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Autore: DirceMichelaRivetti    29/07/2017    1 recensioni
Questo è il seguito del mio libro "La chiamata di Visnu"
Un'avventura fantasy ambientata in India e che attinge all'immaginario epico e mitologico di questa antica cultura.
Irma è una giovane archeologa, in passato ha avuto diverse esperienze in Tamil, l'ultima in particolare ha cambiato decisamente la vita sua e di alcuni suoi amici, quando si sono ritrovati a dover aiutare Visnu a proteggere il Dharma da un demone antichissimo.
Ora Irma ha trovato un lavoro per qualche mese in museo a Goa. Inizia a lavorare, cercando di adattarsi alle stranezze che trova in quel luogo, tuttavia dalle epoche avvolte nella leggenda sta per riemergere qualcosa che non potrà essere ignorato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Irma non avrebbe mai dimenticato quella gita nella jungla. Come avrebbe potuto?

Era certa che, qualsiasi cosa fosse accaduta in quella caverna, non era una faccenda conclusa. Chi abitava la spelonca? Un Asura? Un Rakshasa? Qualcos’altro di cui ignorava la conoscenza? Qualcosa legato al passato di Goa, smarrito dalla memoria anche delle leggende?

Hanuman era davvero intervenuto in suo aiuto? Se sì, era stato in grado di sconfiggere l’invisibile nemico, oppure lo aveva trattenuto solo il tempo necessario per consentirle di mettersi in salvo? Hanuman era forte, era figlio di Vayu, il dio del vento, non poteva essere facilmente sconfitto. Certo ormai doveva avere qualche decina di migliaia di anni; chissà se aveva ancora le stesse abilità narrate nei poemi. Forse si era limitato a distruggere i leoni di pietra …

Troppe domande, troppi dubbi e non aveva nessuno con cui poter parlarne.

Irma non si godette il primo giorno di scavo proprio a causa dei mille quesiti che continuava a porsi circa cosa fosse realmente accaduto nella jungla, chi poteva essere in combutta con un mostro antropofago e se il pericolo si sarebbe ripresentato.

Si scosse da quei pensieri solo a metà pomeriggio, quando dallo scavo emerse qualcosa: cinque pietre lavorate. Per la precisione erano la parte più alta di qualcosa che, per il momento, non si poteva stabilire se fosse una stele, un cippo, una statua o i resti di una qualche struttura.

Purtroppo si era fatto ormai tardi e per quel giorno non potevano approfondire la scoperta. Irma e Dhvana coprirono lo scavo con grandi teli impermeabili per evitare che le piogge lo danneggiassero, poi tornarono ognuno nella propria  stanza per ripulirsi dalla terra e dal sudore, prima della cena.

Quella sera, Irma si era ritirata presto nella propria stanza, sia perché stanca dal lavoro fisico della giornata, sia perché ormai si era decisa a consultarsi con qualcuno. Si sdraiò sul letto, sollevò il braccio a cui era avvolto il serpente d’oro e lo scrutò attentamente per diversi istanti, poi si rilassò e si concentrò su Iravan, cercando di chiamarlo. In fondo non aveva ricevuto istruzioni circa l’utilizzo di quel bracciale. Dopo pochi istanti, la testa del serpente si mosse, si srotolò dal braccio e assunse l’aspetto di un piccolo essere umano, sempre in oro.

La ragazza lo osservò meglio ed esclamò: “Iravan! Sei proprio tu?”

“All’incirca. Sono io, ma non mi trovo lì con te, sono a Vasukiprastha, tuttavia riesco a comunicare con te … un po’ come i vostri telefoni. Mi fa piacere sentirti, allora che cosa mi racconti? Come procedono le cose al museo?”

Irma fece un gran respiro e raccontò per filo e per segno quanto aveva vissuto nella jungla.

“E stai bene? Ne sei sicura?” si preoccupò vivamente il Naga, dopo aver ascoltato tutto.

“Sì, sono tutta intera, grazie agli aiuti inaspettati. Vorrei però tanto sapere con cosa ho avuto a che fare, voglio essere pronta se il pericolo dovesse ripresentarsi. Tu puoi aiutarmi a capire qualcosa di più?”

“Le lucciole che ti hanno aiutato, probabilmente erano una manifestazione di un Rakandar.”

“Un che?” si stupì la giovane “Credevo di conoscere ormai tutte le creature mitologiche indiane.”

“Non ti illudere, non le conosco tutte nemmeno io che ho un paio di secoli in più di te e sono cresciuto nel mondo che voi definite del mito. I Rakandar sono spettri buoni, protettori dei viandanti e della natura. Il loro reale aspetto sarebbe quello di un gigante, ma possono assumere molte forme a seconda del bisogno o del loro umore. Se la prendono spesso con gli ubriachi: li afferrano e li lasciano sui rami più alti degli alberi; non è raro, poi, che appaiano come lucciole per aiutare chi si è perso a ritrovare il giusto cammino. Spesso le persone li confondono con i Vetala che sono sempre spettri, anzi sarebbe il nome proprio del re dei fantasmi, per essere precisi, i quali hanno funzioni protettive più guerresche, attaccando entità demoniache. Sei stata fortunata, anche se non credo che il Rakandar ti abbia soccorsa per puro caso.”

