima che i cyborgs facessero saltare in aria ogni laboratorio di ricerca scientifica presente sul pianeta. Questa medicina è per i problemi cardiovascolari. >>
Gohan si irrigidisce immediatamente, d’istinto allontana la sedia dal tavolo, un muscolo guizza sulla sua mascella glabra, mentre deglutisce un fiotto di bile particolarmente amaro.
<< E allora? >> Trunks, naturalmente, non comprende di che cosa stiano parlando e continua a fissarli visibilmente confuso.
<< Questa medicina non è per noi. >> ripete nuovamente, gli occhi fissi in quelli di Gohan per scorgere in anticipo la sua possibile reazione << E’ per Goku. >>
E’ la volta di Trunks di trasalire, prima che rivolga un’occhiata allarmata al suo maestro e poi, di conseguenza, a lei << Goku? Ma... mamma... il padre di Gohan... non è morto? >>
<< Non nel 764. >> a quella risposta, Trunks aggrotta le sopracciglia e ritorna a fissare il ragazzo, che invece fissa lei con la bocca spalancata dallo stupore.
<< Puoi farlo davvero? Puoi tornare indietro? >>
Bulma è sicura di aver visto soltanto un’altra volta così tanta speranza splendere negli occhi neri e buoni di Gohan, da quando quell’incubo è cominciato. Ed era stato il giorno in cui era venuto ad allenare Trunks per la prima volta e, al loro ritorno, le aveva rivelato che era sicuro che dentro il suo bambino già brillasse una piccola scintilla d’oro leggendario, proprio come in lui, e come in Goku prima di lui.
Ricambia lo sguardo sfavillante del ragazzo, poi sorride rivolta a suo figlio, il flacone di Biochetina Z-12 stretto così forte fra le dita che sente la plastica scricchiolare.
<< Posso farlo.>> dice, ed è più di una promessa o di una speranza.
E’ una dichiarazione di guerra.
 
***
 
E’ un pomeriggio come tanti altri quello in cui Trunks, alla fine, le pone la domanda.  
Lei sta lavorando al progetto della macchina del tempo – l’unica cosa a cui dedica la maggior parte delle sue energie, ormai – all’interno del suo laboratorio sotterraneo.
La luce fioca e rossastra di vecchie lampade a olio li avvolge, e Bulma spera che basti quello a mascherare tutto il dolore che inizia a traboccare dal suo sguardo perso << Vuoi sapere di tuo padre, eh? Il tuo povero papà... io lo conoscevo bene. Era molto orgoglioso, un guerriero molto forte... ma alla fine era anche un uomo molto solo e triste. >> non gli dice che le ha spezzato il cuore, non gli dice che li ha abbandonati, perché quelle cose non serve che Trunks le conosca. Perché quelle cose sono ancora tutte segregate dentro quella stanza, vicino alla sua, in fondo al corridoio del secondo piano, dove un uomo, che aveva sempre vissuto nella più completa e terribile solitudine, una volta aveva finalmente trovato il suo posto. E Bulma non ha né il tempo né la voglia di ritirarle fuori.
Trunks si arrende al suo silenzio e non le chiede altro, si alza dalla sua sedia e va via.
Bulma dubita che quelle due frasi su chi fosse suo padre gli siano bastate, ma, per una volta, non se ne cura, perché d’improvviso, eccola, lei è di nuovo lì, in quel campo di battaglia dove guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
Le mani le tremano così tanto che la chiave inglese scivola via dalla sua presa, si schianta contro il pavimento e quel rumore basta a riportarla alla realtà.
E’ sollevata dal fatto che Trunks se ne sia già andato, così non è costretto ad assistere allo spettacolo pietoso di sua madre che si piega in due sulle ginocchia, rimettendo anche l’anima.
 
