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Autore: Nike93    15/06/2009    1 recensioni
– Anzi ti è venuta bene! A parte la ditata in fondo a destra, ovviamente, – soggiunse pensosamente Eva, sporgendo la testa per ispezionare la fotografia. Tom alzò gli occhi al cielo e lei ridacchiò, appoggiandosi alla sua spalla. – Però mi piace, mi fa pensare a noi due. –
Tom guardò la foto aggrottando le sopracciglia. – A noi due? –
- Non venirmi a dire che non te lo ricordi! L'hai scattata appena due ore prima che io e te… –
- Lo so, ma non potevi sceglierti una foto in cui compariamo io e te per ricordarti di noi? –
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Qualcosa di raro
Autore: Vitto_LF
Rating: PG-15
Genere: Romantico, Commedia
Avvisi: OFC, Songfic
Riassunto: – Anzi ti è venuta bene! A parte la ditata in fondo a destra, ovviamente, – soggiunse pensosamente Eva, sporgendo la testa per ispezionare la fotografia. Tom alzò gli occhi al cielo e lei ridacchiò, appoggiandosi alla sua spalla. – Però mi piace, mi fa pensare a noi due. –
Tom guardò la foto aggrottando le sopracciglia. – A noi due? –
- Non venirmi a dire che non te lo ricordi! L'hai scattata appena due ore prima che io e te… –
- Lo so, ma non potevi sceglierti una foto in cui compariamo io e te per ricordarti di noi? –




Quella mattina, si svegliò per effetto di qualcosa che doveva certamente avere un qualcosa di sovrannaturale, come un meteorite che precipita proprio al centro del letto. Solo che il meteorite in questione lo mancò di qualche centimetro, il centro del letto, e piombò sul suo fondoschiena con una precisione a dir poco chirurgica.
- Sveglia! – trillò il corpo estraneo, dapprima picchiettando gentilmente le dita sulla sua spalla, poi attaccandosi a un dread e tirandolo leggermente. – Eddài, apri quegli occhi! E' oggi! –
Tom grugnì qualcosa d'incomprensibile, quasi soffocando nel cuscino. Doveva per forza essere un meteorite: Eva sapeva benissimo quanto lui odiasse i risvegli violenti, in qualsiasi occasione. – No, non è oggi, – mugugnò, abbracciando disperatamente il cuscino, – oggi è ancora stanotte. Lasciami in pace. –
Naturalmente fu come dire "Rovesciami una secchiata di acqua fredda in testa". – Amore, non puoi non volerti svegliare, è oggi! – obbiettò Eva, scrollandolo per una spalla. – Tom Kaulitz, – lo avvertì con tono severo, raddrizzandosi, dato che dall'ammasso di lenzuola, cuscini e capelli non giunse nessuna risposta.
Tom rimase immobile ancora per qualche secondo, prima di voltarsi bruscamente su un fianco e far crollare rovinosamente Eva accanto a sé. La sentiva ancora borbottare, e soprattutto appendersi al suo braccio, ma si sforzò di non aprire gli occhi: dopotutto, il loro gioco era quello.
E lei, naturalmente, non desistette. – E su… – mugolò, sporgendo la testa in avanti e facendo strofinare i loro nasi. Tom era sicuro che non le fosse sfuggito il sorriso assorto comparso improvvisamente sulle sue labbra, ma seguitò a non aprire gli occhi.
- Cos’è oggi? – mugugnò, affondando la faccia nel cuscino. Sentì i suoi piedi ancora freddi sfregarglisi contro una coscia.
- Come "cos’è oggi"?! Avanti, fai uno sforzo! –
- Ah, già… - Tom simulò un lungo sospiro, tirandosi il lenzuolo fino al mento. – Oggi si celebra la resistenza. – Quella volta, non poté fare a meno di aprire gli occhi.
E fu quando vide i suoi limpidi occhi azzurri e il suo sorriso radioso che si convinse di aver aspettato troppo.
- Un anno – cinguettò lei mentre il suo sorriso si allargava, e a Tom ricordò molto una bambina in estasi di fronte a una pila di regali stipati sotto l’albero di Natale. Uno dei tanti motivi per cui, dopo appunto un anno, si trovava ancora in quel letto, sotto le sue stesse lenzuola, assieme a lei. – Oggi facciamo un anno! –
- Credevo li compissi il mese prossimo. – Il prezzo da pagare per la battuta fu una cuscinata dritta in faccia. Rise di gusto e spinse via il cuscino, avvolgendo le braccia intorno alla vita della ragazza e attirandola contro il proprio petto. Eva si lasciò baciare, ma ciò non bastò a rabbonirla.