“Ciò che hai detto è stato molto interessante, sicuramente, tuttavia le lucciole non erano la mia preoccupazione principale.” ribatté Irma “Iravan, per favore, parlami con franchezza. Eravamo fratelli e forse tu non mi hai voluto dire nulla prima perché credevi di tenermi maggiormente al sicuro, ma ormai ho incontrato qualcosa di pericolo e quella cosa ha visto me. Devo sapere con cosa ho a che fare. Per favore.”

“Hai ragione. Visto che le mie preoccupazioni non erano del tutto infondate, tanto vale condividerle totalmente. Hai mai sentito parlare dei Kalakeya oppure della città di Hiranyapura?”

“Della città sì. Vi abitavano degli Asura, una volta era sul fondo dell’oceano e poi è stata anche sospesa nel cielo … si è spostata spesso, insomma. Sono state combattute molte battaglie tra i suoi abitanti e i Deva, perfino Arjuna ha dovuto affrontarli; ricordo un altro caso in cui nella lotta fu coinvolto il saggio Agastya.”

“Complimenti, sai comunque abbastanza cose, per essere un’umana e occidentale.” scherzò un poco l’altro “I Kalakeya sono stati un clan di Asura particolarmente feroce e crudele, il più noto di loro fu Vritra.”

“Il drago della siccità che aveva imprigionato le acque?”

“Sì, quello è sicuramente l’episodio più famoso. In generale fu un nemico assai temibile per i Deva, li sconfisse più volte e pure li sottomise, addirittura inghiottì Indra e solo con grande difficoltà gli altri dei riuscirono a farglielo sputare fuori. Dominò anche vari luoghi nei cieli, sulla terra, negli abissi, nel sottosuolo e procurò indicibili sofferenze. Infine, Indra riuscì a sconfiggerlo solo grazie all’aiuto di Visnu e di alcuni suoi saggi seguaci. Dopo la sconfitta di Vritra, i Kalakeya non ottennero più un così sconfinato potere e dominio, ma continuarono a prosperare, non si estinsero. Persa la loro città, si stabilirono proprio in questa regione e vi regnarono efferatamente per millenni anche nei tempi riconosciuti col nome di storia. Nonostante col passare dei secoli abbiano imparato ad essere più cauti e a non manifestare apertamente poteri e crudeltà, pare che solamente poco più di seicento anni fa siano stati definitivamente sconfitti … o per lo meno annientati quasi totalmente. Pare che in realtà qualche loro discendente sia ancora sopravvissuto. Non si sa che cosa sia realmente accaduto e come sia stato possibile che un re umano abbia potuto distruggere i Kalakeya che dominavano segretamente Goa da millenni. Si dice che fosse un grande devoto di Visnu, in particolare del suo avatara di Rama, e che sia stato aiutato da Hanuman e dal suo esercito di scimmie; infatti la capitale del suo impero era nello stesso luogo in cui millenni prima sorgeva il regno delle scimmie. Non mi stupisce che una scimmia sia accorsa in tuo aiuto: è comprensibile che alcune siano rimaste qui per contrastare i possibili discendenti dei Kalakeya. Paradossalmente, però, questo fatto relativamente recente, è avvolto da maggiore mistero che le leggende.”

“Tu credi che nella grotta ci fosse un Kalakeya? Quei signori che vivono nella foresta potrebbero essere dei suoi adoratori?”

“Oppure esserne terribilmente spaventati … oppure potrebbe essere qualcun altro che voleva compiere il sacrificio. Hai detto che c’erano altre tre persone in viaggio, oltre a te e alla ragazza.”

“È vero … ma preferirei non pensare al fatto che un adoratore degli Asura possa vivere in questo museo!”

“Invece ti converrebbe pensarlo, anche solo per precauzione.”

Rimasero in silenzio qualche momento, poi Irma chiese: “Hiranyapura era un città d’oro, giusto?”

“Sì, esatto. Perché me lo chiedi?”

“Credo di averla vista in una visione … e di aver visto alcune delle atrocità a cui hai accennato.”

“In che modo?”

“Ho meditato una volta, da quando sono qui … o almeno ci ho provato. Mi sono affiorate nella mente immagini di battaglie, di una prospera città d’oro e di crudeltà verso gli uomini.”

Iravan corrugò la fronte e replicò: “Dushala non dovrebbe aver mai visto nulla del genere, quindi come puoi averle viste tu?”

“Una vita ancor più precedente?” ipotizzò la giovane “Oppure sono i suoi poteri che mi hanno permesso di guardare nel passato.”

“È possibile. Credo però sarebbe meglio ne parlassimo anche con qualcun altro.”

“E chi?”

Aswatthaman, almeno. Lui dovrebbe essere libero di spostarsi, a differenza degli altri.”

“Hai ragione. Sai come contattarlo?”

“Forse. Farò il possibile, intanto tu poni molta attenzione a tutto.”

