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Autore: nuvolenere_dna    01/08/2017    9 recensioni
[POV multipli di Freezer, Vegeta e Nappa]
Mi trattengo con tutte le mie forze per non ridere.
Lotti con tutte le tue forze per non gridare.
Lo so, mio dolce bambino... l’oscurità non ha mai fine.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Freezer, Nappa, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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pretty prologo Ciao amici :)
Visto che fa caldo, quale soggetto migliore del nostro amico Freezy per rinfrescarci in qualche momento di noia? A parte gli scherzi, sono felice di pubblicare finalmente questo prologo, è da maggio che ho iniziato a scrivere questa storia ma non sono mai soddisfatta (e temo che non lo sarò mai).
Vi comunico che si tratta di una mini-long praticamente già scritta, mi mancano ancora alcuni pezzetti qua e là e una generale revisione (ho preferito arrivare quasi alla conclusione prima di iniziare a pubblicare perché come alcuni di voi sapranno... non ho la costanza per le long *imbarazzo* e rimangono incompiute! *orrore*).
Si comporrà di questo prologo, due o tre capitoli centrali e un epilogo.
La storia si ispira alla canzone “Pistol Whipped” di Marylin Manson, che trovate qui.
Vi consiglio di ascoltarla per tre motivi:
1. per entrare nel mood;
2. perché da essa è tratto il titolo della storia;
3. perché tre battute di dialogo, evidenziate in corsivo, appartengono alla canzone stessa e sono canticchiate da un personaggio.
Dedico questa storia a Vegeta_Sutcliffe e alla sua fanfiction “Padre e figlio”, che adoro alla follia e ho letto talmente tante volte da iniziare a ricordare le parole a memoria! :)
A presto con il primo, succoso capitolo!
Intanto vi aspetto nelle recensioni per un parere a caldo!
Un abbraccio,
Nuvole
 
Pretty When You Cry
 
 
Prologo
[Freezer’s POV]
 
