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Autore: data81    02/08/2017    3 recensioni
[Don Camillo (Giovannino Guareschi)]
...quindi, mentre un telefono dietro di lui sparava a tutto volume le prime note di Occidentali’s Karma, fece scattare la mano destra aperta, rifilando al ragazzotto quella che un tempo veniva chiamata “scoppola”, ovvero una sorta di schiaffo sulla nuca, dal basso all'alto. Ma si trattava di una scoppola così precisa, pulita e raffinata, che avrebbero anche potuto chiamarla “santa scoppola”.
Storia di una scoppola, ma soprattutto storia di tutto quello che c'è dietro, compreso il ricordo di un Mondo Piccolo che oggi non c'è più. idea matta nata vedendo una scena assurda in autobus
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La “scoppola”
 
Era un uomo anziano, più o meno sui settant’anni, vestito con un completo di cotone blu scuro che doveva aver visto giorni migliori ma che, comunque, era perfettamente pulito e stirato e vestiva ancora bene la figura robusta e ben piazzata di qualcuno che, quarant’anni prima, doveva essere stato un uomo ben piazzato e probabilmente avvezzo al lavoro manuale e di fatica.
Non portava la cravatta, ma aveva un fazzoletto nel taschino della giacca – come usava una volta – e sotto il braccio portava una copia sgualcita dell’Unità.
L’uomo attendeva sotto la pensilina l’autobus ritardatario con quieta rassegnazione, lanciando di tanto in tanto occhiate indecifrabili ad un gruppetto di ragazzini assiepati sulla sola panchina che – bellamente ignavi del fatto di aver sottratto quel posto a diverse persone che potevano averne più bisogno di loro – stavano ascoltando un qualche tormentone estivo sfruttando i propri telefoni.
Quando dio volle l’autobus arrivò, ovviamente già mezzo pieno, e l’anziano uomo salì, dirigendosi immediatamente all’obliteratrice per vidimare il proprio biglietto. La torma di ragazzini nel frattempo si lanciò verso la parte posteriore del mezzo, occupando tutti i posti liberi con zaini e borse, oltre che con le loro chiassose figure.
Mentre l’autobus ripartiva, dirigendosi fuori Milano e verso la provinciale, l’anziano signore si spostò verso il fondo, nella speranza di trovare un posto a sedere ma – come aveva sospettato – l’allegra compagnia aveva già invaso e trincerato la zona. L’uomo scambiò per un lungo momento uno sguardo con il capo-compagnia, un bulletto alto e smilzo che indossava un cappello verde militare girato all’indietro e lo fissava con freddi occhi grigi, appena visibili sopra gli occhiali da sole a specchio calati sul naso.
La sfida silente durò per diversi secondi, finché alla fermata successiva una signora non si alzò bloccando la visuale ad entrambi e scese, cedendo così il posto all’anziano viaggiatore.
Il resto del viaggio procedette tranquillo, con in sottofondo i cigolii del vecchio mezzo pubblico quasi sommersi dal vociare dei ragazzi e dalla musica sparata a tutto volume dagli altoparlanti dei loro telefoni.
Giunto alla propria fermata, il vecchietto scese, trovandosi davanti – proprio sotto il vecchio portico – una di quelle Maestà costruite nel 1800 e sempre identiche. Una immagine ormai scolorita di una Madonna protetta da una vecchia grata di bronzo, davanti alla quale qualcuno aveva portato due fiori ed acceso un lumino.
Di fronte a quella immagine il vecchietto si tolse il cappello nero a tesa larga che portava e, godendo del relativo fresco del portico, si sedette sulla panca in attesa della coincidenza con l’autobus che lo avrebbe riportato al paesello.
Anche i ragazzotti scesero alla stessa fermata in attesa di una coincidenza e, trovata la panca occupata, si sedettero per terra ai piedi della Maestà, continuando a chiacchierare. Il capo-compagnia, però, rimase in piedi e cercò nuovamente lo sguardo del vecchio, come a voler continuare la loro silenziosa sfida. Rimase però deluso perché, dopo appena un’occhiata, il nonnetto scosse la testa e spiegò il giornale, immergendosi nella lettura di un qualche articolo di seconda pagina.
Passarono così una decina di minuti, prima che un autobus si avvicinasse. Notandolo, il vecchio si alzò in piedi per tempo e ripiegò con cura il giornale, quindi si segnò davanti alla Madonnina dipinta e rimise il cappello. Solo allora, mentre si dirigeva alla porta anteriore del mezzo che nel frattempo si era fermato con uno stridio di freni, passò accanto al giovane capo-compagnia e, guardandolo negli occhi, gli disse “Davanti a quella Signora ci si leva il cappello!”
Quindi, mentre un telefono dietro di lui sparava a tutto volume le prime note di Occidentali’s Karma, fece scattare la mano destra aperta, rifilando al ragazzotto quella che un tempo veniva chiamata “scoppola”, ovvero una sorta di schiaffo sulla nuca, dal basso all’alto. Ma si trattava di una scoppola così precisa, pulita e raffinata, che avrebbero anche potuto chiamarla “santa scoppola”.
Infine, mentre il cappellino militare cadeva a terra ed il ragazzotto si portava stupefatto ed allibito la mano alla parte lesa, il vecchio salì sul proprio autobus col cuore più leggero.
 
