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Autore: Nirvana_04    30/07/2017    4 recensioni
STORIA FANTASY-STEAMPUNK
Sequel di "CIELI SENZA CONFINI"
Jude Hauk e Moris Lautner, salvando il primo la sorella e il secondo il regno, hanno aperto il mondo e i suoi cieli. Non ci sono più confini, e adesso il capitano della Marsadde può navigare verso l'infinito... se non fosse che la sua nave è nelle mani della Marina di Midra e lui si trova bloccato con il suo villaero sopra le terre sconosciute e nemiche di Kabu-Ealim.
Una città davvero strana con strane e rigide regole. E, si sa, al nostro pirata, le regole stanno troppo strette. Una nuova avventura all'insegna della libertà e delle spericolate inventive della cara sorella di Jude, Selene.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cieli senza confini'
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Capitolo 1
Le caste di Kabu-Ealim
 
 
 






L’enorme orologio della piazza picchettava i Ciclopi, una serie di prue di una lega liscia che colavano a picco sul mare; ai piedi c’erano le nocche del Dio Akteìr imprigionato, che sbucavano quando il mare si ritirava per poi tornare a caricare con più foga la costa. La schiuma ribolliva, e la gente di Kabu-Ealim diceva in un basso borbottio che erano gli sbuffi della grande divinità che ancora oggi tentava di spostare il grande macigno dallo stomaco; ed era per questo che la città era continuamente bersagliata da scosse di terremoto, e le sue coste erano insolcabili per tutti tranne che per i vascelli dei grandi Zaeim.
Le vele laterali erano come grandi remi che accarezzavano l’acqua e il vento, mentre le vele quadre infuocavano i ponti. Le coffe erano d’oro e le sartie rilucevano come perle, grazie anche al cordame di diams che le rendeva indistruttibili. La loro forma allungata fendeva l’acqua, lasciandosi dietro un filo di schiuma. Nonostante la loro leggerezza nel solcare i mari, i vascelli degli Zaeim erano fatti di una grigia lega, che cangiava al volgere delle fasi solari. Su quei ponti, solo gli uomini del tempio potevano passeggiare, gli Zaeim.
Jude Hauk, appoggiato con una spalla contro un muro, se ne stava rilassato ad ammirare uno di quei gioielli navigare in bolina, parallela alla costa, lanciando di tanto in tanto un’occhiata verso i piedi dell’orologio. Il capitano, senza più una nave e con un villaero che sonnecchiava sopra Kabu-Ealim, sogghignò nel vedere come le vele laterali facevano librare la nave sopra le alte onde, sospendendo per pochi attimi quella meraviglia nel cielo, il suo riflesso sul mare. Più avanti di lui di qualche passo, con la pelle scottata dal sole, se ne stava una figura slanciata, un’ombra che dava le spalle alla città e mostrava il volto all’alto orologio della piazza. Portava una maschera grigia sul volto, ma il torso era scoperto e i pantaloni a vita bassa si gonfiavano al vento. Dalla sua posizione, il pirata poteva vedere le due cicatrici che tagliavano la sua schiena come un enorme ʻxʼ. Qualcuno aveva giocato a freccette, usando come grande bersaglio la schiena di quel poverino. Anche quello sembrava dividere la sua attenzione tra il ticchettio dell’orologio e lo scroscio delle onde contro la poppa della nave, ora a spinta con un buffetto verso casa.
«Pss, capitano» lo fece sussultare il bisbiglio di Arci, «senti, capitano: o sgozziamo qualcuno, o torniamo a bordo. Sono stanco di tutta questa luce.»
«Ecco perché ce ne stiamo all’ombra» ghignò l’altro, finalmente voltando le spalle al suo panorama preferito.
«Non ti sei stancato di startene qui, Dio solo sa da quanto tempo? E come facciamo a sapere quanto tempo è passato? Questo diavolo di un sole non tramonta mai.» Alzò gli occhi in cielo, schermandoseli con una mano.