- Un anno, ti rendi conto?, è passato un anno, e tu mi avevi promesso che avremmo fatto qualcosa di speciale, di particolare! –
- Primo, non ho mai detto niente del genere, – borbottò Tom contro le sue labbra, – secondo, resistere per trecentosessantacinque giorni mi sembra abbastanza particolare, considerato il soggetto conivolto assieme a me. –
Eva mise su un finto broncio, pizzicandogli un braccio. – Ecco, lo sapevo, – piagnucolò, – riesci a comportarti da idiota nello stesso identico modo di sempre, con la differenza che oggi potresti almeno sforzarti di trattarmi bene! –
Tom rise e non disse nulla, tornando a stringerla e baciarla mentre lei scalciava con poca convinzione, prima di portare le mani dietro il suo collo e rispondere alle effusioni. Subito dopo, però, ridacchiò e si tirò indietro, puntando un dito contro il suo mento. – Comunque non ho cambiato idea. Comincia a prepararmi la colazione, tanto per avvicinarti almeno di qualche passo a quello che dovresti essere oggi. –
Le velate proteste di Tom ebbero un effetto immediato, infatti, appena due minuti dopo, era diretto verso la cucina, per di più a piedi scalzi. Non aveva potuto fare a meno di ridere neanche quando Eva l'aveva praticamente spinto giù dal letto, e molto probabilmente questo era un altro dei motivi per cui la giustamente onorata resistenza era durata un anno. Ogni minimo particolare, ogni evento aveva sempre un che di demenziale che impediva di mettersi le mani nei capelli anche nelle situazioni più disperate. Come quando, per esempio, Tom era entrato nello stanzino per prendere una delle sue chitarre più vecchie (per quale arcano motivo, poi, non lo ricordava) ed aveva pensato troppo tardi che la porta non andava mai chiusa del tutto, perché la chiave era sparita nel nulla molti mesi prima. Si era sentito abbastanza idiota a chiedere aiuto tempestando la porta di pugni e invocando il nome di Eva, ma non meno quando la ragazza si era piazzata dall'altra parte dell'uscio e, preso atto che il traffico avrebbe ritardato non di poco l'arrivo del falegname, avevano passato un'ora rievocando eventi passati e ipotizzandone di futuri, un po' come bambini che non sanno a cosa giocare. Per non parlare poi della mezz'ora passata nella stanza da letto a fare l'amore - questa volta sotto protezione di due giri di chiave - mentre, a poco meno di due camere di distanza, qualcuno era impegnato a sistemare la serratura dello stanzino.
Insomma, erano quelli i "momenti particolari" della loro vita. Non c'era mai stato niente di esaltante, niente che potesse definirsi fuori dalla norma, se non il fatto che dodici mesi passati con Eva gli davano sempre l'impressione di avere ancora diciott'anni piuttosto che ventisei.
Dieci minuti dopo, un vassoio contenente non meno di sei o sette diversi generi alimentari era precariamente retto dalle braccia di un allegro Tom, curioso di scoprire con quale apprezzamento l'avrebbe accolto Eva. Di fatto, la ragazza era ancora raggomitolata sul letto, con un cuscino dietro le spalle, le gambe accavallate e un album di fotografie in grembo. Il sorriso di Tom perse convinzione nel constatare che Eva era più che assorta nella propria attività, come diceva con sufficiente chiarezza il dito che giocherellava distrattamente con un ricciolo. Il ragazzo sbuffò, posando il vassoio al centro del letto e salendo sul materasso. Si sporse cautamente oltre la spalla di Eva, e impiegò meno di quattro secondi per riconoscere la fotografia che lei stava guardando. – Ma no, dai, – esclamò, soffocando una risata, – non mi dire che la conservi ancora! – Eva si strinse nelle spalle.
- Perché non dovrei? – Quella foto l'aveva scattata Tom, ed era il risultato di dieci anni passati nello stesso tourbus con un manager maniaco della macchina fotografica: Tom stesso era stato colto dalla medesima sindrome, una curiosa smania di catturare qualsiasi particolare che potesse, in futuro, avere un significato. Quella volta aveva immortalato dei bambini intenti a giocare e rincorrersi sulla spiaggia, lanciando piccoli spruzzi d'acqua e sabbia, mentre in lontananza si stagliava il profilo di un molo. – Anzi ti è venuta bene! A parte la ditata in fondo a destra, ovviamente, – soggiunse pensosamente Eva, sporgendo la testa per ispezionare la fotografia. Tom alzò gli occhi al cielo e lei ridacchiò, appoggiandosi alla sua spalla. – Però mi piace, mi fa pensare a noi due. –
Tom guardò la foto aggrottando le sopracciglia. – A noi due? –
- Non venirmi a dire che non te lo ricordi! L'hai scattata appena mezz'ora prima che io e te… –
- Lo so, ma non potevi sceglierti una foto in cui compariamo io e te per ricordarti di noi? – Eva scosse la testa, staccandosi da lui per allungarsi a prendere un cornetto dal vassoio.