***
 
C’è una zona, in quella che un tempo era stata la località balneare preferita dai grandi ricconi imbellettati e le loro mogli grassone della classe alta della Città dell’Ovest, che tutti ora chiamano la Discarica.
Nessuno in realtà sa chi sia stato a dargli quel nome, ma rende bene l’idea.
Lì dove un tempo sorgevano enormi ville di lusso, con grandi piscine, e gazebo, e mini campi da golf, ora invece ci sono solo alte, grandi collinette di spazzatura e rottami, ammassati uno sopra all’altro.
E tutto questo, solo perché i cyborgs un giorno avevano deciso di far diventare il pianeta il loro personale parco dei divertimenti.
Si erano tenuti tutte le cose belle per loro – le auto sportive, i gioielli, gli abiti d’alta moda – e avevano raso al suolo tutto il resto. Tutto quello che ritenevano superfluo e fastidioso. Esseri umani compresi.
Il risultato era stato uno dei massacri peggiori della storia – con inutili carri armati e inutili bombardieri che scagliavano inutili quantità di proiettili e bombe su due demoni di metallo dalle sembianze umane che non potevano essere uccisi. Non così facilmente.
Nessuno che fosse presente quel giorno, in quel lato della grande metropoli, era sopravvissuto.
Le uniche cose rimaste sono gli scarti, le rovine, i vetri rotti, gli scheletri decadenti delle case, dei caroselli in cui giocavano i bambini, crateri in cui alle volte non si riesce nemmeno a scorgerne la fine, e l’odore di sangue e morte che quei due maledetti si sono lasciati alle spalle: una discarica.
E’ il 25 Dicembre3 778 e Bulma ha scelto proprio quel giorno per andarci, perché è convinta che il freddo pungente tenga alla larga gli ultimi sciacalli rimasti ancora per le città.
Quella volta non porta la pistola carica con sé, perché Trunks e Gohan sono al suo fianco. Entrambi in Jeans e semplici t-shirt a maniche lunghe, incuranti del cielo grigissimo, della neve che scende giù a lievi, sì, ma comunque gelide ondate.
Quando svoltano di fronte all’ennesima montagna di roba accartocciata e semi distrutta, Gohan le chiede: << Ehm... Bulma... non che questo posto non sia grandioso, davvero, ma... di preciso, ecco, cos’è che stiamo cercando? >>
Sebbene il suo tono sia pacato come al solito, Bulma può vedere dal modo in cui cammina che il suo corpo è sempre in allerta, come se si aspettasse che, da un momento all’altro, da dietro i divani senza più i cuscini in velluto, o dai frigoriferi vuoti o dalle televisioni al plasma con lo schermo scheggiato, sbuchino fuori i due cyborgs pronti a farli a pezzi e a far saltare per aria ogni cosa.
<< Mi servono dei nuovi pneumatici di ricambio per la mia Jeep, e delle nuove catene adatte per camminare sul ghiaccio... visto che ho rotto quelle che avevo.>>
Al suo ultimo commento Trunks e Gohan si scambiano un’occhiata divertita e Bulma volta loro le spalle, facendo roteare gli occhi al cielo.
Sono arrivati fin lì con la sua decappottabile – perché avevano paura di attirare l’attenzione dei cyborgs volando, visto che il loro nuovo divertimento consisteva nel dare la caccia ai mezzosangue saiyan, da quando Gohan aveva avuto la brillante idea di sfidarli – e l’unico motivo per cui Bulma è sopravvissuta al gelo di dicembre, oltre che per i due maglioni di lana e la tuta termica che indossa, è perché suo figlio è una specie di stufa umana vivente - qualcosa che ha a che fare con le auree saiyan e blablabla – ma questo non le aveva comunque impedito di lamentarsi per tutto il tempo per il freddo e per il pessimo modo in cui Gohan guidava (del resto, non che avesse mai davvero preso delle vere lezioni di guida!), continuando a fornirgli, seduta appiccicata a Trunks nel sedile del passeggero, quelli che lei chiamava dei gentili suggerimenti e che i due ragazzi invece perseguitavano a considerare delle imposizioni urlanti da prepotente.
Saiyan alla guida, cosa poteva esserci di più disastroso?
<< Hey! Guardate che cosa strana ho trovato! >> Bulma, chinata dentro il retro di un vecchio trattore, si volta giusto in tempo per vedere Trunks saltare dal tettuccio di una vecchia auto arrugginita a un’altra, reggendo fra le mani, ma in posizione scorretta, una di quelle classiche chitarre a corda.
<< Che cos’è? >> le chiede non appena è di nuovo vicino a lei e a Gohan, iniziando a guardare dentro il buco dello strumento per cercare di capire a cosa serva e scatenando in quel modo le risate del maggiore.
Quella domanda così innocente, posta dal suo bambino, riesce a gelarle il cuore più di tutta la neve e il ghiaccio e la desolazione che li circonda.
<< E’ una chitarra. >> gli risponde, mostrandogli quale sia il modo giusto di tenerla fra le mani.
<< E a che serve? >>