I due amici si fecero qualche altra raccomandazione e infine si diedero la buonanotte e si salutarono. Il bracciale tornò ad avere le sembianza di un serpente e si riavvolse attorno al polso dell’archeologa.

Irma andò a dormire, indecisa se sentirsi rassicurata o meno da quanto aveva appena scoperto. Presto, però, il sonno ebbe la meglio su di lei.

Il giorno seguente la giovane fu pervasa dal buon umore: avrebbero indagato quelle misteriose pietre e ciò la riempiva di entusiasmo. Era dispiaciuta, tuttavia, per il fatto che avrebbero dovuto procedere in maniera molto lenta per rispettare la stratigrafia e che dunque richiedeva di rimuovere minuziosamente uno strato per volta. Presto, però, si rese conto che quello in cui stavano scavando era semplice materiale di riempimento, scaricato in quel luogo in epoche antiche, probabilmente proprio con lo scopo di nascondere quegli oggetti in pietra. Irma fu felice di tale scoperta che dunque le permetteva di rimuovere il terreno molto più rapidamente, non essendoci il bisogno di procedere per strati.

Lavorarono tutto il giorno per rimuovere la terra e si ripromisero di setacciarla successivamente, alla ricerca di materiali che potessero aiutarli a datare l’interramento di quel luogo.

Scesero in profondità di un metro e mezzo, riuscendo a liberare quasi completamente tre delle cinque pietre che si rivelarono essere statue raffiguranti il medesimo soggetto: un uomo completamente nudo, avente ben in evidenza i suoi attributi maschili; il volto e il petto erano tremendi: il viso era scavato, barba ispida sopra cui sporgevano un paio di zanne, i bulbi oculari sporgevano, mentre nel torace risaltavano le costole ed era impossibile stabilire se fosse stato rappresentato estremamente magro, oppure del tutto privo di carne. Attorno al collo era avvolto un serpente e portava anche una lunga ghirlanda che arrivava fino alle ginocchia, composta da teschi umani.

Era sicuramente un ritrovamento straordinario e che meritava di essere approfondito.

Cosa ci facevano cinque statue assieme? Indicavano un antico tempio? Era forse stato sotterrato in epoca portoghese, magari per evitare che fosse distrutto?

C’erano molte ricerche da svolgere e questo stimolava molto Irma, convinta di trovarsi davanti ad una scoperta di non poco conto.

Innanzitutto doveva capire che cosa rappresentassero. Scrutò attentamente le statue, vi girò attorno, cercando di cogliere ogni particolare. Commentò: “Figure così scheletriche non le ho mai viste nell’arte indiana, eccetto che tra i Buddha del Gandhara … ma, a parte la distanza geografica, direi che decisamente questo non sia lo stile gandharico.”

Improvvisamente, Irma ebbe una sorta di dejavu, non le sembrava di aver già visto proprio quelle statue, ma altre simili e di sapere perfettamente che cosa raffigurassero, nonostante non si fosse mai imbattuta in esse durante i suoi studi. Sussurrò: “…Vetala…

“Come?” domandò Dhvana che era accanto a lei, ma non aveva sentito bene.

“Sono statue di Vetala.” ribatté Irma con maggiore decisione.

“Sì … è plausibile.” concordò l’uomo, dopo una rapida riflessione “La loro presenza è però inquietante.”

“Perché? Non sono protettori? Non combattono contro entità maligne.”

“Beh, il maligne è discutibile” replicò Dhvana “Nel senso che molto dipende dal punto di vista, ma a parte questo, il mio inquietante si riferiva più che altro alla loro connessione con i cimiteri, i luoghi dove si lasciano decomporre i corpi. Loro sono fantasmi e si dice che entrano nei cadaveri e li animino. Per me è una cosa piuttosto inquietante. Per te no?”

“Non conoscevo questo aspetto.” ammise l’archeologa.

“Penso sarà davvero interessante scoprire che cosa ci sia qua sotto.” continuò l’uomo “Mi hai contagiato con lo spirito archeologico, evidentemente.” e si mise a ridere.

“Tuo zio sarà molto contento di questo, darà grande risalto al museo.”

“Ne sono convinto. Stiamo facendo un grande lavoro, sono felice che tu sia qui ad aiutarci.”

Dopo aver detto ciò, Dhvana abbracciò Irma che rimase un poco sbigottita, ma ne fu felice.

Pure quel giorno di lavoro era terminato e quindi era necessario rimandare all’indomani ulteriori indagini.

Il mercoledì, tuttavia, lo trascorsero a setacciare il terreno di riempimento rimosso, sperando di poter trovare ceramiche o qualche materiale dante. Forse anche le prime monete rinvenute facevano parte dell’interramento volontario, tuttavia a Irma sembrava improbabile che ben diciotto monete d’oro fossero state smarrite e per caso si fossero ritrovate nello stesso luogo.

