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Autore: ayamehana    29/07/2017    5 recensioni
“Prima classificata al contest Da quale mio sogno sei uscito/a fuori? indetto da missredlights sul forum di EFP”
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Nel corso della sua breve vita, Kagome ha sempre avuto poche certezze: adora la sua gemella, ama giocare ai videogiochi e odia tutte quelle cose rosa e femminili, per le quali, invece, le altre ragazze impazzirebbero.
Tutto cambia improvvisamente, quando la giovane s'imbatte in un misterioso uomo-cane, che, senza volerlo, le sottrae qualcosa che le è molto caro. Riuscirà la piccola Kagome a recuperare ciò che ha perso? O meglio, riuscirà a ritrovare quello strambo tipo per le vie di Tokyo?
Genere: Demenziale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premessa dell'autrice: Ciao a tutti! Questa è la prima oneshot che scrivo sul fandom di Inuyasha e ci tenevo a ringraziare missredlights per avermi permesso di partecipare al suo contest con questo anime meraviglioso! Vi volevo inoltre avvertire che questa storiella, a differenza delle altre che ho pubblicato qui finora, è altamente demenziale... non so nemmeno io come mi sia venuta in mente!
Spero che vi piaccia e, nel mentre, ringrazio anche Napee per averla revisionata! Detto questo, ci sentiamo a fine 'capitolo' e vi auguro una buona lettura!

Tutti i personaggi di questa oneshot sono maggiorenni e appartengono al genio della regina dei manga, Rumiko Takahashi.

 

TUTTA COLPA DI QUELLE FRAGOLINE ROSSE!



Tokyo, 1 Luglio 2017
 
Oggi è il primo giorno di saldi e le strade di Ikebukuro sono affollate di gente che fa a gara per trovare il prezzo migliore. L’unica idiota, a cui ciò non interessa – quasi – minimamente, sono io, che ho fatto un solo e misero acquisto… ma che dico, un essenziale acquisto! – e che, per accaparrarmelo, mi sono sbracciata tra le mille persone all’interno del negozio… perdendo un sacco di tempo, per giunta!

Kyocchan sarà sicuramente arrabbiata con me: le avevo promesso di pranzare insieme, quest’oggi!, penso, sfrecciando tra le viuzze del rinomato quartiere commerciale di Tokyo.

Kikyo è la mia gemella, ma di uguale, abbiamo solo l’aspetto… che, per dirla tutta, non è poi così simile come potrebbe sembrare. Lei è bella, femminile, ha dei capelli neri così lunghi da far invidia a una principessa… mentre io… beh, io sono un maschiaccio. Innanzitutto, preferisco le felpe larghe alle camicette tutte pizzi e fru fru… e poi, non me ne frega un fico secco di moda, unghie e di tutte quelle cose, per le quali le altre ragazze impazzirebbero.

Sbuffo, scostando una ciocca di capelli ribelle che mi è finita sugli occhi. Quanto manca a quella cavolo di paninoteca? È lì che io e Kyocchan ci dobbiamo incontrare: ‘Da Kaede’, il posto più chic e rinomato dell’intera città… peccato che non sia né l’uno né l’altro, anzi. Se dovessi descriverlo in due parole, direi… buco nero squallido, frequentato da impiegati puzzoni. Che poi non sono due parole, ma va beh. Almeno lì i panini sono ottimi.

Arrivo finalmente di fronte alla porta del locale e mi ci fiondo dentro. Mi alzo, quindi, sulle punte dei piedi – sono alta un metro e un tappo da sughero, per essere precisi – e, dopo un attimo di esitazione, riesco a scorgere la faccia della mia adorata sorellina, che mi sta guardando in cagnesco. È seduta al tavolino in fondo al corridoio, accanto alla finestra, e sembra – o forse è? – arrabbiata. Prima di raggiungerla, la osservo per qualche secondo: anche stamane ha un look impeccabile. Ha legato i lunghi capelli neri in uno chignon disordinato sulla testa, che su di lei, però, risulta comunque elegante.

«Scusami il ritardo», bofonchio, occupando il posto di fronte a lei e afferrando subito un menu. Ho una gran fame!

«Figurati…», mi risponde Kikyo, laconica, prima di aggiungere: «Ti sto aspettando da solo un quarto d’ora.» Le sue parole sono fredde come il ghiaccio, tant’è che rabbrividisco all’istante.

«E dai, Kyocchan, perdonami! Sono arrivata in ritardo per una giusta causa!», la prego, congiungendo le mani di fronte al viso.

La mia gemella alza un sopracciglio. «E sarebbe?»

Non me lo faccio ripetere due volte. Afferro il mio zainetto e ne estraggo il mio acquisto, con aria pressoché trionfante. Adoro queste mutandine! Ci avevo messo gli occhi addosso qualche settimana fa e, sapendo che oggi sarebbero iniziati i saldi, non ho resistito dal comperarle. 670 yen*, un vero affare! E poi sono così carine… anzi, sono talmente moe da farmi sprizzare di euforia! Per non parlare della trama… quanto belle sono le fragoline rosse stampate sul tessuto?!

Kikyo, però, non sembra essere del mio stesso avviso. «Kagome…», mormora, e la sua voce mi lascia intendere che mi sta per fare una bella ramanzina. «Perché

Stavolta sono io ad accigliarmi. «Perché… cosa?», le chiedo, confusa, rimettendo i miei nuovi slip nella loro borsetta. «Non hai visto quanto sono…»

«Non dire quella parola.»

«… Carini?», sussurro, allungando di proposito tutte le i. Kikyo odia quando lo faccio, lo so bene, e la cosa mi diverte non poco.