Jude ridacchiò nel vederlo ballare da un piede all’altro, al limite della sopportazione: Arci era un amico fedele ma un uomo impaziente, la rissa era il suo pane, e anche quando non c’erano problemi egli si lamentava della cosa. La pazienza non era mai stata una delle sue virtù. «Continuerò a guardare il mare fin quando anche lui lo farà.» E puntò con noncuranza un dito dietro le spalle.
Arci lanciò un’occhiata e ringhiò. «Allora vado a chiederlo a quello lì. Chi è?» aggiunse con cipiglio di guerra, per nascondere la sua confusione.
Jude mise una mano sopra la spalla del suo secondo e lo condusse verso il borgo della città. «Un nostro futuro amico.»
 
 
Per anni si era pensato che il mondo fosse una sfera circolare: una volta fatta una lunga passeggiata, si tornava al punto di partenza. Ed era stato così fin quando Allana aveva costituito il punto limite dello scibile nautico. Jude aveva scoperto che quella però non era la natura delle cose. L’universo era una strada in espansione, che puntava verso l’infinito. E che il mare più profondo era il cielo.
Dopo il crollo di Allana, l’ultima terra a guardia del Sesto Cielo, si erano aperte mille vie per il pirata e la sua flotta. La magia che circondava la città e che piegava la terra e i continenti conosciuti fino a quel momento si era dissolta, spiegando lo spazio intorno a loro e rendendo libero spaziare in avanti, senza limite; almeno per quanto ne sapesse Jude. Il generale Moris Lautner aveva rubato la sua amata nave – Jude se la sarebbe ripresa un giorno – e la ciurma aveva solcato il nulla al comando di Crowsand, il villaero dove il suo capitano era cresciuto. Erano iniziate le avventure, quelle che nessun’altro avrebbe potuto dire di aver condiviso; Jude stava scrivendo un nuovo capitolo, e lo stava facendo oltre le mire della regina Elzeth. Aveva visto luoghi e fatto la conoscenza di persone che, a raccontarli, un ascoltatore definirebbe fandonie da pirata di taverna. Tutto ciò che vi era di inesplorato nell’universo, il capitano Hauk lo stava scovando come due dita che camminano su una mappa. Il mondo era una carta spiegata davanti ai suoi occhi, lui doveva solo puntare la bussola e l’ago avrebbe indicato il sogno di qualunque cuore che batte per la libertà.
E poi gli ingranaggi di Crowsand avevano iniziato a scricchiolare, una specie di quadrupede volante aveva creato una falla al motore, e l’equipaggio con la sua gente si era dovuto arrestare sopra quella strana città.
Kabu-Ealim era… beh, era strana, e tanti saluti all’impassibilità di Hauk. Le carrozze erano trainate da cavalli, le strade e i borghi della città erano in mattoni rossi e la vita seguiva il ritmo dell’orologio. Ed era un orologio… strano. Una torre quadrata in mattoni rossi si ergeva per più di ottanta braccia sopra i tetti a padiglione; su ogni facciata, in alto, si rincorrevano le lancette di quattro orologi. Tre lancette per orologio e nessuno di questi ultimi segnava lo stesso orario. E se il tempo aveva una concezione strana, ancor più stravolgente era l’esistenza condotta dagli abitanti: la loro giornata non finiva mai! La luce del sole era perenne e abbagliava anche il più piccolo anfratto. Era difficile trovare un’ombra a Kabu-Ealim. Questo almeno era il vivere prima della scura proiezione di Crowsand sulla città.
I sacerdoti di Iilah, la divinità che aveva combattuto al fianco dei suoi prescelti per incatenare Akteìr, li consideravano dei messaggeri del Dio Nero, annunciatori della guerra e del caos, infestatori e profanatori, che avrebbero invocato il fuoco come punizione e poi portato le tenebre in alto.