- No, perché è questa che mi fa pensare a noi, punto. – Ridacchiò del'espressione di Tom, masticando un pezzo della sua colazione. – Che ci posso fare? E' un riflesso incondizionato, si vede che io e te non siamo come tutti gli altri! –
Tom sospirò, ma non poté trattenere un sorriso: forse aveva ragione lei. D'accordo, quella foto rimandava effettivamente a circostanze particolari. Lui, Eva e Bill avevano colonizzato per una giornata la casa al mare di Simone; non era propriamente una villa, ma almeno si godeva di una bella visuale e l'aria era fresca e pulita. Tom si era ritrovato per la prima volta a guardare il suo gemello con invidia, perché non capiva come diamine lui ed Eva avessero potuto diventare amici in meno di una settimana e comportarsi come fratello e sorella, mentre lui non riusciva a tirare fuori una frase di senso compiuto per colpa di quella che considerava una stupida cotta (come altro si poteva chiamare un istupidimento integrale di fronte a uno scricciolo di un metro e cinquanta, uno scricciolo con gli occhi azzurri e i capelli neri, uno scricciolo con delle parabole femminili di quel calibro?). Certo, si era divertito e si era goduto il bagno nell'acqua ancora tiepida – settembre sembrava esser propizio –, ma poi le loro strade si erano divise. Bill era rimasto a mollo ancora per un bel po', la ragazza era uscita di corsa dall'acqua strizzandosi i capelli e lui si era seduto sul bagnasciuga, riguardando le foto memorizzate nella scheda della macchinetta digitale. Eva l'aveva distratto afferrandolo per il mento e schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia prima di dirgli, allegra come sempre, che sarebbe rientrata per farsi una doccia, e che magari lui avrebbe potuto aspettarla lì fuori. Tom era rimasto imbambolato per venti minuti buoni, e quella foto che adesso riguardavano insieme altro non era stato che un vano tentativo di distrarsi. Pochi istanti dopo, uno di quei bambini rimasti immortalati dalla sua macchina fotografica gli era corso troppo vicino, investendolo accidentalmente con uno spruzzo d'acqua fredda che l'aveva fatto scattare in piedi come una molla. Evidentemente era scattato qualcosa anche nella sua testa, perché un secondo dopo aveva fatto dietro front e stava correndo a perdifiato verso la casa di Simone, dove, dopo aver sbattuto la porta, aveva trovato Eva in accappatoio davanti alla finestra aperta. Si erano guardati appena per un istante, e un attimo dopo erano morbosamente stretti l'uno all'altra, bagnando le lenzuola del letto per gli ospiti un po' con l'acqua del mare e un po' con quella della doccia, mentre Bill continuava a sguazzare allegro e ignaro.
- Cioè, è pura poesia! – chiocciò Eva, sorridendogli in quel suo modo adorabile e strusciando una guancia contro il suo braccio. Tom sorrise appena, chinandosi a baciarla sulla fronte, ma fu solo per un miracolo che non si guadagnò una testata sui denti. – No, aspetta! Non cercare di farmi dimenticare quello che dicevo prima! –
Tom imprecò sottovoce, massaggiandosi la mascella. – …ovvero? –
- Che dobbiamo fare qualcosa di speciale! –
- Ossignore. – Il ragazzo sospirò e si lasciò sfuggire una debole risata mentre Eva sbatteva le ciglia con fare cucciolesco. – E il qualcosa di speciale dovrebbe cominciare con…? – soggiunse con tono interrogativo. Lei fece spallucce, scalciando per liberarsi delle lenzuola.
