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Autore: mindsbloom    31/07/2017    0 recensioni
Quattro amici, un bar, delle birre, qualche battuta squallida ed un'amicizia forte quanto cruda.
Dal primo capitolo:
"«Vi conosco da dieci fottutissimi anni, ancora non c'è uno di voi che mi sia simpatico» e diceva, ancora quella sera.
Wallace rideva, Sonny si mostrava un po' indispettito.
«La porta è sempre quella» continuava Pete."
(Avevo caricato in passato questa storia ma ho deciso di cancellarla e riscriverla ricorreggendo alcuni errori!)
Genere: Demenziale, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Pioveva.
Pioveva così forte fuori, ma come quasi ogni giorno praticamente.
Londra era come al solito umida, fredda e persino la sera nelle strade più famose della capitale si respirava il profumo del terreno bagnato; per quanto tu volessi divertirti, per quanto tu volessi passare il tempo a passeggiare. Che tu fossi un turista o no: non potevi sfuggire dalla pioggia.
Nessuno poteva, tranne chi, più pigro, se ne infischiava di quello che succedeva fuori quelle mura.
Le mura del loro pub preferito.


Seduti al loro solito tavolo, al loro stessi posti, le solite quattro persone.
«Comunque, questa birra fa schifo», Pete.
«Lo dici sempre e non ne prendi mai un'altra», Sonny.
«Questo perché gli piace lamentarsi», Kyle.
«Oh, non riprendete, vi prego» e Wallace.


Quattro amici da sempre… O quasi amici. Non tutti erano sicuri che la loro fosse vera amicizia.
Come Kyle.
Tratti occidentali, ben marcati, pelle chiara, troppo, e sarebbe stato il solito e scontato inglese, se non fosse stato per i suoi capelli neri. In cambio, i suoi occhi celesti e la sua cattiveria in fatto di battute, portava onore alla sua terra natia. Lui era sincero e parlava col cuore quando diceva agli altri cose come «non so neanche perché continuo ad uscire con voi, forse per abitudine».
«Vi conosco da dieci fottutissimi anni, ancora non c'è uno di voi che mi sia simpatico» e diceva, ancora quella sera.
Wallace rideva, Sonny si mostrava un po' indispettito.
«La porta è sempre quella» continuava Pete, con una voce seria che andava scemando in una risata.
«Da tre fottutissimi anni» aggiungeva Wallace.
Wallace era il più allegro di tutti. Se ti capitava di vederlo per strada in una delle sue giornate buone, l'avresti visto sempre sorridere; con l'estremità delle labbra rivolte verso l'alto. «Hai una paralisi facciale» non mancava Kyle.
«Ha parlato il depresso» rispondeva Pete.
Pete, Pete era come lo vedevi: un volgare ragazzo australiano, con una spiccata passione per le donne; se fosse stato per lui avrebbe tirato su una "wall of fame" con tutte le foto e gli indumenti intimi delle sue conquiste appesi lì sopra.
Al contrario suo, Sonny, era più riservato. Migliore amico di Pete, il preferito di Kyle: adorava fare battute sulla sua omosessualità, si faceva le migliori risate, uscendosene con «Sonny usa solo le saponette per lavarsi», puntualmente rideva solo lui.
Gli omosessuali e gli ebrei erano i suoi preferiti da prendere in giro, ma non è che li odiasse. Non era neanche un po' contro di loro, non era omofobo o razzista ma si divertiva così, si divertiva soltanto lui così.
Poi, c'era Wallace; Sonny a Wally non piaceva.
Forse perché non impazziva per i tipi silenziosi, forse perché reggeva l'alcol meglio di lui, probabilmente perché era gay e da quando l'aveva visto baciarsi con un ragazzo qualcosa tra di loro era cambiato.


«Io non me ne vado da qui. Chi me lo dice che Sonny, poi, non mi guardi il culo?» rispondeva Kyle, nel frattempo.
«Preferisco diventare etero. E poi, quale culo?»
A Kyle piaceva quando gli si rispondeva così. Insomma, poteva continua a scherzare.
«Allora me l'hai guardato.»
In realtà sì, ma Sonny lo trovò un dettaglio inutile.
Nel frattempo, Wallace beveva, guardandoli e seguendo il discorso.
«Mai. Che schifo» fece il serio e continuò «e poi mi sento con uno». Ruotò lo sguardo, indirizzandolo a Pete; lui non se ne accorse.
«Con Pete?» chiese e rise Kyle.
Pete alzò lo sguardo dal cellulare, accigliato. «Io non c'entro nulla, non lo sapevo neanche», fa spallucce.
Per quanto fossero coinquilini, non parlavano mai delle loro relazioni. A Sonny davano in qualche modo fastidio tutte le scopate di Pete e a Pete non piaceva sapere quante volte il suo migliore amico fosse saltato da un uccello all'altro nel giro di un mese. Le cose andavano benissimo così.