 
Schiudo le palpebre nude, incantato, come se non avessi mai visto nulla di più bello al mondo. Dovrei essermi abituato, ormai, i pavimenti che divorano le mie impronte sono tutti lastricati di sangue e di morte, ma ogni volta è come la prima, unica e speciale.
Sono deliziose le lacrime che colano da quegli occhi gonfi, venati di porpora, sul punto di scoppiare. Sono provocanti, licenziosi i lividi neri che circondano quelle iridi, talmente impaurite da non osare neppure sfiorare la mia figura.
È seducente il sangue che cola dal filo spinato che cuce insieme le loro labbra.
Questo è il mio momento di pace, non accetto che sia sporcato dai loro respiri fetidi, dal suono disarmonico dei singhiozzi e dei gemiti che cercano invadenti di risalire lungo le loro gole.
Rovinerebbero la melodia impeccabile della mia canzone preferita.
Tamburello le dita sul metallo laccato del mio trono volante, eccitato da una nuova esecuzione, mordendomi le labbra per il piacere di ascoltare il suono del tamburo della pistola che rotola, dei proiettili che si sfracellano al suolo.
Il ronzio del basso inizia a vibrarmi nello stomaco, il volume è talmente alto da far tremare i vetri della sala del trono, seguito dalla batteria, lenta e suadente, parallela ai battiti del mio cuore, così forti da farmi sussultare il petto.
La voce roca del cantante sospira ed esplode, infine, in tutta la sua intensità.
«Sei così carina quando piangi.»
 Sussurro, cantando a memoria, facendo scrocchiare il collo a destra e a sinistra.
«Non voglio colpirti, ma la sola cosa tra il nostro amore è un naso sanguinante, un labbro rotto e un occhio nero...»
Le prigioniere ballano, tremanti, i corpi avvinti in una coreografia che insegue sgraziata il ritmo della musica. Le guardo, divertito, lo sguardo ipnotizzato dal sangue che cola lungo i loro menti, giù per il collo, sui vestiti strappati e sporchi.
Mi chiedo quale cederà per prima.
Osservo divertito i loro sforzi, il modo ridicolo che hanno di continuare a muoversi, consumando quel poco che resta delle loro vene, nella sola vana, ridicola, speranza di salvarsi la vita. Si dimenano, strisciando gli arti rotti, spezzati dalla furia dei miei soldati, nella speranza che io mantenga le mie false promesse.
«Voglio il tuo dolore... e anche picchiarti»
La mia coda frusta il pavimento in un impeto di eccitazione, incidendo un solco nel marmo candido.
Cinque paia di occhi sfolgorano dall’orrore, cinque bocche si lacerano ancora di più, pressate dalle urla che cercano di liberarsi, ma i loro piedi perseverano, cauti nel toccare terra e nel rialzarsi, delicati come fiori che si girano piano verso il sole.
Mi rilasso nella poltrona, cercando di placare la tensione accumulata nelle spalle dopo l’ennesima missione diplomatica in un pianeta di luridi barbari, l’adrenalina che si dissipa nelle mie membra fredde.
Un nuovo brivido: una delle ballerine sta per crollare, noto la sua forza vitale esaurirsi, sfibrata dal fantasma subdolo della morte che la corteggia sempre più vicino, librandosi intorno alla sua figura stanca.
Lo spettacolo è durato poco.
Anche troppo poco, la delusione mi contorce il volto in una smorfia di disgusto.
 «Ho saputo che hai ucciso una delle mie puttane.»
Sibilo piano, appoggiando il mento al pugno contratto, un sospiro lieve che sfugge dalle labbra socchiuse, abbastanza forte da essere udito dalle sue orecchie fini, in grado di riconoscere la mia voce dolce in mezzo ad una tempesta. La mia coda si allunga cieca all’indietro, in cerca della sua caviglia.  
«Non immaginavo che attribuissi tanto valore alla vita delle prostitute, Lord Freezer.»
La voce di Vegeta sorge sarcastica da dietro le mie spalle, venata da una sfumatura di tensione che soltanto io posso cogliere.
Tu non hai segreti, non per me.
«Non ne ha alcuno, infatti.»
Allungo pigramente le dita, dalle cui punte sbocciano bagliori sinistri, proiettili immateriali che trafiggono all’istante il cuore delle ballerine, angeli le cui ali si sfracellano squarciate sul pavimento.
La musica continua a gridare, assordante, le mie labbra scure intrappolate in un requiem distorto, condannate a ripetere mute i versi della canzone. Sento il respiro di Vegeta accelerare per poi estinguersi nel silenzio, come se trattenesse il fiato.
 «Mi hai deluso, sai?» mormoro, atono «Speravo che, almeno tu, fra tutti, non ti abbassassi a certe porcherie.»
Appoggio il braccio alla testiera della poltrona, facendo ruotare il trono volante nella sua direzione, attirando le attenzioni dell’intera sala su di lui. Indugio nell’osservare il suo viso, una maschera elegante di ghiaccio che incatena il fuoco divampante nei suoi occhi neri.
«Non sai quanto sono grato di appartenere a una razza superiore.» sibilo, mentre con un gesto stizzito indico a un servo di spegnere l’altoparlante.
«Io sono fortunato, Vegeta. Non ho bisogno di aprire le gambe a nessuno per godere... sei già tu, la mia puttana.»
Sulle mie labbra carminie fiorisce un sorriso sadico che lascia scoperti i denti candidi, bianchissimi, su cui striscia repentina la lingua, le mie iridi come braci impazzite che ridono sguaiate, vermiglie come il sangue che pulsa impazzito sotto la sua pelle diafana.
Le risate perfide di Zarbon e Dodoria riempiono la stanza, seguite da quelle del Capitano Ginew. Si guardano, complici, gongolanti per la rivincita avuta sulla creatura inferiore che mi ripetono sempre non essere sufficientemente degna di sedere insieme a noi.
I pugni di Vegeta si stringono, rabbiosi, le unghie affondano con veemenza nel palmo fasciato di bianco, dilaniando il tessuto dei guanti, la mandibola si chiude in uno schiocco rabbioso come quella di un animale in gabbia.
La vedo, la sento, l’umiliazione che come un virus si moltiplica inesorabile dentro di lui, infettando ogni molecola del suo corpo. I suoi occhi non abbandonano i miei, lividi di un’ira talmente bruciante da assomigliare alla disperazione, la gola accoltellata da una litania di insulti e improperi che vorrebbe soltanto sbattermi in faccia. Il suo pugno serrato accenna un minimo movimento, subito intercettato dal mio palmo algido, che lo stringe gentile come una carezza materna.  
«Oh, Vegeta, ma quanto sei permaloso... Stavo solo scherzando!» sorrido, amabile, tradito dalle scintille di malizia che infuriano nei miei occhi.
Mi trattengo con tutte le mie forze per non ridere.
Lotti con tutte le tue forze per non gridare.
Lo so, mio dolce bambino... l’oscurità non ha mai fine.
 
 
 
Continua...
 
  
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