- Sei tu l'uomo, quindi pensaci. Anzi! – esclamò, illuminandosi, – Facciamo che oggi cucini tu, pranzo e cena, è già un inizio. –
Mentre Eva saltava giù dal letto, fiondandosi alla ricerca dei propri vestiti e comincindo già a saltellare per sfilarsi i pantaloncini del pigiama, Tom capì di non avere altra scelta se non incassare il colpo. Sospettava che sarebbe giunta una richiesta – o un ordine? – del genere, dal momento che, da quando avevano comprato casa, aveva sempre trovato il modo di mollare la sua ragazza davanti ai fornelli, con la scusa delle origini italiane e delle ricche tradizioni mangerecce. Cioè, non che fosse propriamente una scusa. C'erano ottime giustificazioni per la sua astinenza da pentole, come le proprie scarse attitudini culinarie, messe a dura prova molti anni prima, quando lui e Bill condividevano ancora un'abitazione e si era giunti alla conclusione che, dal momento che Bill si rifiutava di mettere piede in cucina se non per piluccare dolci, qualcuno doveva pur assumersi quell'incombenza. E poi era vero che Eva cucinava bene, anzi, si divertiva pure. Tom si divertiva altrettanto a guardarla alle prese con dosatori e pacchi di farina, e non di rado era capitato che quelle confezioni venissero abbandonate a terra mentre Eva si lasciava sollevare e sospingere delicatamente contro il muro. Succedeva anche che andasse fuori di sé perché una qualche ricetta non era venuta bene come aveva sperato, e allora si metteva puntualmente a imprecare in italiano, soffocando termini dei quali Tom ignorava il significato, ma che suonavano sempre più o meno offensivi. E non era raro che, durante qualche battibecco, Eva lo insultasse in quella maledetta lingua.
Sì, insomma, le origini italiane erano solo una scusa. Anche per amare quella fotografia inutile: Eva non si sarebbe fatta troppi problemi ad ammettere che, in realtà, il vero motivo di quella passione folle era l'inquadratura sul mare, che lei amava più della sua stessa vita.
Nel momento stesso in cui usciva dal bagno infilandosi una maglietta, Tom sentì una lieve sequenza di note provenire dal soggiorno, dove, affacciandosi silenziosamente, vide la sua ragazza armeggiare con lo stereo e reggere precariamente una pila di CD su una mano sola.
- No! Ti prego, questo no! –
Altra controindicazione delle suddette origini: Eva amava la musica italiana. Cioè, non era umanamente possibile che morisse dietro agli acuti dei suoi quasi-connazionali quando… – Avere in casa un quarto dei Tokio Hotel non implica che io mi fossilizzi sulle vostre canzoni! – sbuffò lei, girando la rotella del volume. – E poi porta rispetto, che questa non è musica, è poesia! – Tom prese in mano l'unica custodia aperta e vuota, cercando invano qualsiasi cosa che potesse somigliare a un nome, ma al diavolo, non si capiva un accidenti su quel libretto, e poi… – Franco Battiato, – gli venne in aiuto Eva, riprendendosi la custodia e guardandolo quasi con compassione. - Giusto. La capissi, poi, questa grande poesia. –
- E che vuoi, impara l'italiano! Dài, così ti rilassi mentre cominci a pensare a quale prelibatezza sfornarmi per pranzo, eh? – soggiunse Eva, battendo le mani come una bambina e strappandolo bruscamente alle sue riflessioni. Un secondo prima che potesse dissentire, Tom se la ritrovò appesa al collo, con le labbra premute sulle proprie, e quello successivo erano già ruzzolati sul divano. Proprio mentre esultava mentalmente al pensiero di una possibile esaltante prestazione che avrebbe eventualmente potuto scongiurare ogni pericolo riguardante la cucina, Eva se lo scrollò di dosso, strillando qualcosa del tipo che stava rovinando la foto.
- Quale foto? – biascicò confusamente Tom, giusto per vederla sventolare proprio quella lì.
- Non osare spiegazzarla! E poi com'è che hai intenzione di passare il giorno del nostro primo anniversario, a rotolarti sul divano?! –
- Non esattamente, ma… –
- Se la rovini giuro che ti chiudo in bagno e me ne vado da Bill. –
- Ma cos'è, preferisci il manufatto all'artista?! –
- Fila in cucina, – fu l'ultimo avvertimento, accompagnato da una non lieve pedata nello stinco. E Tom, naturalmente, obbedì. Con un sorriso un po' dolorante, ma obbedì, e cominciò persino a ripensare al ridente discorso di Bill circa la credenza popolare che Eva lo tenesse in pugno senza possibilità di fallimento.
Ad ogni modo, la rassegnazione era ormai incombente, e diventò una penosa consapevolezza nel momento in cui si ritrovò impalato al centro della cucina, spostando ansiosamente lo sguardo da uno sportello all'altro. Non che Eva fosse di gusti difficili, ma l'ultima volta che lo aveva costretto a cucinare risaliva a fine primavera (cioè più o meno tre, magari quattro mesi prima) e anche allora non aveva riscosso molto successo. Esattamente nel momento in cui si decidette a brandire il fidato libro di ricette, che giaceva intoccato nel cassetto delle tovaglie, giunse un potente richiamo dal soggiorno. – Amore, hai scelto qualcosa? –
Un gemito disperato rispose per lui.
