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Autore: Porpora_    31/07/2017    0 recensioni
Una breve one shot che parlerà di una tossicomane agli inizi, prima del suo crollo psicofisico.
Tratterà di eroina principalmente (assunta in forma meno pericolosa rispetto quella endovena).
Inutile dire che è solo una storia inventata, frutto della noia.
Dal testo:
[...-So che non hai credito e che l’unico modo di chiamarmi è con l’addebito, per tanto...- mi interruppe, a quanto pare per lei anche una parola di troppo in quel momento era tempo sprecato inutilmente.
-Lo scoprirai, fatti trovare a Walton Avenue il prima possibile. Sbrigati!- Mi riattaccò il telefono in faccia dandomi neanche il tempo di rispondere e la conferma a ciò che avevo constatato poco prima...]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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"Guardo il vento che soffia
la luce che cade
l'uomo che ride
il sole sparire
l'odio venire sull'erba bagnata
sull'erba fumata la ruota che gira..."





Quella sera, sulla finestra di casa mia, un ragno pendeva da un filo sottile della sua ragnatela. Osservavo quella minuta creatura destreggiarsi abilmente da un punto all’altro espandendo quella che per lui sarebbe stata la sua nuova tana, nonché una buona risorsa per procacciarsi del cibo.
Sapeva già cosa doveva fare nella sua vita per sfruttarla a pieno, mentre io ero in totale subbuglio su cosa dovessi farne della mia.
Perché io essere umano, definito per natura come la più alta forma di intelligenza, mi sento così stupida a tuo confronto?
Mi diressi verso il tavolo del salotto, che allo stesso tempo era anche la cucina, frugai nello zaino, posizionato sopra a una sedia e ne tirai fuori quello che da lì a poco mi avrebbe portato ad evadere per qualche minuto da questo pianeta.
Liberai dalla pellicola alimentare una cima d’erba, che avevo comprato il giorno stesso, presi in mano anche cartine, tabacco e un pezzo di carta abbastanza rigido per farne un filtro.
Routine oramai era per me, niente di tutto questo mi suscitava un senso di colpa o un minimo sconforto, sarebbe stato anche stupido ora come ora.
Una volta chiusa, con quel poco di saliva che bastava, la portai alla bocca, la accesi e aspirai profondamente buttando fuori una nube di fumo. E mentre la osservai dissolversi in quella stanza non potei far a meno di chiedermi se prima o poi avrei avuto abbastanza palle per spegnerla e lanciarla al di là del recito di casa senza alcuna tentazione di andarla a recuperare.
Mi buttai sul divano con la testa chinata verso l’alto fissando il bianco soffitto.
Niente amore, niente ambizioni e probabilmente niente futuro. Niente di niente.
Aspirai avidamente, questa volta pensando all'indomani.

E mentre il piccolo ragno tesseva la sua ragnatela io tessevo la mia rete di sbagli,
che mi avrebbe imprigionato in un futuro di angosce.