La vedo, infatti, roteare gli occhi al cielo per l’esasperazione. «Quando ti deciderai a essere più… femminile

«Lo farò solo quando troverò un ragazzo», le rispondo, dopo aver chiamato la cameriera al nostro tavolo. Ho deciso che mi prenderò un hamburger gigante, con doppia porzione di patatine.

 «Sì, magari un emerito idiota come Hojo, il tuo ex», esclama acida mia sorella, prima di ordinare un’insalata con dell’olio a parte. Dice di essere a dieta, ma io penso che sparirà del tutto, se continuerà così.

«No, ho smesso con i tipi come lui», dico, giocherellando nervosamente con il tappo della bottiglia di acqua naturale, che la cameriera mi ha appena portato. Io e Hojo siamo stati insieme per quasi un anno, ma poi mi ha lasciata, dicendo che eravamo troppo diversi. Già, lui era un secchione e aveva una passione quasi anomala per le cose strambe, ma tutt’oggi penso ancora che il vero motivo della nostra rottura fosse un altro. Probabilmente si era trovato un’altra, quando aveva iniziato l’università.

Sbuffo: il solo pensare a lui mi fa rizzare tutti i capelli sulla nuca. Lo odio! «Comunque, il mio ragazzo ideale è… completamente diverso», aggiungo con aria sognante.

«Ah?», mi chiede Kikyo, esortandomi con un cenno del capo a continuare.

Intreccio le dita di fronte al viso e alzo gli occhi al cielo. «Innanzitutto, deve essere muscoloso e alto… molto alto», comincio, beccandomi un’occhiata eloquente dalla mia gemella.

«Ma se poi è troppo alto, come fai a baciarlo?», mi canzona lei e io la fulmino immediatamente con lo sguardo. Scema!

«E poi… deve avere gli occhi chiari e i capelli lunghi…», termino pensierosa, mangiucchiando una patatina.

«Uhm… quindi il tuo tipo ideale è… Koga?», mi chiede Kikyo con una naturalezza tale da farmi andare di traverso il boccone che stavo per ingurgitare.

«Ma che vai a pensare?! Certo che no! Kocchan è… il mio migliore amico! Non potrei mai… sì, insomma, io e lui… non ci penso nemmeno!», esclamo quasi shockata. Io e Koga ci conosciamo fin dai tempi dell’asilo… siamo cresciuti insieme, lui è praticamente il fratello che non ho mai avuto! Sospiro. «E poi Kocchan ha i capelli neri, mentre io… cerco un uomo con una lunghissima chioma bianca… come Sephiroth, per intenderci!»

Mia sorella, che fino ad adesso mi ha ascoltata tutta orecchi, storce la bocca, improvvisamente annoiata. «Fammi indovinare… è un personaggio di quel pallosissimo videogioco, che ti fa passare intere nottate in bianco…?»

Le scocco un’ennesima occhiataccia, prima di replicare: «Si chiama Final Fantasy… e Sephiroth è uno dei personaggi più popolari! Il mio cattivo preferito in assoluto!», esclamo, piccata. Perché Kyocchan deve sempre criticare i miei passatempi? È vero: amo i videogiochi, gli anime e i manga… e con ciò? Non è forse una passione come qualsiasi altra?

«Kacchan», mi richiama Kikyo ed io cado dalle nuvole. «Guarda che ora è: fra quaranta minuti non inizia il tuo part-time?»

Roteo gli occhi verso l’orologio… e li spalanco immediatamente. «Cavoli, ma è tardissimo!», strepito, ingurgitando, il più velocemente possibile, il resto del mio pranzo. «Ci vediamo stasera, Kyocchan!», dico a mia sorella, con la bocca ancora piena.

La mia gemella scuote la testa. «Sei sempre la solita!», mi urla dietro, portandosi una mano alle labbra.

Io faccio spallucce e sfilo di fronte alla cassa, passando i soldi alla Signora Kaede. «Si tenga pure il resto… e mi dia un caffè nero da asporto… subito! Sono in ritardo!»
 
 
Qualche minuto dopo, sto correndo a ritroso per le strade di Ikebukuro in direzione della stazione. Se non mi sbrigo, Jakotsu mi farà una bella ramanzina… anzi, sono sicura che questa volta mi licenzia!, penso, prendendo grosse sorsate bollenti dal mio bicchiere e reggendo con l’altra mano la borsetta con dentro il mio nuovo acquisto.
Jakotsu è l’eccentrico direttore del piccolo maid café in cui lavoro. È un ragazzo sulla trentina, che ama i bei vestiti e il rosa, tant’è che ha fatto dipingere di quel colore ogni singolo centimetro del suo locale. A volte, mi sembra di stare all’interno di una casa per le bambole, ma, finché sono pagata bene, cerco di non lamentarmi troppo. E poi, che lavoro fantastico non è quello della maid? È come stare in cosplay tutto il giorno!

Mi guardo intorno e decido di prendere una scorciatoia, che – sono sicura – non sarà per niente affollata come la via principale di questo maledetto quartiere. Ma la gente non dovrebbe essere a pranzo a quest’ora? Appena imbocco la stradina, però, urto contro qualcosa di veramente duro, perdendo subito l’equilibrio. Ma che è? Non pensavo ci fosse un muro da queste parti!