Cos'era meglio, primo o secondo? No, macché primo o secondo, Eva voleva qualcosa di speciale. Forse avrebbe optato per primo e secondo. E il dolce, maledizione! Come cavolo si preparava un dolce?! Neanche portare in tavola triple porzioni dei piatti più elaborati sarebbe valso il dessert, del quale, per inciso, Eva non sapeva fare a meno. Agguantò la matita incastrata tra le ultime pagine del ricettario e cominciò a spuntare alcune voci dell'indice, senza neanche pensare di contarle. Con il sottofondo di un'allegra canticchiata proveniente dal soggiorno, poteva quasi sembrare divertente.
Tanto che quella sorta di incosciente entusiasmo lo portò ad esagerare con le proporzioni, e un tavolo per due si ritrovò imbandito con un pranzo per cinque. Perlomeno Eva non tentò neppure di sminuirlo, anzi, si dimostrò contentissima nell'apprendere che lo sforzo non era stato vano, dato che era tutto buono. A quel punto, però, privare un piatto di un assaggio sarebbe sembrato decisamente fuor di luogo.
Mezz'ora dopo, ognuno giaceva ad un'estremità del divano, con l'espressione di chi sta per morire, una mano sullo stomaco e una a sorreggere la testa. – …e ora che facciamo? – biascicò Eva, facendosi aria con la fotografia che, naturalmente, si era premurata di tenere sul tavolo per tutta la durata del pranzo.
- Non riesco ad alzarmi, – fu la sola risposta che Tom ebbe l'energia di articolare.
- Non è colpa mia. –
- Certo che è colpa tua, mi hai fatto confondere. –
- Smettila, và, che non hai neanche la forza di morire su questo divano. –
- Ma pensaci tu a morire su questo divano! –
- …l'hai fatto apposta. –
- Eva, per cortesia… –
- Bastava dirlo, che non volevi preparare la cena! – La testa di Eva sprofondò nuovamente nel palmo della mano sinistra, mentre la destra si adoperava a sventolare freneticamente la foto, nel tentativo di fare aria. Tom le gettò un'occhiata di sfuggita e, nonstante il cocente desiderio di ucciderla soffocandola con una delle innumerevoli teglie che aveva stipato sulla tavola, trovò adorabile la sua espressione sonnolenta, contornata da una massa di riccioli neri spettinati, e non gli fu poi così difficile allungare una mano per stringerle un ginocchio.
- Tesoro, credo… che dovrei fare qualcosa per digerire. –
- Eh… –
- Non è che potremmo…? – Accompagnò quella vaga insinuazione massaggiandole delicatamente il ginocchio, che Eva si apprestò a scrollare come maracas. – Ma dài, così digeriamo e intanto festeggiamo pure, che vuoi di più? –
- Ma perché devi per forza rendere questa giornata più deprimente di quanto non sia già? – gemette lei, schiaffeggiandogli via la mano. – Dovevamo fare qualcosa di speciale, non languire come due vecchietti dopo una corsa sotto il sole! –
Tom grugnì qualcosa d'incomprensibile, ritraendo la mano e incrociando le braccia sul petto. – Beh, mi dispiace. –
Eva sembrò immergersi in chissà quale riflessione, prima che il ragazzo la vedesse sporgersi verso lo stereo, afferrare una manciata di dischi a casaccio e cominciare a scandagliarli minuziosamente. – No, – biascicò lentamente Tom, – no. Amore, ti prego, non un'altra volta. –
- Se dev'essere l'unico modo di passare il tempo, – sbuffò Eva, tirando fuori un CD e ponendolo dentro lo stereo, per poi premere il tasto Play. Ebbe dunque inizio l'ennesimo strazio, che Tom accolse gettando la testa all'indietro sullo schienale del divano ed emettendo un rantolo greve.
- Aspetta, – esalò. – Questo lo conosco. –
- Tiziano Ferro. – Eva gli risparmiò la fatica di lambiccarsi oltre le sue capacità, e i lineamenti di Tom si contrassero in una smorfia.
- Inquinamento acustico di prima qualità. Come non riconoscerlo, – bofonchiò.
- Se ti dà fastidio puoi anche andare in un'altra stanza. –
Tom contò due, quattro e poi dieci secondi prima di rispondere: - Non ce la faccio. – Eva fece spallucce e poi si rannicchiò sui cuscini, canticchiando con aria assorta. Tom si ritrovò a fissare il soffitto in cerca di ispirazione, ma soprattutto in cerca di qualcosa che gli dicesse a cosa diamine dovesse servirgli la suddetta ispirazione. Pensò che avrebbe potuto mettersi a contare le piastrelle sul pavimento, ma poi si rese conto di quanto ciò fosse squallido. Senza contare che avrebbe sicuramente perso il conto, addormentandosi o alzandosi come una molla per correre in bagno a vomitare.