Bulma si scambia una rapida occhiata d’intesa con Gohan che subito si acciglia, in concentrazione, cercando di captare pericoli nell’aria. Quando annuisce, con un piccolo sorriso a incurvargli le labbra, e Bulma interpreta il suo gesto come “nessun pericolo, fa pure”, allora si permette di rispondere alla domanda di Trunks nell’unico modo che le viene in mente. Prende la chitarra fra le mani, e la gira da un lato a un altro per verificarne le condizioni. All’apparenza le sembrano sorprendentemente buone, e dunque inizia ad accordarla, per poi, sotto lo sguardo sbalordito di suo figlio, iniziare a suonare, accompagnando la musica con la sua voce.
<< ...Cha-la head Cha-la... >>4
E’ un motivetto semplice che ha imparato da ragazzina, quando ancora i suoi unici problemi erano vestire alla moda, e riuscire a trovare un fidanzato carino che la trattasse come una principessa.
Quella ragazza è morta. E’ diventata uno dei tanti spettri che affollano i suoi incubi e la sua realtà. Rappresenta tutte quelle debolezze che, pur di continuare quel meschino, crudele gioco per la sopravvivenza, ha rinchiuso in quella stanza, vicino alla sua, in fondo al corridoio del secondo piano, dove una volta, un principe che non era né azzurro né buono, aveva finalmente trovato il suo posto.
Durante il suo piccolo spettacolino improvvisato, anche Gohan, a un certo punto, inizia a cantare con lei, battendo le mani a tempo e, dal modo in cui Trunks li sta guardando, gli occhi scintillanti e l’espressione di chi sta disperatamente cercando di non scoppiare a ridere, sembra che non abbia mai visto niente di più straordinario.
Il gioco per la sopravvivenza aveva strappato all’umanità tutte le sue bellezze, quelle bellezze eterne che fino a tredici anni prima nessuno avrebbe mai pensato potessero scomparire così in fretta. L’arte, la musica, la poesia sono per Trunks, e per tutti coloro i quali sono nati dopo l’arrivo dei cyborgs, dei concetti talmente tanto astratti come per un uomo nato cieco possono essere i giochi di colore.
Quando la canzone finisce e lei e Gohan si scambiano il cinque soddisfatti della loro performance, Trunks le domanda: << Posso tenerla? >>
Bulma fissa i suoi occhi chiari e splendenti in mezzo al cielo plumbeo e alla neve che svolazza attorno a loro, e poi osserva le sue mani, già così grandi, così forti, e pure piene di solo cose vuote e non ha la forza necessaria a negargliela, non vuole privarlo anche di questo.
C’è ancora tanta vera bellezza nel loro mondo, tanti piccoli tesori che nemmeno la forza inesauribile e distruttiva di due androidi è riuscita ad eliminare del tutto, e il difficile è solo trovarli, riconoscerli, perché sono come diamanti grezzi sepolti sotto il fango e ricoperti di tutto ciò che di più terribile un’umanità in guerra è in grado di tirar fuori.
Bulma lascia fra le mani di suo figlio quella chitarra perché in essa, in quel semplice oggetto fatto di solo legno e corde, vede un simbolo del loro domani, del loro futuro.
Vede un mondo pacifico in cui persone sorridenti ritornano a ricordare che cosa siano l’arte e la musica e la poesia. Tante piccole luci, tanti tremuli fari in mezzo alla loro rotta oscura. Piccole scintille di speranze che, se accese tutte insieme, diventano più forti. E il suo bambino le avrebbe alimentate tutte. E la potenza del suo fuoco dorato avrebbe ricordato all’umanità che può, ancora una volta, risorgere dalle sue ceneri, più splendente di quanto non sia mai stata prima.   
Vuole che il cuore di Trunks si riempia di quelle piccole luci, e vuole vedere tutte quelle piccole luci risplendere nei suoi occhi, come in quell’istante. È la sola cosa di cui le importi. Il solo motivo per cui, da quel giorno in cui su quel campo di battaglia, guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie, lei continua a respirare.
Non lascerà che quelle piccole luci, quelle piccole scintille di bontà, si spengano nel buio. Non finché avrà vita.
Poco dopo, quando hanno ormai trovato quello che le serve e le stanno caricando dentro il cofano dell’auto, Bulma finge di non sentire – accucciata com’è sul sedile del passeggero – il breve scambio di battute che Gohan e Trunks hanno alle sue spalle.
<< Tua madre ha costretto me e Crillin ad ascoltare quella canzone per giorni, quando eravamo nella navicella per andare su Namec e... spero davvero che tu non abbia ereditato il suo pessimo gusto musicale, Trunks.>> e poi entrambi scoppiano a ridere di gusto e quel suono le sfiora i timpani come la più bella melodia del mondo.
E dopo tanto tempo, un sorriso genuino, spontaneo, le sorge sulle labbra screpolate.
E pensa, ingenuamente, che forse un giorno saranno davvero in grado di ritornare a essere felici, come una volta.
Crede davvero di essere arrivata a un punto di svolta della partita, di aver posizionato bene le pedine sul suo tavoliere, di aver calcolato ogni mossa, ogni combinazione.
Si sbaglia.
 