Non trovarono resti di alcun oggetto creato dall’uomo, ma soltanto moltissime ossa animali che Dhvana identificò come appartenenti a capre, bufali e polli. Si poteva trattare sia di resti provenienti da una sorta di discarica oppure, più probabilmente, testimonianze di pasti rituali od offerte sacrificali che si erano volute consegnare ai Vetal, mentre li si seppelliva.

Il giovedì piovve quasi tutto il giorno e dunque non si poté continuare con gli scavi; Irma e Dhvana si dedicarono alla stesura del diario di scavo, descrivendo minuziosamente come avevano impostato i lavori, le procedure, i reperti e la loro collocazione e molti altri dettagli necessari.

Il venerdì poterono continuare con gli scavi. Liberarono completamente le altre tre statue e scavando un poco più a fondo, trovarono altre offerte votive, o quel che ne restava, deposte ai piedi delle statue. Erano alcune larghe ciotole in terracotta semplice in cui restavano pezzi di ossa, inoltre c’erano anche alcune piccole brocche che probabilmente avevano contenuto liquore.

L’entusiasmo di Irma era salito alle stelle, ma sembrava che le sorprese non fossero ancora finite. Infatti, un saggio effettuato nel suolo per controllare se ci fosse ancora terreno di riempimento, rivelò che sotto un paio di centimetri si nascondeva qualcosa di estremamente solido e duro, forse un pavimento. Lo avrebbero potuto scoprire solo la settimana successiva.

Irma si concesse qualche ora di riposo in più, il sabato mattina, immaginandosi un bel fine settimana di assoluto relax. A metà mattina, si recò in sala comune per farsi una tazza di te e cercare qualche frutto o altro da mettere nello stomaco. Mentre lei stava sorseggiando lentamente la tisana, aspettando che si raffreddasse, fece capolino nella stanza Dhvana che, dopo averle dato un raggiante buongiorno, le comunicò: “Allora, finita la colazione, ti prepari e andiamo in città.”

Irma lo guardò storto qualche istante: non le piaceva quando gli indiani prendevano decisioni al suo posto, ma era una cosa piuttosto comune che lì le persone prendessero iniziative, volendo essere gentili, senza domandare al diretto interessato che cosa volesse.

La giovane lo sapeva e infatti non se la prese più di tanto ma domandò: “Questo quando lo avremmo deciso?”

“Non ti va di andare a Margao?”

“Non avevo previsto di uscire, ma un giro lo si può fare, sì.”

“Perfetto. Qual è il problema, allora?”

“Il fatto che tu abbia deciso per entrambi, senza chiedere a me se volessi venire.”

“Ma hai detto che va bene?” Dhvana era confuso, non capiva “Io ho detto di andare, se poi tu non vuoi venire lo dici e resti qui.”

“Va beh, lasciamo perdere. Che si fa a Margao? Restiamo fuori anche per il pranzo, così non dobbiamo cucinare?”

“Sì, sì. Innanzitutto cerchiamo un bel vestito per te, poi andiamo al cinema.”

“Un vestito?” si accigliò Irma “E perché dovrei comprarmene uno?”

“Perché domani è il compleanno di mia zia.”

“E allora?”

“Fa una festa elegante.”

“Ma io non sono stata invitata.”

“Adesso sì. Sarai il mio più uno.”

Irma lo fissò interdetta per qualche secondo, poi scosse il capo e borbottò: “Devo decisamente farti capire il concetto: tu puoi proporre le cose, ma non puoi dare per scontato che gli altri accettino.”

“Va bene, va bene” replicò frettolosamente il ragazzo “Allora ci vieni?”

“Sì, volentieri: sono curiosa di vedere come si festeggiano i compleanni a Goa. Comunque non ho bisogno di un abito, ne ho un paio di quelli presi in Tamil che sono certa andranno bene.”

Poco dopo i due giovani uscirono dal cancello del museo; presero una scorciatoia tra la boscaglia per raggiungere più rapidamente la fermata dell’autobus, ma il terreno era ancora fangoso per la pioggia di un paio di giorni prima e si sporcarono i sandali. Appena giunti sulla strada, cercarono una pozzanghera abbastanza profonda dove immergere i piedi e ripulirsi. Salirono poi sul bus, come al solito straripante di persone: ad una fermata scesero in dieci e nessuno salì, eppure il mezzo non sembrava aver più posto libero. Irma comunque notò con piacere che il cruscotto era decorato con un paio di piccole statuette, ma non riuscì a metterle a fuoco e capire quale divinità rappresentassero.

I due scesero in quella che era la piazza principale di Margao, un lunghissimo e stretto ovale, attraversato da un parchetto. Non c’era un vero e proprio centro della città, ma quello sembrava essere una sorta di fulcro commerciale. Girovagarono senza meta e Irma continuava ad essere delusa per la mancanza di tempietti e nicchie ad ogni angolo, come invece era stata solita trovare in Tamil. Passarono per il mercato coperto, per il semplice gusto di vederlo: era molto buio, pieno di banchi stretti gli uni agli altri, alternati a minuscoli box, i sentieri tra di essi erano angusti e si districavano in maniera labirintica. I tavoli straripavano di merce, dalla bigiotteria sfavillante, ai tessuti arlecchineschi, alle odorose carni essiccate.