Jude Hauk non aveva una fede. L’unica concessa a Midra era l’adorazione della Regina Elzeth, il potere più alto dello Stato. Inutile dire che il capitano, di quella fede, ne aveva fatto un ritaglio da prendere a sassate ogni qual volta si annoiava o perdeva la pazienza. Delle superstizioni di Kabu-Ealim se ne faceva poco, se non in misura dei problemi che stavano causando alla sua gente. Al momento Crowsand era al sicuro, gli Zaeim non avevano scoperto il modo di raggiungerla o distruggerla, e al suo interno l’equipaggio era protetto. Ma non potevano restare prigionieri del villaero per sempre. Jude aveva quindi iniziato a fare quello che lui definiva ʻun modo per ricordare gli inizi del mitoʼ: lui e Arci erano tornati a fare i semplici ladruncoli di strada, sgattaiolavano su e giù, da Crowsand a Kabu-Ealim, e poi si nascondevano per i borghi della città. Si concedevano un ciclo dell’orologio che spiccava sulla facciata nord e poi tornavano su.
Questo perché il capitano Hauk aveva scoperto che c’erano quattro tipi di individui a Kabu-Ealim: le Aimra, le Signore della Casa, che se ne andavano in giro per le strade sotto la sorveglianza dei Syd, mariti o guardie della dimora che sorvegliavano le donne del signore per cui lavoravano; poi c’erano gli Zaeim, i sacerdoti del Dio, che rappresentavano l’esercito e i capi del governo; e infine c’erano gli Alramadi, gli indegni che uscivano per le strade quando tutti gli altri riposavano o erano rintanati al fresco delle loro dimore, e che svolgevano le mansioni più umili e spossanti. La figura con la maschera grigia era uno di questi ultimi.
Jude non aveva impiegato molto a capire che ogni orologio scandiva il ritmo di vita di ogni casta sociale. Così contava le ore, in modo da sgattaiolare su e giù quando erano questi ultimi a poter lavorare per le strade, i quali, da buoni ultimi della società, se ne infischiavano di fare il lavoro sporco per la casta sacerdotale.
La vita a Kabu-Ealim era rozza e molto rigida, per certi versi gli procurava una tremenda nostalgia dei cieli sopra Midra. Ma Jude non poteva tornare indietro, non fino a quando non avesse riparato il danno ai motori del villaero e non avesse trovato un veliero con cui sfidare la flotta reale. E aveva intenzione di assolvere a entrambi i problemi proprio lì, nella piazza dell’orologio.
«Allora, quanto ancora dovrò credermi un insetto?» mugugnò Arci, le braccia sotto sforzo. Erano appesi a una corda, sospesi sopra la città, a una decina di braccia sotto Crowsand, e il sole era intollerabile. «Perché diavolo non facciamo quello che ci riesce meglio? Saccheggiamo questa fogna e andiamocene da qui. Non sono attrezzati per venirci dietro.»
Arci si fermò, le gambe strette intorno alla corda e lo sguardo che fulminava il suo capitano. Jude lo capì quando la punta del suo tricorno sfiorò lo stivale dell’amico. Sbuffò e una perla di sudore calò lungo la sua tempia. «Non ne potremmo parlare dopo?»
«Eh, no, Hauk. Non stavolta! Appena metteremo piede sulle passerelle…» Arci fu costretto ad azzittirsi. La corda ebbe uno strattone e poco dopo i due vennero issati verso l’alto. «Donne!» esclamò.
Il capitano Hauk sorrise sotto la bandana. Una mano entrò nel suo campo visivo e lui accettò l’aiuto per issarsi oltre lo strapiombo, lontano dalle ruote dei motori. L’attimo dopo era già con un piede dentro la soglia di casa.
«Allora?» gli ricordò Arci.
Jude si voltò e ammiccò verso l’amico. Poi si chiuse la porta dietro di sé e sparì nell’oscurità della sua casa.
«Lo sapevo!» sentì la voce di Arci sbraitare al vento.
Dalla casa, la risata di Jude si propagò spensierata.