***
 
I veri giocatori sanno che in certi giochi senza regole, dove bisogna per forza andare avanti fino alla fine, non esistono né vincitori né vinti. Solo sopravvissuti.5
Bulma lo ha imparato con il tempo. Lo ha imparato il 12 Maggio 767, quando dal nulla un ki-blast, dalla potenza di tre bombe atomiche messe insieme, aveva raso al suolo le Isole del Sud, e la pace sulla Terra si era trasformata d’improvviso in un miraggio irraggiungibile.
Lo ha imparato quando qualcuno di cui si fidava le aveva detto: “Salva tuo figlio, qua ci pensiamo noi. Andrà tutto bene.”, e lei ci aveva creduto davvero e al suo ritorno invece non aveva trovato più niente. Solo cenere e tanto fumo e tanto sangue su un campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
E lo ha imparato quando, quasi quattordici anni dopo, si è ritrovata nel giardino di casa sua a seppellire - di nuovo con le sue mani nude – il corpo del suo bambino dagli occhi neri e buoni, e il cuore puro nonostante tutto il male che aveva visto e provato e che lo aveva segnato per sempre.  
Scava, e scava e impasta la terra con tutte le sue lacrime oltre che con il suo sangue. E maledice quel gioco crudele in cui è rimasta incastrata, quel gioco crudele che è la sua vita. E si chiede quanto ancora dovrà portarle via, prima che sia abbastanza. Prima che possa finalmente scorgere la fine.
Dopo la morte di Gohan e il disperato e inutile tentativo di Trunks di vendicarlo, il ragazzo era rimasto a letto per settimane.6
Lo sguardo perso nel vuoto buio della sua stanza, il cuore spezzato e sanguinante.
E’ solo un bambino e ha già perso tutto.
Ogni giorno, Bulma gli porta da mangiare, gli si siede accanto, gli parla dei suoi progressi con il progetto della macchina del tempo e aspetta che le cicatrici profonde – quelle che non si vedono e per questo fanno più male – gli si rimargino.
Non parla mai di Gohan, né del piano suicida di Trunks di vendicare la sua morte.
E lui rimane in silenzio ad ascoltarla, lo sguardo calamitato soltanto dalle sue stesse mani fasciate. Bulma gliele stringe forte fra le sue, finché i suoi occhi non ritornano a incatenarsi ai suoi, finché non lo vede tornare indietro dall’immagine di quel corpo morto, immobile, disteso fra le macerie e immerso nel fango e nella pioggia.
Capisce di aver fallito come madre nel momento in cui si accorge che anche la mente di suo figlio sarà per sempre schiava di quel giorno, di quell’attimo ghiacciato nel tempo, di quel dolore lacerante... ancora e ancora... come è successo con lei.
Può vedere lo spettro di Gohan danzare dentro i suoi occhi chiari, così come, ogni volta che si specchia allo specchio, può vedere nei suoi quel campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
<< Fa così male. >> le confessa, e non piange più, perché ha già versato tutte le sue lacrime il giorno in cui è riuscito a risplendere d’oro, stringendo fra le braccia il corpo freddo e senza vita del suo maestro, del suo migliore amico.
Bulma soffoca le lacrime, succhiandosi indietro le labbra, e poi allunga una mano tremante ad accarezzargli i capelli.
Riesce soltanto a sussurrare un singhiozzante << Lo so >>, non gli dice “passerà” perché non è vero, e lei e Trunks non si dicono bugie.
Non gli dice “dimentica” perché è impossibile, e lei lo sa bene.
Ha rinchiuso tutto dentro una stanza vuota, vicino alla sua, in fondo al corridoio del secondo piano, dove una volta, un uomo che desiderava soltanto trasformarsi in leggenda, aveva finalmente trovato il suo posto.