Pranzarono in un locale molto semplice con tavoli e divanetti che ricordavano quelli americani degli anni ’50. Entrambi ordinarono una masala dosa, ossia una sorta di crepes di farina di riso, ripiena di patate.

Nel pomeriggio si spostarono e andarono al cinema: un grande multisala che si estendeva per due palazzoni a torre. Comprarono i biglietti per un film americano, così da poterlo capire entrambi. Il box office era esterno, quando entrarono nell’ingresso, Irma fu stupita di trovarci un metal detector: tutti i clienti erano perquisiti, borse comprese, prima di poter accedere ai piani superiori dove si trovavano le sale. Si trovarono poi davanti al bar che vendeva snack vari tra cui popcorn di tre tipi: normali, con formaggio, caramellati. Dhvana prese un grosso pacchetto misto da condividere.

Si sedettero in sala, guardarono i trailer di altri film, poi la bandiera dell’India comparve sullo schermo, tutti si alzarono in piedi e fu eseguito l’inno nazionale, prima della proiezione.

Fu una giornata molto piacevole per entrambi. Irma era contenta di trascorrere così tanto tempo con quel giovane; l’attività di scavo li aveva resi molto affiatati e passare una giornata assieme, senza pensare al lavoro, aveva permesso che si accorgessero quanto si trovassero bene l’un con l’altro.

Quella sera ordinarono una pizza, o una specie di tale, da un negozio di una diffusa catena: non era male, non era pizza, ma era comunque buona, con la pasta alta e soffice.

Il giorno dopo Irma non indugiò troppo nel letto a sonnecchiare, poiché sapeva che sarebbero partiti attorno alle undici del mattino per andare nel luogo scelto per i festeggiamenti del compleanno di Ajaya. La giovane italiana si sentiva un poco in imbarazzo: non conosceva nessuno degli invitati, a parte Dhvana, il quale sarebbe stato sicuramente coinvolto in conversazioni con i parenti. Cosa a avrebbe fatto lei? Si sarebbe annoiata?

Indosso un abito lungo azzurro con ricami in argento e decori di perline; vestito che in Italia poteva sembrare un poco appariscente, ma che lì in India avrebbero sicuramente giudicato sobrio. Indossò anche una collana, degli orecchini e braccialetti coordinati. Quella era la mise che aveva deciso di indossare il 15 di agosto, festa della Repubblica indiana.

Dhvana la passò a chiamare per partire, lui indossava una camicia rossa e un dhoti bianco con decori laterali d’oro. Andarono nel piazzale antistante il museo dove Vairochana e sua moglie li attendevano a bordo della grossa automobile.

Viaggiarono per oltre mezzora prima di arrivare al locale che si rivelò essere un raffinato ristorante con un vasto giardino e piscina. All’ingresso c’erano due ragazze: una reggeva delle ghirlande di fiori e l’altra le appendeva al collo di chi entrava.

Sotto a tende gazebo c’erano divanetti in vimini con cuscini e tavolini bassi. Vicino ad essi si trovava un bancone con vari cocktail esposti e camerieri pronti a servirli. Vi era un uomo con un machete che apriva un piccolo buco in cima alle noci di cocco, le svuotava a metà del latte e lo sostituiva con vodka, vi inseriva poi una cannuccia e lo offriva a tutti i nuovi arrivati.

Dhvana indicò a Irma dove si sarebbero seduti e dove sistemarsi, poi le propose di farsi subito il bagno, prima che iniziassero a servire da mangiare. Messisi il costume, si tuffarono in acqua e nuotarono e scherzarono per un’oretta abbondante; a loro si unirono anche alcune cugine e cugini del ragazzo e l’Italiana cominciò a fare la loro conoscenza, pur certa che non avrebbe ricordato neppure un nome da lì a poco.

Ad allietare tutta l’atmosfera, c’erano tre musicisti con piccoli strumenti portatili che suonavano e cantavano, spostandosi di quando in quando. A Irma ricordarono immediatamente i mariachi.

Verso le tredici, i camerieri iniziarono a passare tra le persone servendo tartine, quindi la piscina si svuotò e i giovani cominciarono a sbocconcellare l’antipasto, ancora avvolti nei teli per asciugarsi.

Il pranzo vero e proprio fu servito a buffet e consumato sotto i gazebo.

Irma si stava divertendo e non le dispiaceva affatto essere lì, si era anche concessa di ballare un poco in mezzo agli altri. Non poteva però fare a meno di sentire gli sguardi altrui che indugiavano su di lei come a studiarla per poi dare un giudizio. Sensazione che ebbe una sorta di conferma nel momento in cui il nonno di Dhvana e alcuni di lui zii le fecero una serie di domande su chi fosse, che cosa facesse nella vita, come fosse composta la sua famiglia, che aspirazioni avesse e così via. Per fortuna quell’interrogatorio fu interrotto dall’arrivo della torta. Allora tutti si radunarono attorno ad essa e alla festeggiata e iniziarono a cantare la classica canzone con l’aggiunta di tre strofe: Possa tu averne molti altri; possa tu bere l’Amrita; possa Surabhi benedirti.