«Dannazione!», esclama una voce maschile ed io, ancora una volta, distolgo la mente dai miei pensieri. Di fronte a me, c’è un ragazzo dall’aria poco gentile, che mi sta guardando letteralmente in cagnesco. È seduto a terra e, accanto a lui, c’è un sacchetto uguale al mio! Mi soffermo un po’ troppo a guardare i suoi addominali scolpiti, che s’intravedono sotto la maglietta… ma la cosa che mi colpisce di più sono quei capelli! Lunghi e bianchi come il latte! E quelle orecchie che ha in testa? Sono così tenere, che mi viene voglia di toccarle! «Ragazzina, non guardi dove vai?!», ringhia l’uomo-cane, massaggiandosi il fondoschiena.

«E-Ehm, mi scusi…», balbetto, arraffando velocemente il mio sacchetto e il bicchiere.

Oh, cavoli, il mio caffè!, penso, notando che sulla giacca chiara del tipo si sta allargando una grossa macchia nera. Impallidisco: quel capo di abbigliamento deve essere di ottima fattura e, di sicuro, gli sarà costato un sacco di soldi! Oh-porca-puttana.

Il ragazzo pare seguire il mio sguardo e, appena i suoi occhi si posano sul punto che sto guardando, ogni colore sembra defluire dal suo viso. «Guarda che diavolo hai combinato!», sbraita e io non ho idea di come scusarmi. «Maledizione, l’avevo appena lavata! Ora, per colpa tua, mi tocca tornare alla lavanderia!»

«L-Lasci che le ripaghi il danno, la prego…», bofonchio, ma lui mi scansa con una spallata.

«Non importa», si limita a dire, imboccando la direzione opposta alla mia. Ha messo una certa distanza tra me e lui, ma mi sembra di sentirlo ancora imprecare. Cafone!, penso, realizzando subito dopo che sto perdendo un sacco di tempo. Oh, diamine, sono in ritardo!
 
 
«Kacchan, sei di nuovo in ritardo», mi riprende Sango, scuotendo la testa, quando entro dal retro del maid café.

L’importante è che Jakotsu non se ne sia accorto, penso, piegandomi sulle ginocchia per riprendere fiato. Uff, che razza di corsa! Se non fosse stato per quel ragazzo-cane, non avrei perso tanto tempo! Ah, quell’antipatico! E dire che rispecchia totalmente il mio tipo ideale…

«Ehi, mi stai ascoltando?», esclama la mia migliore amica, sventolandomi una mano di fronte al viso. «Terra chiama Kagome! Sei ancora nel mondo dei sogni, per caso?»

«Eh?», chiedo io, riscuotendomi un po’. Devo smetterla di avere sempre la testa fra le nuvole, altrimenti, prima o poi, rischierò di combinare qualche grosso guaio… come quello della giacca di quel ragazzo! Chissà quanto sarà arrabbiato in questo momento! Eppure era così bello… se ci fossimo incontrati in un’altra occasione, magari… «Oh, Sephiroth…», mormoro piano, lasciandomi sfuggire un sospiro.

Sango mi guarda corrugando la fronte. «Cosa c’entra adesso quel gioco…? Chi ti capisce è bravo, Kacchan…», mi dice con una punta di ironia nella voce. «E ora va a cambiarti, altrimenti…»

«Kacchan!»

Non faccio in tempo a replicare, che mi ritrovo scaraventata a terra da una furia vestita in pizzi e merletti. «Rin!», la saluto, ricambiando l’abbraccio della più tenera delle maid. Rin ha solamente due anni in meno di me ma, a giudicare dal suo aspetto ancora paffutello e infantile, sembra ancora una quattordicenne. Ogni giorno, viene a lavoro con un’acconciatura diversa e oggi noto che ha legato i capelli in una buffa codina laterale. Gliela scompiglio dolcemente, mentre lei si accoccola a me. Come si fa a non adorarla?

«Come mai non ti sei ancora vestita?», mi chiede Rin, sciogliendo il nostro abbraccio e sedendosi a terra.

«È in ritardo come al solito», spiega Sango al posto mio. «È arrivata qui e non ha fatto altro che borbottare qualcosa su Final Fantasy…»

«Oh, sei riuscita a finirlo? Io sono bloccata da un po’… un giorno di questi verresti a casa mia a spiegarmi come fare per continuarlo?», mi tempesta di domande Rin, mentre la mia migliore amica rotea gli occhi al cielo.

«Siete sempre le solite…», esclama, ma dalla sua voce trapela una piccola risata, che non sfugge alle mie orecchie.

Io scuoto la testa. «Non parlavo di Final Fantasy, ma di Sephiroth… Ho incontrato un ragazzo simile a lui, con delle strane orecchie da cane in testa.»

«Un cosplayer?», chiede Sango, inarcando un sopracciglio.

«Orecchie da cane? Che carine! Gliele hai toccate, vero?!», strilla Rin con gli occhi che sprizzano di eccitazione.

«E-Ehm, no… ci siamo scontrati e gli ho rovesciato addosso il mio caffè… ho combinato un vero disastro…», mormoro, mentre una risatina nervosa mi vibra nel petto come mille farfalle. Se solo mi avesse lasciato il tempo di scusarmi, invece di trattarmi in quel modo!

«Kacchan, non ci sai proprio fare con i ragazzi! Quando ne trovi uno, lo fai fuggire via a gambe levate!», mi canzona Sango e io le lancio un’occhiataccia. Nemmeno tu sei fidanzata, mi sembra!

Mi schiarisco la voce. «Comunque, non lo rivedrò mai più, quindi è inutile arrovellarsi tanto», dico, prima di alzarmi in piedi e ripulirmi i pantaloni dalla polvere. «Meglio se mi vado a cambiare, altrimenti chi lo sente più Jak?»

Rin mi segue con lo sguardo e sembra, solo allora, notare il sacchettino del negozio d’intimo, che mi sto portando appresso da questa mattina. «Ah, adoro quel negozio! Che hai comprato di bello, Kacchan?»

