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Autore: dreamlikeview    29/07/2017    2 recensioni
Dean, a quattro anni, assiste all'omicidio di sua madre. Nel corso degli anni inizierà a sentire il peso di quello che ha vissuto, a sentirsi in colpa per qualunque cosa negativa accaduta alla sua famiglia e molto altro.
Dopo molti anni di solitudine e vita travagliata, un ragazzo impacciato e un po' nerd, Castiel, porterà un po' di luce nella sua vita. Riuscirà ad essere felice?
[Destiel, Human!AU, nerd!Cas, long-fic]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
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DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro.
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC e ho ripreso alcune date dal canon - mi piace giocare con il canon - ma per ragioni di trama gli anni sono diversi.
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10 anni prima, 2 novembre 1993, Lawrence, Kansas
Without you, I'm just a sad song.
I'm just a sad song.
 
Era una notte tranquilla, nella piccola cittadina di Lawrence, Kansas. C’erano poche persone che camminavano tra le strade poco illuminate della città, alcuni rincasavano, alcuni giovani uscivano per far baldoria, e molte abitazioni erano buie e silenziose. Era da poco scattata la mezzanotte, la porta della casa dei Winchester si aprì, Mary era appena rientrata, e si apprestava ad andare a dare la buonanotte al suo piccolo ometto, Dean. Dean Winchester, anni quattro, vispo e vivace, aveva degli adorabili occhioni verdi, brillanti, e i capelli biondicci. Aveva appena dato la buonanotte al suo fratellino, il piccolo Sam, di appena sei mesi, che riposava nella sua culletta, in camera dei suoi genitori. Dall’alto dei suoi quattro anni, Dean era protettivo verso il piccolo di casa, fin da quando era nato, aveva sentito di doverlo proteggere, ogni volta che piangeva si sentiva male, e lo abbracciava forte, fino a che il piccolo non si calmava, soprattutto quando la mamma o il papà erano al lavoro, oppure dormivano. Dean adorava stare sul tappeto davanti al grande televisore, mentre giocava con le costruzioni e guardava i cartoni animati, con Sam che se ne stava seduto nella sua sediolina mobile e si dondolava allegro con i sonaglini in mano. Voleva bene a suo fratello, Dean ne era certo. Anche da grande, avrebbe fatto di tutto per proteggerlo e farlo essere felice, perché lui era il suo fratellone. D’altro canto, suo padre gliel’aveva detto, quando gli aveva dato Sammy – come lo chiamava affettuosamente lui – tra le braccia: questo è il tuo fratellino, Dean, tu sei il maggiore, quindi sarà tuo compito prenderti cura di lui; e Dean prendeva sempre molto sul serio le parole del padre, e il suo ruolo di fratellone; John era una sorta di eroe per il bambino: era un ex soldato dell’esercito, e adesso faceva il vigile del fuoco; Dean lo aveva sempre immaginato come un supereroe che sconfiggeva il male. Peccato che si sbagliasse davvero tanto sul suo conto, ma era solo un bambino e non poteva ancora sapere, cosa avrebbe riservato il futuro per lui. Quel giorno, Dean era stato davvero bravo, aveva fatto tutti i compiti che la maestra aveva assegnato per il giorno seguente, aveva fatto un bel disegno da regalare a sua madre – lei li conservava tutti – e aveva guardato i cartoni con Sammy, quelli belli che poteva guardare anche lui che era davvero piccolo. Aveva mangiato tutti i broccoli che Mary aveva preparato – e lui odiava davvero tanto le cose verdi, ma aveva voluto fare bella figura con la sua mamma – e a scuola la maestra gli aveva dato una faccina sorridente sul disegno della famiglia. Dean aveva disegnato lui e suo fratello sul divano intenti a giocare con i pupazzi di pezza che la nonna aveva fatto per loro, alla maestra era piaciuto così tanto il suo disegno, che aveva promesso che il giorno dopo lo avrebbero attaccato al muro della classe per tutto il giorno. E non vedeva l’ora di dire tutto alla sua mamma, perché quel giorno aveva dovuto lavorare davvero tanto – era andato lo zio Bobby a prenderlo a scuola, aveva portato lui e Sammy al parco e poi, quando John era tornato dal lavoro, li aveva riportati a casa – e renderla orgogliosa, facendola sorridere quando le diceva che era stato un bravo bambino e nessuno si fosse lamentato, perché sì, a volte era davvero un birbante e faceva i dispetti alle maestre o agli altri bambini. Dean, dopo aver dato la buonanotte a Sammy, ed aver sentito la porta aprirsi – la sua mamma era appena tornata dal lavoro, lavorava in un bar, che il bambino letteralmente adorava, perché tutti i colleghi di Mary gli regalavano i dolcetti ogni volta che lo vedevano, e lo viziavano – era corso a letto, con il sorriso sulle labbra e aveva iniziato ad aspettare che sua madre lo raggiungesse per dargli un dolce bacio sulla fronte per augurargli la buonanotte. Era un rito, Dean sentiva la porta aprirsi, si metteva nel lettino, fingeva di dormire, Mary arrivava da lui, sorrideva dolcemente e gli baciava la fronte, e gli augurava la buonanotte. Sicuramente quella sera, Dean avrebbe prima raccontato tutto alla donna e poi sarebbe crollato in un sonno profondo. Era davvero un bambino felice, e si sentiva fortunato.