L’Amrita era la bevanda dell’immortalità che donava grande vigore e forza, secondo la mitologia induista; Surabhi era invece la mucca cosmica dell’abbondanza.

Irma trovò quegli auguri molto interessanti e apprezzabili.

Dopo la canzone di auguri, Ajaya tagliò un grosso spicchio di torta, lo mise su un piatto e iniziò a fare il giro degli invitati, staccando un pezzetto con le mani e mettendolo in bocca alle persone.

La festa proseguì ancora un poco, ma tutti si ritirarono prima del tramonto.

Irma andò a dormire presto, sapendo che il giorno dopo sarebbe ricominciato il lavoro impegnativo.

Lo strato di terra che ricopriva il presunto pavimento era davvero sottile e bastarono un paio di giorni per rimuoverlo completamente. Ciò che nascondeva era davvero sorprendente: mattonelle in pietra di mezzo metro quadro l’una, scolpite con larghi medaglioni che contenevano figure umane di svariato genere, alcune facilmente identificabili come avatara di Visnu, altre come Garuda od Hanuman, altre ancora erano invece difficili da interpretare, ma mostravano guerrieri. La lastra più strana di tutte, però, era quella centrale, larga quattro volte le altre: non aveva immagini scolpite, ma recava un lungo testo. Le lettere erano molto tondeggianti e ad Irma ricordavano l’alfabeto kannada o telegu, ma le lingue non erano il suo forte. Domandò a Dhvana se lui riconoscesse qualcosa, ma il giovane le ricordò che lui non era uno studioso. Interpellarono allora Bhavani che confermò che quell’alfabeto sembrava una forma arcaica di quello kannada, ma tuttavia le parole non le parevano avere alcun senso, le parevano suoni messi a caso.

“Ci resta una sola cosa da fare.” annunciò allora l’archeologa.

“Sarebbe?” domandò il giovane, incuriosito.

“Fotografiamo bene il testo e lo invierò a un mio buon conoscente, il professor Nicolani. Non è della mia università ed è piuttosto giovane, però è espertissimo in lingue e filologia, nonostante non siano i suoi studi primari. Mi ha aiutato davvero tanto, in passato, sia col sanscrito che col ceppo dravidico. Sono sicura che lui saprà illuminarci circa l’origine di questa scrittura e, forse, potrà anche tradurla o almeno indicarci il contenuto.”

“Credi davvero sia necessario?” domandò Dhvana, un po’ bruscamente “Anche qui ci sono molti professori competenti, anzi probabilmente di più, visto che è il loro settore.”

“Non ne conosciamo e non abbiamo punti di riferimento, però” fece notare lei “Nicolani risponderà subito alla mia mail, se non lo farà o non avrà risposte, saremo sempre in tempo per cercare esperti in loco.”

L’uomo non pareva ancora convinto, anzi, sembrava quasi seccato. Irma pensò che fosse l’orgoglio patriottico a farlo reagire così, dunque disse dolcemente: “Dobbiamo usare ogni risorsa e cercare di essere rapidi. Quello che abbiamo trovato mi sembra qualcosa di raro, è una forma di luogo sacro del tutto particolare e inedita, almeno per quanto abbia studiato io finora. Non possiamo procedere con gli scavi o l’indagine finché non sapremo che cosa dice quel testo e il professor Nicolani è la persona più indicata e più facilmente reperibile, tra quelli che conosciamo.”

“Va bene” si arrese Dhvana “In fondo l’archeologa sei tu. Contattalo pure, ma io intanto cercherò qualcun altro, nel caso questo professore ti deluda.”

Irma era troppo entusiasta per il ritrovamento per dare peso al malumore manifestato da Dhvana; fotografò ogni singola lastra per documentarla e non faceva altro che domandarsi che cosa fosse quel luogo e che cos’altro nascondesse. Non le risultava la pratica di decorare i pavimenti, dunque era convinta che quel luogo non fosse stato costruito come luogo di culto, inoltre gli scavi avevano fatto scoprire che era stato sepolto volontariamente. I Portoghesi non potevano essere stati: avrebbero distrutto tutto e non solo seppellito. Forse gli indigeni avevano voluto nascondere quel luogo per proteggerlo? Non era da escludere. Irma però si andava sempre più persuadendo di trovarsi davanti alla testimonianza di uno sconosciuto rituale, una sorta di sacrificio, poi subito seppellito come a volerlo rendere perpetuo. Certo, erano solo speculazioni e fantasie, non aveva alcuna prova, però non c’era nulla di male nell’ipotizzare. Sperava davvero che l’iscrizione potesse contenere informazioni utili e quindi non perse tempo a scrivere al professore suo conoscente, allegando le foto.

Più tardi, in serata, mentre sistemava il registro di scavo a computer, Irma vide lampeggiare l’avviso di una videochiamata in arrivo. L’accettò e sullo schermo comparve il mezzo busto di un uomo piuttosto imponente, trentacinque anni circa, capelli rossicci e un paio di occhiali, seduto alla scrivania, con dietro uno scaffale pieno di libri.