 
 
Steso sul suo letto a castello, con Arapacis che faceva la guardia alla stanza della sua vecchia casa, Jude era sprofondato in un sonno profondo, le carte che stava studiando erano cadute sul pavimento bucherellato e le tendine sfilacciate, poste davanti all’unica finestra della catapecchia, filtravano i caldi raggi solari. Il suo corpo era rilassato e la bandana copriva una fredda mascella di ferro semiaperta. Il capitano sognava già la prossima avventura, certo che la situazione in cui si trovavano si sarebbe risolta per il meglio. Dopotutto, quale pirata dubitava mai dei suoi piani azzardati?
Un risucchio e la bandana venne strappata via dal suo volto. La mascella s’irrigidì e si serrò con uno schiocco. I suoi piccoli occhietti neri si spalancarono e fissarono quelli della sorella, due chiari cristalli che luccicavano di vita.
«Arapacis?» chiese.
Selene indicò il trespolo. «Uccellino intelligente. Mi adora, non mi tradirebbe mai.»
«Stupido ammasso di ferraglia. Non sa a chi deve la sua fedeltà» ringhiò con la voce impastata. Con le lacrime agli occhi, si concesse il piacere di ammirare ancora un po’ la tranquillità di Selene: era bello vedere la bellissima sorella di nuovo sana e piena di vita. Ancora non si capacitava di poterla avere di nuovo a gironzolare per casa.
Selene stava trafficando con le carte sul pavimento, piegata in equilibrio sulle punte dei piedi. Dopo i primi giorni di convalescenza, era subito tornata a indossare la sua vecchia tenuta – quella che lui odiava, perché gli procurava più problemi che altro in mezzo alla sua ciurma: la semplice maglia di cotone bianco aderiva al suo corpo formoso, risaltando le sue curve anche grazie al corpetto di acciaio e oro che si stringeva con i legacci proprio sotto il seno; la gonna verde era ampia, per facilitarne i movimenti, e aveva un vertiginoso spacco che saliva fino alla coscia; gli alti stivali, della stessa lega del corpetto, si arrampicavano fino alle sue ginocchia e tintinnavano con orgoglio sul vecchio pavimento di legno della loro casa.
Un particolare lo fece sobbalzare. «Che hai fatto ai capelli?» mise a fuoco la sua figura. I capelli biondi erano stati coperti da una tintura di odio e terra rossa, che aveva infuocato le ciocche di riflessi vermigli.
Selene fece spallucce, l’espressione angelica che infondeva innocenza da tutti i pori. «S’intonano bene con il mio viso. Il biondo fa troppo principessina, non trovi?» La sua risata si propagò come uno scroscio d’acqua pura.
Jude studiò con attenzione la sorella, mettendo da parte la sua gelosia. La sua pelle non era più cinerea, ma aveva riacquistato il suo colorito di porcellana, i suoi occhi brillavano di forza e la forma piena delle labbra rosee si apriva sempre più spesso e volentieri a enormi sorrisi.
«Hai finito?» lo richiamò alla realtà.
Jude stirò le braccia e ignorò il commento della sorella, non volendo darle soddisfazioni. Afferrò il tricorno e cercò la sua bandana. «Dove l’hai messa?»
«Perché ti ostini a portarla, io non lo so!» sollevò gli occhi al cielo lei, e gliela porse.
Jude le regalò un sorriso metallico prima di far sparire la mascella di ferro sotto il pezzo di stoffa. «Così, quando la mostro, incute sempre il giusto timore. Se la gente vi si abituasse…»
«Tu smetteresti di attirare la loro attenzione. Sempre il solito vanitoso! Passi sempre per le vie più vistose.»
«Che piacere c’è nel nascondersi nell’ombra?»
«Torna utile in momenti come questo.» Selene gli voltò le spalle e aprì le tendine della finestra.
«So riuscirci, se voglio, e lo sai.» Saltò giù dal letto e le tirò una ciocca di capelli, giusto per farla indispettire un po’.
«Jude! Per la miseria!»