Poi improvvisamente, Dean sentì delle urla davvero agghiaccianti e spaventose, provenire dalla cucina. La sua mamma era arrivata un po’ tardi, perché al bar c’erano stati molti clienti e era dovuta restare di più, e al papà questa cosa non piaceva molto, e si arrabbiava, a volte, come quella sera. Quando lui si arrabbiava, poi litigavano sempre, e urlavano forte, tanto che Dean, quando il più piccolo piangeva, correva nella camera dei suoi genitori e cercava di coprire le orecchie di Sammy per proteggerlo da quelle urla; ma Dean lo sapeva, poi le urla finivano, loro si scambiavano un bacio dolce, come nei film, e poi andavano a dormire insieme, dopo aver dato la buonanotte al loro primogenito. Dean se ne assicurava sempre, almeno le volte che Sam non piangeva, prima di tornare a letto. E come le altre volte, anche quella sera, sgattaiolò fuori dalla sua camera, chiuse la porta della stanza di mamma e papà, e si diresse fuori alla cucina, ad osservare la scena. Come al solito, li stava guardando mentre litigavano, nascosto dietro lo stipite della porta, sperando che finissero in fretta, così che la mamma lo raggiungesse, gli augurasse la buonanotte e la sua giornata si concludesse con un bacio della donna che più di tutte amava. Dean venerava sua madre, era una gran lavoratrice – spesso lo aveva portato con sé al bar, insieme anche a Sammy – ed era la cuoca migliore del mondo, almeno per un bambino di quattro anni era così. Qualcosa però, quella sera, andò storto.
Il papà stava di fronte a lei, era arrabbiato, si vedeva bene, in mano aveva un bicchiere di vetro, pieno di un liquido scuro, sicuramente il buonissimo tea freddo alla pesca che la mamma comprava sempre al supermercato quando andavano a fare la spesa. Stava urlando forte, ma Dean non capiva bene le sue parole, ed era davvero spaventato. Nella sua mente doveva correre dalla sua mamma, abbracciarla forte e proteggerla dalle urla del papà, ma non aveva il coraggio di muoversi; quando John faceva così, era davvero spaventoso. Dean lo aveva visto solo poche volte ridotto così, e ne aveva sempre paura, non che gli avesse fatto mai del male, eh, ma era capitato una volta – Dean non lo aveva fatto di proposito – che stava giocando con Sammy, sul tappeto, e aveva iniziato a piangere forte, perché voleva prendersi tutti i pezzi del puzzle che Dean stava costruendo, allora lui, da bravo fratello maggiore gli aveva passato un pezzetto per aiutarlo ad attaccarlo vicino agli altri, solo che era troppo piccolo e Sammy l’aveva quasi ingoiato, per fortuna che il suo papà era lì e gliel’aveva tolto dalle mani. Poi aveva guardato Dean con quello sguardo cattivo e molto, molto arrabbiato e gli aveva gridato contro che doveva essere più attento, perché Sam era piccolo e non sapeva niente delle cose da grandi  e aveva urlato così tanto, e la sua faccia era diventata così contratta dalla rabbia, che Dean era scoppiato a piangere terrorizzato. Da quel momento aveva smesso di giocare con i puzzle davanti a Sammy. E il suo papà quella sera sembrava arrabbiato quanto lo era stato quel giorno, ed era davvero terrificante. La mamma aveva iniziato a piangere, forse terrorizzata quanto lui il giorno delle costruzioni e cercava di farlo calmare. Dean non capivano di cosa parlassero.