Io m’illumino, dimenticando momentaneamente il ragazzo-cane, che sta tormentando da prima i miei pensieri. «Un paio di mutandine troppo moe! Vuoi vederle?»

«Sì!», esclama euforica la piccola maid.

Faccio per prendere il mio nuovo acquisto, quando mi blocco totalmente. «Eh?»

«C’è qualcosa che non va, Kagome?», mi chiede  Sango, prima di avvicinarsi a me per vedere ciò che ha attirato la mia attenzione. 

«Eh?!», ripeto di nuovo, estraendo un’anonima maglietta nera dal mio sacchetto. Sbianco, mentre il cuore comincia ad accelerare vertiginosamente. Dove-cazzo-sono-le-mie-mutandine?, penso e sento che il panico sta prendendo il sopravvento. Oh, no, non dirmi che…

Già, quello strambo ragazzo-cane aveva una busta identica alla mia e ora le ha sicuramente lui le mie - ridicole - slip con le fragoline.
 
 
«Oh, no, no, no! Non può essere successo davvero!», strillo, gettando a terra la maglietta nera e rovesciando il sacchetto nella speranza che le mie mutandine si materializzino dal nulla. Niente, non ci sono proprio! Come ho fatto a scambiare le buste?!

«Dannazione!» Se solo quel tipo non mi avesse distratta con quel suo fisico tonico e quei capelli bianchi… «Cosa faccio ora? Devo assolutamente andare a recuperarle!», urlo in preda al panico.

Rin, che intanto si è alzata in piedi, mi si avvicina a scuote la testa. «Kacchan, ragiona… È impossibile che tu riesca a ritrovare quel ragazzo… Non è meglio se torni al negozio e compri degli slip uguali?»

Io mi giro verso di lei, strabuzzando gli occhi. «No… Erano l’ultimo paio!», esclamo, prima di portarmi le mani alla testa. «E poi, sai che razza di figura, se quel tipo si mette a frugare nel sacchetto e trova quelle mutandine ridicole? La mia reputazione è rovinata

«Quale reputazione?», mi canzona Sango ed io la incenerisco letteralmente con lo sguardo. «Scusa», borbotta, per poi chinarsi a terra per prendere qualcosa. «Kacchan…»

«Ma perché a me? Devo essere proprio sfortunata!», mi lamento, cominciando a camminare nervosamente per il corridoio, che porta sul retro dell’edificio.

«Kacchan!», mi richiama di nuovo la mia migliore amica ed io questa volta mi zittisco per ascoltarla.

«Dimmi.»

Sango si allunga verso di me e mi porge un pezzo di carta piuttosto sgualcito. Me lo rigiro tra le mani, confusa, prima di leggere la frase su di esso stampata a caratteri cubitali. ‘Lavanderia da Ayame – il tuo bucato pulito e profumato a tempo di record!’ «E quindi?», bofonchio, accigliandomi un po’.

«Ma come, non avevi detto tu stessa di aver gettato del caffè addosso a quel ragazzo?», mi chiede Sango, mentre sulle sue labbra si apre un sorriso compiaciuto. «Quel biglietto è caduto a terra quando hai rovesciato il sacchetto. Fidati, quel tipo sarà sicuramente andato lì per far lavare la sua giacca…»

Io m’illumino, realizzando immediatamente dove la mia amica vuole andare a parare. «... E quindi, questo potrebbe essere un indizio per ritrovarlo! Sango, sei un genio, l’ho sempre detto io!», strillo, lanciandomi tra le sue braccia. «Grazie mille!»

«Figurati», mi risponde lei, ricambiando il mio abbraccio.

«Ma Kacchan… come farai con il lavoro…?», mi domanda Rin e io mi blocco all’istante. Cavoli, se salto il mio turno, perderò sicuramente il posto!

«Nessun problema», s’intromette Sango, sorprendendoci entrambe. «Basterà dire a Jak che Kagome ha avuto qualche imprevisto. Ad esempio…», pare pensarci un po’ su e la cosa comincia a preoccuparmi. «… ci sono! Gli diremo che è morto Buyo, il tuo gatto!  Jak è un eterno sentimentale, si commuoverà sicuramente e ti lascerà andare!»
 
 
«Ehi, Buyo non si tocca!», esclama Kyocchan dall’altro lato del telefono, dopo che ho finito di raccontarle del mio strano incontro con il ragazzo-cane e della scusa geniale venuta a Sango per giustificare la mia assenza dal lavoro. «Comunque, Kacchan, credimi, ma secondo me, è una pessima idea, la tua! Ritrovare un ragazzo per Tokyo? Ma scherziamo? È assolutamente impossibile!»

«Grazie dell’incoraggiamento, sorellina», rispondo, piccata, correndo – di nuovo – per le strade di Ikebukuro. Dopo una dettagliata ricerca, ho scoperto che la lavanderia della suddetta Ayame affaccia su un’elegante promenade piena di boutique e negozi, che vendono merce di lusso. Devo dire che mi sento un po’ fuori luogo, ma cerco di non farci troppo caso.

«Comunque, scusami, ma ora devo andare… Penso di essere arrivata», le dico, fermandomi di fronte a un piccolo edificio svettante,  appunto, l’insegna ‘Da Ayame’. Chiudo la chiamata e apro la porta per entrare.

La prima cosa che noto, quando metto piede nella lavanderia, è il leggero tintinnare del campanello all’uscio, che annuncia il mio ingresso. Mi aspettavo un posto più… chic, mentre mi ritrovo all’interno di uno spazio piuttosto angusto, delimitato solamente da un piccolo bancone, dietro cui vi è un’ennesima porta chiusa da una spessa tenda color sabbia.