«Ah! Non mi piace quando dici le parolacce. Se la mamma fosse qui…»
«E chi pensi me le abbia insegnate? Tornano utili quando si ha a che fare con te!»
Jude meditò sulle sue parole. Sbatté una mano sul tavolo, e quello scricchiolò. «Ecco perché Arci è sempre così… beh, sai com’è» se la rise.
«Mi sorprende che abbia ancora momenti di lucidità. A stare sempre al tuo fianco…»
Jude sghignazzò e Selene gli fece compagnia.
«Allora!» Selene fece il giro del tavolo e recuperò due bicchieri dal lavandino stracolmo di stoviglie; gli diede una sciacquata e gli posò sul tavolo. Versò da bere a entrambi un po’ di malto e si sedette sulla sedia libera. Quella a dondolo se ne stava accanto alla finestra, ormai inutilizzata da quella famosa sera. «Arci mi ha raccontato delle vostre passeggiate in città.»
«Ci avrei scommesso. Quindi ha mandato te?»
«Nessuno mi manda da nessuna parte, Jude» lo fulminò con lo sguardo, e l’espressione angelica per un attimo fu solo un’illusione. «L’ho sentito borbottare qua e là e ho pensato che fosse il caso di avvertirti: sta per esplodergli la testa.»
Jude mandò giù un sorso del liquido. «Il solito esagerato.»
«Sì, ma stavolta non ha tutti i torti. Siamo al limite, Jude. Il tuo equipaggio è abituato a essere braccato, ma non i vecchi e le famiglie di Crowsand. Le scorte stanno finendo, l’acqua scarseggia. Qui non piove mai!»
«Ah, è per questo che non c’è mai un piatto pulito in questa casa?»
«Se ti serve un piatto, te lo lavi» lo squadrò. E il fratello sollevò le mani, arrendendosi alla sua truce espressione. Faceva fatica a non ridacchiare, ma poi pensava a quanto fosse difficile tenere ferma la sorella e allora il suo entusiasmo colava a picco. «Ho fatto le mie ricerche, giusto per velocizzare un po’ i tempi» buttò lì lei.
Jude tese le orecchie e i suoi occhietti si restrinsero ancora di più. Ecco che ci risiamo! «Quali ricerche?»
«Non avrai pensato che me ne stessi rinchiusa quassù, come una prigioniera, vero?!» Il suo dito giocherellò con un forellino del legno.
Jude afferrò gli angoli del tavolo per evitare movimenti bruschi e impulsivi. «Fedrik doveva tenerti d’occhio» ringhiò.
Selene si riempì di nuovo il bicchiere e si sedette sul bordo del lavabo con le gambe incrociate. Alzò la mano occupata verso il fratello, i suoi modi sempre allegri ed esuberanti, un mignolo all’insù. «Il povero Fedrik tende a zoppicare troppo. Vuoi sentire cosa ho scoperto?» Lo soppesò con un sorriso intrigante, quasi a sfidarlo a rifiutare. Per tutta risposta, Jude appoggiò le spalle allo schienale e stese le gambe sotto il tavolo, le braccia e i piedi conserti. Selene ammiccò. «Visto che tu hai tenuto d’occhio gli alramadi, ho pensato che qualcuno dovesse avere una visuale differente. E poi è più facile per me nascondermi tra le aimra. E non sai quanto amino parlare e darsi alla pazza gioia quando è il loro turno di uscire pe le strade. A proposito, lo sapevi che la terza lancetta indica il tempo a disposizione per rientrare in casa? Un fanciulla stava per slogarsi una caviglia l’altro giorno. Ma posso dire che era l’altro giorno? Tecnicamente non finisce mai…»
Jude sollevò gli occhi in cielo. Sua sorella era davvero strana, a momenti più di quella città. Adorava la vita spericolata ed esuberante tanto da averlo costretto a portarla con sé durante i suoi arrembaggi. Non era superstizioso, ma cominciava a credere che avere una donna a bordo – che si navighi per mare o nei cieli – portasse veramente sfortuna. Selene attirava i guai come il miele faceva con le mosche. Che fosse un corsaro rivale invaghito della sua bellezza o una sua sconsideratezza, ormai aveva perso il conto di quante volte le aveva dovuto salvare la vita. In certi momenti, poi, era ancora più folle di lui, e un folle per ciurma era sufficiente. Selene non organizzava però piani assurdi: i suoi istinti erano assurdi e sconsiderati. Però c’era in lei anche la frivolezza di una donna: amava chiacchierare e darsi alle spese sfrenate; quanto vedeva qualcosa che desiderava, se la prendeva, con le buone o con le cattive maniere. Questa sua peculiarità si rispecchiava nei suoi modi a modo, che a volte sfociavano in stramberie e comportamenti sopra le righe, oppure nelle sue divagazioni quando doveva raccontare qualcosa. Amava tanto parlare, Selen, e lui si era quasi scordato di quanto odiasse non poterla azzittire.