«Hai una famiglia, Mary, una cazzo di famiglia» urlava John, arrabbiatissimo «Non puoi tornare così tardi!»
«Ho avuto un contrattempo al lavoro, John» diceva lei «Non l’ho fatto di proposito, lo sai!» urlava piangendo, e Dean avrebbe solo voluto correre verso di lei, abbracciarla forte e dirle che tutto sarebbe andato bene, ma aveva troppa paura e non si muoveva dal suo nascondiglio. Sperava che quello a cui stava assistendo fosse un terribile incubo, forse si era addormentato mentre aspettava la mamma, si sarebbe svegliato la mattina dopo nel suo letto, con l’odore dei pancake per la casa – perché era venerdì, il giorno dopo sarebbe stato sabato e la mamma faceva sempre i pancake il sabato mattina – e tutto sarebbe andato per il verso giusto, come se quel litigio non fosse mai avvenuto. In fondo, era così. Strinse forte gli occhi, si concentrò per svegliarsi, ma le urla dei suoi genitori non si affievolivano, anzi, dopo un po’, addirittura aumentarono. Il papà continuava a bere il suo tea alla pesca – sì, Dean sapeva quanto fosse buono, forse per questo ne beveva ancora – ma la mamma non smetteva di singhiozzare e digli di calmarsi, che non sarebbe mai più tornata tardi, che avrebbe fatto turni più brevi,  e sarebbe stata di più con i bambini. Che poi, si disse Dean, la mamma passava davvero tantissimo tempo con loro, anche se lavorava. Era il papà ad essere più assente.
Sciaff. Risuonò nell’aria, e Dean rabbrividì dal terrore, spalancò gli occhi a dismisura, davanti a quell’orribile spettacolo che stava avvenendo davanti ai suoi occhi e non sapeva cosa fare per fermarlo. Voleva solo abbracciare la mamma e dirle che le voleva davvero tanto bene e baciarle la guancia che sicuramente adesso le faceva molto male.
«John, ti prego» sussurrò lei, portandosi una mano sulla guancia, supplicando il marito di smettere di comportarsi così «Ci sono i bambini di sopra» gli ricordò la donna, non avendo notato il bambino che impotente stringeva i piccoli pugni, voleva difenderla da lui, ma non riusciva davvero a muoversi da lì. Non capiva perché il suo papà le avesse dato uno schiaffo forte sulla guancia. Cosa aveva fatto di male, la sua mamma?
Poi tutto si placò. John respirò forte, abbandonò il bicchiere di vetro sul lavabo e abbracciò la moglie, sussurrandole che gli dispiaceva, che era molto nervoso e non avrebbe mai dovuto prendersela con lei. Lei lo abbracciò a sua volta, annuì piano, ancora piangente, e gli disse che non faceva nulla, che andava bene, che lo perdonava. Dean tirò un sospiro di sollievo, e respirò – quando aveva smesso di farlo, esattamente? – ora era più sicuro, tutto era andato per il verso giusto, come sempre. Quando vide che i suoi stavano per andare in camera, dopo che la mamma ebbe detto vado a salutare Dean, poi andiamo a letto, il bambino subito salì velocemente le scale e si rifugiò nella sua stanza, sotto le coperte. Come sempre finse di dormire, aspettando la mamma. Ma lei non arrivò.
Forse era andata a salutare prima Sammy, e non era ancora andata da lui.
Passò qualche minuto.
Dean aprì gli occhi, stranito. Non aveva sentito alcun rumore, niente di niente. I suoi stavano per salire le scale quando era risalito, cosa era successo in quei pochi istanti?
Che fossero andati a letto senza salutarlo?
No, Dean aveva sentito chiaramente la mamma dire che sarebbe andata da lui, e poi a letto.