Ha seppellito una tomba dentro la sua casa, ma sigillare una stanza – che rimarrà per sempre così come lui l’ha lasciata il giorno in cui è andato via, con le lenzuola disfatte, e una vecchia tuta gettata in un angolo, e un paio di guanti sporchi nel cestino della roba da lavare, e il dentifricio lasciato aperto sul lavello del bagno - non è comunque servito ad allontanare il dolore, o a dimenticare.
Vede Trunks afferrare la cornice di una foto appoggiata sopra il suo comodino.
È una piccola polaroid. L’unica foto che ritrae lei, Gohan e Trunks tutti insieme, nel giorno dell’ottavo compleanno del più piccolo.
Era stato Gohan a trovare quel vecchio modello di macchina fotografica. A Trunks aveva detto di averla trovata in una casa abbandonata in mezzo ai monti Paoz, ma poi a lei aveva rivelato di averla trovata appesa al collo di un giornalista morto, durante uno dei suoi giri di perlustrazione. Uno di quelli finiti male.
Era rimasta una sola foto dentro, e Gohan, in quel momento, aveva pensato che poteva essere un bel regalo di compleanno per Trunks avere una foto che ritraesse tutti loro insieme. Che sono cose che si fanno nei compleanni, le foto con i familiari, e se non poteva avere una torta alta tre piani con triplo cioccolato, e palloncini con su stampato il suo nome a caratteri cubitali, almeno avrebbe avuto quella.
Bulma ricorda di aver abbracciato Gohan talmente tanto forte che, quando si era finalmente staccata, il ragazzo era tutto rosso e a corto di fiato.
Quel giorno li aveva fatti riunire intorno alla poltrona del soggiorno, Trunks stava seduto al centro perché era il festeggiato, mentre Gohan stava alla sua destra e lei alla sua sinistra.
Aveva ordinato loro di dire “Cheese!” e poi aveva azionato l’autoscatto.
La polaroid era sbucata fuori qualche istante dopo, e Trunks era stato il primo a correre emozionato a vederla, stringendola fra le dita come se fosse il più prezioso dei tesori.
La foto aveva restituito loro l’immagine di un trio un po’ male assortito: un ragazzo dagli occhi neri e buoni e il viso sfregiato, un bambino dal sorriso spezzato, e una donna che si aggrappava a loro con forza, per paura di lasciarli andare e cadere a pezzi.
Aveva sdrammatizzato e scherzato un sacco con Gohan e Trunks, dicendogli che le loro facce super tese e super imbarazzate avevano rovinato la foto: Gohan sembrava non aver capito dove fosse l’obbiettivo, con la conseguenza che guardava da tutt’altra parte rispetto a lei e Trunks, mentre quest’ultimo era così rigido e aveva spalancato gli occhi così tanto durante il flash da sembrare di aver appena ricevuto una secchiata di acqua gelida alle spalle.
Li aveva punzecchiati a lungo sul fatto che fra le loro tante e strabilianti abilità, essere fotogenici non rientrava di sicuro nel loro corredo genetico, e all’inizio sia Gohan che Trunks le avevano tenuto il broncio, ma poi, riguardando la foto, erano scoppiati a ridere contemporaneamente, e tutta la serata era passata con loro tre che si passavano la polaroid, ogni volta commentando un qualche dettaglio imbarazzante. In fondo, quella foto era uscita fuori esattamente come loro: perfettamente imperfetta, ed andava bene così.
In quel momento, Trunks la sta stringendo forte fra le dita proprio come quel giorno di tanto tempo fa, e Bulma può solo immaginare in quale parte della sua memoria i suoi pensieri stiano naufragando.
Lo sguardo puntato altrove di Gohan, già così distante da loro, adesso le appare quasi come un presagio della sua morte, un indizio che la sua mente sempre tanto brillante non è riuscita a cogliere in tempo, un altro motivo per alimentare il suo senso di colpa per non essere riuscita a proteggerlo.