«Selene, arriva al punto!»
«Ma questo è un punto che devi tener presente durante i tuoi amati piani.» Anche lei sollevò gli occhi al cielo. «Il sole è sempre lì, porterà allo scoperto tutto ciò che proverai a fare.»
Jude sollevò un angolo della bocca. «Le ore concesse agli alramadi ci daranno la giusta discrezione. Quelle povere anime sono le ultime della società. Non devono niente alle caste superiori.»
«Tu parti dal presupposto che in loro vi sia un’anima ribelle» lo contraddisse lei, «ma sono come schiavi, emarginati. Molti di loro hanno perso prestigio. La fanciulla di cui ti parlavo è la figlia di uno Zaeim e aveva un fratello, il quale doveva a sua volta ereditare la carica del padre. Ma ha fallito. Adesso è un alramadi.» Si tirò indietro una ciocca dei rossi capelli. «Vedi? Come fai a fidarti di gente che ha perso prestigio e tutto ciò che vuole è rifarsi agli occhi dei superiori. Molti ti tradirebbero alla prima occasione. Non puoi contare sulla loro indiscrezione. Forse c’è già chi ti tiene d’occhio. Non sottovalutarli, Jude.»
«Non lo faccio mai. Io.» Selene ignorò l’imbeccata. «Che altro hai scoperto?»
«Oh, sì.» I suoi occhi tornarono a luccicare. «Non sono poi così retrogradi laggiù. Lo sapevi che» tese il collo verso di lui con fare saccente, «hanno creato la pioggia? Solo nell’entroterra, nei quartieri degli Zaeim e nelle case dei Syd più importanti, ma è il come la parte interessante.» Lo guardò, incoraggiandolo a indovinare.
Jude era troppo incuriosito per stare al gioco. «Mi arrendo» soverchiò il suo orgoglio, ma solo davanti alla sua sorellina.
«Eliche! Di quella strana lega indistruttibile con cui hanno costruito i Ciclopi e le loro navi, e le corde. Diams. E sono abbastanza grandi da poter…»
«Far volare una nave della giusta grandezza e con il giusto equipaggiamento velico» finì la frase per lei. Piantò i palmi delle mani sul tavolo; la sedia tinnì sul pavimento. «E io ne ho in mente una.»




 
Midra era cambiata. Prima il cielo era una cupola scura dove i fumi vorticavano senza lasciare spiragli; il cielo era sempre grigio e rifletteva come specchio le fiancate delle imbarcazioni, anche a causa di tutto l’olio che ne lucidava la superficie; la città dalle bianche case e le strutture gialle della Marina che si affacciavano sul porto sembravano smarrirsi tra lo smog delle industrie, con le loro fornaci che parevano spettri e le cupole che avevano la stessa consistenza di miraggi nel deserto, tremolanti come candele davanti a una finestra. Adesso c’era un cono sopra l’intera capitale, da cui si poteva ammirare uno sprazzo d’azzurro; intorno a esso ruotavano le nuvole e i fumi, tentavano di inghiottirlo ma la luce che fuoriusciva dal forziere sottratto alle silfidi combatteva senza tregua contro il nero cancro.