Forse poteva semplicemente girarsi i pollici.
Ma che cavolo stava blaterando quel tizio, là, Ferro?
Cominciò giusto a chiederselo sul finire di un improbabile coretto di "oh-oh", quando Eva mise lo stereo in pausa, si alzò, andò dritta verso il telefono e alzò la cornetta. Non ebbe neanche il tempo di proferire un debole "Cosa stai…?", che lei aveva già composto un numero e si era messa in attesa, incrociando le braccia sul petto e reggendo il telefono tra l'orecchio e la spalla. Poco dopo, il suo viso divenne l'immagine del sollievo. – Bill! – esalò, come se la sua giornata avesse finalmente trovato un senso. Tom spalancò gli occhi e la bocca, inorridito. – Ti prego Bill, aiutami, non so che… ah, grazie! –
- Grazie cosa? – quasi ringhiò Tom, drizzandosi sui cuscini del divano. Per tutta risposta, Eva gli mostrò la lingua.
- Mi ha fatto gli auguri, anzi, li fa anche a te! Se l'è ricordato, lui! – Sentendo quelle parole, tutto l'intorpidimento post-digestione lo abbandonò e Tom spiccò un balzo verso di lei, strappandole la cornetta dalle mani.
- Ma io non me lo sono dimenticato! Non ascoltarla, hai capito?! –
Dall'altro capo del filo, Bill ridacchiò. – Allora quale grave mancanza hai commesso in un giorno così speciale? – Prima che Tom potesse esprimere tutta la propria indignazione, Eva si riprese prontamente la cornetta.
- Ecco, appunto, speciale! Questo doveva essere un giorno speciale, e invece tutto quello che abbiamo fatto è stato rischiare un'intossicazione! –
- Perché qualcuno voleva a tutti i costi che io mi mettessi a cucinare piuttosto, che ne so, che andare a mangiare fuori! – replicò Tom, non prima di averle sottratto il ricevitore per la seconda volta. Eva mise fine ad ogni inutile sforzo premendo il tasto del vivavoce.
- Ma che c'entro io in tutto questo?! – Il tono esasperato di Bill riempì il soggiorno ed Eva pestò un piede a terra.
- C'entri, perché evidentemente sono destinata a passare il giorno del mio primo anniversario sola con te e Tiziano Ferro! –
- Ma chi è Tiziano Ferro? –
- Nessuno che tu voglia veramente conoscere, – intervenne prontamente Tom, mentre Eva lo fulminava con lo sguardo.
- Bill, ti ricordi la foto che tuo fratello ha scattato l'anno scorso, al mare? – chiese invece lei.
- Quale delle tante? –
Tom sbuffò pesantemente. – Quella dei quattro bambini che giocano sulla spiaggia, vicino al molo… –
- …e una ditata in basso a destra. Sì, me la ricordo, perché? – Il biondo soffocò una velata imprecazione: cominciava a capire come la sua ragazza e suo fratello fossero diventati amici così in fretta.
- Ecco. Voleva farla a pezzi, – disse lei con cipiglio indignato.
- Non volevo farla a pezzi. –
- Beh, sai quanto ci tenga! –
- Ma no, Tom, dài, – emerse il tono accondiscendente di Bill, – non sarà un capolavoro, ma almeno è un ricordo di voi due, no? –
La consapevolezza si fece più forte. – Ho capito, è una cospirazione. –
- No, è che lui ha buonsenso! –
- Scusate, non ho capito se mi abbiate chiamato solo perché assistessi alle vostre liti in diretta, – sospirò stancamente Bill.
- Non volevo sentirmi sola, – ribatté Eva, con una seconda linguaccia e uno sguardo divertito. – E comunque non stiamo litigando. –
- Sì, infatti alle quattro è troppo presto, di solito telefonate del genere arrivano subito prima di cena. –
- Se può esserti d'aiuto, io non avevo nessuna intenzione di chiamarti, – s'intromise Tom, piccato.