Vede Trunks portarsi per un’ultima volta quella foto sul cuore, prima di rimetterla a posto e scattare in piedi a una velocità tale che anche lei si ritrova sù, dalla sedia su cui era seduta, quasi qualcuno l’avesse spinta.
<< Dove lo hai seppellito? >>
<< In... in giardino. >>
<< Portami lì.>>
Non si oppone, e senza guardarlo gli fa solo cenno di seguirla.
Si trova nella parte caduta della casa, l’ala est dove un tempo c’erano le stanze dei suoi genitori.
Non c’è una lapide, solo una zolla di terra rialzata e un corpo freddo che giace di sotto.
Bulma rimane ammutolita, mentre vede Turnks afferrare uni di quei pali di legno della staccionata che una volta racchiudeva le belle aiuole di primule di sua nonna. Con un colpo secco la pianta per terra, lì dove Gohan è sepolto e con le sue dita aliene traccia parole di fuoco sulla sua superfice.
<< Non voglio che il suo nome venga dimenticato come quello degli altri >> le dice, perché un’altra cosa che lei e suo figlio hanno sempre fatto, oltre a non dirsi mai bugie, è non parlare mai del passato.
Tutte le storie che Trunks conosce sui valorosi guerrieri della Terra è stato Gohan a raccontargliele, non lei.
Ci ha provato molte volte a farlo, e ogni volta, non appena prova anche solo a ricordare i loro nomi, si sente come una sorta di bomba ad orologeria pronta a esplodere. Ha represso il suo dolore così a lungo, che non sa quanto ancora gli argini entro cui li ha segregati resisteranno, prima di implodere.
Ma Trunks ha ragione: Gohan è diverso.
E nemmeno lei desidera che il suo nome venga dimenticato, nemmeno lei vuole che ci sia anche il suo volto spettrale a rincorrerla nei suoi incubi, in mezzo a quel campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
<< Hai ragione >> gli risponde, quando riesce finalmente a scorgere ciò che Trunks è riuscito a incidere sul legno.
Son Gohan. Eroe. Amico. Fratello.
<< Continuerò a combattere, Gohan. >> afferma Trunks, e in mezzo a quel mondo grigio di dolore che li avvolge, Bulma può osservare l’energia fluire dal suo corpo in calde onde dorate, illuminando l’oscurità.
<< Io te lo prometto. Finché avrò vita... non gli permetterò di vincere. Perché io non mi arrenderò. >> Trunks scioglie le bende che coprono le ferite delle sue mani e poi lascia che qualche goccia del suo sangue scivoli per terra, mischiandosi con in loro e sancendo quella promessa con il vincolo più alto.
Il vincolo della vita.
Bulma gli afferra un braccio e abbandona il capo sulla sua spalla, cullata dal suo calore.
Lui prova a sorriderle, ma non ci riesce << Abbiamo ancora una speranza, non è vero? >>
<< Avremo sempre una speranza.>> e stavolta non si riferisce solo alla macchina del tempo, ancora un ammasso di ferraglia male abbozzata dentro il suo laboratorio, no.
La sua speranza è proprio lì, stretta fra le sue braccia, a riscaldare il suo cuore gelato.
Trunks sarà sempre la sua ancora, il suo faro di luce.
La speranza di ognuno di loro.
Restano lì tutta la notte, finché le prime luci dell’alba non rischiarano il cielo, bucano le nubi scure, scivolano leggere fra le rovine della città, le strade deserte, gli alberi spogli d’inverno e infine si posano su di loro, gentili e delicate. Come la carezza d’addio di una persona amata.
È quel giorno che Bulma comprende che il momento che tanto aveva temuto è dunque arrivato.
Il momento in cui suo figlio diventi l’eroe che è nato per essere.
 