“Oh, salve, professor Nicolani” salutò Irma, un poco sorpresa “Non mi aspettavo di essere contattata così velocemente.”

“Oh ma figurati, è un lavoro presto fatto, purtroppo. Comunque, ricordati che puoi chiamarmi semplicemente Rinaldo: non sono un tuo insegnante.”

“Eh, sì, però, sa, l’abitudine … Come mai dice che è un lavoro presto fatto?”

“Perché è quello che è. innanzitutto, però, permettimi di congratularmi per il lavoro che stai svolgendo: hai portato avanti uno scavo accurato e quello che hai trovato farà invidia sicuramente a molti tuoi colleghi. Ad ogni modo, le notizie che ho da darti sull’iscrizione sono molto interessanti e faranno sicuramente infittire il mistero, purtroppo non aiutano a chiarire le cose.”

“Sentiamo.”

“La lingua in cui è scritta è praticamente sconosciuta. Ci sono molti elementi dravidici e alcuni prestiti dal vedico e addirittura dal gatico, poi ci sono altri fonemi che mi lasciano spiazzato, tuttavia non è nulla di davvero conosciuto, è di un arcaismo sconcertante.”

“Strano. La conservazione è ottima e anche il resto del sito sembra essere databile a quando i Vijayanagara dominavano Goa. I bassorilievi in mezzo a cui è inserita rispecchiano perfettamente lo stile Vijayanagara e sembrano coevi, sistemati nello stesso momento, la tipologia di pietra è la medesima, probabilmente sono state ricavate dalla stessa roccia.”

“Questo io non lo posso dire, non ho nemmeno visto lo scavo dal vivo. La lingua è assolutamente arcaica ma è evidente che è trascritta in un alfabeto che non è stato creato per lei, ci sono certi suoni resi in maniera un po’ approssimativa, cercando di accorpare lettere, evidentemente perché non esisteva un suono corrispondente. Probabilmente chi l’ha incisa ha usato una lingua sopravvissuta della tradizione orale per millenni, utilizzando un alfabeto moderno. Questo mi fa pensare possa trattarsi di un testo religioso: solo la canonizzazione di un inno permette la sua trasmissione attraverso i secoli, senza che la lingua venga alterata dal normale sviluppo.”

Irma aveva ascoltato molto attentamente e non poteva nascondere del tutto la frustrazione per essersi trovata in un vicolo cieco.

“Una nota positiva e uno spiraglio di luce, tuttavia, ci sono.” continuò seraficamente il professor Nicolani, dopo aver bevuto dalla tazza che teneva davanti a sé “Questo non è il solo caso di attestazione di questa lingua.”

“Davvero?” l’archeologa si riempì di speranza.

“Davvero. A metà degli anni Ottanta, è stata trovata una lastra simile, ma in un contesto completamente diverso, proprio ad Hampi.”

“Nella capitale Vijayanagara?”

“Esattamente. Questo mi fa pensare ancor di più ad una lingua sacra o dinastica. Purtroppo non esistono immagini della stele degli anni Ottanta o, per meglio dire, esistono ma non si riesce a leggere, poiché è presa da lontano. Ahimè non è nemmeno stata musealizzata, ma è tenuta come oggetto di studio in non so quale dipartimento universitario od archeologico nei pressi di Hampi. Ecco, se io potessi avere immagini di quell’iscrizione, forse avrei abbastanza testo per ricostruire esattamente il sistema linguistico, colmare le lacune e … sì, insomma, tradurla.”

Irma si accigliò, rimase un attimo confusa e poi domandò: “Sta velatamente dicendo che io dovrei andare ad Hampi e trovare un modo per vedere quella stele e fotografarla?”

“Precisamente. Se vuoi saperne di più e riuscire a comprendere il tuo scavo, ovviamente. Li contatterei anche io stesso per email, ma le mie esperienze passate mi hanno insegnato che la burocrazia e gli incartamenti per ottenere qualcosa, mesciuti con i tempi indiani, inducono ad attese estenuanti. Credo che tu otterrai più facilmente l’accesso a quella stele, se ti recherai personalmente sul posto.”

“Sì, quel che dice è vero, ma non so se otterrò il permesso del mio capo di partire, in fondo io sto lavorando per questo museo.”

“Tu fa a lui presente che è per il museo che chiedi di partire: insomma, è ricerca, rientra nella norma.”

Irma sospirò ed annuì: “Va bene, vedrò quel che si può fare. Intanto la ringrazio davvero tantissimo per quello che ha fatto e per le sue indicazioni. Spero davvero che potremo proseguire questa collaborazione … e scusi per il disturbo.”

“Nessun disturbo! Fa sempre piacere aiutare e, inoltre, sarà un bel successo anche per me, se sarò il primo a decifrare queste iscrizioni. Tienimi aggiornato, mi raccomando, a presto!”