«Arrivo subito!», esclama una dolce voce femminile dall’altra stanza ed io mi dondolo nervosamente sui talloni, prima di risponderle con un laconico: ‘Nessun problema!’.

Dopo qualche secondo, da quella che deve essere la lavanderia vera e propria, spunta la testa rossa di una ragazza. A giudicare dal suo aspetto, deve avere circa la mia età, ma non ne sono poi così sicura. Ciò che mi colpisce di lei, però, sono i suoi capelli, legati in due alte code di cavallo, tenute ferme, a loro volta, da dei fiori lilla. Mi soffermo a osservare anche il suo abbigliamento, che definirei ‘eccentrico’: indossa, infatti, un top colorato e una gonna bianca, che sembra fatta di pelliccia. Accidenti, siamo in piena estate, non sente caldo?, penso, mentre lei mi scruta con quei suoi grandi occhi verdi dal taglio quasi ferino.

«Desidera?», mi chiede ed io sussulto. Ah, come sono maleducata! Non devo fissare così le persone!

«E-Ehm… come dire…», comincio, impacciata, torturandomi le mani. «Sto cercando una persona e, forse, lei mi può aiutare.»

Le sopracciglia della rossa si alzano al punto, che sembrano arrivarle all’attaccatura dei capelli. «Come, scusi?», mi domanda, sorpresa.

Mi maledico mentalmente, dandomi della stupida. Ecco, ora mi prenderà per una stalker o per… chissà cosa! Mi mordo l’interno della guancia, prima di ricominciare. «Sto cercando un ragazzo di cui, però, non so il nome…», dico, guardandomi le punta dei piedi, che, in questo momento, mi paiono stranamente interessanti. «Ha preso una cosa a me molto cara e vorrei riaverla… Ecco, l’unico indizio per ritrovarlo è questa lavanderia. Tra le sue cose, per l’appunto, c’era un vostro biglietto da visita.»

Nonostante le mie parole, la ragazza sembra più confusa di prima. Vorrei ben dirlo! «E… mi può descrivere almeno il suo aspetto fisico…?», inizia, titubante, corrucciando le labbra in una smorfia. Bene, le sto facendo perdere tempo e si sta spazientendo, è per questo che fa quella faccia!

Arrossisco. «È alto, muscoloso… ha dei lunghissimi capelli bianchi e delle strane orecchie da cane», esclamo, portandomi, pensierosa, il dito indice alla bocca.

A questo punto, la rossa dovrebbe cacciarmi a calci sul fondoschiena, mentre, invece, la sua espressione diventa improvvisamente luminosa. «Ah, ma sta parlando di No Taisho! È venuto qui poco fa per portarmi la sua giacca… Mi ha detto che una ragazzina maleducata gli ha rovesciato addosso del caffè! Era così arrabbiato…»

Sospiro. Come immaginavo… No Taisho, devo ricordarmi il suo nome…, penso, annotando mentalmente ogni dettaglio di quel misterioso tipo. «Già… Sono stata io a macchiargli la giacca», rispondo, puntandomi un dito al petto. «Sa, per caso, dove posso trovarlo? Vorrei anche ripagargli le spese della lavanderia…»

La ragazza ci pensa un po’ su, per poi dire: «Prima mi diceva che doveva andare alla pasticceria di Mushin a Shibuya, perché sta organizzando l’anniversario dei suoi genitori. Magari, se si sbriga, riesce ancora a beccarlo!»

«Allora, speriamo bene…», mormoro, stroncando un ennesimo sospiro sul nascere. Non devo essere negativa, lo ritroverò! E poi, dopo aver recuperato le mie adorate mutandine, forse avrò l’occasione di presentarmi… Oh, Sephiroth! «Grazie mille, intanto!», esclamo, piegando lievemente il busto.

«Ma si figuri, per così poco, poi! Spero che riesca a recuperare ciò che ha perso!», mi risponde la rossa, mentre io esco dal negozio, diretta verso la fermata della metro che porta a Shibuya.  
 
 
Un altro campanellino mi accoglie, quando entro nella pasticceria Mushin, un locale piccolo, ma di classe, completamente arredato alla francese. Grandi vetrate colorate ne illuminano interamente un lato, a ridosso del quale sono stati posti alcuni tavolini e delle sedie in metallo laccato. L’estremità opposta, invece, è percorsa da una vetrina ricolma di dolci e pasticcini, che mi fanno venire l’acquolina in bocca. Per non parlare dell’odore che inebria l’intera stanza! Sono in paradiso, per caso? Mi sporgo a osservare un bonbon alla crema pasticcera, che ha tutta l’aria di essere squisito. Sento già la bava che mi esce dalla bocca!

«I bonbon sono la nostra specialità», esclama una voce maschile alle mie spalle, ed io sussulto, colta di sorpresa. Mi pulisco velocemente le labbra da un rivolo di saliva e mi volto a guardare il mio interlocutore, un uomo tozzo, grasso e con un naso così largo da far invidia a quello di un gigante! Un paio di buffi baffi gli spuntano sopra la bocca, circondata, a sua volta, da una ragnatela di rughe. Sembra ubriaco – o forse lo è? –, visto che pare reggersi a malapena su quelle sue gambette cicciottelle.

«A-Ah…», balbetto, colta alla sprovvista. Ma da dove è sbucato fuori questo qui?