Il generale Moris Lautner sospirò più volte, affaticato, prima di decidersi a lasciare il ponte attraverso la passerella e raggiungere la carrozza che lo attendeva sotto la Porta del Commercio. I cilindri ferrati erano alti quasi quanto l’abitacolo e anche quando non ruotavano a folle velocità emettevano un suono stridente che perforava i timpani.
Il generale salì a bordo e immise i comandi con la sua destinazione. Si lasciò alle spalle le vele della sua nave – la nave del pirata Jude Hauk, la quale era nelle sue mani come risarcimento dell’affondamento della Joyfall, in attesa di catturare il suo proprietario – e si appoggiò con le spalle dritte al rigido schienale, attendendo di raggiungere la sua meta.
Ad accoglierlo a palazzo c’erano i soliti inservienti, il solito maestro di cerimonia, ampolloso nella sua veste imbottita, i soliti freddi androni, stracolmi di rampolli e dame giunte dalle corti più esotiche, e la solita enorme porta che lo separava dalla sua regina.
La regina Elzeth era fasciata da un abito rosso scuro, con la gonna molto ampia e un corsetto con stecche dorate strette in vita. La sua pelle diafana impallidiva maggiormente sotto i riflessi di quel colore, e i capelli ribelli erano stretti in uno chignon scomposto, da cui riccioli facevano capolino con selvaggia bellezza. La sua regina era magnifica, come sempre, e lo stava accogliendo con il solito fare spiccio e informale, per quanto lo permettesse la circostanza.
«Generale! Sempre lieta di avervi al mio fianco. I vostri viaggi sono sempre più lunghi. Ancora a caccia del vostro fantasma?» mosse una delle sue mani sottili per invitarlo ad alzarsi. Si sedette di nuovo nello scranno e lo chiamò a sé.
Moris Lautner fece sei passi verso il trono e si fermò, a una distanza rispettosa. «Chiedo venia, mia regina. Navigo solo per servirvi.»
«Lo so, generale. E io l’ho sempre apprezzato. Ma un posto nel consiglio è di nuovo vacante, e ancora una volta vi chiedo di occuparlo?»
Sotto la corta barba rossiccia, il generale piegò le labbra all’ingiù, dispiaciuto. «Vi devo chiedere se il vostro è un ordine, mia regina.»
«No, solo il desiderio di un cuore che vi tiene caro» si addolcì la sua voce.
«Allora devo di nuovo rifiutare. Poiché la decisione l’ha lasciate a me, e io sono convinto di servirvi meglio su una nave, a difesa del vostro popolo.»
La regina Elzeth annuì in modo deciso, nessuna delusione che s’impresse nel suo cipiglio, solo accettazione e rispetto.
Una risata sguaiata interruppe l’incontro. «Ed è questo l’uomo migliore della vostra marina, signora? Allora via la sorpresa, adesso so’ sicuro del perché avete poi così tanto bisogno di me.»
Moris Lautner si voltò, e quando i suoi occhi incontrarono quelli del pirata Johanne la sua mano scattò rapida verso la cintura.
«Evitate idiozie, generale. Non sono un vostro nemico.» Johanne si tirò fuori dall’ombra della sala staccandosi dallo sfondo del drappeggio alle sue spalle e si avvicinò con una camminata svogliata e scomposta verso il trono; si appoggiò con un gomito all’alto schienale del trono libero, al fianco di quello occupato dalla regina, e si rigirò un coltello nella mano, con la cui punta inizio a pulirsi le unghie. «Sono stato invitato.»
«Il comandante Johanne ha collaborato per la liberazione dello scrigno» intervenne con voce sicura la regina, il viso fattosi di nuovo altero e inscrutabile, «ha quindi conquistato la libertà. Adesso serve la corona come voi, generale. Parlate apertamente» lo incitò, studiando bene il suo cipiglio arcuato.