Irma lo rassicurò e poi chiuse la videochiamata. Nonostante non avesse ottenuto le risposte che sperava, era comunque molto soddisfatta: Rinaldo era sempre così gentile e aveva una risposta per qualsiasi domanda … almeno in campo umanistico, ma comunque aveva anche buone basi in ambito scientifico. Era davvero un uomo poliedrico negli studi e per questo Irma lo stimava moltissimo. Si diceva di essere stata davvero fortunata a conoscerlo, quasi un anno prima, a un convegno sui popoli indo-iranici, in cui lui aveva tenuto un intervento sugli Yazata nei testi avestici e non. Assieme avevano intessuto ottime conversazioni, molto coinvolgenti.

Per qualche momento Irma si vergognò di averlo contattato solo per chiedergli aiuto con l’iscrizione e non avergli scritto nulla prima, però poi si giustificò, ricordandosi che, a parte i genitori, aveva sentito solo un paio di amici da quando era a Goa.

Il mattino dopo comunicò a Dhvana le informazioni e il consiglio ricevuti. Il giovane non parve preoccuparsi, anzi si rallegrò e asserì che era un’ottima idea recarsi ad Hampi per continuare le ricerche; aggiunse anche di essere certo che Vairochana avrebbe dato il proprio consenso, senza lamentarsi: avrebbe parlato lui stesso con lo zio e ottenuto di organizzare la spedizione.

Dhvana non affrontò l’argomento a tavola, ma aspettò dopo pranzo e chiese di conferire privatamente con gli zii.

Poco più tardi si ripresentò allo scavo e rassicurò l’archeologa circa il fatto che tutto era a posto e che sarebbero potuti partire il venerdì sera con un autobus notturno.

Irma era incredula per la facilità con cui Dhvana aveva ottenuto l’autorizzazione e si domandò se non fosse lei a farsi troppi problemi. Domandò se anche Bhavani sarebbe andata con loro: in fondo lei era originaria del Karnataka e quindi conosceva la lingua locale. Il giovane disse che sarebbero partiti solo loro due: lo zio non poteva rinunciare ad altro personale.

Passarono il resto di quel mercoledì e tutto il giovedì per sistemare lo scavo e metterlo al riparo dalle intemperie, durante la loro assenza.

Il venerdì, Irma sistemò le sue cose nella valigia: aveva deciso di portare tutto con sé, dal momento che non aveva idea di quanto a lungo sarebbe stata lontana da Goa.

Aveva appena finito di chiudere il bagaglio, quando pensò ad Iravan. Lui si preoccupava per lei, quindi forse era meglio avvisarlo del suo spostamento. Usò allora il braccialetto per contattare il naga che, quando seppe che la ragazza era in partenza per Hampi, ne fu molto contento e spiegò: “Sai, la coincidenza è molto strana, ma forse è stato il karma ad aiutarci. Io stavo cercando una soluzione per permetterti di venire al mio matrimonio, senza che la tua assenza si notasse da Goa e non riuscivo a trovare un buon rimedio. Adesso, però, sei tu che vieni qui spontaneamente! È meraviglioso.”

“Come? Tu sei ad Hampi?”

Vasukiprastha giace sotto le acque di un fiume lì vicino, conosco bene il luogo e le rovine dei templi e dell’antica capitale. Sarò contento di accompagnarti in giro. Poi mi dovrai spiegare nel dettaglio quello che hai trovato lì e che cosa sarebbe l’iscrizione che vieni a cercare. Sono molto contento, vedrai che saranno giorni stupendi. Adesso non posso fermarmi a parlare di più perché Shunaka mi aspetta, tuttavia se arrivi domani mattina, dal pomeriggio mi farò già trovare, così ti mostro qualche bel posto e mi racconti tutto. Ciao e a domani!”

Irma non si aspettava nulla di tutto ciò, ma ne fu estremamente contenta: adorava quanto l’antico fratello le volesse bene.

Tornò a pensare agli ultimi preparativi per la partenza, ormai mancava poco tempo.

 

 

 

Nota dell’Autrice

 

Cari lettori, vi sono mancata? … Spero di sì, almeno un pochino … ^___^

Ho cercato di ripagare la vostra pazienza per l’attesa, scrivendo un capitolo un poco più lungo.

Questa settimana mi sono trasferita nella nuova tappa del mio viaggio, quella che presto raggiungerà anche Irma. Qui ci sono veramente tantissimi templi e luoghi naturali da vedere e sarà difficile doverne selezionare solo alcuni di cui parlarvi. Se volete vedere le foto di questi posti stupendi, potete visitare il mio profilo facebook: Michela Rivetti (sono vestita di nero e tengo in mano un teschio)

Voglio ringraziarvi di tutto cuore per l’assiduità che mi dedicate. È la prima volta che il numero dei lettori non cala con il passare dei capitoli bensì rimane costante, questo mi rende molto felice e per questo voglio che sappiate quanto vi sono grata per seguirmi.

Spero di aggiornare tra una settimana, intanto vi saluto e vi lascio con il link dove potete trovare informazioni sul prequel di questa storia.

Ciao a tutti!!!

 

http://www.bibliotheka.it/La_chiamata_di_Visnu_IT

 

   
 
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