L’omaccione mi sorride e mi indica una fila di tartine alla frutta. «Comunque, se deve prendere un vassoio di pasticcini, le consiglio queste. Le ha fatte il mio allievo, Miroku. È uno scansafatiche, ma, quando si mette d’impegno, è molto bravo. Vuole che le dia una confezione da portare via?»

Io boccheggio. Ma prego, fai tutto tu. «Ehm, sì… cioè, volevo dire, no», dico in difficoltà, gesticolando con le mani. «In realtà, volevo sapere… È passato un certo No Taisho da queste parti?»

Il ciccione piega leggermente la testa e mi guarda con occhi vacui. «No Taisho… ehm… parla del migliore amico di Miroku?»

Io alzo un sopracciglio. Ma che cavolo vuoi che ne sappia io!

«Comunque, sì. Conosco un No Taisho, ma non so se sia passato di qui questa mattina... Vede, sono appena arrivato», si scusa il commesso, emettendo con la bocca un sonoro hic.

Okay, questo è completamente fuori! Quanto alcol avrà in corpo?, mi chiedo, mentre nella mia mente si affaccia prepotentemente l’idea di abbandonare la ricerca di Sephiroth e delle mie favolose mutandine con le fragole.

«Mi sa dire dove abita? O, che ne so, dove lavora…», chiedo, tamburellando pazientemente un piede a terra.

Il vecchio si allunga verso di me e mi scruta con attenzione. «Ma lei chi è? E cosa vuole da No Taisho?», mi domanda con voce sospettosa, al che io faccio un passo indietro.

«Ah… ehm, sono una sua vecchia amica e vorrei restituirgli una cosa…», mento e, allo stesso tempo, il mio corpo tremante sembra volermi tradire. Nonostante ciò, il tipo si beve la mia bugia e scoppia a ridere.

Lo osservo incuriosita, sentendo le labbra piegarsi in un sorriso isterico. Stupido vecchio! Perché stai ridendo, ora?!, penso, mentre sento crescermi dentro la voglia di strozzarlo seduta stante.

«Poteva dirlo subito, allora! No Taisho lavora all’officina Shichinintai, che si trova a qualche isolato da qui! Le lascio l’indirizzo», esclama l’uomo, trotterellando verso il bancone e afferrando carta e penna. «Non si può sbagliare! Anche Miroku è andato lì e, per piacere, se lo incontra, gli dica di ritornare subito a lavoro…», aggiunge il vecchiaccio, porgendomi un biglietto consunto.

«Ehm, la ringrazio…», mormoro, dubbiosa, rigirandomi il foglietto tra le mani. Dunque ‘Sephiroth’ No Taisho è un meccanico, eh? Che figo!, mi dico, esultando mentalmente per la mia scoperta. Non solo è un bel ragazzo, ma ci sa fare anche con i motori! Chissà se ha anche una moto tutta sua!

«Si ricordi di riferire il mio messaggio a Miroku, per favore. Non credo di sentirmi tanto bene e ho bisogno che mi sostituisca a lavoro…», mi urla dietro il commesso della pasticceria, mentre io apro la porta per uscire.

E ci credo che non ti senti bene, idiota!, penso, rispondendogli con un breve cenno della testa. Con tutto quello che avrai bevuto, poi!
 
 
«È il momento della resa dei conti, mio caro Sephiroth», esclamo, varcando il grande portone dell’officina. «Ti costringerò a restituirmi le mie adorate mutandine, anche a costo di prenderti a pugni!»

«Buongiorno», mi saluta un ragazzo, venendomi incontro. Ha le labbra aperte in un sorriso raggiante e devo ammettere che è piuttosto affascinante. Osservandolo più da vicino, mi accorgo che i suoi capelli sono legati in una lunga treccia e che la sua pelle è olivastra, diversa da quella di un comune giapponese. «Posso aiutarla in qualche modo? È venuta a ritirare la sua macchina?»

«No, in realtà, sono venuta qui per cercare…»

«No Taisho!», esclama qualcuno alle spalle del tipo, attirando inevitabilmente la mia attenzione.

Sephiroth, ti ho trovato!, urla una voce nella mia mente, che metto a tacere, quando noto che il mio interlocutore si gira e risponde con un: «Dimmi, Miroku!»

E, quindi, questo sarebbe il famoso Miroku?, mi chiedo, guardando il nuovo arrivato, mentre saltella verso di noi. «Ban, non mi avevi detto di avere una cliente mozzafiato come lei! Dove l’avevi nascosta, bricconcello?»

Okay, quando è troppo è troppo. Prima la ragazza con la gonna di pelliccia, poi l’ubriacone e ora… un playboy? Ma che razza di gente conosce questo No Taisho? E non doveva lavorare qui? Perché ha risposto il tipo con la treccia, quando l’hanno chiamato per cognome? La mia testa si affolla di mille domande, mentre Miroku mi prende la mano e la bacia con una strana galanteria. Reprimo l’impulso di stampargli le mie cinque dita sulla guancia e No Taisho sembra notare questo mio disagio, visto che allontana il pervertito con una spallata. 

«Miroku, quante volte devo ripeterti di non fare il cascamorto con qualunque persona di sesso femminile che ti capita sotto tiro?! Mi farai perdere tutte le clienti, così!», sbraita il mio ‘salvatore’, ma il giovane con il codino non sembra provato dalle sue parole.