***
 
Tempo.
Ecco che cosa ha avuto di più rispetto a tutti gli altri.
Ha avuto più tempo per imparare a capire in che modo giocare, in quel nuovo mondo padroneggiato da macchine folli.
Ha avuto più tempo per stare con Trunks, per vederlo crescere, cadere, rialzarsi, trionfare.
Tempo.
Gliene è stato concesso più che agli altri, è stato quello il suo dono e lei lo ha trasformato in un’arma, la sua arma, e l’ha messa – proprio come aveva fatto con quella spada – nelle mani di suo figlio.
E gli ha chiesto perdono. Perché una madre che manda in guerra il proprio bambino, forse non dovrebbe meritare nient’altro che il suo assoluto disprezzo. Anche se quella guerra, quel figlio ce l’ha nel sangue, resta comunque un atto disumano, qualcosa di cui non può far a meno di provare vergogna anche se è giusta, anche se – come le ripeteva sempre Gohan - è giusto così.  
Gli chiede perdono per tutto quello che non ha potuto dargli, per non essere mai davvero riuscita a parlargli di suo padre, per lasciarlo solo, adesso, ad affrontare quel lungo viaggio verso il suo passato.
Gli domanda se riuscirà mai a perdonarla e lui le risponde sorridendo, la sua fronte premuta sulla sua << Non c’è nulla da perdonare, mamma. Io ti voglio bene.>>
Bulma lo stringe forte fra le braccia, sprofonda il viso nel suo petto e sente il suo cuore generoso palpitare allo stesso ritmo del suo, e ripensa a tutte quelle volte in cui sentire quel battito l’ha salvata, tutte quelle volte in cui è riuscito ad allontanarla dalle tenebre, facendo sì che, in un modo o in un altro, lei rimanesse comunque sempre fedele a se stessa. In tutti quei giorni bui e disperati, in cui sembrava che ogni speranza fosse ormai stata spezzata e invece i loro due cuori battevano ancora, all’unisolo, scandendo la dolce melodia della vita.
L’importante era sempre stato rimanere insieme, uniti... e allora ogni altra cosa perdeva di importanza, e anche le piccole cose – come una semplice polaroid o una chitarra trovata in una discarica -  apparivano loro come piccoli miracoli, e tutto ciò che avevano perduto si dissolveva, se pur solo per qualche minuto, nell’ombra dei loro sorrisi.
Se anche restasse solo il cuore di suo figlio a palpitare sulla Terra, Bulma sarebbe comunque felice, perché è l’unica vita di cui le importi davvero, adesso.
Forse è diventata troppo egoista, forse non è più quella ragazza matta che invitava estranei a soggiornare in casa sua senza ricevere nulla in cambio, ma ha imparato come fare a sopravvivere, e quello è stato il prezzo da pagare, e va bene così. Lo ha accettato. Ormai sa perfettamente che cosa aspettarsi.
Perché Trunks può ancora conservare nel suo cuore una scintilla di purezza, ma lei sa bene qual è la verità: il gioco per la sopravvivenza prevede che a vestire la corona della vittoria non sia altro che un solo, singolo, giocatore.
Chi non è mai stata nemmeno una domanda, per Bulma.
Così si gode quel piccolo momento, quel momento in cui commossa osserva suo figlio tracciare sulla macchina del tempo la parola Hope, la parola da cui tutto aveva avuto un origine.
Poi scioglie l’abbraccio e gli mette una mano sulla spalla. Vorrebbe dirgli ancora tante, tantissime altre cose prima di vederlo andar via, ma ogni parola sembra esserle rimasta incastrata in fondo alla gola in quel magone che reprime da anni, perciò, per una volta, decide che sarà breve << Ho sempre creduto in te, Trunks. E so che un giorno sarai in grado di rendere questo mondo un posto migliore.>> non gli dice “anche se io non ci sarò più”, perché tutta quella speranza che vede in lui, dentro di lui, per un attimo è così potente da riuscire a scacciar via tutti i fantasmi del suo passato che ancora la tormentano. L’immagine sempre presente di quel campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie.
Per un attimo, il ricordo di un uomo dall’orgoglio di ferro e l’animo ferito, che aveva finalmente trovato il suo posto nella stanza, vicino alla sua, in fondo al corridoio del secondo piano, inizia a fare meno male.
Forse, dunque, è finalmente pronta anche lei.
Forse, è finalmente pronta a dire, davvero, addio. 
 