***


Ore 14:32. L’auto sarebbe partito tra un paio di minuti.
Avevo davanti l’immagine di una ragazza dalla pelle scolorita, sciatta, i capelli quasi completamente rasati lasciavano spazio a una misera cresta mora, gli occhi cerulei che mi fissavano sembravano vuoti per la scarsa saturazione di quel colore, ed evidenziava ancora di più i segni della stanchezza. Mi disgustai. Lo specchio mostrava solo la spiacevole verità del mio regresso.
Nessuno dovrebbe ridursi in questo stato pietoso.
Il telefono iniziò a squillare distogliendomi da quei pensieri. Notai che il numero non era registrato in rubrica, ma avevo la sensazione di sapere chi fosse.
-Pronto?- Il tono piuttosto irritato dall’altra parte del cellulare non esitò a farsi sentire -Leslie, ma si può sapere che razza di fine hai fatto? Rispondi ai messaggi una volta tanto!- Aveva i suoi buoni motivi per essere nervosa, compreso i fatto che non era la prima volta che non fossi rintracciabile. -Ci sono tranquilla, tra un po’ ti raggiungo- la sentii mormorare qualcosa a cui non diedi peso. -So che non hai credito e che l’unico modo di chiamarmi è con l’addebito, per tanto...- mi interruppe, a quanto pare per lei anche una parola di troppo in quel momento era tempo sprecato inutilmente.
-Lo scoprirai, fatti trovare a Walton Avenue il prima possibile. Sbrigati!- Mi riattaccò il telefono in faccia dandomi neanche il tempo di rispondere e la conferma a ciò che avevo constatato poco prima.
Infilai cappello di lana, sciarpa e un cappotto con quella svogliatezza che mi caratterizzava. L’avrei raggiunta tra qualche minuto.
E dopo un breve scambio di saluti con mia madre -nel quale mi ricordò di prendere il telefono, che tempo di prepararmi era finito non si sa come sopra il ferro da stiro- mi chiusi finalmente la porta dietro le spalle.
Davanti a me una recinzione prima delle rotaie e qualche fiore di lavanda che sputava fuori dal verde. Tra tutte le case che potevamo affittare a Morecambe -o meglio, di tutto il Lancaster- noi per puro spirito masochistico abbiamo scelto la peggiore. O forse non trovandoci con una cospicua situazione economia, sarà stato per il basso affitto con cui l’hanno messa in piazza che ci ritrovammo li. Guardando tutto da una prospettiva ottimista, almeno avevamo una casa.
Camminai sul marciapiede buttando un occhio sul display del telefono, cinque nuovi messaggi inviati tutti alle 14:10 e una chiamata persa -dovrei togliere questo maledetto silenzioso- alle 14:43. Attualmente sono le 14:51. Sgranai gli occhi.
Quattordici e cinquantuno ?!
Iniziai a correre, non riuscivo a credere di averci impiegato quei diciotto minuti per uscire di casa.
Vidi l’auto appostato davanti la fermata e il mezzo busto della mia amica che ne fuoriusciva dagli sportelli che mi faceva cenno di entrare.
-Leslie ma ti vuoi dare una mossa?!- forse non lo aveva notato, ma stavo correndo e anche abbastanza veloce. Salii sull’autobus dov’era lei ad aspettarmi.
-Scusami il ritardo Angel- dissi riprendendo fiato -non mi sono res...- mi zittì con un “non fa niente”, quando un momento prima mi stava inveendo contro. Non che mi dispiacesse quel cambio d’umore.
Mi accompagnò ai posti e avviò le presentazioni -Leslie lui è Denny, ora sai di chi era quel numero, registralo d’ora in poi starà con noi.-
La mia mente lo ricollegò subito a qualcuno già visto all’interno del liceo artistico. Prima che potessi chiedergli affermò lui stesso di conoscermi di vista, insieme a una stretta di mano.
-Ragazzi, ho una scimmia¹ che neanche potete immaginare
-Non me ne parlare per favore, questi venti minuti di attesa saranno lunghissimi.
Ed era vero, ogni volta sembravano tramutarsi in ore. L’attesa aumenta il desiderio e siamo tutti d’accordo, peccato che questo desiderio logorasse l’anima.
-Denny- richiamai il ragazzo alla mia attenzione, c’era altra gente e coscienziosamente decisi di abbassare la voce -da quanto tempo fai parte del giro?
-Un paio di settimane circa, tu?
-Un mese- una domanda mi sorse spontanea -com’è stato?-
-Non ho provato quasi nulla, ho vomitato e mi sentivo molto rilassato poi, ma non è stato come doveva essere.- guardò nervosamente fuori dal finestrino, poi spostò di nuovo l’attenzione su di me -è per questo che sono qui, una volta che provi tanto vale farlo come si deve. Per te invece com’è stato?-
Mi partirono immagini di quella sera, a casa di lei, mai provata una sensazione del genere.

Eravamo sopra il letto a gambe incrociate, l’una che guardava l’altra.
-Non immaginavo saresti venuta, non ti facevo così coraggiosa.
Un sorrisetto scaltro comparve sul mio viso a quelle farneticazioni -sai bene che se avessi potuto, avrei provato anche il trip. Ho un’ossessione per quella roba, non sai quanto cazzo mi attira.-
-Aahahaaha lo so invece, volevo soltanto provocarti.- mi invitò a infilarmi in bocca l’estremità di un tubicino fatto con la carta stagnola, che una volta messo, portò all’altezza di quest’ultimo un foglio del medesimo materiale, dove c’era quello che apparentemente poteva essere caramello e che, al contatto con la fiamma dell’accendino colava. Seguivo la scia aspirando la sostanza, dapprima aveva preso soltanto il mio stomaco grazie a quell’odore pungente che emetteva, poi si impadronì anche del mio cervello portandomi in uno stato di piacevole incoscienza.


***


Alla fine eravamo arrivati a King Street, una via come tante altre, solo in uno di questi appartamenti risiedeva lo spacciatore che ci serviva. Non lo avevo mai visto, Angel era solita andarci da sola e a me stava bene così. O quasi. Numero 75 una struttura grezza con i mattoni in marmo, entrammo impazientemente.
-Quanto avete a testa?-
-Io venti, Leslie tu?
-Dieci.-
Gli porgemmo il nostro denaro ed iniziò a salire le scale avvertendoci di rimanere lì e che sarebbe tornata a breve.
-È lei che ti ha fatto iniziare giusto?-
-Avevi dubbi per caso?
-Non molti.
-Niente da incolparle, l’ho voluto io.-
Aveva un’espressione amareggiata dipinta sul volto -neanche ti ha fermato però.-
In quell'istante sentimmo una porta chiudersi e poco dopo una persona scendere le scale. In men che non si dica era lì davanti a noi. Ci diede la nostra parte avvolta in dei brandelli di una busta di plastica.
-Andiamo.-
-E dove?- azzardai la domanda.
-Hai presente il ristorante White Cross?
-Sì più o meno.
-Bene, noi andremo sotto il pontile lì vicino.
Camminammo per un po’, parlando più che altro di quando saremmo arrivati, ed una volta davanti il ponte ci sedemmo formando una sorta di triangolo in modo tale da coprire ognuno le spalle dell’altro.
Era arrivato il momento di farsi.


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Guardo dentro me dentro me…

Gli occhi da iena che guardano e piangono
il bene che va il male che viene
Il tempo che ride una mela marcire
chi ha molto e chi non ha niente di niente”²





¹) Un modo di dire, sta a indicare lo stato d’animo di chi ha una grave astinenza.
²) “Quando mi guardo” dei Prozac+

   
 
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