Lo vedo, infatti, distendere le labbra in un sorriso a trentadue denti, per poi replicare: «Mi dispiace, Ban, ma non ci posso fare nulla se le tue clienti sono così carine…»

A questo punto, decido che non posso più starmene zitta. Faccio un passo indietro, mettendo una certa distanza dai due ragazzi, e inspiro profondamente, cercando le parole giuste per cominciare. «Innanzitutto, io non sono una cliente e non possiedo nemmeno una macchina», esclamo e il suddetto Ban sgrana gli occhi, stupito. Si starà sicuramente chiedendo cosa ci faccio qui. Ignoro la sua alzata di sopracciglia e mi giro verso l’odioso playboy che, fino a qualche attimo prima, ci stava spudoratamente provando con me. «Secondo, sono stata da Mushin e il pasticcere mi ha detto che lei, Miroku, deve tornare immediatamente a lavoro. Sembra che il suo collega non si senta per niente bene…»

Miroku rotea lo sguardo al cielo e sbuffa. «Quel vecchiaccio! Per il sacro Buddha, quando smetterà di ubriacarsi tutti i santissimi giorni?!», borbotta, prima di darmi una pacca sul fondoschiena, facendomi sussultare. Ma che cos’è tutta questa confidenza?

Giuro che adesso gli mollo un ceffone!, penso, ma lui si è già allontanato, dopo avermi salutata con un: «Grazie mille, dolcezza, ci rivediamo presto, spero!»

Arrossisco e mi volto verso No Taisho, che pare ancora accigliato. «Tutto qui?», dice ed io scuoto la testa.

«No… come dicevo prima, sto cercando un certo No Taisho e mi hanno detto che lavora qui…»

Ban si indica con espressione interrogativa. «Qui ci lavoro solo io e, guarda caso, faccio proprio di cognome No Taisho. Posso fare qualcosa per lei?»

Mi mordo nervosamente le labbra. Pare proprio che mi abbiano indirizzata alla persona sbagliata! Questa ricerca si sta rivelando un vero buco nell’acqua! «No, perché il ragazzo che cerco io… ha dei lunghissimi capelli bianchi e delle buffe orecchie da cane in testa. Cosa che, invece, lei non ha… Quindi, dubito che mi possa aiutare…»

Dichiaro la mia sconfitta. Addio, Sephiroth e mie belle mutandine. Sto per andarmene, quando sento la voce di Ban che mi chiama di nuovo. «Sta cercando mio cugino, allora! Lavora alla stazione radio di fronte al parco di Ueno, ma… sono le sette e trenta e lui stacca alle otto e un quarto! Se non si sbriga, potrebbe non trovarlo!»

Sento il mio viso illuminarsi e mi giro verso il ragazzo, sorridendogli, grata. «Grazie infinite! Non sa quanto mi è stato utile! Sa, No Taisho ha preso una cosa a me molto cara e devo riprenderla assolutamente!»

Il giovane mi guarda con aria curiosa. «E… posso sapere di cosa si tratta?»

Le mie guance si tingono improvvisamente di rosso. «C-Certo che no, non è nulla che possa interessarla!»
 
 
Il parco di Ueno è immenso e, anche a quest’ora, ci sono turisti con le loro macchinette fotografiche e persone che si rilassano sulle panchine di fronte al lago. Mi manca il fiato da quanto ho corso, ma cerco di non cedere e di raggiungere la stazione radio, prima che il ragazzo-cane stacchi dal lavoro. Questa potrebbe essere l’ultima possibilità che ho per vederlo! Lancio un’occhiata al mio orologio da polso e sgrano gli occhi, quando vedo che sono le otto e un quarto.

«Maledizione!», farfuglio, accelerando il passo.

Quando giungo finalmente di fronte all’elegante edificio, che ospita la radio, noto con un certo disappunto che le luci sono spente e che, probabilmente, No Taisho ha deciso di uscire prima. Sospiro, lasciandomi scivolare sul marciapiede.

Per così poco…, penso, prendendomi il viso tra le mani. Forse è meglio se me ne torno a casa… È tardi: Kyocchan e la mamma saranno preoccupate…

Sfilo il cellulare dalla tasca e digito il numero della mia gemella, che mi risponde al terzo squillo. «Kagome? Fra quanto torni?», mi chiede lei con il suo solito tono composto.

«Ora… Non ce l’ho fatta, Kyocchan, non sono riuscita a trovare il ragazzo-cane e a recuperare le mie mutandine.»

Kikyo rimane in silenzio per qualche minuto, prima di dire. «Avanti, non farne un dramma: ne comprerai un altro paio...  in fondo, non erano così belle!»

Gonfio le guance, stizzita, per poi replicare. «Questo lo dici tu!»

Mia sorella sbuffa e sono pronta a scommettere che ha alzato gli occhi al cielo. «Dico alla mamma che stai tornando. Ci vediamo dopo, sorellina», esclama, chiudendo la chiamata.

Rimetto il telefono al suo posto, prima di lanciare un ultimo sguardo al palazzo in cui No Taisho lavora… e, nell’esatto momento in cui i miei occhi si posano sulla porta principale, lo vedo uscire con la borsa in spalla. Per tutti i Kami, lui è…

«Tu, con quelle strambe orecchie da cane!», lo chiamo a gran voce, correndogli incontro. Non riesco a credere che sia davvero lui!

Il ragazzo si gira verso di me e la sua espressione stupita muta subito in una scocciata. «Ancora tu? Hai deciso di rovinarmi un’altra giacca, per caso?»

Mi piego sulle ginocchia e cerco di riprendere il fiato che ho perso, cercando questo idiota per tutta Tokyo! Gli lancio un’occhiataccia e… per tutti gli dei, quanto alto è? In confronto a lui, io sono un tappo da sughero! Arrossisco. «Restituiscimi quello che mi hai rubato!», esclamo, cercando con lo sguardo il sacchetto con dentro i miei slip.

No Taisho mi guarda indignato. «C-Che?»