«Sì, parlate, generale» rise il pirata, agitando il coltello nella sua direzione, «tanto io e voi sappiamo che pensieri vi frullano. Ah… non mi… scompongo» scrollò le spalle con un sorriso e un’espressione allegra sulla fronte, arrogante.
Moris Lautner non resistette dall’imbeccarlo. «Pensavo foste affondato con la vostra nave, abbattuto dalle silfidi.»
«Strategia» rispose, minimizzando con una piega delle labbra. «Mentre voi e quell’Hauk ve ne andavate a farvi una passeggiata, ho aggirato la città galleggiante e attaccato da sotto, rischiando di venire poi colpito da qualche zolla ferita quando quella è crollata» ammiccò e strinse le labbra in un sorriso sfrontato. «Piuttosto» ridacchiò borioso, «vi siete affezionato molto alla nave di quel pirata. Gli tenete i motori caldi?»
«Generale Lautner» lo richiamò la sua regina, mettendo fine all’alterco, «il comandante Johanne ha contribuito a suo modo alla riuscita dei nostri piani. Midra è sana e prospera senza alcun pericolo a disturbarla. Il mio regno è al sicuro adesso, mettete via quell’arma.» Gli occhi neri della donna gli imposero l’obbedienza. Annuì. «Molto bene. Vista il vostro desiderio, io non vi trattengo oltre sulla terra ferma.»
«Sì, si» lo liquidò l’uomo mentre tornava a occuparsi delle sue unghie, «tornate dai pesciolini e i vostri pirati a cui dare la caccia.»
Il generale non tollerò oltre la discussione con quell’uomo. «Mia regina, prenderò di nuovo il largo, per servirvi. Ma mi avete chiesto di occupare il posto di vostro consigliere, e visto che i miei piedi sono a terra obbedirò al vostro desiderio: diffidate da chi cade solo per poter attaccare alle spalle. Il regno è al sicuro, non ha più bisogno di agire nell’ombra.»
La regina Elzeth catturò i suoi occhi per un po’, poi si rifugiò di nuovo nella sua maschera indomita e lo congedò: «Terrò care le vostre parole. Ma un regno che riluce ha sempre un’ombra che si getta sulle terre vicine. Tanto meglio è sfruttarla.»
La città era cambiata, si stava ampliando, sì, ma sottoterra, nell’ombra, dietro i fili di broccato della reggia. Già una volta lo aveva accettato, aveva combattuto al fianco di un pirata ed era stato costretto a mettere in discussione il giudizio su quell’uomo. Forse, quindi, questo aveva cambiato lui. C’era dignità nei cieli, più di quella che si osteggiava tra le case bianche.
Moris Lautner s’inchinò davanti alla saggezza della sovrana e uscì dalla stanza. Un’ombra si era gettata sopra la pelle di porcellana della sua regina, offuscandone giustizia e purezza d’animo, e lui ne avrebbe sorretto a distanza la gravità, fino a quando non fosse stato nuovamente chiamato a servire la corona di Midra.




 
 
 
N.d.A.

A grande richiesta (quanto me la vanto, e per cosa? facciamo finta che...XD) torna il nostro pirata preferito (si vede che entrare nella testa di Jude Hauk mi rende troppo arrongante? Vizi da pirata!), stavolta alle prese con le spericolate idee della sorella, la quale non sembra poi essere così diversa dal nostro capitano ;)
E poi c'è il nostro generale, sempre uomo d'onore ma con una visione più ampia e meno pura della sua amata città. L'amore e la venerazione nei confronti della sua regina riusciranno a rimanere intatti? O l'incontro con Jude Hauk ha cambiato per sempre il suo destino?
Per chi fosse giunto qui e vuole recuperare le puntate precedenti, lascio il link alla storia principale:  Cieli senza confini
Spero che possa piacervi, e non dimenticate di lasciare un commento, giusto per gonfiare le vele... ops, il mio ego :P
   
 
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