***
 
E così... quando, dopo tempo, anche la sua pedina è caduta – in un campo di battaglia diverso, fra demoni diversi – la sua anima non vola in cielo, come quella coraggiosa e buona di Gohan.
No, la sua anima rimane lì, in quel campo di battaglia in cui guerrieri senza nome sono morti senza far rumore su cumuli di macerie.
Rimane lì, immobile, dove nulla è mai cambiato, ad aspettare... finché qualcuno non le viene in contro.
Lo vede arrivare, lo riconosce – come se non fosse passato che un solo giorno, una sola ora, un solo minuto, un solo attimo dall’ultima volta in cui l’ha visto – e, senza esitare, gli chiede: << Sei rimasto qui tutto il tempo, non è vero? >>7
Con la sua solita aria impassibile, lo vede annuire: << E’ la mia punizione. >>
<< Mi dispiace di averti fatto aspettare così tanto.>>
<< Non importa. E’ finita ormai. >>
<< A me importa.>> si impunta e non sa se sentirsi divertita o meno del fatto che, anche da morti, riescono comunque a cadere in quegli stupidi battibecchi.
Lo vede scuotere il capo, quasi con rassegnazione, e indicarle una luce che, alle sue spalle, si fa sempre più accecante e più vicina.
<< Non dovresti essere qui. Devi andare. >>
Bulma si volta verso la luce, quella luce che finalmente è venuta per prenderla con sé, ma decide che non è ancora pronta per andare, c’è ancora una cosa che deve fare.
Per un’ultima volta, lascia che a parlare sia il suo cuore, il suo rimpianto più grande << Devo dirti una cosa. Non potevo andarmene senza prima avertelo detto. Avrei già dovuto dirtelo tanto tempo fa, invece non ci sono riuscita. Ma è importante per me che tu lo sappia adesso... perché... io ti amo, Vegeta e... almeno una volta nella mia vita dovevo dirtelo... e tu dovevi saperlo. E chissà... forse, in un altro tempo, in un’altra vita, saremmo potuti essere felici insieme... saremmo potuti essere una vera famiglia. >>
Lo guarda - spirito dannato per sempre a errare in quel campo di battaglia dove guerrieri senza nome sono morti senza fare rumore su cumuli di macerie – e gli sorride, solo un’ultima volta, e i suoi occhi catturano la malinconia e la solitudine del suo sguardo, solo un’ultima volta.
E, infine, lo lascia andare.




 

FINE

 
 
 


 

Note finali:

[1] Nel film di Dragon Ball Z “L’Eroe del Pianeta Contus” ci viene raccontato che, in quella linea temporale, Tapion dona al piccolo Trunks la sua spada. Tuttavia, nel film dedicato all’Universo Mirai “La Storia di Trunks” non ci viene affatto spiegato come il giovane ne entra in possesso. Che sia stato, anche qui, Tapion a dargliela è impossibile, perché l’alieno si trova imprigionato dentro uno scrigno magico che è stato possibile aprire solo con le sfere del drago che, come ben sappiamo, nell’Universo Mirai sono sparite insieme al Supremo e a Junior. Questa raccontata nella FanFiction è, dunque, una mia personale versione di come Trunks sia venuto in possesso dell’arma.
[2] “Biochetina Z-12” è, ovviamente, il nome di una medicina inventata. Non sono una studentessa del settore sanitario, perciò, perdonatemi se magari invece ho citato una medicina per la dissenteria o cose del genere. Il “Z” è un riferimento a Dragon Ball Z mentre il “12” corrisponde all’età che Trunks ha quando Bulma trova la medicina. Una domanda che mi sono sempre posta è: “Ma se si trovano in un mondo devastato... com’è che qualcuno è riuscito a inventare e mettere in commercio una medicina che fino al 767, anno in cui sono spuntati i cyborgs e Goku è morto, non esisteva?” mi sono risposta ipotizzando che magari si trattava di un laboratorio nascosto (?), che la medicina era già stata scoperta e non distribuita e che fosse entrata in commercio pochi anni dopo l’inizio delle stragi, quando ancora c’era almeno un milione e mezzo di persone ad abitare la Terra.
[3] Nell’Universo di Dragon Ball il Natale non è mai stato menzionato (ne sono quasi assolutamente sicura!), tuttavia ho scelto comunque questa data come simbolo: speranza, amore e doni.
[4] Citazione della sigla iniziale, giapponese di Dragon Ball Z, Cha-La Head Cha-La.
[5] Tributo (pessimo gioco di parole, lo so) a Suzanne Collins e al suo geniale Hunger Games.
[6] Nel film “La Storia di Trunks” quest’ultimo va all’attacco contro i cyborgs per vendicare Gohan solo tre anni dopo la sua scomparsa, cioè poco prima che usi la macchina del tempo per il viaggio temporale. Ho voluto modificare questa parte, scegliendo di far esplodere la rabbia di Trunks verso i suoi nemici subito dopo la morte di Gohan e la sua trasformazione in super saiyan.
[7] Secondo alcune leggende sul paranormale, l’anima di una persona uccisa in modo violento può rimanere come “intrappolata” nel luogo in cui è morta, finché non trova la pace o, nel caso di un’anima dannata, può semplicemente essere condannata a restare lì in eterno.
Questo è tutto, grazie ancora per aver dedicato un po’ del vostro tempo per leggere questa storia.
Alla prossima,
BellaLuna
 

  
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