Poco lontano, apparentemente incuranti del sole cocente che batteva sulla provinciale, due uomini osservavano la scena a braccia conserte, come se stessero studiando con grande attenzione una esibizione alla quale avrebbero dovuto dare un voto.
Erano due pezzi di uomini, apparentemente sui quarant’anni, ed indossavano abiti che – dalla foggia – dovevano essere del secolo precedente: uno indossava un completo di fustagno marrone piuttosto spiegazzato e con le toppe ai gomiti e, sotto, una camicia azzurra slacciata sull’ampio collo, attorno al quale svettava un enorme fazzoletto rosso fuoco. Entrambi erano grossi e massicci, con spalle larghe e mani che parevano badili.
L’altro – che non poteva sembrare più diverso – indossava un abito talare completamente nero, comprensivo di un cappello dello stesso colore. L’unica traccia di colore era data dal colletto bianco inamidato che stringeva il collo.
“Mondo ladro, me lo avete rovinato…” commentò il primo uomo, guardando storto il secondo da sotto uno scalcagnato cappello anch’esso marrone e spiegazzato. Il volto era tondo e massiccio, sormontato da due baffoni neri che correvano attorno alla bocca “è diventato una specie di figlia di Maria…tutta colpa di quel dannato nome che avete dovuto affibbiargli…”
“Mo’ sta zitto, screanzato che non sei altro…” gli rispose l’altro con lo stesso tono. Non era un tono veramente arrabbiato… sembrava più una sorta di farsa, come se fosse un gioco – o una parte – che i due uomini recitavano ormai da molto tempo “Togliersi il cappello davanti alla Madonna è segno di una persona civile ed educata! Ma che vuoi capirne tu, che sei un senza Dio…”
Il primo uomo ci meditò un momento, poi si frugò in tasca tirando fuori un toscano e lo guardò, fissando ancora irritato il compagno. Infine spezzò il sigaro, dandone metà all’altro e cominciando a frugare in un’altra tasca in cerca di qualcosa. Intanto disse con orgoglio “Però quella era una signora scoppola! Quella l’ha presa certamente da me!”.
“Una scoppola con la S maiuscola…” convenne il curato, accettando il mezzo toscano offertogli e ricambiando passando all’uomo dal fazzoletto rosso una scatola di fiammiferi, dopo averla usata per accenderne uno col quale aveva infiammato la parte tronca del sigaro “marchio di fabbrica dei Camillo…”
“Marchio di fabbrica dei Bottazzi, casomai!” rispose l’altro, questa volta infervorandosi per davvero “Non facciamo scherzi, Don Camillo! Potete anche averlo battezzato col nome che pareva a voi, ma non vi consento di scherzare su mio figlio, specie dopo aver visto che – tutto sommato – è stato tirato su bene!”
“Su, su, Peppone, non ti arrabbiare…” rispose il curato, che sorrideva lieto dopo essere riuscito a segnare un punto e aver fatto arrabbiare il… collega “si dice tanto per scherzare…”
Ma, ormai, a Peppone i cavalli erano scappati e la discussione sarebbe durata a lungo…una eternità, in effetti, ma quei due ci avevano fatto il callo e per loro era normale così…
 
Ma sopra all’autobus che si stava allontanando un vecchietto – all’anagrafe Libero Camillo Lenin Bottazzi - come per un riflesso istintivo si voltò indietro e, per un istante, gli parve di vedere due figure del suo passato intente a bisticciare sul bordo della provinciale. Due figure che non potevano essere lì, ma che parevano esserci davvero e che – a ben pensarci – sarebbe sembrato strano vederle non insieme e non vederle intente a bisticciare.
“Vecchio mondo…” borbottò l’anziano signore, chiudendo gli occhi e sentendosi felice, mentre con la memoria tornava alla sua giovinezza.
Cose che succedono là, in quel paese strampalato dove il sole picchia martellate in testa alla gente e la gente ragiona più con la stanga che col cervello, ma dove, almeno, si rispettano i morti.
  
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