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Autore: Marta_Chan    29/07/2017    1 recensioni
Dopo che il loro pianeta è andato distrutto, gli alieni sono costretti a trovare un altro rifugio: il pianeta Terra.
Quazel ha studiato gli umani per tutta la sua vita ma, quando si ritrova a confrontarsi con uno di loro, si rende conto che non sono proprio come se li era immaginati...
Genere: Comico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’umano Marco non sembra molto felice di trovarsi con noi. Da quando è arrivato, non ha fatto altro che urlare ed emettere acqua salata dai propri occhi. Sapevo che potessero farlo e, devo dire, è stato molto educativo vederlo di persona, anche se non ho ben capito il significato del gesto. Piangere, infatti, può essere sintomo di tristezza, felicità, rabbia o può servire, addirittura, per rimuovere piccole particelle dagli organi visivi. Mi appunto sul mio taccuino di chiederlo all’umano appena si sarà calmato. Un’altra cosa che ho trovato molto strana è stato quello che l’essere ha urlato: non faceva altro che invocare la sua genitrice (suppongo che ci sia molto legato) e un certo “Dio”. Non ho assolutamente idea di chi possa essere quest’ultimo, quindi decido di tornare nella mia cabina e vedere se riesco a trovare dei file sull’argomento. Esco dalla sala A-1 e imbocco il corridoio. Faccio per svoltare a sinistra, ma una delle guardie incaricate di controllare Marco mi ferma. È Nikla, lo riconosco dalla pelle olivastra e la kontram azzurra. Io e Nikla non ci siamo mai parlati molto, quindi presumo sia successo qualcosa all’umano.
– Qualche problema?
– Quel mostro si è nascosto in un angolino della gabbia e non riusciamo a farlo calmare. Ha quasi toccato Tesz quando ha provato a farlo spostare. Non possiamo lasciarlo vivo.
– Quante volte ve lo devo ripetere che non è velenoso? Abbiamo già fatto esperimenti sui suoi simili in passato e quella del veleno è solo una stupida leggenda.
– E se si fossero evoluti? Dicono che è possibile...
– Sciocchezze – e liquido Nikla con un gesto della mano, non rendendomi conto che è un tipico modo umano che il mio compianetano non può capire. Sono stato così tanto tempo a studiare queste cose che ormai le utilizzo quotidianamente. A volte sono proprio fiero di me.
– Ad ogni modo, – continua la guardia – c’è bisogno di te nella sala A-75.
Lo ringrazio dell’informazione e giro a destra, dimenticando di andare a controllare questo “Dio”.
Dopo approssimativamente due minuti e ventiquattro secondi, arrivo a destinazione ed entro nella stanza, sperando di poter sfoderare tutta la mia sapienza sui terrestri e di poter imparare qualcosa di nuovo. Marco ha smesso di piangere, ma il suo volto si è fatto morbosamente rosso e gonfio. Che sia malato? Cerco di non avvicinarmi troppo. Faccio per iniziare una conversazione, ma l’umano mi interrompe immediatamente: – Dove sono? Chi siete? Volete uccidermi?
Memorizzo le domande e provo a rispondere attentamente a ognuna di esse: – Ti trovi sulla nave spaziale Linx. In questo momento viaggiamo nella galassia Z-F-5, a pochi anni luce dalla tua galassia madre, quella che voi chiamate “Via Lattea”, se non sbaglio.
Marco sembra pensarci un attimo, ma poi annuisce, facendomi capire di aver ragione.
– Siamo abitanti del pianeta Farca, un corpo celeste più piccolo della Terra di tredici volte. Il nostro pianeta, però, è andato distrutto a causa di un asteroide un paio di secoli fa. Prevedendo il disastro, i nostri antenati costruirono questa nave e andarono alla ricerca di un pianeta abitabile. Non ci volle molto per capire che la Terra era la nostra unica opzione. Abbiamo iniziato a studiare le vostre abitudini e siamo finalmente giunti a una comunicazione. In futuro, speriamo di poter convivere con voi, altrimenti, e qui rispondo alla tua terza domanda, saremo costretti a uccidervi fino a che la vostra specie non si sarà estinta.
Osservo Marco, compiaciuto della mia bravura, e mi aspetto una sua qualche reazione. Per mio gran dispiacere, però, non mi fa vedere nessuna emozione.
Decido di continuare io: – Sappiamo che tu sei uno dei pezzi grossi, giù sulla Terra, quindi ci piacerebbe conferire per trovare un accordo comune e non dover giungere a spiacevoli conclusioni. Ci sono domande?
Marco non risponde e corruga la fronte, il che significa, se non ricordo male, che è perplesso.
– Credo ci sia un errore... Io non sono importante sulla Terra.
– Sciocchezze – e ci aggiungo anche una risata, come ho imparato – Sappiamo che sei il Presidente.
L’umano mi guarda senza rispondere: non capisce.
– Ecco, vedi? – e gli mostro un file con il suo profilo – Marco Rossi. Qui dice che sei il co-presidente del Club del Libro della tua scuola, non è vero?
Marco mi guarda a bocca aperta, facendo poco a poco vedere i denti. Le guardie presenti iniziano ad agitarsi alla visione di quelle armi, ma io li tranquillizzo: non ci vuole attaccare, sta solo cercando di immagazzinare l’errore. Aspetta, c’è un errore?
– Qualcosa non va? Non sei tu?
– Sì... Sì, sono io.
Meno male. Se avessimo sbagliato persona, ci potrei rimettere il posto e non voglio tornare a immagazzinare ossigeno.
– Perfetto, quindi possiamo conferire.
– Il problema – mi ferma lui – è che non sono importante e non posso aiutarvi.
Rimango in silenzio, nell’attesa di una spiegazione che non viene mai. Guardo prima Marco, poi le guardie. Se venisse fuori che ho fatto prendere l’uomo sbagliato, manderei all’aria la mia intera carriera. Non posso permetterlo. Mi giro verso i miei simili.
– Ho bisogno di conferire con il terrestre in privato, temo che voi possiate spaventarlo.
Non facendoselo ripetere due volte, il gruppetto se ne va e ci lascia da soli. Guardo Marco, cercando di fargli capire i miei pensieri solo con gli occhi. Realizzo poi che è una cosa stupida e torno a parlargli: – Quindi il presidente del Club del Libro non è una carica alta?
– No, mi dispiace.
Sì, sembra proprio dispiaciuto.
–Allora, ti prego, fai finta che lo sia. Non voglio perdere il mio lavoro e non voglio che ti sia fatto del male.
Lui ci pensa su un attimo, poi annuisce. Gli porgo la mano per sugellare il patto e lui, quasi riluttante, la stringe.
Non avrei mai pensato che un umano potesse diventare un mio complice. 
   
 
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