Tiro un respiro profondo per trattenermi dal prenderlo a insulti. «Ti ho detto di restituirmi quello che mi hai rubato», ripeto pazientemente, puntellandomi i fianchi con le mani.

«Dannata, adesso mi stai dando pure del ladro? E poi, che ci fai qui? Mi hai seguito?»

Di fronte alla sua domanda, io mi gratto una guancia, cercando una scusa plausibile. «Beh…», balbetto, prima di frugare nel mio zainetto ed estrarne la busta, dentro cui è ripiegata la sua maglietta nera. «L’ho fatto per una giusta causa! Diciamo che ho… scambiato i sacchetti per sbaglio e… rivorrei indietro il mio acquisto, se non ti dispiace!»

Il ragazzo-cane mi scruta con la sua faccia da pesce lesso e i suoi lineamenti paiono rilassarsi per un breve istante. «Ah, davvero?», dice, prendendo anche lui il sacchetto del negozio di intimo.

«Non dirmi che non te n’eri accorto…»

«In realtà, no. E sentiamo, cosa hai comprato tu in quel negozietto? Le mutande della nonna, per caso?», mi canzona lui.

Stringo le mani a pugno. Stupido…. «Certo che no! E ora, di grazia, restituiscimelo!»

Sto per afferrare la mia busta, ma No Taisho, con un movimento veloce, la alza sopra la sua testa. Maledizione, sono troppo bassa! «Fammi prima sbirciare un po’, piccoletta», dice ed io vado letteralmente a fuoco.

«Non puoi, hai mai sentito parlare di privacy?! E poi…»

Troppo tardi. Non faccio in tempo a terminare la frase che l’idiota ha già estratto le mie mutandine dalla busta. Le osserva con aria stupita, poi, lentamente, un ghigno compare sulla sua faccia da schiaffi. «E tu… mi avresti inseguito per tutta Tokyo solo per queste?!», mi prende in giro con voce rotta da una risata.

Io, invece, non ci trovo nulla di divertente, anzi, penso che ogni colorito abbia abbandonato il mio corpo. Addio, mia adorata reputazione! Mi mordo le labbra, furiosa, prima di strappargliele di mano. «Cafone!», urlo, infilandole velocemente nello zaino.

«Scusami, ma sei troppo divertente, ragazzina!», esclama il ragazzo-cane, asciugandosi alcune lacrime, che gli imperlano le ciglia. «Giuro che nessuno, prima d’ora, mi aveva inseguito per un paio di mutandine!»

Brutto antipatico!, penso, facendogli la linguaccia.

Lui, però, mi sorprende, tendendomi una mano. «Piacere, mi chiamo Inuyasha No Taisho», dice, ora, sorridendomi sincero. Perché adesso si presenta? «Il tuo nome, invece, è…»

Io sposto lo sguardo dalle sue dita al suo viso e… Kami, sarà anche antipatico, ma alla fine è così bello… Da quale mio sogno è uscito fuori? «Kagome», sibilo, piccata.

«Bene, Kagome, ora che conosci il mio nome, potresti, per piacere, restituirmi la mia maglietta nera?»

«Ah, è vero!», dico, cadendo dalle nuvole e porgendogli la sua busta. «E con questo, siamo apposto, giusto?»

«Già, ma… se ti va, potremmo andare a bere qualcosa insieme», la butta lì Inuyasha, ma io scuoto la testa, girando sui tacchi.

«No, ho promesso a mia madre che sarei rientrata per cena al più presto», esclamo, salutandolo con la mano. Mi giro a guardarlo e noto che si è rabbuiato e che le sue orecchie sono basse, come quelle di un cagnolino abbandonato. Mi fa quasi tenerezza… e dire che è un tale cafone! «Però, nel caso ci ripensassi, potrò trovarti ancora qui, vero?»

Inuyasha sembra illuminarsi e annuisce con la testa. «Ovviamente! Spero solo che la prossima volta, non avrai voglia di rovesciarmi il tuo caffè addosso.»

Io ridacchio e sento che, in fondo, nonostante le apparenze, questo ragazzo non è poi così male. Chissà, forse ho fatto bene a stalkerarlo per recuperare i miei slip! Se solo non si comportasse da antipatico… «Vedremo, potrei sempre farmi rubare di nuovo delle mutandine con le fragole!», gli rispondo, prima di aggiungere: «A presto, No Taisho!»

«A presto», mi urla lui di rimando, mentre io imbocco la strada opposta alla sua.

 
*670 yen: Poco più di 5 euro.

Note dell'autrice: Eccoci qui a fine storia! Che dire, intanto vi ringrazio per averla letta e, prima che mi lanciate qualche pomodoro addosso, urlandomi che fa schifo, mi giustifico dicendo che vi avevo avvisati. È la cosa più demenziale che abbia mai scritto, però mi sono divertita a creare le buffe situazioni in cui si ritrova la nostra adorata Kagome!
Per quanto riguarda Sephiroth e Final Fantasy, l'idea me l'ha data il mio ragazzo, che, anche se non è su EFP, ci tengo a ringraziare... ero disperata, perché non sapevo a quale personaggio dei videogiochi associare Inuyasha... (pensate che inizialmente doveva avere i capelli neri, ma trovare un tipo con i capelli bianchi è stato più semplice!)

Infine, il finale aperto non mi convince moltissimo, ma, visto che mi sono iscritta all'ultimo al concorso di missredlights, non potevo dilungarmi troppo... sfortunatamente! Avevo mille idee per questa oneshot, in realtà!

Detto questo, vi saluto e vi mando un abbraccio fortissimo!

Ayamehana.
  
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