- E allora eclissati e dedica alla tua fidanzata le attenzioni che merita, altrimenti stasera vengo lì e me la porto a cena fuori! –
- Bill, sto seriamente pensando di aver sbagliato Kaulitz. –
Tom sottrasse Eva a quella che stava diventando una conversazione imbarazzante per il proprio ego spegnendo il vivavoce e traendo a sé il ricevitore. – E io che avrei fatto meglio a soffocarti col cordone ombelicale. Grazie dell'aiuto e buon pomeriggio, fratellino. –
Detto ciò, ripose la cornetta al suo posto e tirò un sospiro di sollievo, dirigendosi poi verso il divano e lasciandovisi cadere. Non sapeva se accamparsi lì per tutto il pomeriggio e cercare di digerire quel maledetto pranzo o, più semplicemente, mettersi a ridere. Eva, invece, si acciambellò sul tappeto, al fianco del tavolino su cui era appoggiato lo stereo, e abbandonò la testa contro il bracciolo del divano.
Passarono svariati minuti in silenzio, prima che allungasse una mano verso l'apparecchio e premesse nuovamente Play, senza che Tom avesse la forza di opporsi per la terza volta a quel supplizio.
Fece una smorfia quando udì una chitarra strimpellare un non ben definito motivetto.

Voglio farti un regalo
qualcosa di dolce, qualcosa di raro
non un comune regalo
di quelli che hai perso, mai aperto,
lasciato in treno o mai accettato…
Di quelli che apri e poi piangi
che sei contenta e non fingi…



Eva voltò la testa verso di lui, sorridendo appena. – Scusa, ma questa la devo ascoltare per forza. –
Il ragazzo annuì , guardando fisso davanti a sé. – Figurati, – bofonchiò.
Per qualche altro istante, l'unico rumore a riempire la stanza fu il suono del CD, prima che Eva sospirasse beata. – Dovresti proprio capirlo, l'italiano. Sai che dice? – Tom scosse la testa. – "In questo giorno di metà settembre ti dedicherò il regalo mio più grande", – sogghignò, – almeno questo ti ricorda qualcosa? –
A quel punto, anche a lui scappò da ridere. – Sicuramente non più di quella foto. –
E intanto la musica continuava, discreta e, sì, anche dolce.
- Chissà cosa direbbe una di quelle coppiette sposate, se dovesse immaginare di passare così un anniversario, – ridacchiò Eva.
- Beh, a me non importerebbe saperlo, – Tom si strinse nelle spalle.

Vorrei donare il tuo sorriso alla Luna perché
di notte chi la guarda possa pensare a te
per ricordarti che il mio amore è importante
che non importa ciò che dice la gente perché
tu mi hai protetto con la tua gelosia che anche
che molto stanco il tuo sorriso non andava via,
devo partire però se ho nel cuore la tua presenza
è sempre arrivo e mai partenza,
il regalo mio più grande...



- …vorrei capire di che cavolo parla, – dovette ammettere Tom, lanciando uno sguardo innervosito allo stereo. Eva sorrise dolcemente, con aria sognante.
- Di noi due, – disse semplicemente, guadagnandosi un'occhiata divertita e un po' meno scettica.
- Beh, almeno questo. –

Vorrei mi facessi un regalo
un sogno inespresso, donarmelo adesso,
di quelli che non so aprire di fronte ad altra gente
perché il regalo più grande è solo nostro per sempre.



- Amore… – Tom si voltò verso di lei, guardandola con espressione interrogativa. – Ma tu me lo regaleresti un sogno inespresso? –
- Che c'entra? –
- Lo dice la canzone… –
- Beh, dovrei esprimerlo. – Eva sorrise, chiaramente incuriosita, e gli chiese con gli occhi di continuare. Tom ricambiò il sorriso e batté leggermente una mano sui cuscini del divano, facendole segno di sedersi lì. Eva si arrampicò accanto a lui e rimase a guardarlo, in attesa. Tom abbassò lo sguardo e le sfiorò una mano, stringendola poi nella propria. – Vorrei… che ogni giorno fosse speciale, anche senza nessuna ricorrenza. Vorrei che io e te fossimo speciali a modo nostro, come preferiamo, come ci viene meglio, ecco. – Il sorriso di Eva lasciava trapelare una certa emozione, e Tom la guardò negli occhi, muovendo una mano ad accarezzarle il viso. – Vorrei che tu fossi qui anche l'anno prossimo e quello dopo ancora, per un'altra speciale indigestione, per ascoltare la nostra speciale colonna sonora, – fece una smorfia, e alla ragazza scappò da ridere, – per stare seduti qui a guardare quella foto che per te è tanto importante, se lo vuoi. –
Eva sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi raddrizzò di botto la schiena, tendendo le orecchie e facendosi attenta. – Che c'è? –
- Lo sai cosa dice adesso la canzone? – Tom alzò gli occhi al cielo, ma sorrise. – "Se ti nega tutto questa estrema agonia, se ti nega anche la vita respira la mia". E' così dolce… –
- Beh, questo sicuramente non si riferisce a noi, – borbottò lui, – non mi sembri per niente agonizzante. –

E stavo attento a non amare prima d'incontrarti
e confondevo la mia vita con quella degli altri,
non voglio farmi più del male adesso amore...