Passarono altri minuti, e niente cambiava.
Dean era davvero spaventato, adesso.
Poi improvvisamente si sentirono altre urla, qualcosa che si infrangeva al suolo e poi un altro urlo – uno spaventato, femminile – e infine un tonfo fortissimo che fece tremare il bambino. Dean scattò come una molla, si alzò dal suo lettino ed uscì dalla stanza, per vedere se ci fosse qualcuno, ma non vide nessuno. Cauto uscì in corridoio e vide solo suo padre in cima alle scale, che guardava in basso. Si avvicinò quatto alla rampa e quando guardò giù, con orrore, vide la sua mamma in una posizione completamente innaturale con del liquido rosso – somigliava tanto alla marmellata di fragole che piaceva tanto a lei – sul pavimento, sotto la sua testa. Suo padre solo in quel momento lo notò, ma non lo vide realmente, aveva gli occhi spalancati talmente tanto da sembrare ancora più grandi e cattivi, e diceva: «È caduta… è scivolata…» ma Dean sapeva che era stato lui a far cadere la mamma. Il bambino quando si rese conto di cosa effettivamente fosse accaduto urlò terrorizzato e in pochi secondi raggiunse la donna, voleva solo abbracciarla.
«Mamma…» la chiamò, avvicinandosi cauto. Dean non capiva cosa stesse accadendo, ma sapeva che fosse davvero una cosa brutta. Perché la sua mamma respirava malissimo e a fatica teneva gli occhi aperti. L’uomo invece non accennava a muovere un passo. Dean era terrorizzato e non sapeva assolutamente cosa fare.
«Dean…» mormorò lei, senza forze, avvicinando con le uniche forze che le rimanevano una mano al viso del figlio «Prenditi cura di Sammy…» gli disse piano, accarezzandogli con le dita la guancia coperta di lacrime.
«T-Te lo prometto, mamma» disse il bambino «Chiamo lo zio Bobby, così…» il bambino non ebbe la forza di continuare a parlare, quando sentì le dita della mamma scivolare via dal suo volto, e la sua mano sbattere contro il pavimento. Fu il suono più brutto che ebbe mai sentito. Forse avrebbe dovuto chiamare lo zio prima, avrebbe dovuto evitare di restare fermo, ma cosa poteva saperne?
L’ultima cosa che Dean ricordava, di quella terribile notte, fu lo zio Bobby che prendeva lui e Sammy, portandoli nella sua auto e la polizia che portava via suo padre.
La sua mamma non c’era più, così gli aveva detto lo zio Bobby, e Dean sgranò gli occhi – no, non era stato un brutto incubo – e semplicemente scoppiò a piangere. Non avrebbe mai più rivisto la sua mamma, non l’avrebbe più sentita ridere, e non avrebbe più potuto renderla fiera di lui. Dean pianse tutte le sue lacrime e quella fu l’ultima volta che ne versò una. Per molto, moltissimo tempo.




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Wow, l'ultima volta che ho postato qualcosa in questo fandom è stato... 3 anni fa. Sono una brutta persona. Okay, visto che sono passati anni luce dall'ultima volta, mi presento di nuovo. Sono Chiara e ho un rapporto di odio/amore con Supernatural. But, i Destiel sono una delle mie debolezze. Faccio quest'esperimento, perché mi piace come sta venendo questa cosetta che sto scrivendo. Sono già al sesto capitolo, circa, su un conteggio di 12/13, quindi la porterò a terminre... almeno si spera! Visto che ho lasciato un pezzo della mia anima nella precedente Destiel, ho pensato di riprovarci (che poi non è che non ne abbia scritte eh, è solo che è difficile che le mie cose mi piacciano e quindi evito di renderle pubbliche).
Questo è solo il prologo, eh. Le cose per Dean peggiorano nei prossimi capitoli, ops. Ma non temete che Cas arriverà a salvarlo dalla perdizione! Anyway, spero che vi sia piaciuto. Spero non ci siano errori di battitura o distrazione, beto le mie storie da sola, quindi a volte qualcosa sfugge! 
Lavoro permettendo, posterò una volta a settimana e vi terrò compagnia per l'estate, non siete felici? :) 


 
   
 
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