 «No, non con Pete, idiota. Mi sento con un ragazzo, è carino».
Nessuno disse nulla, solo Kyle alzò entrambe le sopracciglia, facendo la smorfia di uno che approva. Si divertiva e basta, per lui ogni occasione era buona per ridere degli altri. Amava i pettegolezzi, così poteva prendere ancora più per il culo chi gli capitava sotto tiro.
«Wow, fantastico, abbiamo finito?» chiedeva Wallace, posando la bottiglia di birra, praticamente dimezzata, sul tavolo. Non gli piaceva sentirlo parlare di queste cose, non c'era molto da dire a riguardo. Era così e basta.
«Parliamo di cose importanti» riprendeva, sospirava e si passava una mano sulla fronte, poi si grattava una guancia, «mi serve un lavoro. Questo mese sono nella merda se non pago l'affitto». Fine e conciso. Chiudeva gli occhi, un po' stanco della sua situazione.
«Prostituisciti» suggeriva Kyle, facendo spallucce.
«Prostituisci qualcun altro al posto tuo» continuava Pete, trattenendo un sorriso, per sembrare davvero serio.
«Io-...» e tutti si girarono a guardare Sonny.
«A me avrebbero proposto un lavoro l'altro giorno, ma per quel giorno sono già impegnato con i cani della signora Middleton», annuiva, poi iniziò a cercare qualcosa nelle tasche della giacca.
«Ah, Mrs Middleton» scuote il capo, sempre il solito, quello che sparava le battute tristi, «se non sapessi che sei gay, direi che lavori ancora per lei per portartela a letto». Annuiva, davvero convinto delle cazzate che sparava.
Sonny aveva la faccia di uno che non voleva perdere tempo a scherzare su certe cose. Era il solito "lo scherzo è bello quando dura poco", ma quello non la smetteva mai di scherzare e diventava pian piano sempre più ingestibile. Lo prendeva in giro per tutto, e lo infastidiva così tanto, delle volte, che si sorprendeva di se stesso quando riusciva a sopportarlo.
Una volta aveva scherzato persino sui suoi vestiti, gli chiese come mai vestiva così male dato la sua omosessualità; era un modo velato di prendere in giro le persone e questo l'avevano capito tutti.
Kyle non ci faceva caso. Conosceva quei cazzoni da una vita, sapeva che l'avrebbero sopportato sempre.
«Be', nessuno può negare quanto sia milf la signora» aggiungeva Pete, acconsentendo a quando aveva detto prima Kyle, «piuttosto, chiedile se ha qualche lavoretto per me».
Wallace era ancora per i fatti suoi, a pensare a quel lavoro che Sonny gli aveva detto quando, appunto, quell'ultimo gli diede il bigliettino tanto ricercato nelle tasche della giacca.
«Qua c'è il numero. È un tizio che cercava aiuto per ripitturare casa, nulla di ché, ma ci vorrà una settimana tipo, almeno guadagni».

Chissà se aveva saltato dei particolari. Chissà se l'aveva fatto apposta.
Wallace diede un'occhiata a quel numero di telefono, quel "Andrew Lewis" appena sgualcito, lo piegò con attenzione, come se si trattasse di un foglio davvero prezioso e se lo cacciò in una tasca dei pantaloni.
Accennò un segno col capo per ringraziare l'amico, poi riprese a bere.





«Pronto? Cercavo il signor Lewis», Wallace e la voce rauca di chi si è appena svegliato a mezzogiorno.
«Sì, ehm- sono io, con chi parlo?» era una voce spaesata, anche affannosa. Si chiedeva cosa avesse.
«Sono» ed il suono della macchina del caffè lo interruppe, accennò una leggera risata, solo un po' imbarazzata, così, senza nessun motivo apparente, poi continuò, servendosi il caffè in una tazzina: «sono un amico di Sonny Murphy, ha detto che aveva del lavoro da offrire, così...» e non continuò, come se volesse l'altro a continuare la frase.
«Oh! Sì! Murphy, Murphy! Quindi puoi occuparti tu dei muri?» e la strana sensazione di spaesamento, sembrava essere scomparsa. Wallace annuì, come se l'altro potesse vederlo attraverso il telefono.
«Sì, posso. Quanto sarebbe la paga?», era l'unica cosa che gli importava, dopotutto.
«Perché non vieni oggi a casa mia? Ti faccio vedere il lavoro, e poi ne discutiamo insieme», sembrò felice, anche se con un filo di tremolio nella voce.
Wallace amava scorgere dettagli nelle voci della gente con cui parlava al telefono. Gli piaceva potersi immaginare le loro espressioni, le loro sensazioni. Ma di questo Andrew non conosceva nemmeno la faccia. Così, accettò e dopo essersi messi d'accordo, chiusero entrambi la chiamata.
La cosa prometteva più o meno bene: aveva un lavoro, il proprietario della casa gli dava l'idea di un sempliciotto, e questo valeva a dire che bastava parlarne un po', ed avrebbe ottenuto più soldi.
Beveva il suo caffè ed alternava lo sguardo dalla lettera al divano, come se quella lettera di sfratto potesse scomparire nel momento in cui lui non la guardava più.





{ H e y t h e r e b o y s a n d g i r l s
​Che schifo avete letto? Idk!!!
​Le cose mi sembrano molto più carine mentre le scrivo, poi quando leggo sono tipo "oh no... poverina m e" ma è ok perché voglio rimettermi in gioco e mi era mancato tanto scrivere!
​Spero vi piaccia, aggiornerò molto presto e credetemi che ho in mente tantissime cose per questa storia. Se vi va recensite pure e fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe davvero molto piacere aaaaaaaaa


 

 

   
 
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