- Già, – ridacchiò Eva, sedendosi a cavalcioni su di lui e passandogli una mano fra i dreads. Si chinò in avanti e posò un lievissimo bacio sulle sue labbra, sfiorandogli una guancia con le dita. Tom chiuse gli occhi e sospirò impercettibilmente, cingendole la vita. – E sai cosa facciamo stasera? – mormorò lei, staccandosi da lui e seguitando ad accarezzargli il viso. Il ragazzo scosse la testa, sorridendo in una sorta di meraviglioso stato confusionale. – Ordiniamo una pizza per due, ci sediamo davanti alla televisione e ce la dividiamo, che dopo il pranzo di oggi non mi è rimasto più molto spazio. –
- Mi sembra perfetto, – concordò Tom, attirandola nuovamente a sé e baciandola appassionatamente, mentre Eva gli cingeva il collo con le braccia e si stringeva forte a lui. Si lasciò sfuggire un mugolio di protesta quando Tom la prese per i fianchi e l'allontanò da sé, per poi adagiarla con la schiena sui cuscini e chinarsi su di lei, accarezzandola e baciandole il collo. Eva sospirò beata, ma, appena un istante dopo, si staccò bruscamente dalle labbra di Tom, biascicando un confuso "Aspetta".
- Mh? – La ragazza allungò un braccio in mezzo ai loro corpi, frugando alla ricerca di qualcosa. Subito dopo tirò fuori la famosa fotografia che, Tom ne era sicuro, d'ora in poi avrebbe certamente ricordato, e che magari avrebbe anche associato al loro amore, un giorno.
- Scusami, ma questa devo per forza metterla in salvo, – ridacchiò lei, appoggiandola sul tavolino mentre Tom tuffava nuovamente il viso nel suo collo. Soffocò a stento un gridolino. – Lo sai cosa dice alla fine, la canzone? – Lui scosse malamente la testa. – "Amore dato, amore preso, amore mai reso, amore grande come il tempo che non si è arreso". Non è stupendo? –
- Così sembra un cinquantesimo anniversario. E comunque non puoi rifilarmi le parole di una canzone. –
- Ma sì che posso… –
- Solo se sei priva di inventiva e non hai bisogno della nostra immagine per ricordarti di noi. –
- Allora non siamo speciali. –
- Banali. –
- Una schifezza, proprio. Oh dio… –
I loro sospiri e le risate si fusero insieme, mentre mani frettolose sfilavano gli indumenti e li gettavano a terra, proprio come in una coppia banale, prevedibile, uguale a tutte le altre… Anche se ognuno di loro sapeva benissimo che quelle risate non avrebbero avuto lo stesso suono da nessun'altra parte, così come una fotografia con quattro bambini che giocano in riva al mare non avrebbe mai avuto lo stesso significato.

Amore dato, amore preso, amore mai reso,
amore grande come il tempo che non si è arreso,
amore che mi parla coi tuoi occhi qui di fronte
e sei tu il regalo mio più grande.

Tiziano Ferro, "Il regalo più grande"









Note: ce l'ho fattaaaaa *O*
Dunque, era da un secolo che volevo scrivere una storia così. Poi mi si è presentata l'occasione d'oro: il quinto contest di Fantastory su http://tokiohotel.forumfree.net , "Ti regalerò una foto". Tema: si sceglie una foto (quella, appunto, che vedete nel banner) e su quella si scrive una storia. Io la storia ce l'avevo pronta da almeno un anno (!), ma non ero mai riuscita a tirarla fuori, evidentemente mancava questo piccolo particolare che me l'ha ravvivata un po'. Ah, tengo a sottolineare che la ditata in fondo a destra non era un particolare voluto: mi è venuta fuori mentre facevo il banner e ho pensato di aggiungerla di straforo per rendere questo spaccato di vita ancora più realistico XD
Insomma, non mi va di sproloquiare: voglio troppo bene a questi due individui per non lasciare la parola a loro <3
Anzi, colgo l'occasione per scusarmi per la sparizione dal sito: ormai ho dato tutta me stessa a un genere che qui non è ammesso, anche se torno sempre con piacere ai vecchi pairing. Quindi mi scuso per tutte le recensioni e le letture mancate, ma penso che d'ora in poi verrò qui solo per postare nuove fic (qualora ci saranno).


  
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